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La definizione di cancelleria proposta da Alessandro Pratesi come « ufficio in cui si svolgono tutte le pratiche inerenti all’emanazione dei documenti di pubbliche autorità » [1] può essere applicabile anche a quelle dei comuni italiani, almeno nella loro fase più evoluta, seppure difficilmente o solo molto tardi siano riuscite ad imporsi come elemento unificante e punto di riferimento centrale rispetto alla pluralità di uffici con mansioni e finalità diverse, nei quali si era venuta articolando la complessa macchina burocratico-amministrativa cittadina [2].
A ciò tuttavia non consegue necessariamente che il fondamento dell’autenticità del documento comunale risieda « nella sua emanazione da parte della cancelleria, strumento e simbolo della volontà assoluta dell’autorità da cui dipende », che della prima definizione rappresenta la naturale conseguenza per quanto riguarda il documento pubblico a pieno titolo, al quale il Pratesi fa riferimento.
Infatti, qualora nella documentazione comunale compaiano notai con la qualifica di “cancellarius”, ciò non significa che l’istituzione di questa carica, cui dovrebbe corrispondere l’organizzazione di una cancelleria, abbia dei riscontri immediati o evidenti nelle forme documentarie, strette come sono dall’ambigua natura giuridica che il comune sembra portarsi a lungo dietro come una sorta di peccato originale, da una parte, dall’altra da un notariato, che si è posto come referente unico e insostituibile, il solo in ambito cittadino in grado di soddisfare, con la propria preparazione culturale e tecnica, le esigenze del comune e di dare forma pubblica, attraverso la facoltà attribuitagli dalle autorità superiori, ai documenti di cui è parte.
Su tutta la vicenda documentaria dei comuni italiani poi, al di là e al di sopra dell’esistenza di un’organizzazione cancelleresca, sono state fortemente determinanti e condizionanti ragioni di ordine diverso, tra le quali non ultime la posizione nei confronti dell’Impero ed i rapporti con esso, le caratteristiche del notariato locale, i mutamenti politico-istituzionali, alle quali se ne aggiungono altre e più peculiari, che hanno prodotto percorsi talora discontinui, quando non contraddittori, provocando l’alternarsi di fasi di avanzamento verso caratteri più marcatamente cancellereschi, a momenti di ritorno verso forme consolidate di stampo nettamente privato.
A questo non si sottraggono neppure Genova e Venezia, due comuni emergenti nel coevo panorama italiano per l’assoluta particolarità, atipicità e per certi aspetti unicità delle loro esperienze documentarie, che ad un primo approccio sembrano renderle due realtà tanto diverse da non essere in alcun modo paragonabili e raffrontabili: due cancellerie nate in momenti e in contesti politici dissimili e su differenti situazioni preesistenti, collegate ad un contesto istituzionale più statico in un caso, in continua evoluzione nell’altro, costituite da notai, che là rappresentano, per dirla con Attilio Bartoli Langeli, « come un cuneo di notariato altomedievale nel corpo della civiltà notarile moderna dell’Italia centro settentrionale » [3], qui più in linea con i tempi, ma sicuramente limitati, per tutto il dodicesimo secolo, dalla loro collocazione in un ambito strettamente cittadino [4]. Eppure andando più nel dettaglio ci si rende conto che punti di contatto, non certo determinati da esperienze comuni o influenze reciproche, ma da percorsi in un certo senso paralleli, si possono intravedere.
Ma procediamo con ordine. Sull’istituzione di una cancelleria a Genova possediamo un dato certo, e ormai anche famoso, ponendola Caffaro al 1122, contestualmente al passaggio ad una forma di consolato annuale: clavarii scribanique, cancellarius pro utilitate rei publice in hoc consulatu primitus ordinati fuerunt [5].
Bisogna tuttavia attendere esattamente dieci anni prima di trovare menzione di un cancelliere, Bonusinfans, che, proprio a partire dal 1132, e fino al 1141, redige lodi e documenti consolari come Ianuensis curie cancellarius, aggiungendo, ad ogni buon conto, di farlo per preceptum suprascriptorum consulum, non diversamente da come si era comportato fino al 1131, quando aveva svolto lo stesso compito con la semplice qualifica di notaio, il che sta tra l’altro a significare che non è lui il primo cancelliere, quello nominato nel 1122, ma qualcuno di cui non ci è rimasta alcuna traccia [6].
La prima notizia sul suo successore ci è offerta ancora generosamente dagli Annali. All’anno 1141 si legge infatti: et in isto consulatu Obertus cancellarius intravit [7]. Si tratta di Oberto, detto Nasello sicuramente fino al 1145, conosciuto da questo momento in poi semplicemente come Obertus cancellarius, il futuro annalista, continuatore dell’opera di Caffaro [8]. Un personaggio ben strano questo, almeno nella sua attività di cancelliere che egli alterna con quella di console, dei placiti negli anni 1147, 1149, 1151, 1153, 1157, 1163, del comune nel 1155, dei placiti deversus burgum nel 1160, con un impegno che praticamente con una cadenza biennale dal 1147 al 1163 [9] lo vede costretto presumibilmente, anche se non abbiamo dati certi a questo proposito, a lasciare l’ufficio di cancelliere per ricoprire la carica politica, sembrando le due funzioni del tutto incompatibili, benché per gli anni ricordati non ci sia rimasta traccia di un suo sostituto in ambito cancelleresco.
Due elementi di non poco conto lasciano tuttavia perplessi: nessuna fonte ci indica che egli fosse notaio e per di più non ci è pervenuto alcun documento redatto o sottoscritto da lui [10]. La funzione di cancellarius sembra invece avere talmente permeato la sua persona da diventare probabilmente un cognome [11], se egli continua ad essere chiamato così anche quando compare in veste di console e se un Ugo, che i consoli nel 1174 definiscono figlio cancellarii nostri, nel quale si dovrebbe con buona probabilità riconoscere proprio Oberto, ritorna nello stesso ed in altri documenti come Ugo cancellarius, senza che alcun dato ci autorizzi a ritenere che abbia effettivamente ricoperto tale carica [12]. Gli Annali citano Oberto per l’ultima volta come cancelliere nel 1173 [13] e possiamo allungare la sua carriera ancora di un anno se il cancellarius noster del documento del 1174 si riferisce proprio a lui.
Troviamo invece la prima notizia sul suo successore nel 1185, quando Guglielmo Caligepalio redige un impegno del conte di Ventimiglia nei confronti dei consoli della stessa città e del comune di Genova, sottoscrivendosi con la qualifica di notarius et Ianuensis curie cancellarius [14], qualifica che porterà almeno fino al 1192, usandola ancora nella sottoscrizione alla ratifica da parte dei consoli genovesi del trattato concluso dai loro ambasciatori con l’imperatore Isacco Angelo – notarius sacri Imperii et iudex ordinarius atque Ianue cancellarius –, che ci offre un dato in più sulla sua formazione professionale: non solo notaio, ma anche giudice [15].
Nel corso del XII secolo incontriamo quindi tre cancellieri, tre figure completamente diverse tra di loro.
Il primo, Bonusinfans, altro non sembra che lo scriba dei consoli del comune, che, assunta la carica di cancelliere, continua niente più niente meno la sua precedente attività, limitando i suoi interventi in ambito documentario alla redazione di lodi consolari, di atti cioè strettamente circoscritti alla politica interna del comune, senza comparire mai, a nessun titolo, in quelli di politica “estera”.
Gli interventi del secondo, Oberto, sono di natura totalmente diversa, in quanto sostanzialmente limitati alla sottoscrizione di alcuni lodi consolari nella stessa forma usata dai publici testes – Ego Obertus cancellarius subscripsi – e accanto ad essi, come se rivestisse un’analoga funzione [16], mentre, in sia pur sporadici casi, si trova tra i testimoni in atti di governo o in documenti riguardanti il comune [17], presenze limitate quindi a livello testimoniale. Egli è fortemente impegnato nella vita pubblica, godendo di particolare prestigio: oltre a rivestire, come abbiamo detto, più volte la carica di console, e ad avere ricoperto un ruolo molto attivo, in particolare negli anni della guerra contro Pisa, sembra essersi meritato anche la fiducia e la stima degli arcivescovi Siro II e Ugo della Volta dal momento che compare in qualità di testimone in alcuni documenti che li riguardano [18] e pronuncia, insieme a Filippo di Lamberto, personaggio misterioso e sfuggente della Genova del XII secolo, due sentenze in veste di pares curie ab utraque parte electi [19], e tre con Ansaldo Doria, come iudices pro curia constituti [20].
L’approccio di Guglielmo Caligepalio è ancora d’altro tipo e risulta già evidente dalla tipologia del primo e dell’ultimo contributo in funzione di cancelliere: è infatti agli atti relativi alla politica estera che si rivolge la sua attenzione, sia come redattore, sia in qualità di testimone [21]. Sembra tuttavia che egli svolga la sua attività su due diversi livelli, trovandosi contemporaneamente impegnato anche nella redazione di lodi consolari, nei quali però egli si limita a denunciare il suo essere notarius, poiché è solo in tale veste che agisce [22].
Questa diversità e disparità di fisionomie e di comportamenti non può che dare l’impressione di una sperimentazione: è vero che nel 1122 si decide di istituire una cancelleria e di nominare un cancelliere (e probabilmente si nomina), ma quali ne siano i compiti e le prerogative si viene chiarendo solo a poco a poco, attraverso successivi tentativi. Se Bonusinfans pare poco più che uno scriba, con competenze limitate, e Oberto un capo nominale e responsabile della cancelleria, alla quale attribuisce prestigio grazie alla stima di cui gode, rivestendo una funzione marginale nella documentazione che questa produce, solo con Guglielmo si trova un giusto equilibrio. Egli è un tecnico, giudice oltre che notaio, con una lunga permanenza in cancelleria come scriba dei consoli almeno dal 1170, uomo di grande esperienza quindi e forse anche autorevole, ma senza coinvolgimenti sul piano politico.
Ai cancellieri si affiancano gli scribi [23], nettamente distinti, già con la separazione dei due diversi consolati, nel 1130, in scribi dei consoli dei placiti e del comune – in numero di uno e uno in un primo momento e di due e due nell’ultimo trentennio del secolo –, che si occupano della redazione della maggior parte dei documenti, senza indicare quasi mai la qualifica, nota solo indirettamente, attraverso la menzione che di loro e della loro opera fanno altri [24], preferendo essi piuttosto ricollegarsi all’apparato statuale attraverso il ricordo della iussio o del preceptum. Il numero degli scribi aumenterà notevolmente nel XIII secolo, quando fino a sei saranno al servizio del comune e due di ogni singolo consolato (foritanorum, burgi etc.) [25].
Non potendo in questa sede entrare nel dettaglio sull’evoluzione della cancelleria e sulle caratteristiche dei cancellieri nei secoli seguenti per i limiti impostimi dal tempo, dovrò procedere per sommi capi.
Per tutto il Duecento i cancellieri sembrano, a parte rare eccezioni, come Guglielmo Cavagno di Varazze, l’unico però della prima metà del secolo per il quale abbiamo dati certi [26], rivestire esclusivamente la funzione di testimoni, il che li connota come responsabili, sovrintendenti e garanti del lavoro degli scribi, a cui era interamente affidata la redazione dei documenti.
La situazione cambia solo negli ultimi anni del secolo, quando, contestualmente alla presenza di due o tre cancellieri che operano nello stesso momento, senza che si riesca ad individuare una distinzione di compiti, incominciano a comparire, sia pur in maniera sporadica (ma quanto è dovuto alla scarsità di dati?), in veste di redattori, continuando tuttavia a mantenere anche la funzione di testimoni, come avverrà con maggiore evidenza nella seconda metà del Trecento. In questo periodo se ne troveranno a lavorare nel medesimo anno, apparentemente in maniera indistinta, fino a cinque e fino a quattro saranno impegnati nello stesso documento: tre in veste di testimoni ed uno di redattore [27]. Nella seconda metà del XIV secolo sembrano invece essere quasi del tutto scomparsi gli scribi, come se i cancellieri accentrassero nella propria persona le funzioni che prima dividevano con loro: segnale per certi aspetti di una maggiore concentrazione del lavoro nelle stesse persone, per altri di uno scadimento della figura del cancelliere [28]. Difficile allo stato attuale delle ricerche delimitare meglio il momento del trapasso dall’uno all’altro sistema, essendo del tutto inconsistente e saltuaria la documentazione di gran parte del XIV secolo, fino ad arrivare al secondo dogato di Antoniotto Adorno (1384), soprattutto in rapporto a quella del secolo precedente.
Quasi immediata conseguenza dell’istituzione della cancelleria è l’avvio della redazione di documenti in registro e la formazione di un primo embrione di archivio.
L’esistenza di un cartularium consulatus è attestata già nel 1159 da Nicolò di San Lorenzo che, nell’autentica ad una copia del decreto consolare di abolizione di alcune gabelle, dichiara appunto di averla estratta de quadam podisia signata signo comunis Ianue et in qua scriptum erat quod erat extracta de cartulario consulatus Lanfranci Piperis et aliorum [29]. Ora, se è corretta l’ipotesi che i documenti tramandati in Vetustior dal registro più antico, che si aprono con In consulatu... deriverebbero da questi cartulari, se ne potrebbe anticipare l’uso agli anni ’30 [30]. Già a partire da questo momento quindi dovevano esistere notai – gli scribi – addetti a raccogliere gli atti dei consoli e dei consigli, gli stessi ai quali era anche affidata la custodia delle scritture del comune. Così nel 1162 tocca a Giovanni, il notaio del quale ci è pervenuto il più antico cartulare, che in quel periodo è scriba dei consoli, comunis fidelis et magne legalitatis vir, cuius fidei singulis annis totius reipublice scriptura comittitur [31].
L’uso di servirsi di appositi registri per la redazione degli atti del comune continua poi anche in epoca podestarile, quando, almeno fino al primo quarto del XIII secolo, troviamo documenti estratti de cartulario comunis, scripto manu... in potestatia domini... [32], mentre non ne abbiamo più alcun cenno in seguito.
La distinzione tra i cartulari consulatus – i documenti estratti dai quali non vengono mai attribuiti alla mano di alcun notaio, almeno nei pochi esempi conservati – ed i cartulari comunis Ianue fatti in consulatu o in potestatia..., dei quali si specifica da chi furono scritti, non è ben chiara, e potrebbe essere semplicemente determinata dalla scelta di una diversa terminologia da parte dei vari notai per indicare lo stesso oggetto. Altrettanto labile e sfumata appare la differenza tra i primi e i cartulari attribuiti a questo o a quel notaio, dai quali derivano a partire dai primi anni del XIII secolo molti documenti, come ben evidenziano le diverse autentiche a due copie di un gruppo di atti del 1203, estratti in un caso dal notaio Ambrogio, che dichiara di avere esemplato de cartulario quondam Granarii de Pinasca notarii e da Tomaso di San Lorenzo, nell’altro, ex autentico et originali manuali sive cartulario quondam facto in tempore potestatie domini Guifreotti Grasselli, nei quali si deve riconoscere la stessa fonte [33].
Non a caso dopo un breve periodo – circa un venticinquennio – in cui troviamo documenti estratti ora da cartulari comunali, ora da quelli notarili, la menzione dei primi scompare per lasciare spazio solo a quella dei secondi: è possibile quindi che in questo lasso di tempo venga progressivamente abbandonato l’utilizzo di registri particolari, destinati esclusivamente a raccogliere gli atti del podestà e dei consigli, soppiantati dai protocolli dei notai che lavoravano per il comune, usati anche per l’attività al servizio dei privati, la cui conservazione doveva essere affidata agli uffici comunali, e tale prassi continua ancora fino a tutto il XIV secolo [34]. Questo spiegherebbe perché dei notai che hanno prestato la loro opera come scribi o cancellieri non ci sono pervenuti, se non in qualche caso eccezionale [35], i protocolli, probabilmente andati perduti, insieme a molta della documentazione su libro riguardante il comune, per le devastazioni che l’archivio subì nel corso dei secoli [36], in particolare quella del 1296, durante la quale si credette fosse andato distrutto anche il liber iurium, conosciuto con il nome di Vetustior, ignis flamma aut opera perversorum hominum, ritrovato poi invece, fortemente deteriorato, in epoca imprecisata.
D’altra parte la consuetudine di scrivere atti riguardanti il comune sui propri registri di imbreviature è attestata alla metà del XII secolo: già in quello di Giovanni scriba, sia pur in percentuale estremamente ridotta rispetto ai documenti rogati per privati, troviamo infatti anche tredici lodi consolari, tipologia che tuttavia non risulta tra quelle degli atti estratti dai registri comunali [37].
La consapevolezza di dover considerare questi documenti qualcosa di diverso da quelli rogati per i privati, presenti negli stessi cartulari, appare evidente dal formulario usato dai notai che da questi si trovano a trarli: nelle autentiche usano infatti regolarmente i verbi extraxi et exemplavi o exemplificavi [38], e i redattori dichiarano di estrarre ex cartulario meo publico o ex autentico cartulario mei... [39], riconoscendo così nell’antigrafo l’originale di un atto e non l’imbreviatura di un instrumentum.
Al primo ventennio del XIII secolo risalgono anche gli sporadici riferimenti ad un cartularium o registrum iteragentium, del quale non si ha più notizia per gli anni a venire [40].
Intorno alla metà del Duecento tornano a comparire documenti estratti da diversi registri, sempre limitati dal punto di vista di diversificazione tipologica rispetto a quelli di altre esperienze, che hanno però cambiato la loro fisionomia rispetto ai precedenti. Si tratta infatti di cartulari o libri consiliorum o consilii, o instrumentorum compositorum in consilio, ai quali si affiancano dagli anni Settanta quelli consiliorum ancianorum, clavigerorum comunis e diversorum negociorum, la cui serie ci è conservata dalla fine del secolo seguente: quindi tutti dedicati prevalentemente alla registrazione delle sedute e delle delibere consiliari e ad atti di natura amministrativo-finanziaria, lo stesso carattere che avranno i registri delle molte magistrature cittadine a partire dalla metà del ’300 e fino al terzo decennio del ’400 [41].
Agli anni Quaranta del XII secolo si colloca il momento di inizio del più antico liber iurium comunale, purtroppo perduto, a coronamento di un periodo particolarmente fortunato per Genova che aveva visto aumentare il proprio prestigio fino ad ottenere il riconoscimento della dignità arcivescovile, da una parte, il diritto di battere moneta dall’altra [42]. Non del tutto estraneo a tale iniziativa potrebbe essere Oberto, nel periodo del cui cancellierato si attua, il quale, come abbiamo visto, aveva rapporti piuttosto frequenti con la Chiesa cittadina, promotrice negli stessi anni di un’analoga raccolta in libro dei documenti che la riguardavano, non potendosi escludere che un’esperienza sia stata di stimolo all’altra.
Le raccolte in registro rimangono una costante nella vita del comune, che avvierà successive redazioni, copie e ampliamento delle precedenti: oltre a quella o più probabilmente a quelle, come è emerso da un esame delle sottoscrizione delle copie delle raccolte più recenti, del XII secolo, si realizzeranno, in aggiunta al liber voluto dal podestà Iacopo Baldovini, nel 1229, Vetustior e Settimo, nel Duecento, il Liber A e Duplicatum, all’inizio del Trecento, tutti strettamente collegati tra di loro, per arrivare alla redazione di una seconda raccolta del tutto autonoma, in duplice esemplare, iniziata presumibilmente negli anni Sessanta dello stesso secolo ed affidata questa volta ad un cancelliere, Antonio di Credenza. Questo già nel 1363 era successo al padre Corrado, anch’egli cancelliere, ad dictam custodiam (iurium et privilegiorum comunis) e ad continuacionem registri dicti comunis, dal che si deduce che in questo periodo sono i cancellieri ad occuparsi e della redazione dei libri iurium, prima affidata a semplici notai, apparentemente del tutto estranei all’apparato cancelleresco, e della custodia della documentazione del comune che in precedenza era stata affidata agli scribi, altro segnale del sostituirsi di questi a quelli.