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Historia Anglorum Plantagenetarum Regum

Ultimo Aggiornamento: 05/03/2014 22:51
14/11/2012 19:29
 
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All'inizio dell'anno Domini 1164 il Re Plantageneto convocò una grande assise nella cittadina inglese di Clarendon, ove convenirono i Baroni et il Consiglio dei Vescovi. Enrico intendea riordinare le leggi sui delitti e sui rapporti con le giurisdizioni ecclesiastiche, accentrando i poteri che concerneano ambiti siffatti nelle mani della Corona. I Vescovi erano illo tempore guidati da Tommaso Becket, divenuto, dopo il termine della sua carica di Lord Cancelliere, nel 1162, e con l'appoggio del Re stesso, di cui era amico, Arcivescovo di Canterbury e principe della Chiesa in Inghilterra.

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Le Costituzioni di Clarendon, dette in inglese Assize of Clarendon, si componeano di tredici articoli diversi, i quali, tra le altre cose statuivano che tutti gli homini accusati pubblicamente di un qualche delitto di assasinio, ladrocinio o brigantaggio o che avessero dato ricetto ad un assassino, un brigante od un ladro, fossero tradotti dagli Sceriffi innanzi ai giudici del Re e da questi soltanto giudicati e condannati: tutti i malfattori che invece venissero provati quali innocenti doveano in ogni caso abbandonare il Regno. E statuivano altresì che tutte le città erigessero carceri per la detenzioni di codesti individui, ov'avrebbero atteso la sentenza dei giudici regi, e che i loro beni venissero incamerati dallo Scacchiere del Regno. Inoltre gli stessi appartenenti al clero, qualora avessero commesso uno di codesti delitti, doveano essere soggetti ai regi tribunali e l'immunità derivata dalla loro appartenenza alla Chiesa dovea colà essere invalidata. Tali misure erano volte a rirpistinare la pace e la giustizia del Re e ad infrangere le ingerenze nel governo delle cose temporali da parte delle giurisdizioni ecclesiastiche, spogliandole dei loro poteri di privilegio.

Grandi et accese furono le discussioni nell'alto consesso di Clarendon riguardo tali questioni e lunghi i giorni che i Lord et i Vescovi impiegharono per vagliare i tredici articoli. Infine il Re riuscì, nell'anno 1166, ad imporre le proprie decisioni e le Costituzioni furono, anche se di malavoglia, accettate dai nobili e dagli alti prelati. All'ultimo momento, mutando avviso, l'Arcivescovo Becket, i cui rapporti con il Re aveano cominciato ad incrinarsi, si rifiutò tuttavia di firmare il documento dell'assise.

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Giunsero, nel frattempo, alcune nuove alla Corte d'Inghilterra, nuove che aveano a che fare con l'Oriente e le terre d'Oltremare. Con grande sollievo della cristianità, la jihad contro Costantinopoli era fallita: pochi erano stati i signori infedeli che aveano risposto alla chiamata alle armi pronunciata dai loro sacerdoti e le loro sparute forze erano state annientate e respinte ai confini dell'Impero Bizantino, nelle lontane et aspre terre dell'Anatolia, dalle truppe del Basileus.

L'Europa rimanea dunque intoccata dalla minaccia musulmana, et anzi, sull'onda dell'entusiasmo provocato dal fallimento degli infedeli, il Santo Padre, Adriano IV, risolse che giunto era il tempo per una nuova crociata.


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Da Roma si dipartirono messi che annunciavano ai ministri della Chiesa et ai signori della cristianità la chiamata alle armi contro i seguaci di Maometto e contro la città d'Edessa, chiamata dagli infedeli Urfa. I preti di tutte le chiese cristiane presero a fare sermoni che incitavano plebei e nobili ad unirsi alla crociata et a cercare la redenzione combattendo, con il Rex Latinorum d'Oltremare e gli ordini monastici e cavallereschi, per la tutela del Regno dei Cieli in terra, laggiù nei luoghi della vita di Nostro Signore Gesù Cristo. "Deus lo vult!" dicevano e gridavano dai propri pulpiti.

Il Re, tuttavia e con grande rammarico, decise che l'Inghilterra e la Corona non avrebbero partecipato con una propria grande spedizione alla crociata, giacché le condizioni del Regno, dentro e fuori ai suoi confini, sebbene prospere, non lo permetteano. I Cardinali inglesi riferirono indi la decisione di Enrico al Papa, e si adoprarono per condurlo a più miti consigli, dall'inziale disdegnò che il Santo Padre mostrò in primis, assicurandogli che comunque l'Inghilterra avrebbe prestato man forte et aiuti ai crociati per quanto potea e che non avrebbe impedito ai sudditi che voleano partire per Edessa di lasciare in armi il Regno – diversi furono infatti gli homini inglesi che così fecero – e che già numerosi messi il Re avea mandato presso le Corti dei Reami vicini affinché incitassero i sovrani a rispondere alla chiamata del Papa.

La cosa non fu invero vana e diversi Re cristiani presero parte alla crociata indetta dal Pontefice romano.

Frattanto, all'interno del Regno, una nuova casata, quella di Doncaster, facea il suo ingresso tra le Parìe d'Inghilterra con il matrimonio tra la nobile Mabel di Gloucester-Normandia e Sir Roberto di Doncaster, il quale fu ben presto fatto Duca d'Essex, alle dirette dipendenze della Corona. Et il Re, per parte sua, emanava nel 1167 un nuovo editto, in base al quale si proibiva agli studenti inglesi d'andare a compiere i propri studi presso l'Università francese di Parigi. Essi conversero indi verso l'illustre et antica Università inglese di Oxford, che ebbe da ciò grande giovamento e crebbe in dimensioni e prestigio.


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Intanto andava perdurando, tra alti e bassi, il conflitto germinato tra il Re et il suo Arcivescovo di Canterbury.

Lord Becket infatti insisteva a rigettare le Costituzioni di Clarendon et a denunciarle come contrarie al diritto canonico et alle consuete prerogative ecclesiali, inaccettabili dunque per la Chiesa in Inghilterra. Et a nulla valsero le ragioni e le pressioni del Re, che in molti incontri e vive discussioni con l'Arcivescovo tentò di piegarne la volontà e di indurlo ad accettare le nuove leggi del Regno. La contesa tra i due raggiunse tali livelli d'asprezza che Tommaso Becket ritenne di dover lasciare l'Inghilterra, ove gli aspri ordini di Enrico II lo voleano recluso fintantoché non avesse mutato il proprio parere pubblicamente.

L'alto prelato si trasferì dunque, in volontario esilio, nelle terre di Francia, presso alcuni Vescovi francesi che gli diedero asilo – ciò anche per volere del Re Luigi VII, il quale, sebbene alleato e pari del Sire inglese, non perdea occasione per intromettersi nelle faccende inglesi e tantare di indebolire l'autorità del Re Plantageneto. In patria, nonostante l'Arcivescovo di Canterbury fosse dunque all'estero, i suoi partigiani, in gran numero all'interno del clero, criticavano apertamente il Re e faceano pressioni sulla Corte affinché la Corona rinunciasse ai propri intenti d'instaurare le misure – iuste, poiché rivolte all'ordine et al benessere generali del Regno – previste dagli articoli di Clarendon e le restrizioni che sempre più il Re si convincea necessarie per definire e porre un fermo alle ingerenze temporali della Chiesa.

La disputa andò avanti per alcuni anni, sino a quando, visto che il clima in Inghilterra s'era un poco disteso, l'Arcivescovo di Canterbury non tornò in patria, riprendendo le pur sempre accese discussioni con il Sire Enrico.

Fu in quei giorni che avvenne il grande misfatto della morte di Becket, la cui eco ebbe sì grande risonanza in tutta la cristianità; misfatto causato indirettamente da una frase detta per caso dallo stesso Re Enrico II. Ad egli infatti, terminata l'ennesima e faticosa discussione con l'alto prelato, capitò, mentre passeggiava presso la Corte a Londra, d'esclamare: "Chi mai mi libererà di questo prete turbolento?". L'invito, per quanto non voluto e non inteso, fu all'insaputa del Re raccolto da alcuni cavalieri che l'udirono, i quali si riunirono con altri individui della medesima fatta per congiurare. E nell'anno Domini 1170, in armi e vestendo elmi et armature, entrarono nella Cattedrale di Canterbury mentre l'Arcivescovo, con in dosso i paramenti sacri, era intento alla celebrazione della Santa Messa e lo uccisero, fracassandogli il cranio con le lame.


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La mitra vescovile più sacra d'Inghilterra giacea sul freddo pavimento di pietra della Cattedrale, insozzata del sangue del principe della Chiesa inglese per mano di sacrileghi individui, et attorno ad essa si stendeano i corpi senza vita di lui e dei suoi diaconi.

Gli spregevoli cavalieri autori dell'empio assassinio aveano agito credendo di compiacere il Re e di accedere con il loro atto alle sue buone grazie. La ricompensa che s'aspettavano non fu quella che in effetti ricevettero, giacché aveano di molto sbagliato i loro calcoli sulla nobile indole del Plantageneto. Egli infatti, sconvolto dalla notizia del massacro dell'Arcivescovo Tommaso, il quale, nonostante la recente contesa, comunque per lungo tempo era stato suo amico e suo grande consigliere, e preso dallo sdegno e dalla collera, fece arrestare e giustiziare per il sacrilegio commesso fino all'ultimo di quei cavalieri e ne fece lasciare i cadaveri alla mercé di bestie et elementi, giacché non si dovea permettere che i loro corpi avessero la possibilità di risorgere nel giorno del Giudizio che verrà.

Nonostante ciò e nonostante il rammarico che il Re avea mostrato, molte furono le voci, sussurrate e men sussurrate, che l'additavano come il mandante di quell'assassinio e che ben presto presero a persuadere gran parte della Chiesa e dei sudditi. Grandi furono per questo il dispiacere e l'amarezza che crebbero in cuore al Re, e così anche il risentimento che generarono nel suo animo, poiché egli non avea colpa et alta dimostrazione della sua nobiltà e maestà di sovrano avea dato in sedici lunghi anni di prosperità del Regno.

La ferrea volontà della Corona et i fermi suoi propostiti nel mettere in atto le misure ch'erano state al centro di quella grande disputa non furono però fermati dall'accaduto: l'autorità del Re sul popolo d'Inghilterra infatti non era stata toccata od inficiata.

Intorno alla figura dell'Arcivescovo assassinato, conosciuto ora in Europa quale martire della Chiesa contro la pretesa dell'assolutismo regio, tuttavia prese ben presto a svilupparsi un vero e proprio culto, alimentato dai pulpiti di molte chiese, e numerosi erano i pellegrini che si recavano a Canterbury per adorarlo. Tanto che il Papa Adriano IV, il giorno vigesimo primo di Febbraio dell'anno 1173, fu indotto a canonizzare Tommaso Becket, quale santo e martire, nella chiesa romana di San Pietro a Segni.

Il moto d'adorazione fu tale che, infine, lo stesso Re fu poi costretto, il giorno decimo secondo di Luglio dell'anno Domini 1174, a sottoporsi ad una pubblica penitenza: dopo una greve processione, egli venne metaforicamente flagellato per espiare la porpria "colpa" dai Vescovi colà convenuti, ciascuno dei quali lo toccò sulla schiena denudata con una canna di legno. E per sempre, nei precordi del Sire, albergò la mortificazione e l'amarezza per l'umiliazione che i suoi sudditi, traviati da sciocchi sentimentalismi e da voci mendaci, l'aveano costretto ad infliggersi.

Gli eventi della guerra che scoppiò in quegli anni, ricca di accadimenti, tuttavia valsero poi a rinsaldare il rispetto delle genti inglesi nei confronti del loro sovrano e riaffermarono la sua nomea e la sua autorità quale grande e capace duce dell'Inghilterra.
[Modificato da ~ Cerbero ~ 09/12/2012 13:56]




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