La cavalleria medioevale e le sue caratteristiche

.Alexandros.
00venerdì 13 ottobre 2006 19:11
Le fonti identificano il cavaliere utilizzando il termine latino milites. Il significato, chiaramente associabile a militare, è facilmente identificabile con il più ampio concetto del servire, nel caso specifico del servire in armi.
Un chierico serve Dio, un soldato romano serviva l'Urbe, un cavaliere carolingio serviva l'imperatore, ma un milites medievale a chi donava il proprio servigio? Verso quale istituzione e con quali ideali?

L'assenza di un forte potere centrale avrebbe potuto indiscutibilmente portare ad una "carenza di motivazioni", l'assenza di una figura o di un'istituzione prestigiosa avrebbe potuto creare una sorta di caos idealistico, una crisi di identità guerriera. Tuttavia le cose non andarono così, non si raggiunse mai una vera e propria "anarchia feudale". Vassalli, signori, conti e cavalieri riuscirono ad autoconcepire nuove identità morali, con mezzi forse non molto "giusti", ma che si rivelarono essenziali.
Fu "Il Signore della Guerra" il nuovo punto di riferimento, la nuova figura in grado di generare nei confronti dei propri "seguaci" nuove motivazioni. Il come vi riuscì è chiaro, eglio creò un "proprio" potere sovrano e lo applicò alla piccola porzione di terra conquistata (spesso in modo avventuroso ed illegittimo). L'assenza dello "stato" ha consentito il proliferare del fenomeno ma nello stesso tempo, tali nuove entità, hanno impedito l'instaurazione di una vera e propria anarchia.
Centro di questo nuovo "potere sovrano territorialmente limitato" fu il castello ed il garante del mantenimento di questo ordine fu il cavaliere.

A questo punto è bene sottolineare un concetto (...noto a molti). Nel perodo storico in oggetto, la cultura era in mano a pochi uomini di chiesa, le fonti classiche e gli ideali ad esse associati erano prerogativa del mondo ecclesiastico. Il laico, sia esso stato conte, cavaliere o contadino, non aveva accesso ad astrazioni quali "res pubblica" o "stato" o "bene comune", conseguentemente questo nuovo ordinamento sociale trovò campo libero.
Carlo Magno, attraverso il "campo marzio" era solito riunire le proprie armate e muovere guerra ove era necessario. I cavalieri ed i soldati carolingi avevano ben chiaro il concetto di "cavalleria istituzionale", i loro successori al contrario ignoravano totalmente una simile realtà. In epoca feudale, vista l'esistenza di tante piccole entità e l'assenza di una sola grande istituzione, è opportuno parlare di cavallerie, non di cavalleria.
E' qui che il cavaliere trova i suoi ideali, ed essi risultano essere per forza di cose più concreti rispetto a quelli dei suoi predecessori, il milites medievale è mosso da concezioni morali provenienti da vertici molto vicini alla sua persona, egli spesso conosce il volto di colui per il quale combatte. Un rapporto così stretto non può limitarsi alle sole pratiche belliche, scattarono obbligatoriamente meccanismi di iterazione finanziaria, giuridica, pubblica e psicologica; il rapporto è di assistenza reciproca in quanto ciascuna figura è essenziale all'altra. Tale struttura porterà inevitabilmente a numerose ramificazioni, generando un ordinamento vassallatico a più livelli.
Il prestigio del vassallo è strettamente legato a quello del proprio signore, così come l'importanza nella società, la ricchezza e la qualità degli armamenti. Il cavaliere si crea così una morale puramente "carnale", fatta di ideali esclusivamente materiali. Manca quindi una componente spirituale, essenziale per ricollegare questo milites alla figura del cavaliere che tutti conosciamo. In questo contesto storico (...come in moltissimi altri) chi se non la Chiesa avrebbe potuto infondere un'etica a questa nuova entità sociale dotata di poteri sempre crescenti?

Fu verso il 1075 che Gregorio VII iniziò questo ridimensionamento morale, puntando esplicitamente il dito all'eccessiva materialità di questi uomini d'arme. Le sue argomentazioni, pronunciate per smuovere la cristianità, si articolarono su un concetto piuttosto semplice: se è onorevole morire per una patria terrestre, ancor di più lo è morire per il Signore. Per patria non era di certo intesa una nazione, o un'unione occidentale, ma piuttosto una contea, un feudo, un piccolo lembo di terra "autonomo".
Tale paragone non potè che creare un pesante fardello nei cuori dei milites del periodo vista l'importanza e l'autorità che la religione aveva (aspetti politici ed economici a parte). Nello stesso tempo, il discorso di Gregorio VII creò un nuovo ideale multinazionale, una nuova vasta patria ideale, che riuniva sotto un'unica bandiera paesi, lingue e costumi differenti. In vista della salvezza ultraterrena per il servigio reso a Dio, si andò così a colmare il vuoto spirituale del cavaliere, e si preparò altresì il campo al famoso discorso di Urbano II (il papa che indisse la prima crociata).

Così la Chiesa cominciò a dare un'etica alla cavalleria, entrò nella sua essenza, anche se non riuscì mai a plasmarla completamente a suo piacimento...

Fonte principale Jean Flori
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