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E dunque, negli anni appresso il 1170, la situazione era siffatta e si protraeva, per quanto concernea le vicende estere, nervosamente quieta, in una condizione di stallo. Il Re, il cui intento rimanea quello d'assicurare al Paese il più lungo periodo di pace e prosperità possibile, sentiva tuttavia in cuore che la tregua e sul continente e sul confine scozzese non era destinata a durare.

L'alleanza con il Regno di Francia per il momento era intatta, sebbene invero le relazioni erano andate deteriorandosi, giacché i Francesi continuavano a rivolgere occhi avidi e piccati nell'amor proprio alle terre plantagenete d'Acquitania, Bretagna e Normandia piuttosto che alle regioni francesi di Lione, Tolosa e Clairmont, in mano all'Impero et agli Aragonesi. Enrico, supportato nei suoi timori dal Principe Goffredo di Bordeaux, dal Duca di Normandia e dai Conti d'Angiò e delle Fiandre, i quali – nel frattempo – erano stati alacri nel rafforzare i presidi militari nei propri feudi in vista della possibilità di un conflitto, egli – dicevamo – era sempre più convinto che i Francesi, legati a doppio filo d'alleanza anche con l'Aragona, oltre che con lui, progettavano di tradire il Trattato di Amiens et attaccare i domini inglesi d'Oltremanica. Et innanzi ad una tale evenienza il Re – questo il suo timore – si sarebbe visto costretto ad annientare le forze francesi, inferiori di numero e di possa, et a presidiarne i territori. Con il risultato che – Dio non volesse – gli inglesi si sarebbero ritrovati davanti ad un fronte interno, per il quale avrebbero dovuto tener continuamente sotto il tallone i Francesi sconfitti, et a due esterni, uno sul continente, fronteggiando gli infidi Aragonesi e gli orgogliosi Imperiali, et uno sull'isola nostra, poiché gli Scozzessi, da barbari irrequieti quali sempre sono stati, avrebbero di sicuro pensato di profittare vilmente del conflitto in Francia per attaccare da nord lo Yorkshire.

L'Inghilterra, per quanto prospera e forte fosse già a quel tempo, parata non era ad un conflitto di siffatte dimensioni, il quale avrebbe di certo precipitato il Regno in un periodo di tali turbolenze, tali massacri e tale dispendio di ricchezze da far impallidire i tristi e malversati anni dell'Anarchia, che aveano preceduto l'ascesa al trono di Enrico. Et egli ben sapea come la sua dinastia avrebbe pagato grandemente il fio d'una tal colpa, financo con la Corona, magari, s'avesse sospinto nuovamente le genti inglesi in cotali orrori.

Certamente dicea il vero chi asseriva che erano in ogni caso già passati sedici anni, sedici anni di pace, dalla fine della guerra civile. Ma si sa, lenta è la mente dei villani a ricordare i lieti giorni di pace et i suoi fabres, quanto lesta è a rammentarsi con odio i lividi giorni della guerra et i suoi autori, poiché in essi non scorge gloria né onore, ma solo la morsa dello stomaco affamato e la paura per il sangue delle proprie carni. "Il popolo ragiona con la pancia, figlia mia. Rammenta: ideali e visioni possono riepirne lo stomaco solo per un tempo ristretto" disse una volta il Re, in visita presso l'Abbazia di Notre-Dame-du-Pré, alla propria figlia Alexandra. "Guardati dal popolo quando è affamato e stanco, ma guardati anche dal nobile quando è troppo pasciuto e riposato".

La Principessa, cusriosa et in parte ancora ingenua delle cose del mondo, interrogò allora il padre: "Perchè dunque, caro padre, oggi i plebei sono così dediti a pensare al martirio et ai diritti della Chiesa et a venerare in pellegrinaggio Becket? Non hanno fame?".

Si racconta che il volto del nobile Re si fosse adombrato a tali parole, indurito in una maschera d'amarezza e tristezza, e che, dopo molti istanti di silenzio, solo allora egli avesse risposto: "Esatto, figlia mia. Il popolo ora non ha fame e quindi si dedica scapestramente a questioni che non lo concernono né di cui ha piena consapevolezza. E preferisce cogliere comodi pretesti e dicerie mendaci per disprezzare colui che l'ha nutrito e gli ha dato pace e giustizia piuttosto che continuare umilmente a rispettarlo et a lavorare nei campi e nelle botteghe et a curare le greggi".

Fu in quei giorni d'inizio inverno dell'anno Domini 1170, dunque, mentre il Sire era intento a consigliarsi in consesso a Basingstoke con i suoi Lord di York, Angiò e Normandia, che arrivarono messi speciali con novelle urgenti et importanti. Gli Aragonesi erano scesi in guerra contro l'Inghilterra.

Grande fu la sorpresa dei nobili Lord, men grande quella dell'accorto Re, nell'apprendere dai messaggeri che il sovrano d'Aragona Don Ramon Berenguer IV, senza che niuna dichiarazione di guerra fosse consegnata ai ministri d'Inghilterra, avea inviata una colonna armata ad invadere le ricche terre d'Aquitania. Tale schiera, forte di quasi mille homini, avea inizialmente marciato sin quasi al confine con l'Angiò et avea intercettato una colonna di 257 archi lunghi – quello infatti era il loro obbiettivo iniziale – in marcia dal castello d'Angers per rafforzare le guarnigioni della città di Bordeaux.

Colti alla sprovvista nel mezzo della loro marcia da un nemico di molte volte superiore, e numericamente e tatticamente, gli archi lunghi inglesi furono schierati dal loro capitano su una lieve altura sita a fianco della strada meridionale, e colà s'erano trincerati, decisi ad infliggere qualche vittima al nuovo nemico prima di ritirarsi.


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Et i dardi scoccati contro l'avanguardia di cavalleria leggera nemica che s'appropinquava furono molti e trafissero diversi Aragonesi.

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Tuttavia, il gran numero di soldati montati convinse il capitano inglese ad ordinare una rapida ritirata, durante la quale gli arcieri di retrogurdia avrebbero dovuto tenere a bada i cavalleggeri aragonesi e proteggere la marcia di fuga dai loro inseguimenti, cosa che fecero. Benché avessero consegnato il campo ai nemici, gli archi lunghi inglesi riuscirono a tornare quasi del tutto incolumi al castello d'Angers.

In un modo siffatto scoppiò il conflitto che avrebbe contrapposto il Regno d'Inghilterra et il Regno d'Aragona per lunghi anni et ebbe inizio quella che fu detta dagli storiografi la Guerra d'Oltremanica. I due Regni erano dunque ora nemici e l'alleanza tra l'Aragona et i Francesi, stipulata qualche tempo prima, veniva stracciata da quest'ultimi, che infine aveano scelto di rimanere fedeli all'Inghilterra e di schierarsi al suo fianco, sebbene rimanessero nell'immediato neutrali nei confronti delle manovre di guerra intraprese dai contendenti.


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I messi giunti a Basingstoke innanzi al Re et ai suoi Lord riferirono, inoltre, che le truppe aragonesi erano in quel momento innanzi alle porte di Bordeaux, intente alle opre necessarie per porre l'assedio alla città e per prenderne possesso. I corrieri aveano viaggiato senza sosta, cambiando continuamente cavallo, per portare il più velocemente possibile la notizia al grazioso sovrano; una notizia infausta, avrebbero detto molti, ma il Re, dal canto proprio, non era affatto certo di doverla considerare tale: qull'improvviso attacco aragonese era difatti già valso a sbloccare la situazione di stallo sul continente et a costringere la Francia a rinnovare la propria fedeltà all'alleanza con gli Inglesi. I corieri gli consegnarono inoltre una lettera di suo fratello il Principe Goffredo, il quale così vergava:

Porgiamo i nostri omaggi
al nobile Re d'Inghilterra,
Enrico II, nostro Sire e fratello.

Siamo dolenti di dovervi confermare, Maestà, l'infauste notizie di cui i messi v'avranno già certamente messo al corrente. Un'armata di soldati iberici, conducente con sé le insegne del Regno d'Aragona, si dipartì dalla Contea di Tolosa e velocemente invase l'Aquitania settentrionale, et è ora giunta in vista della nostra città di Bordeaux nel momento stesso in cui scriviamo.

Le spie non ebbero sentore della cosa sino al momento in cui non videro la soldataglia nemica rivelarsi, penetrare nelle nostre terre et attaccare i nostri archi lunghi in marcia sulla via meridionale. Tutto il tempo che dai loro tardi avvisi ci è stato concesso è bastato soltanto a dare urgentemente gli ordini necessari affinché la città e le nostre guarnigioni si parassero per l'assedio et a sederci per vergare questa lettera per voi. Non temete: ho già comandato a che le spie, almeno quelle che a noi si sono presentate con tempismo ammirabile – oseremmo dire – per farci un tale inutile rapporto, siano gettate nelle segrete del nostro palazzo quivi a Bordeaux, a cagion della loro imperdonabile incompetenza.

Da ciò che le vedette e gli esploratori hanno scorto, possiamo riferirvi, Sire, che l'armata inviata contro di noi si compone per una buona sua parte di cavalleria, pesante e leggera: ecco – a nostro modesto avviso – la ragion per la quale i loro spostamenti furono sì tanto rapidi. Ci giunge, inoltre, notizia che entro la giornata tali formazioni montate saranno raggiunte da diversi contingenti di lancieri, giavellottieri et arcieri. Possiamo, dalle informazioni in nostro possesso, stimare le forze nemiche attorno al migliaio, forse meno.

Non sembra, d'altro canto, che stiano avendo luogo ulteriori manovre nei pressi dei nostri confini da parte di contingenti aragonesi altri. È nostra convinzione che il Re Ramon consideri sufficiente una sola armata per strappare a voi l'Aquitania e che truppe ulteriori non sia il caso di mobilitarle per combattere questa guerra, visto che il nostro Ducato è l'unica terra inglese confinante con il Regno d'Aragona.

Ebbene, Maestà, potete star certo, faremo intendere al Berenguer quanto poco accorti furono i suoi calcoli e quanto poco pagherà la sua fellonia, nel muoverci guerra senza motivo e senza darne dichiarazione!

Riteniamo infatti che le truppe di guarnigione di cui abbiamo il comando saranno sufficienti per avere ragione del nemico e che non sia d'uopo pregarvi d'inviare rinforzi. Confidiamo nelle nostre mura e nei nostri archi lunghi, e, certamente, in Dio et in San Giorgio, nostro protettore.

Porgiamo a sua Maestà il Re, nostro fratello, nuovamente i nostri omaggi.

In fede,

Goffredo Plantageneto,
Principe d'Inghilterra e Duca d'Aquitania


Il Re Plantageneto lesse la lettera di suo fratello il Principe con grande attenzione e meditò per lunghi istanti di silenzio. Poi, dati a ciascuno dei Lord presenti i propri ordini e licenziatili affinché tornassero sul continente per parare i loro feudi alla guerra, scrisse al Principe Goffredo che la Corona fidava nelle sue capacità di difendere validamente il Ducato d'Aquitania dai nemici e che avrebbe cominciato a disporre immediatamente le manovre necessarie al conflitto, e consegnò il messaggio ai corrieri, i quali ripartirono senza porre tempo nel mezzo alla volta di Bordeaux, per consegnare il dispaccio al fratello di Enrico.


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Frattanto, la città guascona vedea le truppe aragonesi avvicinarsi alle proprie mura per condurre l'assalto. Una torre d'assedio, un ariete e diverse scale gli invasori aveano allestito per l'occasione e con siffatti strumenti d'assedio s'appropinquavano ai bastioni et ai cancelli.

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La maggior difesa della città consistea – com'avea scritto nella sua lettera il Principe – in sei battaglioni di archi lunghi, coadiuvati da due reparti di rinomati balestrieri guasconi. I tiratori inglesi non si risparmiarono e dagli spalti lignei sensa sosta vomitavano con maestria i loro dardi sibilanti contro le fila degli Aragonesi, i quali attendeano che le loro macchine d'assedio giungessero a destinazione.

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Erano pochi le frecce et i quadrelli che mancavano il bersaglio e ad ogni istante qualche d'uno dei nemici era trafitto, che fosse egli uno dei loro fanti, uno dei giavellottieri, uno dei cavalieri.

Dietro le porte, i quattro battagioni di sergenti corazzati attendeano, pronti e pazienti, et alle loro orecchie giungea il respiro et il nitrito dei nobili animali montati dai cavalieri feudali e dal Principe, che stavano subito alle loro spalle. Il muro delle loro lance era stato reso più minaccioso et al tempo stesso arduo da raggiungere grazie ad una selva di pali acuminati, piantati nel terreno poco prima dagli archi lunghi, che si rivolgeano insidiosi alla volta dei cancelli – efficace quanto sanguinario espediente, questo, che gli arcieri inglesi erano soliti e generosamente propensi ad adottare per difendere le proprie posizioni.


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L'opra dei tiratori inglesi avea già aperto grandi varchi nelle file degli Aragonesi, i quali tentavano di difendersi come poteano dalla granuola dei dardi, quand'ecco che l'ariete divelse i ligneii cancelli e la soldataglia nemica s'ammassò presso di essi, per penetrare in città. Primi ad entrare di gran lena furono molti cavalieri, i quali, nella loro avanzata impetuosa, trovarono ad attenderli, sinistramente immobili e silenti, i grossi pali acuminati et i quali furono da questi disarcionati, ribaltati, feriti od uccisi.

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Seguì indi il resto delle forze aragonesi, che, pur colpite dal massacro recato dalla trappola di pali, riuscirono ad ingaggiar battaglia coi lancieri pesanti inglesi.

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La pugna era caotica, ma non fu difficile per i soldati corazzati inglesi arginare gli assalitori et abbatterli con le loro armi: come un maroso che si disfa contro l'inamovibile roccia dello scoglio, così le file nemiche si disfarono a contatto con la solida linea di difesa degli Inglesi. I pochissimi sopravvissuti tentarono di fuggire, ricercando la propria strada verso la salvezza attraverso lo stuolo dei cadaveri dei propri compagni caduti, ma non poterono sfuggire agli ultimi tiri dei balestrieri, sempre sulle mure appostati.

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L'attacco del Re d'Aragona era dunque fallito et egli, colpito oltretutto dalla scomunica del Santo Padre, con il quale i suoi rapporti s'erano grandemente deteriorati, non da ultimo per la vile fellonia nell'attaccare a sorpresa il pacifico Regno d'Inghilterra, mantenne le proprie forze in riorganizzazione dietro ai propri confini, in attesa di ulteriori sviluppi nel conflitto. Sviluppi che, come il Re Enrico II presentiva, non tardarono a verificarsi e valsero ad allargare et intensificare di molto la guerra.

Truppe del Regno di Castiglia e Leon e del Sacro Romano Impero, infatti, attaccarono due anni dopo, nel 1172, i lati estremi dei possedimenti inglesi sul continente: il primo mosse da sud sempre contro l'Aquitania, et il secondo da est contro le Fiandre.

Dovea trattarsi – come immaginò il Re – d'una manovra a tenaglia ordita precedentemente in occasione delle trattative che i tre Paesi, alleati fra loro, aveano segretamente intrapreso negli anni precedenti, manovra volta a distruggere, o quantomeno a ridurre pesantemente le posizioni inglesi in terra francese, con l'eventaule e ponderata conseguenza d'un preventivo accerchiamento strategico del Regno di Francia, alleato dell'Inghilterra. Un piano ben congegnato, indi, aperto dall'improvvisa avanzata aragonese, e che tuttavia non tenea conto della potenza inglese, la quale non si sarebbe certo lasciata derubare dei propri domini senza combattere tenacemente. La Guerra d'Oltremanica entrò da quel momento in poi nel suo vero infuriare e gran parte del continente francese, sino alle coste del Mar Mediterraneo, ne sarebbe stata abbracciata dalle vicende.


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Nel mentre il Re inviava una flotta a porre il blocco al vicino e ricco porto olandese di Haarlem, per fiaccare gli introiti commerciali dell'Impero, le truppe germaniche assediavano la fiamminga città di Gand e ne assaltavano le mura con un esercito forte di 1.196 homini, per la maggior parte lancieri lotaringi e corazzati e cavalieri pesanti.

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Anche a Gand, le truppe nemiche avanzarono contro i bastioni ligneii, attraverso la fitta grandine di dardi che le numerose compagnie di archi lunghi inglesi concitatamente riversavano loro contro.

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Et i fanti et i cavalieri germanici, seppur protetti dalle loro spesse cotte di maglia e dalle loro armature, cadeano numerosi, trafitti e dissanguati.

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I sergenti corazzati inglesi attendeano, schierati et impazienti di condurre la pugna nella mischia, al di là delle porte e degli onnipresenti pali appuntiti, sotto lo sguardo risoluto del Conte di Fiandra, Stefano II di Cowles.

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Ma dovettero pazientare ancora il loro tempo, giacché gli Imperiali non aveano ancora sfondato i cancelli et erano intenti ad assaltare con le torri d'assedio gli spalti, ove gli archi lunghi, impegnatisi nel corpo a corpo, li respinsero.

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Infine i soldati germanici penetrarono le porte urbane e si riversarono con i loro cavalieri e fanti alla carica contro i difensori e subito urla di dolore sostituirono quelle della furia guerriera – il massacro subito dai militi aragonesi per inanimata mano della trappola di pali acuminati sembrava non aver insegnato nulla ai capitani nemici, a cagion forse della loro stoltezza o della loro arroganza.

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Il sangue, più germanico che inglese, scorse sul terreno di Gand, imbrattò armi et armature, homini et animali, e la pugna innanzi ai cancelli fu furiosa, poiché bellicoso era lo spirito dei soldati imperiali.

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Ma ben presto la valente difesa degli Inglesi ebbe ragione del nemico, costretto dalle schiere dei difensori in uno spazio angusto e decimato in continuazione dai pali e dalle lance.

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Et il Conte Stefano poté così, di lì a poco, dilettarsi con la sua scorta montata in una proficua caccia all'uomo contro i sopravvissuti imperiali che fuggivano di corsa dal luogo dello scontro, per cercare la salvezza lontano dalle mura di Gand.

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L'inseguimento dei fuggitivi si protrasse fino a sera, e solo allora il Conte poté constatare, avendo avuto luogo i conteggi fatti dai suoi attendenti, un'indiscutibile vittoria: 51 degli 870 difensori inglesi erano morti, a fronte dello sproporzionato numero di 794 soldati imperiali caduti e 364 catturati. I prigionieri furono poi giustiziati, a seguito dello spietato rifiuto di pagarne il riscatto comunicato dalla corte imperiale.

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Lo stupore prese i nobili germanici e lo stesso Imperatore Federico I quando ai loro orecchi giunsero i rapporti sulla battaglia di Gand: raramente infatti il fior fiore delle truppe pesanti imperiali, interi battaglioni di lancieri lotaringi e cavalieri in armatura, era stato prima d'allora sconfitto da forze numericamente inferiori appartenenti ad un Regno inferiore anch'esso – come essi erroneamente riteneano. L'errore che i comandanti germanici e loro alleati non aveano la saggezza, et anche l'umiltà, di riconoscere et emendare era infatti arrogantemente sottovalutare la potenza d'una delle armi d'elezione dell'esercito inglese: gli archi lunghi; potenza quella che si moltiplicava di molto quand'essi poteano godere della protezione e della sopraelevazione offerta da spalti e mura. Fintantoché gli insediamenti inglesi fossero stati protetti da un numero relativamente alto di codesti abili arcieri, niuno di quelli – potea quasi osare dirsi – sarebbe mai caduto nelle mani degli assalitori.

Tutto ciò il Re lo conosceva bene et infatti sua premura era stata quella di dare ordini ulteriori affinché sempre le compagnie di archi lunghi ridotte nel numero dopo un combattimento fossero reintegrate da nuove unità: la chiave per fermare i nemici innanzi alle mura stava infatti nella pioggia delle loro frecce. I generali nemici invece non ne riconoscevano l'utilità e mai s'adoprarono nella concezione di strategie altre per neutralizzare il baluardo chiave fornito dai battaglioni di archi lunghi.

E tuttavia grave era lo smacco subito dalle forze germaniche a Gand e la Corte imperiale cominciò a temere e ad essere consapevole del fatto che, dietro alla mera estensione territoriale del Regno inglese, la quale s'avvicinava ormai a quella dello stesso Sacro Romano Impero, stesse una degna e corrispettiva potenza di forze militari, d'influenza diplomatica e di ricchezze, grazie alla quale l'Inghilterra potea tentare di rivaleggiare adeguatamente con la potenza dei Germanici.

Codeste preoccupazioni che prendeano ad affollare i calcoli del Barbarossa furono però di molto attenuate, se non addirittura spazzate via, dall'entusiasmo che prese l'Impero in occasione della sua vittoria contro gli infedeli. Nell'anno 1173 le mura d'Edessa furono espugnate dai crociati teutonici e la regione dell'Osra entrò a far parte dei domini imperiali: la crociata era vittoriosa, con somma soddisfazione del Papa, la cui chiamata alle sacre armi era stata fruttuosa, e per il suo prestigio e per la cristianità intera.


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Frattanto le truppe del Regno di Castiglia e Leon, nello stesso anno in cui gli Imperiali cingeano d'assedio Gand, aveano mosso contro la ricca Bordeaux e l'avevano assaltata in forze.

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I vessilli inglesi e della dinastia plantageneta, nonché quello del Principe d'Inghilterra in persona garrivano quietamente al vento, osservando lo svolgersi delle manovre belliche alle porte della città e lo schieramento degli Inglesi, che aveano aggiunto alle proprie guarnigioni un valente battaglione di lancieri templari, ideali per reggere l'assalto in prima linea.

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L'andamento dello scontro non fu diverso da quello degli assalti subiti in precedenza. Le forze nemiche sottovalutarono le difese e le armi inglesi e furono ancora una volta messe in rotta.

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L'intera prima serie di attacchi del nemico, che avea aperto concitatamente la Guerra d'Oltremanica, fu neutralizzata e respinta con successo, inficiando totalmente la manovra strategica di annientamento della presenza inglese e di accerchiamento della Francia ordita dagli alleati germano-iberici.

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Bordeaux fu per molte tempo lasciata in pace dalle truppe nemiche, in grazia della nomea che i suoi difensori ed in particolar modo il Principe Goffredo, detto allora il Degno, s'erano conquistati sul campo. E mentre la flotta del capitano Maurice era inviata a porre il blocco al porto aragonese di Blanes, gli Imperiali soli perduravano testardamente nei loro propositi d'invasione delle Fiandre et ammassavano ad uopo numerose truppe nella Lotaringia.


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E di nuovo attaccavano risolutamente la fiamminga città di Gand con una grande armata di 1.168 homini: lancieri lotaringi, sergenti corazzati, cavalieri pesanti, saggittari et altre milizie.

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Le perdite che i nemici subirono nelle sole operazioni d'assalto delle mura e dei cancelli, per mano degli archi lunghi inglesi, furono più numerose di quelle viste in qualsiasi altro scontro fino ad allora occorso e quasi da sole valsero a decidere irrevocabilmente lo scontro a favore dell'Inghilterra, giacché inficiarono in modo irreparabile la possa dell'esercito assalitore prim'ancora che questo giungesse a contatto con le linee difensive inglesi, appostate dietro spalti e pali acuminati.

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L'intervento poi dei sergenti corazzati e dei fanti fiamminghi inglesi, una volta che gli Imperiali aveano fatto breccia nelle porte, et il successivo inseguimento dei fuggiaschi da parte della scorta montata del Conte Stefano completarono la disfatta nemica.

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Disfatta che più rovinosa non potea essere: soltanto otto soldati germanici si salvarono dal disastro, 1.047 furono uccisi e 113 catturati. Alla fine della battaglia, durata poche ore, il sole si stagliava sulla città e sul campo, ove una strada intera fatta di cadaveri germanici conducea sinistramente all'ingresso cittadino. E l'astro si stagliava pure su... [†]

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[Modificato da ~ Cerbero ~ 09/12/2012 14:23]