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I mari della Serenissima

Ultimo Aggiornamento: 08/04/2014 01:06
21/03/2013 16:36
 
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Capitolo IV
Tradimento!




Strada per Verona, 27 agosto 1171.

[IMG]http://i39.tinypic.com/2w4zjah.jpg[/IMG]

Il messo cavalcava a perdifiato. Sia lui che il proprio cavallo erano madidi di sudore; era in viaggio già da tre ore dall'ultima, veloce sosta alla stazione di posta più vicina. Il Consiglio gli aveva ordinato di non fermarsi fintantoché non avesse consegnato il messaggio. Per la propria esperienza di umile corriere, il messo sapeva che spesso e volentieri i potenti che lo comandavano esageravano gli ordini per il puro piacere d'esercitare la propria autorità o, semplicemente, per capriccio. Eppure, il giorno prima, nelle secche parole del consigliere Falier gli era davvero sembrato di percepire un'autentica nota di urgenza.

Galoppò per un tempo che gli sembrò infinito, finché le alte mura del castello di Verona non furono in vista. Ancora uno sforzo...

Verona era la principale fortezza del Veneto e controllava praticamente tutti i domini veneziani nell'entroterra padano, gli unici domini davvero terrestri e non marittimi che la Repubblica possedeva. Il castello sorgeva in un punto cruciale della Pianura Padana, non solo perché era il principale baluardo a difesa della Laguna e della stessa città di Venezia contro eventuali attacchi dall'occidentale Lombardia e dalla meridionale Emilia, ma anche perché costituiva l'unica grande roccaforte che si interponeva tra le Alpi e le terre padane orientali, e quindi tra il bellicoso Sacro Romano Impero e la Repubblica. Per questo i veneziani avevano nel tempo apportato diverse migliorie al castello ed irrobustito di molto la sua guarnigione: se laggiù in mezzo alla laguna la città non aveva spalti, ma solo acque a difenderla, là sulla terra ferma erano i bastioni di Verona ad essere le vere mura della Repubblica.

Il Doge Vitale era in quei giorni in visita presso la fortezza, ospite dell'anziano Consigliere sessantaquattrenne Enrico Dandolo, Marchese di Verona, per prendere visione di persona delle difese e passare in rivista la guarnigione. E lì il messo doveva raggiungerlo per portargli l'urgente dispaccio.

Arrivò finalmente nella corte del castello – le sentinelle del cancello, vedendo lo stemma della Repubblica e la casacca da corriere non l'avevano fermato –, lasciò, senza badarvi, che qualche stalliere subito accorso si prendesse cura della sua cavalcatura ansimante, e corse su per le scale che conducevano all'interno del maschio del castello.

Il Doge stava discutendo con l'anziano Consigliere di alcuni movimenti sospetti delle truppe imperiali del Barbarossa al confine con il Trentino, quando sentì un gran vociare fuori dalla spessa porta di legno e poi i colpi della guardia che bussava.

«Avanti» ebbe appena il tempo di dire prima che la porta si spalancasse ed il messo, che quasi aveva travolto la sentinella, si riversasse all'interno, ansimante, davanti allo sguardo interrogativo del Doge e del Marchese.

«In nome del Cielo, soldato! Cos'è tutto questo trambusto!? Donde ti viene tutta questa fretta!?».

«Perdonami, mio signore. È un giorno e una notte che cavalco... Ma il Consiglio...». Il messo farfugliava, cercando di raccogliere i pensieri e le parole tra un fiatone e l'altro. «I bizantini, mio signore... È accaduto qualche cosa a Bisanzio che... Il consigliere Falier, signore... M'ha ordinato di portarti in tutta fretta questo dispaccio» riuscì infine a dire, porgendo ad un Doge allibito una missiva con il timbro di ceralacca del Consilium Sapientes.

Vitale Morosini aprì la lettera e lesse. Per un attimo il pallore avvolse il suo volto e si sedette d'istinto sullo scranno lì vicino. Poi riportò gli occhi sulla missiva e la lesse una seconda volta. Il volto si fece quindi scuro e rosso ed in un impeto di collera egli stracciò la lettera, prorompendo in un urlo: «Tradimento!».
[Modificato da ~ Cerbero ~ 08/04/2014 20:59]




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