la battaglia e le sue conseguenze
ciao a tutti
Niente vento e un gran caldo, quel giorno, e Cristo davvero con i genovesi. Il signore, diceva Napoleone-altro bestemmiatore- è sempre dalla parte del battaglione più forte.
Morosini, che ha contato solo una settantina circa di galee genovesi, s'accosta al combattimento con decisione, sicuro delle sue navi, più numerose, dei suoi ammiragli, il giovane Andreotto Saracini e il vecchio conte Ugolino della Gherardesca, e della sua gente..
Più sicuro di lui, ad attenderlo, è però Oberto Doria, perchè nascoste, gli alberi abbassati per sfuggire a occhi indiscreti, ci sono ancora trenta superbe galee, agli ordini di quel demonio scatenato che è Benedetto Zaccaria, attendono il momento più favorevole per piombare come falchi sulla flotta pisana. E' questo accorgimento tattico che deciderà la battaglia.
A favore dei genovesi, inoltre, metteremo anche l'età delle loro galee, più giovani, più agili e quindi più manovrabili, e l'armamento difensivo dei loro combattenti,più leggero di quello antiquato dei pisani, che meglio consente gli arrembaggi.
Tra i combattenti, come era d'uso a quei tempi quando tutto era in gioco, vi erano nobili, mercanti, armatori e persino ecclesiastici, con soldati e navi di loro proprietà. Sule galee dei Doria, schierate con quelle degli Spinola a fianco dell'ammiraglia genovese, i cronisti danno presenti 250 membri della famiglia.
E così nella flotta pisana : tutti i bei nomi di banco, di cappa e di spada che hanno fatto grande e ricca la città e la sua storia.
Il pomeriggio, caldo come un forno, bagna gli uomini e incolla le mani. Sul mare, piatto e accecante come una lastra d'argento sotto la furia del sole, il silenzio preoccupato che stagna sopra uomini e cose all'accostarsi di ogni combattimento è rotto soltanto dal battere pesante dei remi.
Improvvisamente
, quando le macchine da lancio sono a tiro, mangani, pietrere, catapulte, un finimondo di sibili e tonfi, schianti, polveroni di calce e di zolfo, lampeggiare di fuoco greco, e di schiocchi secchi e terribili delle balestre che inchiodano i primi combattenti sulle tolde. E l'urlo degli uomini che finalmente si scatenano CHE' SPETTACOLO!! al solo immaginarlo, figurarsi con un motore grafico soddisfacente
E poi ancora il fracasso delle galee che si sdrumano incastrandosi fra di loro, fragore di remi spezzati, murate divelte e sventrate, e soldati e rematori che saltano inferociti all'arrembaggio sui ponti scivolosi d'olio e sapone. Cozzi di spade, asce, mazze, picche e tutte le armi del diavolo e degli uomini e urli di rabbia e di dolore, lingue di fuoco che già serpeggiano fumose nell'orrore delle tolde ingombre di uccisi.
A riceverli, i genovesi, trovano persino strane macchine irte di lame rotanti
che maciullano gli sventurati che cadono nel loro raggio d'azione, o vi vengono spinti contro.
E così per molte ore
e alterne vicende, nel caldo soffocante si vive la battaglia di mare più cruenta del Medio Evo.
Soltanto uomini liberi di liberi comuni
, e non certo mercenari,
, possono combattere così!
. "Alla fine, e come piacque a Dio-dice Giovanni Villani-i genovesi furono vincitori".
Ciò avviene quando Benedetto Zaccaria, alla fine del pomeriggio, sbuca fulmineo dalla tana e piomba con le sue 30 galee fresche nel caos apparente della battaglia facendo saltare di prepotenza l'ago della bilancia. Famoso il suo stratagemma di fare investire da poppa la nave di Morosini da due galee tra le quali è tesa una catena che trancia di netto l'albero poderoso dell'ammiraglia pisana, sopra il quale sventola lo stendardo della Vergine.
La caduta dello stendardo dal cielo della battaglia dà il segnale della fine.
Il bilancio per i pisani è spaventoso
. Una lapide murata qualche anno dopo nella chiesa di San Matteo, a Genova, la chiesa gentilizia dei Doria, parla di 5000 morti e 9272 prigionieri, 7 galee colate a picco e 33 catturate. Il chè bastò a mettere Pisa in ginocchio.
Dalle acque insanguinate, segnate da migliaia di cadaveri alla deriva e dai roghi delle galee, scamparono ,
riparando in Arno e nel porto, soltanto una ventina di navi della squadra del conte Ugolino
.
Dovettero essere notevoli anche le perdite dei genovesi, nè poteva essere altrimenti dopo tanto inferno., se Oberto Doria preferì rientrare subito a Genova anzichè dare il colpo di grazia a Pisa e al suo porto. Genova accolse ugualmente orgogliosa con il trionfo i suoi marinai e soldati.
Ombre e incertezze, che forse un giorno gli archivi potranno fugare, gravano ancora oggi sulla giornata della Meloria per certe discordanze, a volte stridenti, dei resoconti. L'ubicazione del nascondiglio dove era in aguato Benedetto Zaccaria, e il ruolo giocato dal conte Ugolino.
L'ammiraglio genovese Zaccaria lo si è nascosto in due o tre posti diversi
; e per il conte Ugolino, da alcuni dato all'ala sinistra dello schieramento pisano, da altri a destra, e da altri ancora nemmeno uscito dal porto , si è parlato addirittura di fuga e tradimento.
Per il quadro della battaglia poco importa se Zaccaria sia sbucato da Greco o Tramontana, resta fermo il fatto che l'accorgimento tattico, opera sua o del Doria, sortì l'effetto determinante.
Per lo sventurato conte Ugolino , la cui presenza alla Meloria è comunque certa, possiamo dire che i suoi ordini onesti o grami che fossero, salvarono se non altro a Pisa le sue ultime galee. Se le infamanti accuse fossero state dimostrabili, Pisa di certo non avrebbe perdonato, come qualche anno più tardi non perdonò, con i "buoni
" uffici dello stesso arcivescovo Ruggeri che aveva benedetto le galee
, "quel tradimento de la castella"(Dante, Inferno,33°)
anch'esso per altro mal dimostrato, che lo condusse a morire di fame con figli e nipoti nella sinistra torre dei Gualandi
.
Certa e tristissima fu invece la sorte dei prigionieri che stiparono i sotteranei genovesi al punto da mettere in bocca agli italiani del tempo, usi a canzonarsi maligni fra di loro come gli italiani di tutti i tempi
, la famosa espressione "Chi vuol vedere Pisa, vada a Genova".
Se Alberto Morosini, catturato ferito al suo posto di combattimento, fu mandato subito libero per riguardo a Venezia, da tener buona in quel momento, per tutti gli altri prevalse il cinico disegno di tenerli lontani da Pisa e i suoi letti, ad evitare nel modo più semplice altri remi e spade vent'anni dopo.
E la morte ebbe facili opportunità in quelle tetre prigioni. Soltanto alcune centinaia poterono tornare, molti anni dopo, a rivedere il loro bizzarro campanile.
Quasi certamente, fra quei prigionieri c'era anche Rustichello. Se il suo nome non figura negli elenchi venuti alla luce, può essere dovuto al fatto che Rustichello era soltanto un povero poeta, da non valere nemmeno la menzione, ci avrebbe comunque pensato Marco Polo, col milione di meraviglie che aveva ancora negli occhi.
Caduto il fiore delle genti pisane, tramontò la stessa città con il declino della bella Repubblica, pure ostinatamente combattuto sino alla fine sulla terra e sul mare, fu inarrestabile e portò alla perdita di tutte le libertà.
Ma se l'Italia ne fu impoverita, Pisa uscì dalla catastrofe a testa alta, con l'ombra delle sue galee arrancata sulle secche della Meloria
.
per saperne di più :
galee e galeotti, G. Vingiano
La battaglia della Meloria, E. Rossi (Rassegna del Comune di Pisa 1973)
Storia della Repubblica di Pisa, G. Benvenuti -1982
Storia della Repubblica di Genova, G. Benvenuti -1977
ola