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I mari della Serenissima

Ultimo Aggiornamento: 08/04/2014 01:06
23/03/2013 20:20
 
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Capitolo VI
Sul campo




Strada per Ras, 5 agosto 1172.

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Giovanni Polani, Conte della Zeta, ordinò di arrestare la marcia. Erano a meno di un giorno di cammino dal castello bizantino di Ras e quello sembrava un buon posto dove accamparsi per la notte. Le alture proteggevano la loro posizione su due lati, nascondendoli alla vista, mentre la strada di terra battuta, poco più in basso, era facilmente controllabile. Le sentinelle avrebbero avuto gioco facile, dalle rocce, ad avvistare eventuali nemici in avvicinamento e a tenere sott'occhio i dintorni, tanto più che la luna sarebbe stata quasi nel suo plenilunio quella notte.

Nel mentre che le truppe montavano le tende ed approntavano il campo, Giovanni Polani si concesse una piccola battuta di caccia. Era da quando avevano lasciato Ragusa che non aveva goduto di un vero pasto a base di selvaggina. Sebbene avesse già cinquantatré anni, il Conte era ancora pieno di energie ed assai resistente nel fisico, che la sua passione per l'equitazione e l'arte venatoria avevano mantenuto allenato. Fu un piacere per lui abbandonare finalmente il tedioso passo cui per tutto il giorno l'aveva costretto la fanteria appiedata e lasciarsi andare al galoppo nelle selve lì attorno.

Quando il Conte Giovanni tornò dalla battuta, seguito dai cavalieri della scorta, con due caprioli ed una pernice catturati, il campo era pronto. Cenò con i suoi luogotenenti e si coricò presto, poiché l'esercito avrebbe ripreso la marcia alle prime luci dell'alba, così da arrivare in vista di Ras all'incirca nel tardo pomeriggio dell'indomani. E poi ci sarebbe stato l'assedio, probabilmente lungo, sfiancante e niente affatto semplice. Dubitava che gli alleati ungheresi fossero al momento in quei luoghi o potessero inviare contingenti per aiutarli nell'impresa. Gli esploratori che aveva mandato in avanscoperta per informarlo sulla situazione non avevano ancora comunicato nulla. Così come era avvenuto nell'assedio di Durazzo, le truppe di Giovanni Polani avrebbero dovuto fare tutto da sole. Ma al contrario di quanto era successo laggiù, qui l'impresa appariva assai più ardua, dal momento che erano i bizantini ad essere superiori. Oltre – certo – alla protezione delle spesse mura di pietra del castello di Ras... Quelle maledette mura si sarebbero rivelate un sanguinosissimo ostacolo, il Conte Giovanni ne era purtroppo convinto.

*


La guerra tra la Repubblica di Venezia e l'Impero Bizantino era infine scoppiata due mesi prima. I romei erano stati troppo impegnati a combattere i magiari d'Ungheria a nord-ovest ed i cumani delle steppe ad est per respingere efficacemente i veneziani. Le truppe radunate presso Ragusa avevano sconfinato ed invaso le terre di Durazzo; la città stessa era caduta poco dopo, espugnata dal Conte della Zeta Giovanni Polani.

Da allora la guerra era stata combattuta in periferiche schermaglie di frontiera e soprattutto nel Mar Ionio e nell'Egeo, dove le squadre veneziane avevano distrutto una gran parte della flotta bizantina e bloccato i principali porti mediterranei della Basileia.

Nonostante i bizantini possedessero la segreta tecnologia del fuoco greco, la terribile arma non gli era valsa più di tanto: certo diverse navi veneziane erano affondate in spaventosi roghi, ma per ogni imbarcazione perduta l'industrioso Arsenale di Venezia ne varava un'altra, se non addirittura altre due. Inoltre, il fuoco greco era un'arma terribilmente costosa. Il Basileus, prosciugato di denaro dalle guerre che stavano coinvolgendo, tra un nemico ed un altro, l'intero confine settentrionale ed occidentale dell'Impero, dalle coste del Mar Ionio a quelle del Mar Nero, non poteva permettersi di armare tutte le sue navi con quell'arma, ma soltanto alcune. Ed i capitani veneziani, ben istruiti sulla pericolosità del fuoco greco, erano addestrati a manovrare ed attaccare le navi nemiche secondo tattiche che minimizzavano il rischio di venire bruciati. Il controllo bizantino sull'Egeo ed il Mediterraneo orientale stava venendo meno.

Tuttavia i molteplici tentativi dell'Ammiraglio veneziano Lodovico di Caprio di impadronirsi del segreto del fuoco greco, custodito gelosamente dai bizantini, erano andati frustrati: se infatti quell'arma fosse caduta nelle mani di San Marco, la già acclarata superiorità navale di Venezia sarebbe diventata inoppugnabile in tutto il Mediterraneo. Ma così non era stato, e per il momento i veneziani dovevano accontentarsi di archi, frecce incendiarie e lame per vincere le battaglie navali.

A minare ulteriormente la forza dell'Impero Bizantino, alla guerra s'era aggiunta la crisi dinastica dei Comneni. Manuele I era morto poco dopo l'onta di Galata ed il nuovo Imperatore a lui succeduto aveva un unico figlio senza discendenti diretti, il Synbasileus Giovanni Comneno. Questi però era morto in occasione della presa di Durazzo, ucciso nell'assalto proprio dai comites del Conte Polani. All'Imperatore era rimasto il solo nipote (il figlio del suo defunto fratello minore) quale erede del proprio nome e della propria dinastia. Come se non bastasse egli era consumato dalla malattia che l'aveva colpito poco dopo essere salito al trono ed aveva quindi nominato in fretta e furia il nipote ventenne Alessio Comneno quale Synbasileus.

Tuttavia, le altre antiche famiglie aristocratiche romee, Angelo-Ducas e Paleologi in testa, si stavano ora scuotendo nel tentativo di insidiare il Basileus infermo ed impedire che il suo unico nipote, ultimo dei Comneni oltre allo zio, salisse sul trono. Essi infatti contestavano in modo più o meno mascherato la successione: gli Angelo-Ducas avevano un valido pretendente in Andronico, figlio del nipote del vecchio Imperatore Manuele I, per parte di sorella; i Paleologi, invece, ne avevano uno ancor più valido in Niceforo, figlio della sorella maggiore (ancora in vita) del Basileus morente e quindi anch'egli suo nipote, sebbene in linea femminile. Le grandi famiglie bizantine erano ormai intente a combattere fra loro una celata guerra sotterranea per accaparrarsi il trono.

La situazione si stava rivelando particolarmente vantaggiosa per Venezia, che aveva quindi deciso di attaccare le province settentrionali della Basileia e di allentare la pressione nemica sugli alleati magiari. Mentre un'altra armata, preparata per una nuova grande operazione nell'Egeo, finiva di essere messa insieme nelle terre d'Istria, una spedizione era partita dalla Zeta per invadere la Serbia ed espugnare il castello di Ras. E chi meglio del conquistatore di Durazzo poteva guidare quell'esercito?

*


Il Conte Giovanni Polani fu svegliato tre ore prima dell'alba dalle sue guardie, che fecero entrare nella tenda due esploratori, tutti trafelati.

«Mio signore, i bizantini muovono verso la nostra posizione. Da ciò che sappiamo sembra che vogliano evitare l'incognita di un lungo assedio ed impedire che i magiari abbiano il tempo per unirsi con dei soccorsi alle nostre forze dirette contro Ras».

«Sono più numerosi?».

«No, mio signore, anche se hanno catapulte e cavalleria pesante. Ma da come si muovono, lentamente e senza un'attenta ed estesa avanguardia, sembra che ci credano ancora ai confini con la Zeta. Evidentemente le nostre spie sono riuscite a trarli in inganno sui tempi. Pensiamo vogliano marciare fin quaggiù per attestarsi dove la strada è stretta tra le alture, nell'intento di bloccarci il passo e costringerci ad un attacco in salita. Una piccola schiera di supporto, quasi tutto quel che rimane della guarnigione di Ras, li segue a poca distanza. Di questo passo immagino che arriveranno all'altezza dell'accampamento nel pomeriggio» concluse l'esploratore.

Il Conte Polani congedò i due. Poi, quasi parlando tra sé e sé, disse: «Restare o avanzare?».

Uno dei suoi aiutanti di campo intervenne: «Qui la posizione ci è favorevole. I bizantini, a detta degli esploratori, non s'aspettano che siamo già noi ad occupare il passo. Erigendo difese ed attestandoci saldamente su queste alture, avremo un grande vantaggio difensivo, mio signore».

«Vero. Eppure... I bizantini non sono barbari urlanti che si gettano a capofitto nella mischia senza badare ad altro. Sono convinto che vedendoci trincerati qui si ritirerebbero nuovamente a Ras. Perché mai dovrebbero attaccarci in condizioni di svantaggio quando possono costringere noi a fare altrettanto?».

«Per il tempo, mio signore. Temono un aiuto da parte dei magiari...».

«I magiari? – disse il Conte un poco divertito – I magiari sono distanti: prima che possano portarci aiuto saranno passati dei mesi, temo. Ed i bizantini lo sospettano pure. Hanno abbandonato la vantaggiosa posizione del castello solo perché si aspettano di attestarsi su un'altra vantaggiosa posizione. Quando ci vedranno qui, torneranno di sicuro indietro e noi difficilmente potremmo impedirgli la ritirata...» rifletté.

«No, nobili signori, dobbiamo per forza avanzare. Andremo loro incontro, sorprendendoli con la nostra avanzata, e li costringeremo a dare battaglia nei pressi della strada, quando non se l'aspettano. Con un po' di fortuna, li sconfiggeremo prima dell'arrivo della seconda schiera. E poi potremo attaccare in tranquillità anche quell'altra e aprirci la strada fino a Ras, che non potrà più sostenere l'assedio così sguarnita» spiegò il Conte Giovanni.

«Così ho deciso. Il tempo e la sorpresa sono dalla nostra. Tra un'ora sveglierete gli uomini e ci metteremo in marcia. Silenziosamente» aggiunse.

*


Molti dei soldati al comando del Conte Giovanni Polani erano veterani dell'assedio di Durazzo e quindi già avvezzi alla guerra. Ma un conto era stato vedere e combattere un guarnigione numericamente inferiore durante operazioni d'assedio, un altro era incontrare un esercito bizantino superiore in campo aperto.

Il cielo era plumbeo e l'aria carica d'umidità; nonostante ciò, ancora non era piovuto ed il terreno rimaneva asciutto ed ideale per manovrare. I veneziani già avanzavano in formazione, fronteggiando l'esercito bizantino che, non ancora del tutto riavutosi dall'improvviso incontro con il nemico, si stava affrettando a schierarsi.

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L'esercito agli ordini del Conte della Zeta non aveva truppe da tiro; era composto unicamente da quattro battaglioni di miliziani comunali ed altrettanti di servientes a cavallo, 500 uomini in tutto. I bizantini, dal canto loro, sebbene avessero all'incirca un centinaio di uomini in meno, potevano contare su truppe di cavalleria pesante – i loro cavalieri della pronoia – catapulte e unità da tiro – i rinomati arcieri di Trebisonda. I veneziani dovevano quindi rapidamente eliminare quei vantaggi o sarebbero stati sconfitti.

Prima che i bizantini avessero il tempo di schierarsi completamente, il Conte caricò con i propri cavalieri il centro dello schieramento. La sua impetuosa carica travolse gli arcieri nemici e la fanteria leggera bizantina, portando lo scompiglio. Diversi furono i corpi dei militi nemici sbalzati per aria dalla forza dell'impatto e le lance in resta dei cavalieri veneziani trafissero la carne degli altri.

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Mentre i bizantini erano concentrati sul loro centro travolto dalla carica del Conte, i servientes veneziani si mossero velocemente sulle ali ed attaccarono i due reggimenti di arcieri romei montati posti ai lati della formazione.

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La mischia fu feroce, ma i servientes erano meglio armati ed indossavano armature più pesanti dei loro avversari: infine riuscirono ad averne ragione e a metterli in fuga. Chiudendo la manovra a tenaglia che avevano cominciato, galopparono poi sul retro dello schieramento nemico, per attaccare le catapulte ed i loro inservienti, che ancora non erano riusciti a lanciare un sol colpo.

Nel frattempo, aggirando i comites del Conte che ancora combattevano furiosamente al centro contro gli arcieri ed i miliziani superstiti, i cavalieri della pronoia caricarono la linea della milizia comunale che lentamente avanzava per raggiungere il luogo dello scontro principale. I cavalieri bizantini furono incauti, perché non conoscevano la particolare tattica italica con cui quei lancieri erano abituati a combattere: ponendosi l'uno spalla a spalla con l'altro, i militi comunali erano soliti formare, grazie ai loro ampi scudi tavolari, una barriera inestricabile di lance.

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La carica dei cavalieri della pronoia si infranse contro il solido baluardo del muro di scudi dei miliziani comunali. E lì essi furono attaccati alle spalle dalla guardia del Conte Polani: sull'incudine costituita dalla barriera acuminata della fanteria veneziana s'abbatté il colpo di maglio della cavalleria. I cavalieri della pronoia bizantini furono in breve tempo distrutti.

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Giunse proprio in quell'istante, alle spalle della formazione veneziana, la seconda schiera bizantina, composta di poche unità di cavalleria che si affrettarono a portare un disperato soccorso alla compattezza del primo esercito, ormai irrimediabilmente spezzata.

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Al contrario delle previsioni del Conte, i bizantini erano riusciti ad arrivare sul campo quando ancora infuriava lo scontro contro il primo gruppo, ma il tempo era stato comunque tiranno: erano giunti infatti troppo tardi per salvare i compagni e la giornata.

La linea della fanteria comunale, ormai disimpegnata dal primo attacco, poté volgersi indietro e schierarsi a protezione del resto dell'esercito, ancora impegnato ad annientare la resistenza dei bizantini e delle loro catapulte.

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Anche i cavalieri nemici arrivati in soccorso furono fermati dal muro di lance ed ingaggiati in un furioso combattimento scudo a scudo.

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Dopo breve tempo, la compatta formazione dei miliziani comunali ebbe ragione degli assalitori e li volse in fuga.

Quando ormai rimaneva ben poco delle forze bizantine, l'intera cavalleria veneziana, servientes e guardia comitale, si riorganizzò ed attaccò il generale nemico Giovanni Arbanteno e la sua unità, che ben presto cadde sotto le lame dei veneziani.

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Con la morte del loro comandante, la giornata era irrevocabilmente perduta per i bizantini e quel poco che restava delle loro forze si diede alla fuga.

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Tutte le forze bizantine presenti nei dintorni del castello di Ras furono così spazzate via quel giorno, aprendo la strada all'avanzata delle truppe della Repubblica. Cinque giorni dopo Ras, quasi completamente sguarnita, si arrese, non potendo in alcun modo sostenere anche solo un breve assedio. Il Conte Giovanni Polani prese possesso della fortezza, con grande soddisfazione da parte sua: la decisione di andare incontro al nemico s'era rivelata vincente ed aveva permesso a Venezia di assestare un duro colpo alla Basileia, senza peraltro dover pagare il sanguinoso prezzo di un lungo e difficile assedio.

La sera del settimo giorno, il Conte Polani scrisse un rapporto da inviare velocemente al Doge, in cui annunciava che il fronte nord-orientale era ora saldamente tenuto da San Marco e dai suoi alleati d'Ungheria, e che si poteva dunque procedere alle audaci operazioni nel Mar Egeo pianificate dalla Corte.
[Modificato da ~ Cerbero ~ 22/10/2013 23:38]




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