Legende lusitane

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Bertavianus
00sabato 20 agosto 2011 00:06
Feudal full, difficile/difficile

Aggrappati ad una stretta striscia costiera priva, nell’immediato, di ragionevoli possibilità di espansione, Alfonso I ed il Principe Fernando meditavano di licenziare tutti i miliziani al loro servizio per stimolare la prosperità del loro piccolo regno risparmiando anche sulle paghe militari.

Tal prospettiva appariva agghiacciante a Soeiro Viegas Ribodauro, castellano di Oporto, che non intendeva trascorrere i migliori anni di sua vita a tener compagnia al re nella contemplazione dei tramonti sull’oceano. Tanto brigò che ottenne il comando di ogni uomo disponibile per tentare la conquista di Maiorca, unica impresa che non poteva innescare il risentimento dei potenti vicini.

L’armata con cui sbarcò sull’isola era imponente, ma risibile per qualità di truppe ed equipaggiamenti, e solo la forza soverchiante del numero gli consentì di aver ragione dei fieri avversari: le perdite furono mostruose, riducendo a poca cosa il congedo delle unità non più necessarie.

Seguirono alcuni anni monotoni durante i quali prevalsero i propositi iniziali del Re, anni caratterizzati solo da modesti ma incoraggianti risultati. Alfonso, che aveva da accasare tre figlie, impostò su tale esigenza la propria politica di alleanze, salvo per la doverosa eccezione del Patrimonio di San Pietro. Quanto a questo, si può anticipare che - a tempo debito - Urraca avrebbe portato in famiglia il giovane Ferdinando di Borgogna, e Sancha si sarebbe accaparrata Guillem Cardona. La sorella maggiore, ed una damigella di corte, avrebbero invece perso il loro onore con tentativi al di sopra delle loro capacità.

L’irrequieto Soeiro tornò in patria dopo aver lasciato Palma di Maiorca alle cure di Manoel da Silva, un parente acquisito per matrimonio, ma si guardò bene dal tornare ad Oporto; col pretesto ufficiale di doversi recuperare dagli strapazzi, ma in verità per non dover ammirare i tramonti con la noiosa compagnia di Alfonso, optò per un lungo soggiorno presso i ben più allegri monaci di Santa Cruz.

Ei covava il proposito di altre imprese anfibie, non ancora ben definite, ed il re lo aveva assecondato ordinando il reclutamento del nucleo centrale di un nuovo esercito di invasione. Caso volle che, pria di potersi lanciare in questa seconda spedizione, il buon Papa Adriano chiamasse alle armi la cristianità per la liberazione di Edessa.

Correva l’anno 1163 e, preso il comando delle truppe regolari e di molti volontari, Soeiro si lanciò subito contro Badajoz, mentre la flotta prendeva il controllo di Gibilterra; il castello moresco era poco difeso, e occuparlo richiese meno fatica di quella occorrente per costruir scale e arieti.

L’impresa sarebbe terminata lì, se a questo punto i destini di Soeiro non si fossero intrecciati con quelli di Gonzalo Mendes. Gonzalo aveva lungamente spiato Badajoz, fornendo precise notizie ma senza osare altro. Dopo la caduta del castello riuscì ad entrare a Siviglia, e comunicò tramite piccione viaggiatore che contava di poter assumere il controllo dei cancelli. La stagione successiva Soeiro entrava trionfalmente a Siviglia e Gonzalo si spostava a Cordova, che poche settimane dopo fu liberata dalla presenza islamica con le stesse modalità.

La conquista delle due città rischiò di essere vanificata dalla controffensiva moresca, visto che il nemico si affrettò a porre sotto assedio le scarne guarnigioni lasciate sul posto. Siviglia fu salvata ancora da Soeiro, che accorse con nuovi volontari reclutati in ogni dove, Cordova resistette da sola: il capitano al comando riuscì a far disperdere i nemici che spingevano l’ariete e la torre, sacrificando a questo scopo la propria cavalleria: poi fu strage di miliziani e arcieri islamici che tentarono la sorte con un unico gruppo di scale.

Salvate le città, Gonzalo corse a Granada. A Soeiro restavano ben pochi combattenti, per lo più pellegrini e balestrieri, ma ce n’era d’avanzo per sopraffare le guardie del generale che erano l’unica difesa dei luoghi. Quando i tiratori presero posizione sugli spalti, per loro fu la fine.
Or che era stata completata la reconquista, apparve il Gran Maestro di Aviz chiedendo assistenza per far strage di infedeli. Non gli si diede retta, perché il più era fatto e lui avea fama di spilorcio, ma tornò comodo per governare Cordova.

Di li a poco il Signore chiamò a sé re Alfonso, salì al trono Fernando e designò Soeiro come erede; nessuno più di lui lo aveva meritato, ma fu rospo indigesto per il figlio di Alfonso, che aveva ben altre aspettative, fra cui le fastose nozze con una principessa francese adocchiata da tempo.

In ogni caso, alla reconquista seguì circa un decennio di pace e profitti crescenti, che ebbe termine quando i Castigliani iniziarono ad effettuare movimenti sospetti: prima si presentarono in forze sotto Oporto, poi attaccarono a tradimento la rocca di Coimbra, presidiata da una compagnia di arcieri. Le truppe inviate per questa facile missione erano poca cosa, e l’intervento del Gran maestro di Aviz le spazzò via senza problemi.

Per ritorsione, Manoel da Silva assaltò Valencia, travolgendone le difese con le prime catapulte uscite dagli opifici di Cordova, per poi insediarvi il figlio maggiore.

Il Santo Padre pretese la cessazione di questa violenza fratricida, ed il Principe Soeiro decise di attenersi alla lettera alle sue indicazioni: allestì un nuovo esercito, con due compagnie di artiglieri, e marciò verso la rocca di Jaen per eliminare l’ultima, patetica, presenza moresca nella penisola, e da lì proseguì verso Toledo eludendo la sorveglianza castigliana. Scaduta la tregua investi il castello con il supporto dei rinforzi condotti da Manoel da Silva, che però furono impiegati in minima parte.

L’impresa sarebbe proseguita con l’assalto a Salamanca, se solo Deodato - neoeletto pontefice portoghese - non avesse imposto una nuova tregua. Il messo del Santo Padre raggiunse Soeiro quasi simultaneamente a quello del concilio, venuto ad incoronarlo dopo la dipartita di Fernando.

La prima preoccupazione di Re Soeiro fu quella di trovare una moglie adeguata per il figlio Pedro, suo erede naturale, ed a tal fine mandò in avanscoperta il fido Gonzalo. Costui individuò subito due giovani principesse; avevano il difetto di essere castigliane ma, conoscendo bene il suo sovrano, riteneva che questo non fosse assolutamente un problema. Infatti l’emissario che lo seguì a ruota offrì Maiorca in cambio della pace, e subito si passò a celebrare le nozze. Una cocuzza per tutto il cocuzzaro…

Soeiro il Conquistatore si spense serenamente all’età di sessantatre anni, circa un anno dopo essersi cavato lo sfizio di annientare una piccola masnada di ribelli apparsa nelle province storiche. Era stato il principale artefice dell’espansione iniziale del regno, che alla sua morte risultava quadruplicato.

Il Portogallo era uscito invitto da venticinque battaglie per terra e per mare. Una manciata di vittorie era stata colta in danno degli alleati Aragonesi, infine rivelatisi traditori, ma questa è un’altra storia.


Jean de Avallon
00sabato 20 agosto 2011 14:57
Non ho parole ....
Romolo Augustolo
00sabato 20 agosto 2011 16:16
O.O strano, di solito il portogallo ha vita defficilissima, complimenti ;)
Bertavianus
00domenica 21 agosto 2011 00:54
Una crociata che casca a fagiolo non ha prezzo, per tutto il resto c'è mastercard.

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La breve guerra con gli Aragonesi era stata, sostanzialmente, una faccenda privata della famiglia da Silva; più o meno simultaneamente Gomez si ritrovò assediato a Toledo, Juan a Valencia, e loro padre Manoel nella rocca di Eix, dove si era ritirato mugugnando dopo la cessione di Maiorca.

La situazione del babbo pareva disperata, perché era assolutamente solo, e forse fu proprio questa la sua salvezza; il nemico lo assediò con un contingente modesto, non prevedendo che il castellano di Granada potesse mandare in suo soccorso una piccola forza mercenaria alquanto raffazzonata.
I soccorritori erano in svantaggio numerico e si trovarono subito in difficoltà; i loro lancieri andarono presto in rotta, e anche i cavalieri avrebbero fatto la stessa fine senza l’intervento di Manoel stesso. Poi rimasero in campo solo balestrieri e cavalleria al soldo del regno, e per i pur più numerosi fanti nemici venne il tempo di lacrime e sangue. Indi Manoel liberò Valencia dall’assedio, avvalendosi di una masnada di straccioni per colmare le perdite dei mercenari passati ai suoi ordini.
Gomez se la cavò brillantemente da solo: aveva appena completato la seconda cerchia di mura ed i suoi erano equipaggiati dalla locale gilda degli spadai. Fu il primo generale portoghese ad impossessarsi del tesoro di un avversario.

Gli Aragonesi non si fecero più vivi, e l’ultimo servizio dell’anziano Gonzalo Mendes ne svelò il perché: Barcellona era stata catturata da una armata Pisana.

Re Pedro aveva molte virtù, ma non le attitudini marziali del padre; i suoi talenti in questo campo erano offuscati da una marcata propensione a svenire alla vista del sangue.
In ogni caso, potendo restar fuori dalla mischia, rivelò di possedere un buon intuito affidando la gestione della crociata contro Damietta all’uomo giusto: Ferdinando di Borgogna, Gran Maestro dell’Ordine di Calatrava, all’epoca detto il Degno e poscia il Conquistatore.

Passato per amore al servizio del Portogallo, Ferdinando aveva ottimamente amministrato Siviglia per poco meno di vent’anni; nel vestire la croce, lasciò tali onori ed oneri al figlio Menendes.
Partì via mare con una armata completa dotata di catapulte, e si concesse una sola digressione: l’assalto a sorpresa al castello di Rusad. Vi lasciò a presidio metà dei suoi ma, arruolando volontari a Maiorca, in Sicilia ed in Sardegna, giunse comunque per primo alla meta a ranghi completi.
La presa di Damietta fu per lui mera formalità, ma la abbandonò in tutta fretta ad evitare di restarvi intrappolato dalla morsa delle armate egiziane che vi stavano confluendo, che in effetti si strinse sul simbolico presidio prima di poterne trattare la cessione. Malgrado l’assedio, un diplomatico crociato riuscì a contattare in extremis il capitano della guarnigione: ne scaturì una nuova alleanza ed uno scambio di informazioni. Stavano messi male, avevano preso Damasco, ma perso Tripoli ed Antiochia.

Durante il viaggio di ritorno Ferdinando investì Barqah a puro scopo di razzia: vi perse dieci uomini e, quasi per caso, pose termine ai giorni del Saladino. Reclamò il titolo locale, lasciò sul posto una robusta guarnigione e, navigando sottocosta, scoprì che Surt era saldamente presidiata dagli egiziani, fino a Tunisi era tutto territorio normanno, mentre Annaba era colonia pisana.

Correva l’anno 1200, si era avuta notizia dell’annientamento della Serenissima, e occorreva affrettarsi verso Rusad perché i mori tentavano seriamente di riprendersela. Per il momento avevano ottenuto solo di perdere il giovane Abdelatif al Hergai, stregato da una maliarda pisana di passaggio che avrebbe potuto essergli madre, ma la situazione rischiava di farsi insostenibile. Ferdinando risolse il problema espugnando in rapida successione Bejaja e Tenes, un diversivo che attirò in massa il nemico verso quelle località, che egli non intendeva assolutamente difendere. Reimbarcatosi rapidamente, colse alle spalle l’unica armata rimasta ad assediare Rusad, e ne fece polpette con l’aiuto della guarnigione; poi ritenne più prudente fondere le forze per assicurare alla piazza una difesa inespugnabile.

Sino a quel momento, la responsabilità di Rusad era stata affidata a Manoel da Silva, che di lì a poco avrebbe visto il nipote Pietro, figlio di Juan, insediarvisi come re. Toltasi questa soddisfazione fece ritorno in Europa con Ferdinando e, sentendosi prossimo alla fine, volle che a perpetuare il titolo di Re di Maiorca fosse il giovane Meen Cardona.
Re Pedro avrebbe voluto compensarlo facendolo signore di Badajoz, ma potè solo organizzare le esequie solenni per l’ultimo dei veri guerrieri della generazione di suo padre.
frederick the great
00domenica 21 agosto 2011 11:41
[SM=x1140512]
Jean de Avallon
00domenica 21 agosto 2011 12:01
Bella quella della "madre !!"
Bertavianus
00domenica 21 agosto 2011 17:20
Salvo per gli ultimi scontri in nordafrica, di cui si è già narrato, la prima decade del dugento fu periodo tranquillo che merita di essere ricordato per pochi fatti significativi.

Il voto determinante dei vescovi missionari partiti da Barqah portò al soglio pontificio Andrea, secondo papa portoghese; presero il via i traffici marittimi sulle rotte del baltico e del mare del nord; a Lisbona fu aperta al culto la prima chiesa procattedrale. La morte del principe Enrico Henriques segnò la scomparsa della sua dinastia; egli aveva reso Oporto una formidabile cittadella, e secoli dopo la sua vita avrebbe ispirato “il deserto dei tartari”. Il marito della sua unica figlia, Meen Cardona Re di Maiorca, gli subentrò nell’incarico e nella linea dinastica.

Catalina, dama più presuntuosa che avvenente, tentò la fortuna in terra di Castiglia: pochi avrebbero puntato un bisante sul buon esito della sua avventura, ma chi lo fece ammassò ingenti ricchezze. Tornò in patria come moglie di Alvaro Nunes di Borgogna, Conte di Leòn e Mayordomo Mayor. L’aspetto macilento di questo Grande di Castilla y Leòn fece malignare che fosse pure un gran segaiolo; vera o no tale ipotesi, è certo che il matrimonio ed un soggiorno a Santa Cruz ne fecero ben altro uomo.

Re Pedro volle cedere Barqah agli Aragonesi in cambio di una mera tregua. L’offerta era assai meno generosa di quanto potesse apparire; esaurita la spinta missionaria dei primi tempi, quel castello non aveva più nulla da offrire, stava attirando l’ostilità dei bizantini, ed i costi per mantenervi adeguata guarnigione eccedevano i profitti. Il regalarlo fu vero affare.

L’attenzione del sovrano poté rivolgersi alla preparazione del suo progetto più ambizioso: assestare una spallata decisiva al regno moresco, ovviamente guardandosi bene dal frequentare campi di battaglia…
Affidò tutti i dettagli del caso a Ferdinando il Conquistatore e Gomez da Silva. Al di là delle ragioni ufficiali, la cooperazione fra i più validi guerrieri del regno rispondeva anche ad altre finalità; il primo si stava facendo vecchio, il secondo era uno scapolo d’oro intorno al quale gravitavano troppe donzelle straniere. A Toledo poteva badare Alvaro Nunes, che non aveva più ragione di cedere al loro fascino.

Nell’anno del Signore 1210 la scomunica dei siciliani, e la chiamata alla crociata contro Tunisi, suggerì una drastica accelerazione dei tempi. L’armata in allestimento era ancora a corto di lancieri e cavalleria, ma Ferdinando e Gomez stimarono che tale carenza potesse essere colmata dai Lantuma disponibili a Rusad, per cui completarono frettolosamente i ranghi con fanti e cavalieri crociati e si lanciarono immediatamente su Fes.

La madre di tutti gli assalti
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Fes non era che un semplice castello, elevato a capitale del regno, ma ospitava il Wali ed un esercito a ranghi quasi completi; truppe scelte che, probabilmente, avrebbero ricevuto rinforzi in extremis. Mai armata portoghese aveva osato cimento così arduo, e pronostici così sfavorevoli non si erano visti neppure al tempo dell’impresa di Maiorca, riuscita pel rotto della cuffia.
I condottieri crociati concertarono di lasciare i circa quattrocentocinquanta Lantuma al comando autonomo di un loro capitano, e schierarono la propria armata sul lato delle mura perimetrali più vicino alla piazza d’armi; lì due compagnie di catapulte avrebbero dovuto aprire una breccia, e neutralizzare una torre, onde consentire l’assalto per una via poco esposta al tiro nemico. Tre compagnie di balestrieri pavesi in ordine sparso avrebbero annaffiato l’area con dardi scagliati da distanza di sicurezza; la cavalleria venne disposta sul fianco destro, onde poter rapidamente contrastare eventuali sortite dal cancello principale.
Quando le mura cedettero fu possibile vedere i mori agitarsi freneticamente come fossero i residenti di formicaio scoperchiato, ed iniziò l’avanzata dei Lantuma. La loro prestazione fu deludente, in breve tempo subirono perdite devastanti ed i superstiti si diedero alla fuga ma, bene o male, erano riusciti svolgere il proprio compito: sfoltire i ranghi della temibile cavalleria moresca.
La seconda ondata fu quella dei sergenti templari e lancieri andalusi meglio equipaggiati, con l’appoggio di fanti e cavalieri crociati, vale a dire circa metà dell’armata: rifinì il lavoro dei compagni d’arme, causò la morte del Wali, e diede modo ai balestrieri di guadagnare gli spalti.
A quel punto partirono i tritacarne tenuti in riserva, circa duecentoquaranta fra fanti feudali e spadaccini iberici addestrati a Toledo; fu dura anche per loro, anche se dovettero vedersela quasi esclusivamente con avversari appiedati ormai allo stremo, che collassarono di lì a poco.
La vittoria era costata quasi mille morti, ed i Lantuma susperstiti gettarono le armi alle ortiche.

Il secondo obiettivo irrinunciabile dell’impresa era Sidjilmassa, ultimo castello rimasto al nemico. Fu serena passeggiata senza vittime; era difeso solo dalle guardie di un generale, che non osarono affrontare lo schiltron in avvicinamento. Lui finì arrostito dalle catapulte ed i suoi si arresero.
La successiva presa di Marrakesh non merita di esser raccontata.

Concentrate nuovamente le truppe a Fes in vista di reazioni da parte dell’armata che stazionava abitualmente sulla sponda meridionale dello stretto, i generali si recarono a Rusad per inoltrare al Re un messaggio criptato: "suciapascassadas".



Pico total war
00domenica 21 agosto 2011 18:05
Se nn fosse x l'assenza si una mappa o di screenshot della situazione

bertavianus è da 10 [SM=x1140512] [SM=x1140512]

anche se quella precedente è ancora più indimenticabile, un fenomeno [SM=g27963]
Bertavianus
00domenica 21 agosto 2011 21:35
Grazie Pico. Per quanto riguarda l'inserimento delle immagini non saprei neppure da che parte cominciare. Se mi puoi spiegare tutto, ma proprio tutto (magari via mail), potrei provarci in una prossima puntata. Ora come ora scrivo su works, poi copio e incollo.

Pico total war
00domenica 21 agosto 2011 21:37
Re:
Bertavianus, 21/08/2011 21.35:

Grazie Pico. Per quanto riguarda l'inserimento delle immagini non saprei neppure da che parte cominciare. Se mi puoi spiegare tutto, ma proprio tutto (magari via mail), potrei provarci in una prossima puntata. Ora come ora scrivo su works, poi copio e incollo.




piu facile di quanto credi ti invio subito il da farsi [SM=g27963]

ps ho notato che il topic di fred sulle cartine è andato perduto e ho fatto fatica a ritrovarlo

sarebbe bene metterlo da qualche parte in evidenza direi l'angolo del bardo [SM=g27963]
Bertavianus
00domenica 21 agosto 2011 22:51
In attesa del prossimo aggiornamento, apro un piccolo concorso per i miei lettori.

Quale sarebbe stato il messaggio criptato in caso di sconfitta?

Pico total war
00domenica 21 agosto 2011 22:56
Re:
Bertavianus, 21/08/2011 22.51:

In attesa del prossimo aggiornamento, apro un piccolo concorso per i miei lettori.

Quale sarebbe stato il messaggio criptato in caso di sconfitta?





boh

rispondo al sondaggio postando la mia AAR preferita con gli scozzesi ovviamente by bertavianus... questa è troppo wonderful [SM=x1140427]

mtwitalia.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...

che c'entra? boh XD
dedicata a chi nn era ancora utente di mtwi e chi nn conosceva prima d'ora la genialità di bert [SM=g27964]
Jean de Avallon
00lunedì 22 agosto 2011 18:57
Re:
Bertavianus, 21/08/2011 21.35:

Grazie Pico. Per quanto riguarda l'inserimento delle immagini non saprei neppure da che parte cominciare. Se mi puoi spiegare tutto, ma proprio tutto (magari via mail), potrei provarci in una prossima puntata. Ora come ora scrivo su works, poi copio e incollo.





Io uso EVGA Precision:
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Bertavianus
00martedì 23 agosto 2011 20:13

La reazione moresca non fu immediata ma massiccia. Fes non la assediarono, ma mandarono un esercito ad accamparsi in vista delle mura; un altro corse ad assediare Sidjilmassa, la cui garnigione era scarsuccia, ed altri ancora acorsero dalla costa orientale.
Non meno massiccia fu la risposta. Ferdinando provvide alla liberazione del castello con una pittoresca armata di soli mercenari, mentre Alvaro di Borgogna si faceva crociato con sole truppe nazionali. Fu quest’ultimo ad assumere il comando delle forze riunite nella battaglia che avrebbe portato all’annientamento dell’armata del nuovo Wali. Esortò le truppe con un memorabile discorso sui culi del clero, ed il Santo Padre lo fece cavaliere sul campo. Poi corse a Fes, mietendo altra vittoria: in questa occasione fu proprio la carica della sua guardia, intervenuta a risolvere un momento critico, a far fuori il Wali successivo. La straripante cavalleria dei mori aveva, comunque, imposto duro pedaggio, e fu con gli effettivi di una sola armata che corse ad assediare Tiemcen; risolta la questione balzò a Baejaja, ignorando Tenes per sfuggire a due armate in grado di stritolarlo: poi, previa ricognizione, fu la volta di Tenes: ora avrebbe avuto un esercito alle spalle, ma l’occupazione della rocca di Al Djazar poteva sbarrare il passo all’altro. Non fu attaccato, ed i Mori furono solo un ricordo.
Correva l’anno 1214, il sovrano festeggiava la nascita del primo maschio, i Comuni Lombardi la vittoria della Crociata.

Presto Re Pedro ebbe anche altre ragioni per rallegrarsi; furono ritrovate le spade del Cid, stupì il mondo col primo duomo, e iniziò a nuotare nell’oro. Ignorò del tutto una nuova crociata per Urfa, peraltro inopportuna per la cristianità tutta; la vinsero i polacchi, ma simultaneamente scomparve il regno di Gerusalemme.

Salvo per qualche attacco inglese ai mercantili, l’emergenza che andava profilandosi era la crescente invadenza dei pisani che, dopo aver espugnato Tortosa e causato la scomparsa degli aragonesi, presero a sconfinare verso Toledo e Valencia.

Al conflitto si arrivò solo nel 1222, con l’assedio di Toledo. L’episodio fu definito “l’assedio dei maritini”, perché la difesa era affidata ad Alvaro di Borgogna, mentre le truppe pisane erano condotte da Cataldo Visconti. Alvaro era considerato pazzo, ed i suoi detrattori ravvisavano in ciò la conferma di antichi sospetti, ma sol perché era uomo razionalissimo e salace. Se mai gli fosse apparsa la Madonna, probabilmente le avrebbe detto: “Piacere, Re Erode. Vedi di andare in egitto e non prendermi per i fondelli”.
Toledo la difese schierando le truppe nel modo migliore, e se ne andò a dormire raccomandando di non disturbarlo; i balestrieri, e le baliste, annientarono l’armata nemica al costo di dieci perdite.

[qui era previsto l'inserimenro dell'immagine, e mi confermo incompetente. In teoria sarebbe pronta, ma la schifezza di programma che ho provato ad usare non la converte in formati accettati]

Questa “difesa portoghese” serebbe divenuta un classico. Alvaro ebbe occasione di usarla ancora una volta prima di abbandonare la valle di lacrime per cause naturali.

Il fronte di Valencia fu molto più dinamico: si dovette affrontare l’onta di una sconfitta senza vero combattimento per evitare che i pisani, ammassati sulla cresta di una collina, replicassero il successo inglese di Crecy; furono annientati quando avanzarono abbandonando la posizione; la cattura della fortezza di Tortosa con assalto via mare li ridusse, infine, sulla difensiva.

frederick the great
00martedì 23 agosto 2011 23:50
Un nuovo brindisi a un maestro [SM=x1140512]
Bertavianus
00sabato 27 agosto 2011 09:38
Ripetutamente battuti per terra, i Pisani si erano però rivelati imbattibili per mare; per contrastatre l’assoluta supremazia de’ loro legni fu avviato il potenziamento dei cantieri di Lisbona e Siviglia.
Nulla di notevole accadde sino al 1229, quando il ritmo degli eventi tornò a farsi frenetico.

Si spense serenamente Re Pedro, e lama assassina stroncò l’ancor giovane signore di Tortosa.
Iniziò il breve regno di Meen Cardona, il quale mostrò di preferire la morte in battaglia a quella per per noia fra le mura di Oporto; la corona passò Fytor di Borgogna, marito di sua figlia maggiore.
L’anziano principe Francisco il Santo volle emulare il Cardona terminando in gloria una vita di pater noster. Il giovane Rui Ribodauro sposò la principessa Costanza di Castiglia. Iniziò il pontificato di Teofilatto, portoghese come il suo predecessore.

Con gli anni trenta giunse l’appello alla liberazione di Gerusalemme, e Paulo de Trava si fece crociato.
Preparò la spedizione con cura e senza secondi fini ma, proprio alla vigilia dell’imbarco su una flotta di holk, un corriere del re gli intimò di cogliere al volo una occasione irripetibile: i pisani erano appena stati scomunicati e, per la prima volta da anni, Barcellona risultava piuttosto sguarnita.
La faccenda fu sbrigata rapidamente, quasi senza intaccare le forze crociate.

Paulo non era interessato ad un successo prestigioso quanto effimero; la sua crociata doveva essere l’inizio di una vera e propria reconquista della Terrasanta al cristianesimo.
La sua prima preoccupazione fu quella di strappare Acri ai Siriani; vi lasciò una robusta guarnigione, di cui avrebbe assunto il comando il giovanissimo figlio Teodoro, e si appostò nei paraggi della Città Santa reintegrando le forze con volontari locali. La pausa fu brevissima, ed ebbe per unico scopo il consentira l’arrivo degli alleati castigliani e pontifici. Appena questi ebbero preso posizione, espugnò in rapida successione Kerak e Gerusalemme, per poi avvalersi del loro aiuto per respingere una armata siriana che si era precipitata nella regione: incoraggiati dall’esempio di una compagnia di cavalieri crociati portoghesi, i guerrieri del pontefice conseguirono una brillante vittoria, funestata solo dalla perdita del proprio comandante.
Paulo restò a Gerusalemme il tempo occorrente a recuperare il Sacro Calice ed a respingere un tentativo di assedio egiziano; poi inviò un emissario ai castigliani per trattare la cessione gratuita della città, che loro potevano difendere con una armata ancora intatta, e si ritirò a Kerak ridistribuendo le proprie forze fra lì ed Acri.

L’opera diplomatica in medio oriente era appena agli inizi. Una successiva ambasceria presso una nobildonna egiziana portò prima alla tregua, e poi all’alleanza, con la sua gente. I veli della dama avvolgevano una testa di prim’ordine, ed ella seppe spuntare condizioni vantaggiosissime: ottenne la città di Bejaja ed un tributo di centomila bisanti distribuito in un quinqennio. Intuendo che sotto quei veli non mancava proprio niente, l’emissario consigliò di trovar rapidamente moglie a Teodoro.

La cessione di Bejaja non fu autentico sacrificio; ripetutamente frustrati presso Barcellona, i Pisani stavano preparando un attacco contro l’estremo avamposto nordafricano. L’arretramento del confine a Tenes ridusse i problemi difensivi, ed il diaframma neutrale valse a pacificare nuovamente la regione.

Con l’anno del Signore1240 giunse l’eredità castigliana, e con essa il controllo totale sulla penisola iberica, la restituzione di Majorca e Gerusalemme, oltre a Bordeau, Letmoges ed al Sacro Prepuzio.



frederick the great
00sabato 27 agosto 2011 10:30
[SM=g2584622]
Bertavianus
00lunedì 29 agosto 2011 19:02
Fytor fu il primo re portoghese, di ascendenza castigliana, a cingere la corona di re di Spagna.
Il suo regno or si estendeva su ventotto territori e tre continenti, ma le sue disponibilità auree finirono ben presto dimezzate.
Gli insediamenti Outremer ospitavano tre eserciti al completo, in grado di prendere fra incudine e martello i Siriani ogni volta che tentavano di assediare l’una o l’altra località.
Le province a ridosso dei Pirenei richiedevano sforzi militari anche più gravosi, perché i Pisani presero a rovesciargli addosso armate su armate. Il martello che li schiacciava regolarmente contro le mura di Iruna o Saragossa era maneggiato da Soeiro di Borgogna, Gran Maestro dell’Ordine di Calatrava: questo valente condottiero introdusse l’impiego dei balestrieri montati che, contrapponendosi a quelli pisani, annullarono il vantaggio di cui inizialmente avea goduto il nemico.

Fytor alfin decise che la sicurezza dei confini meritava uno sforzo militare e finanziario ancor più deciso. Nell’anno del Signore 1245 una armata al comando di Alfonso VIII di Castiglia Maciò iniziò la marcia di avvicinamento su Tolosa per la via più diretta attraverso i valichi montani; piccole colonne indipendenti passarono per altre strade, anche nell’intento di sviare l’altrui attenzione. Lo stratagemma funzionò poco, all’arrivo di Alfonso la cittadella era gremita di difensori. Per sua fortuna, il più erano tiratori e combattenti a cavallo, il luogo mancava ancora di bastioni, e la massa di rinforzi gli garantiva una buona superiorità numerica. Attaccò da sud, e non incontrò opposizione fino al secondo cancello; lì dietro si sviluppò una mischia furibonda, che fagocitò il generale nemico ed il meglio delle contrapposte armate. Per la conquista della parte più interna dovette impegnarsi personalmente in combattimento, ma ebbe a che fare sol con quanti vi si erano rifugiati a leccarsi le ferite. Vinse al costo di 1200 caduti.

Seguì un decennio relativamente tranquillo, durante il quale si festeggiò la prima grande vittoria navale contro Pisa che, al largo della Sardegna, perse una flotta, un esercito ed il suo generale. I Pisani presero Bejaja all’Egitto, ma non riuscirono a spingersi oltre. Scomparve l’anziano Paulo de Trava. Il Principe Rui impugnò la Tizona per partire all’assalto di Perpignà, ma poi preferì cogliere più facile vittoria contro gli insorti che avevano rivendicato l’indipendenza di Ais.

Nell’anno del Signore 1256 iniziarono a serpeggiare vaghi sentimenti di ribellione al Re.
Fytor, men ricco del passato ma non sull’orlo della miseria, pensò di risollevare gli spiriti assumendosi le spese di una crociata contro Urfa; tutto andò per il verso giusto, e l’impresa fruttò anche la cattura di Homs. Per un attimo il suo prestigio tornò alle stelle, ma ormai i suoi rapporti con la nobiltà erano irrimediabilmente compromessi. Barattò l’ultima conquista con una tregua con i Bizantini, perché la sicurezza sul mare era più preziosa di quella famigerata tomba della cristianità, attese di poter accompagnare l’utima delle sue figlie al ballo delle debuttanti, e poi scomparve dalla scena combattendo contro una modesta banda di ribelli nei pressi di Salamanca.

L’incoronazione di Rui precedette di poco il matrimonio di suo figlio, Enrico il Bello, con una principessa lombarda; l’evento era scevro di particolari aspettative, salvo prole e prestigio, poiché Milano, Verona e Lugano erano occupate dai Bizantini, Asti e Genova dai Pisani. Per quanto se ne sapeva, i parenti della soave fanciulla vivacchiavano asserragliati a Thun e a Venezia. Si era saputo pure della cacciata dei Normanni dall’Italia e dalla Sicilia; i loro antichi possedimenti erano stati acquisiti al Patrimonio di San Pietro.

Nello stesso anno della sua incoronazione, il 1265, Rui dovette stracciare il secolare trattato di alleanza con i domini del Santo Padre. Tal decisione fu imposta dalla partecipazione di truppe pontificie alla crociata su Damietta, ovvero contro i preziosi alleati Egiziani. Le truppe del Papa vennero battute, il successo sarebbe arriso ai Normanni.

L’unica conquista che interessava Rui era quella cui aveva rinunciato anni prima, la città di Perpignà: le sue truppe la occuparono nel 1268, dopodichè spostò la capitale a Barcellona. Poi iniziò ad accumular bisanti a palate, grazie anche ad una rinnovata attenzione per l’operato dei mercanti.

Ormai sessantenne, il re volle partecipare ad una ricognizione dei balestrieri a cavallo nell’area in cui erano state avvistate truppe pisane in avvicinamento: i balestrieri fecero ritorno senza di lui.

Erede del giovane re Enrico fu il maturo principe Menendes, signore di Fes, già supposto erede al trono di Castiglia pria della pacifica fusione fra i due regni. Quest’uomo di modesto casato, che i casi della vita si ostinavano ad accostare al trono, accolse cotanto onore con relativa indifferenza. Ma fu ben lieto di sfruttare un privilegio riservato ai potenti, accogliendo nel proprio talamo una giovane principessa normanna reduce da un pellegrinaggio a Gerusalemme.



Romolo Augustolo
00mercoledì 31 agosto 2011 23:23
bellisisima veramente! cmq ricordo anke una vecchia cronaca di bertavianus ke a me era piaciuta moltissimo... mtwitalia.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...
Bertavianus
00giovedì 1 settembre 2011 20:12
Troppo onore, "la scure e la croce" è decisamente vecchiotta.

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Poi ci fu la Jihad contro Gerusalemme.

La Città Santa, grazie alle due cittadelle vicine, aveva le risorse per resistere alla prima ondata, ma era dubbio che potesse tenere a lungo con queste sole forze; fu perciò che il re finanziò l’ennesima crociata contro Urfa, la città degli avvoltoi obesi, attualmente egiziana.
Il primo a farsi crociato fu Gocamo de Trava, signore d’Oltre Giordano, un emigrato giunto in terrasanta qualche anno prima, che colse una brillante vittoria proprio contro i vecchi alleati; poi i Siriani colsero una strabiliante vittoria contro di lui, che ci rimise le penne malgrado il suo esercito fosse appoggiato dalla formidabile guarnigione cittadina.
Gerusalemme avrebbe avuto le ore contate se a quel punto non fosse arrivata la flotta che trasportava l’armata di Ghilermo il Degno, Conte di Salamanca, che colse una serie di fulminanti vittorie sulle punte di una solida linea di picche. Trovatosi a corto di avversari, assediò ed espugnò Tripoli prima di dover salvare nuovamente Gerusalemme, di cui poi assunse la difesa.
Infine fu la volta di Enrico di Lemos, conte del Rossellò. Lui i fanti li teneva in pochissimo conto, e finì per farne del tutto a meno. Di preferenza affrontava il nemico con due possenti ali di turcopoli e balestrieri montati, una doppia linea di Jinetes al centro, ed una piccola riserva di cavalleria pesante in posizione arretrata; solo tiratori a cavallo nell’eventuale contingente di rinforzo. Questa specie di mongolo lusitano fu il principale artefice del fallimento della Jihad. Urfa fu presa dai Pisani assai prima che ciò avvenisse.

Il fronte europeo vide quasi esclusivamente una serie di velleitari assedi alle cittadelle di confine, ove raramente il nemico riuscì ad ingaggiare il corpo a corpo; unica dolorosa eccezione fu la caduta di Bordeau, che capitolò agli scozzesi anche per via del pessimo funzionamento delle artiglierie fisse.
Sul fronte africano si registrò una puntata pisana contro Tenes; Rui de Coimbra, un modesto capitano dei cavalleggeri, si guadagnò gli speroni ed un titolo nobiliare sventando la minaccia.

Re Enrico fu soprattutto patrono dei mercanti e delle vocazioni sacerdotali. Intorno ai cinquant’anni aveva già accumulato un milione di bisanti, e guadagnato al clero portoghese l’assoluto controllo del collegio cardinalizio.
Nel corso della sua esistenza seppellì tre eredi più anziani, compreso Ghilermo il Degno.

Gli sopravvisse, a sorpresa, il decrepito Laurencius de Trava che, sino allora, si era segnalato solo per aver sposato in tarda età una principessa danese, da cui aveva avuto due belle femminucce.
Come monarca durò solo un anno, il 1297, ma fu monarca che lasciò il segno: competente solo in fatto di tardive gioie familiari, non esitò a cedere Maiorca ai bizantini per spianare la strada alle nozze fra il lontano cugino Henrique de Trava, Visconte di Acri, e Maria Angelo Ducas.




Bertavianus
00giovedì 1 settembre 2011 21:40


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Non so se funzionerà: immagine della difesa portoghese
Bertavianus
00giovedì 1 settembre 2011 21:52
I tiratori in questa posizione controllano una delle torri di guardia e le caditoie dell'olio bollente. Difesa quasi impenetrabile per tutti gli assalti da nord o da est, se si hanno le baliste. L'altra torre può essere controllata con una unità a cavallo, pronta a ritirarsi nel cuore della cittadella in caso di bisogno
Jean de Avallon
00venerdì 2 settembre 2011 13:23
Cominciano le immagini molto bene ......
Bertavianus
00venerdì 2 settembre 2011 23:54
Quanto a immagini ho ancora molto da imparare, e in questo nuovo capitolo ne farò a meno.

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Henrique de Trava era un lusitano palestinese a tutti gli effetti; suo nonno era stato l’artefice della liberazione della regione, suo padre vi era giunto fanciullo ma era nato in patria.
Da giovane scudiero aveva avuto la responsabilità della difesa di Acri durante un assedio Siriano, e si era impadronito del tesoro del generale nemico: nessuno ci aveva riprovato.
Poco prima di esser nominato erede aveva represso la tentazione di aciuffare al volo una dama in pellegrinaggio, come avea fatto suo padre, e in ciò si dimostrò molto saggio…
Divenuto principe aveva manifestato preoccupanti tendenze sediziose ma, non essendo pirla, accantonò ogni mattana dopo il matrimonio e la successiva incoronazione.
Essendo cresciuto nel culto della figura del suo illustre avo, voleva completarne il sogno: riportare la provincia crociata al suo antico splendore.

Unica città ancora irredenta era Antiochia, sfortunatamente in mano ai Bizantini. Non parendogli onorevole il piombargli addosso alla traditora, trovò modo di rompere l’alleanza attaccando i Siriani, che erano divenuti loro vassalli; all’epoca, persino i Mongoli si erano rassegnati a tanto.
La faccenda venne sbrigata da Enrico di Lemos che, dopo aver distrutto un esercito in avvicinamento usando i suoi consueti metodi, si degnò di impiegare bombarde e fanti per occupare Damasco.

Col senno di poi si può dire che questo approccio non sarebbe stato necessario; l‘insurrezione lealista di Maiorca, scoppiata in quegli stessi giorni, portò inevitabilmente alla dichiarazione di guerra. Non osando affrontare le torri della cittadella, la locale guarnigione bizantina si sarebbe dileguata.

Per la prima volta il conflitto coi bizantini, in passato limitato ad azioni navali, portò a cruenti scontri terrestri: cruenti solo per loro, che le presero sode dal Conte del Rossellò anche quando gli tesero imboscate presso Tripoli e Damasco, impiegando forze soverchianti. Se anche avevano la vittoria in tasca, non riuscirono a tirarla fuori dalla suddetta tasca.

Nell’anno del Signore 1303 Stephan da Costa, generale di fresca nomina che il re aveva fatto Visconte di Acri, investì Antiochia con forze persino sovrabbondanti alla bisogna: e ciò perché era già previsto l’assalto alla cittadella di Adana, tramite assalto via mare, con truppe ed artiglierie imabarcate nel porto cittadino. L’azione ebbe luogo circa un anno dopo e, visto che il nemico aveva commesso l’errore di sguarnire la piazza per marciare su Antiochia, non presentò alcuna difficoltà.

* * *
Con la presa di Adana il regno festeggiò la realizzazione dei suoi obiettivi storici. Visto che i territori europei erano perfettamente sicuri, era il caso di concentrarsi sul congiungimento fra Terrasanta e Nordafrica. In verità Pisani e Scozzesi non avevano perso l’abitudine di venire a morire sotto Ais e Letmoges ma, visto che la cosa non faceva più notizia, si parlò assai di più della fuga d’amore di un De Fife con una principessa cumana. Unico altro evento degno di menzione eran state le nozze fra il Principe Antonio Ribadouro e Giannetta; avevano fruttato una alleanza dinastica coi lombardi, che durò lo spazio di un mattino perché anche loro erano tributari dei bizantini.

Per ragioni tutte Sue, il Santo Padre decise di indire una crociata contro Damietta. Joba il Cavalleresco, conte di Urgell e Gran Maestro del Tau, partì dalla madrepatria e liquidò al volo la faccenda.
Era sembrata una coincidenza fortunata, e invece fu una disdetta. Subito dopo i mussulmani si mobilitarono per una nuova Jihad contro Gerusalemme. Augelli amari per il prossimo futuro.
L’unica notizia positiva in quell’anno 1306 fu che, per arginare la marea islamica, era disponibile una peculiar specie di diga: due milioni di bisanti.

Ovviamente si poteva contare anche sul Conte di Rossellò, ormai conosciuto come L’Eroe, ma ormai stava facendosi anziano, e questo suscitava qualche comprensibile preoccupazione.
Per stare sul sicuro venne allestita la più imponente flotta di galeazze mai vista al mondo, onde portar velocemente in Terrasanta la più splendida armata mai messa in campo dal regno. Al suo comando venne posto Joda il Cavalleresco, Conte di Urgell e Gran Maestro dell’Ordine del Tau , il miglior condottiero disponibile nella penisola iberica.

Quando la flotta raggiunse il canale di Sicilia, i legni pisani presero a sciamarle addosso come mosche sul miele, o su cose di men gradevole odore; i primi furono affondati senza troppa pena, ma più ne colavano a picco e più ne arrivavano. Fu la più gran tragedia della storia portoghese.

Fortunatamente l’Eroe lusitano non aveva perso il suo smalto, e collezionava vittoria su vittoria, In genere subiva perdite modeste, agevolmente colmate dai rincalzi. L’unica volta che le sue truppe ne uscirono veramente malconce fu quando, a distanza di pochi giorni, distrussero due armate condotte dai rispettivi capofazione. In una occasione gli capitò di udire il rombo di qualche colpo di bombarda, che valsero solo a confermare una delle sue più ferme convinzioni: quella roba veniva comoda per sfondare portoni, ma in campo aperto valeva meno dello sterco di un cavallo.

Il Signore lo chiamò ad unirsi ai cori degli angeli nell’anno 1313, nella serenità del monastero di San Saba. L’anno precedente una modesta spedizione partita da Damietta aveva espugnato Alessandria, senza quasi trovare opposizione. La Jihad non era terminata, ma da qualche tempo pareva dormiente.

Fu suo figlio Nuno, Muhafez di Homs, ad intuire il motivo e a trovare la soluzione. La strage di nobili islamici era stata immensa, l’erede siriano avvistato alle porte di Aleppo poteva essere l’ultimo. Non aveva trovato alloggio all’interno perché la città era gremita di truppe. L’occasione ideale per attirare la guarnigione in campo aperto, se solo avesse avuto un esercito adeguato. Purtroppo non lo aveva, ma non per questo si rassgnò all’inazione. Inviò un contingente misto di Jinetes e Turcomanni a crivellare il poveretto, con l’ordine di ritirarsi non appena fosse crollato. Questa missione di assassinio compiuta da truppe regolari, e ufficialmente classificata come sconfitta, pose termine alla guerra santa.

Poco dopo, Nuno si distinse ditruggendo due armate bizantine nei paraggi di Damasco. La prima volta seguì pedissequamente l’esempio paterno, la seconda volle distinguersi assumendo il comando di un esercito più conforme alla tradizione nazionale. Gli andò bene ugualmente, ed ebbe anche l’onore di abbatttere personalmente il generale nemico, ma richiò di lasciarci le penne.

I fratelli minori si posero in luce per altre ragioni. Juan, Conte di Tripoli, recuperò una scheggia della Croce; non si capì mai come si fosse staccata dalla Vera Croce, apparentemente sana, già da tempo custodita nella cattedrale di Santiago. Jorge, Visconte di Gerusalemme, recuperò due antichi testi sapienziali; uno di questi lo consegnò al Re, con l’auspicio che potesse essergli d’ausilio nel mettere al mondo altri due principini di sangue bizantino. Forse fu piaggeria, o forse volle prendere per il culo una regina in età di menopausa; in fondo, lo chiamavano il Bastardo.


ironman1989.
00sabato 3 settembre 2011 14:51
Bravo Bertavianus!
Bertavianus
00domenica 4 settembre 2011 23:24
Il maggior problema che ancora assillava la provincia palestinese era la continua pressione Bizantina su Damasco: ci arrivavano da oriente, perché al loro dominio in quell’area sfuggivano solo Aleppo e Mosul, siriane, ed Edessa, pisana. Nuno colse altre belle vittorie su grandi armate isolate, ma dovette asserragliarsi ad Homs quando, nel 1320, se ne presentarono quattro che badavano bene a mantenersi in stretto contatto.
Il problema secondario era suo fratello Juan che, dopo il ritrovamento della preziosa scheggia, si credeva un padreterno. Per risolvere discretamente la questione, il Re gli affidò l’alto onore di misurare la sua onnipotenza contro la flotta bizantina. Scomparve nelle acque di Rodi.
Più o meno negli stessi giorni, Joba il Cavalleresco espugnò Il Cairo, con assalto in parità numerica in cui risultarono decisive la qualità delle truppe e delle grandi bombarde. I suoi figli, giunti pargoletti al tempo della crociata, furono signori di Damietta e di Alessandria.
In europa gli scozzesi tenterono l’avventura passando i pirenei, ma non gli andò meglio del solito.
Anche i pisani fecero una cosa inaspettata, raggiungendo inosservati Sjdilmassa passando per le piste del deserto. La sabbia li seppellì.

In ogni caso la misura era colma. Si era capito cosa significasse avere i pisani alle porte, imparassero loro ad avere i morti in casa.
L’operazione partì in sordina, con i viaggi di un innocuo mercantile che sbarcò spie presso Ajaccio, effettivo centro del loro potere militare in terra e mare, ed in Sardegna.
Vennero formate due flotte e due armate, che si radunarono presso Ais. Il comando dell’operazione fu affidato a Duarte il Bello di Borgogna, Gran Maestro dell’ Ordine Teutonico e Conte di Portogallo, un giovane di talento che non meritava di annoiarsi a morte nella sonnacchiosa Oporto.
La breve traversta non presentò difficoltà impreviste, anche perché si ebbe cura di sgomberare le acque da ogni legno ostile prima di imbarcare le truppe. L’assalto alla cittadella di Ajaccio fu analogo a quello di Tolosa, ma con perdite decisamente inferiori. Sei mesi dopo fu possible distaccare un robusto contingente che espugnò facilmente Alghero. Il nemico provò a riprendersela con l’armata che, vedndosi precluso il passaggio alle bocche di Bonifacio, aveva desistito dalla marcia su Aiaccio. Non c’erano baliste per fermarlo perentoriamente al secondo cancello, ma i dardi dei Besteriros e l’olio bollente ne spacciorono a centinaia. Chi arrivò in vista della meta fu accolto dal tiro dei balestrieri pavesi e dei pistolieri. I picchieri oltre la grata si limitarono ad assistere allo spettacolo: una volta tanto furono ben felici di esser schieati in prima fila, perché chi stava dietro brontolava che non si vedeva niente. Circa un anno dopo cadde Cagliari, e la presenza pisana sulle due isole fu solo un ricordo.

Il trionfo di Duarte il Bello mise totalmente in ombra la bella impresa di Ruy de Coimbra che, con povertà di mezzi, negli stessi giorni assaltò e conquistò Bejaja in condizioni di inferiorrità numerica.
Questo successo in nordafrica non aveva la medesima importanza strategica della conquista delle due isole, ma non era questa la sola scriminante. Duarte era un rampollo di alto lignaggio, uno di quelli che le principesse si contendono, e comandava il fior fiore delle truppe portoghesi, Ruy un maturo generale venuto dalla gavetta, ed un condottiero dei vucumprà.

Tutto ciò ci porta alla vigilia del 1321, anno in cui il buon Papa Arrigo il Pacifico (smentendo tale suo appellativo) indisse la crociata contro i pisani di Tunisi. Forse volle favorire i compatrioti lusitani, le migliori pecorelle del suo gregge, benchè non si fossero neanche sognati di richiedergli tanto.

In quel momento l’impresa poteva essere compiuta all’istante, ma pria si volle togliere qualche sassolino dai calzari.

In Terrasanta si mobilitarono sia Jorge de Lemos che Stephan da Costa che, profittando del fatto che le armate bizantine avevan finto per disunirsi, ne fecero massacro; si presero anche Aleppo senza bisogno d’assedio, visto che i Siriani si ostinavano a reclutare più truppe di quante la città potesse ospitarne.
Jorge si guadagnò la nomea di sanguinario, il che fece prontamente dimenticare quanto in passato si insinuava sul suo conto.

Duarte sbarcò presso Palermo, la tolse ai Pisani, e se ne tornò a Cagliari. Infine Gonsaulus, Signore del deserto, portò a compimento l’impresa crociata secondo gli intendimenti del Santo Padre, ma non prima di aver cancellato ogni presenza nemica che ancor si frapponeva all’obiettivo. Poi si installò nella rocca poco più a meridione, per gustandosi le semifinali del torneo di Mahdia.



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Bertavianus
00mercoledì 7 settembre 2011 23:27
La vittoria della crociata su Tunisi ebbe, per varie ragioni, festeggiamenti in tono minore.
In quei giorni vennero a mancare sia il Re che il Conte di Urgell, cui si doveva il completo dominio sul delta del Nilo.
Antonio il Navigatore volle essere incoronato in tutta semplicità per dimostrare di non esssere propenso allo scialo quando le riserve auree del regno si erano ridotte di un buon quarto. Per suo figlio Gonçallo scelse una sposa magiara, unica principessa senza pretese; Gonçallo ne fu decisamente contento, perché per lui una bella diciassettenne valeva assai più di una possibile eredità passante per una tardona.

Come primo gesto di governo Re Antonio ordinò l’evacuazione di Kerak, onde portare allo scoperto i sediziosi che avevano sempre imposto la presenza di guarnigioni sovrabbondanti; quelli abboccarono all’esca, e sul luogo scese quella tranquillità che solo uno sterminio può dare.

Il settentrione della provincia di Terrasanta conobbe le solite penetrazioni bizantine, generalmente respinte senza grandi difficoltà dall’armata a cavallo che stazionava nella rocca di Masyaf. In un caso i bizantini fecero l’errore di assediare in forze Homs, finendo per perdervi tre eserciti sotto il tiro dei suoi cannoni. Unico risultato che ottennero in una delle tante battaglie in cui furono annientati fu l’uccisione del Visconte di Acri; il regno pianse il conquistatore di Antiochia ed Adana ma, sotto sotto, a corte non ci si lamentò troppo per la perdita di un generale privo di qualità di spicco.

Le nuove frontiere consentirono l’avvio, quasi simultaneo, di diverse operazioni.

Il Signore del Deserto, vincitore dell’ultima crociata, iniziò la marcia che lo avrebbe portato a spazzare ogni presenza nemica sino al confine con Barqah.
Duarte si coccupò, nell’ordine, della presa di Genova, Asti e Pisa; da qui investì Lucca, la rocca ove si era rifugiata l’armata pisana d’Italia. Presa Lucca il suo cammino fu tutto in discesa; Firenze, Spoleto e, infine, Bologna. Ora i Pisani erano al lumicino, gli restava solo Edessa ed un’armata presso lo stretto di Messina, non si sa se sfrattata dall’insurrezione di Reggio o da quella di Siracusa.
Christovan de Trava fu l’assoluto protagonista della conquista dell’Alto Nilo, anche se l’intervento di uno dei suoi fratelli lo agevolò eliminando un’armata Fatimide che ne seguiva le piste.

img402.imageshack.us/slideshow/webplayer.php?id=0018thumb.jpg

A questo punto intervenne nuovamente il Santo Padre, proclamando una crociata contro Edessa.
Questa iniziativa fece contenti gli avvoltoi della regione, da qualche tempo tracurati, ma lasciò assai interdetto il Re, che avrebbe preferito imporre il vassallaggio al vecchio nemico e lasciarlo campare nel suo estremo rifugio. Per quanto i Pisani fossero odiosi, gli andava riconosciuto il merito di esser stati gli unici capaci di contrastare le costanti rivendicazioni islamiche ed ortodosse.

Facendo buon viso a giuoco che buono non era, Christovan vestì la croce ed abbandonò il teatro dell’Alto Nilo per prendere Barqah, con l’intenzione di congiungersi ai crociati in arrivo dalle province africane occidentali. La battaglia per il possesso della cittadella fu quasi superiore alle capacità delle truppe a sua disposizione; ciò nonostante, vi colse il suo quarto successo contro Imam e Wali Egizi
.
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Pico total war
00mercoledì 7 settembre 2011 23:39
Re:
bert modifica il post e metti questo [IMG]formato
[/IMG] sui link cliccando dopo averli selezionati su IMG.. sopra gli smiles [SM=x1140522]
Bertavianus
00giovedì 8 settembre 2011 00:06
Boh, non funziona come l'altra volta. Non riesco più ad inserire l'immagine nel testo, ma almeno si vede decentemente col link.
Pico total war
00giovedì 8 settembre 2011 00:09
Re:
Bertavianus, 08/09/2011 00.06:

Boh, non funziona come l'altra volta. Non riesco più ad inserire l'immagine nel testo, ma almeno si vede decentemente col link.




hai ragione.. boh strano il link nn funzionano col codice del forum
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