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Santo Padre, sendo io incaricato - per lontananza del Consul Maior - di regger le sorti di questa Repubblica che Vi diede i natali, mi corre l’obbligo di fornirVi tutti li chiarimenti necessari sugli accadimenti di questi ultimi mesi.
Non fu per travisamento degli intendimenti Vostri, né per brama di conquista, che qual primo atto della Crociata contro Damietta ordinai alle nostre armate l’occupazione di Milano, Lugano ed Asti. Il fatto gli è che, secondo informazione certa, dopo l’ennesima scomunica il Signore dei Lombardi meditava di unirsi alle schiere degli scismatici che già dilagano oltralpe. Ho ritenuto mio dovere di buon cristiano prendere adeguate contromisute acché isto canchero non si diffondesse nella nostra amata penisola, e non contaminasse luoghi venerabili ed amatissimi come il monastero di Bobbio, anche a costo di scandalizzare i comuni alleati. A riprova del patto col demonio stretto dal Visconti sta l’incredibile sconfitta patita dai nostri in quella che avria dovuto essere la battaglia finale contro l’apostata nelle piane del Po, poi vendicata impiegando le riserve dapprima inutilizzate per spirito cavalleresco.
Or che questa trista faccenda è felicemente conclusa, mi volgerò con animo più sereno alla preparazione della devota impresa che avete comandato.
Quanto all’espediente utilizzato dal nostro capitano nella difesa di Tripoli, sono il primo ad averne orrore.
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Li cavalli cavalli arabi son bestie di gran pregio, è ben triste che se ne faccia mattanza come fossero quei pesci che si trovano nelle acque normanne.