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Spirava, nell'anno Domini 1174, il Re di Francia Luigi VII Capeto, et un tale lutto non movea solo il compianto della Corte di Francia, ma anche le preoccupazioni di quella d'Inghilterra. Il Re Capeto, infatti, sebbene avesse sempre vissuto in cuore un mai sopito et irrequieto spirito di rivalità con Enrico II, era comunque stato il massimo fautore, da parte francese, dell'alleanza stipulata col trattato di Amiens. La sua morte indeboliva il vincolo tra i due Regni, già provato dalla guerra, e concedea nuovo spazio alle lagnanze et agli spiriti turbolenti d'alcuni grandi nobili francesi, ai cui stolti consigli meno immune di quanto fosse stato il defunto Luigi VII era il nuovo sovrano, Re Roberto Capeto.

Avendo consapevolezza di tali fatti et adattando il proprio pensiero alla composita situazione cogente, il Plantageneto concepì dunque un piano audace, che sarebbe valso a rinsaldare il legame d'alleanza con la Francia e ad indebolire il nemico imperiale, il quale era invero il più vivace e caparbio dei tre a quel tempo, oltre ad essere forse il più pericoloso: una nuova spedizione germanica contro le Fiandre era stata proprio in quei mesi fermata e respinta.

Fu durante l'anno seguente, il 1175, che il Re fece la propria mossa. Negli stessi giorni in cui giungea la notizia che la Repubblica di Pisa diveniva stretto alleato dell'Impero in Italia et in cui il primo mulino a vento, mirabile marchingegno della tecnica che perfezionava il più semplice mulino ad acqua, veniva costruito nei pressi di Chatham, in Essex, una modesta schiera di 318 Inglesi si dipartì dal castello d'Angers et attraversò le terre del Maine, del Berry, della Borgogna e del Delfinato. Sergenti corazzati, armigeri et i due reparti di cavalieri feudali della guardia del Re la componeano. Alla guida v'era il Plantageneto in persona, che avea precedentemente lasciato Londra e s'era portato nell'Angiò per i preparativi, et ora marciava attraverso le terre centrali della Francia per colpire il nemico ov'era più vulnerabile et ove meno s'attendea un attacco et era indi meno parato a fronteggiarlo. Le spie infatti aveano riferito che gli Imperiali, nei loro continui ma vani sforzi di strappare all'Inghilterra le Fiandre, unica terra inglese con l'Impero confinante, stavano esaurendo tutte le forze di cui disponeano nei feudi occidentali, e, per attingere truppe nuove da lanciare contro Gand, aveano sguarnito i meridionali confini con il Regno di Francia, et in particolare la guarnigione della ricca città di Lione. Sendo allora la Francia neutrale e modesto Paese stretto ad occidente et a meridione dall'alleanza iberico-imperiale, i Germanici non aveano ritenuto che essa potesse rappresentare una minaccia et aveano smobilitato molti reparti dal Delfinato e dalla Savoia, et anche dall'Elvezia e dalla Svevia, tutte terre con i Francesi confinanti, per trasferirli in Lotaringia et Oldanda, donde si sarebbero unite agli scontri in Fiandra.

E proprio colà, nel fianco sguarnito offerto dal nemico, il Re avea deciso di colpire.

Le spie s'erano infiltrate infatti all'interno della città imperiale di Lione et aveano mandato rapporti su come questa avesse a presidio poco più d'un centinaio d'homini e come in tutto il territorio del Delfinato e della Savoia non vi fosse traccia di altre soldataglie germaniche. Enrico II avea dunque parato quel modesto contingente, adatto allo scopo d'effettuare un rapido attacco d'assalto senza dover poi difendere o rafforzare la posizione conquistata.

Allorquando la schiera del Re stava già entrando di gran lena nelle terre del Delfinato, per di più marciando durante i giorni più prossimi all'inizio dell'inverno, cosicché la sorpresa fosse maggiore, le poche vedette che l'Impero avea lasciate ivi di guardia s'accorsero della manovra inglese e s'affrettarono ad informare il nobile Mattia I di Lorena, il quale s'era acquartierato con il proprio grande esercito nella Svevia per svernare. Questi, non appena gli giunse l'inaspettata notizia, lasciò precipitosamente i porpri quartieri e guidò le truppe in una concitata marcia forzata per soccorrere Lione e fermare sul campo gli Inglesi. Tuttavia il tempo non era dalla sua parte.

All'imbrunire del giorno decimo settimo di Novembre, gli Inglesi giunsero non visti e molto più rapidamente di quanto si potesse credere in vista delle mura della città e, allertate le spie che s'erano infiltrate oltre le difese urbane, attesero che calasse la notte.


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Il capitano della guarnigione era sì stato allertato della presenza di un contingente inglese nelle terre savoiarde e della contemporanea marcia di soccorso intrapresa da Mattia di Lorena, ma s'era ingannato sui tempi di manovra degli Inglesi, per cui s'aspettava di veder comparire il nemico alle proprie porte solamente in capo ad una settimana, et ancora non avea date particolari disposizioni di stretta guardia alla guarnigione. Peraltro, ciò di cui non erano a conoscenza né il capitano di Lione né il nobile Lorena né il resto dell'Impero era che un gruppo di cavalieri del Re di Francia si stava anch'esso movendo e seguiva ad un paio di giorni di distanza gli Inglesi.

Fu facile, indi, per i soldati del Re Plantageneto arrivare nottetempo fin sotto le mura di Lione di sorpresa e per le spie infiltrate aprire le porte cittadine ai compatrioti che s'appropinquavano. Il freddo e terso cielo stellato di quella notte osservava gli Inglesi moversi e non diede grande aiuto agli Imperiali, giacché la luna era già calata e non rischiarava la terra e ciò che sulla terra brulicava.


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Gli Inglesi colsero gran parte della guarnigione nel sonno, sebbene alcuni cavalieri di Masovia, truppe d'origine polacca fatte evidentemente giungere lì dai confini orientali del Sacro Romano Impero, riuscirono a montare sulle loro cavalcature e ad ingaggiar battaglia cogli assalitori, dando il tempo a diversi fanti loro commilitoni d'armarsi e radunarsi nella piazza cittadina.

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Nonostante ciò, l'attacco a sorpresa inglese potea dirsi riuscito e la resistenza della guarnigione germanica fu rapidamente annientata dalle spade degli armigeri e dei cavalieri, sino all'ultimo uomo.

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Quarantadue soldati del Re caddero nella rigida notte della presa di Lione, mentre tutti i 120 difensori furono uccisi. Una volta che i palazzi urbani furono saccheggiati per quasi 2.000 bisanti, i cittadini superstiti – la gran parte dei quali era comunque sopravvissuta – furono adunati nella piazza, ove si trovarono faccia a faccia col Re Plantageneto in persona, vestito con la proprio armatura et avvolto nel manto d'ermellino. Egli, con perentorietà accentuata dalle ombre delle fiaccole che gli celavano a sprazzi il volto, annunciò che Lione e le terre del Delfinato e della Savoia sarebbero entrate a far parte dei possedimenti del Re di Francia suo alleato.

Et infatti, due giorni dopo, giunse la piccola schiera francese di cui prima accennavamo, et essa prese possesso della città, ceduta in ottemperanza al Trattato d'Amiens e secondo gli accordi diplomatici rinnovati dal Re, il quale subito si rimise in marcia sulla via di ritorno, giacché certo niuna intenzione avea di lasciarsi raggiungere et attaccare dall'ormai prossima armata imperiale di Mattia di Lorena.


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Questi, trascorsi pochi giorni, giunse infatti dinanzi alla città di Lione ed ebbe gran stupore nel constatare che sulle torrette delle mura non vessilli imperiali né stemmi inglesi erano issati, bensì i tre fiorini di Francia. Indeciso sul da farsi, non sapendo se aperto s'era dunque uno stato di guerra anche con il Regno francese, il nobile s'accampò col proprio esercito nei pressi dell'insediamento, in attesa di ricevere notizie e rapporti dai pochi informatori germanici ancora colà presenti. Rapporti che non tardarono ad arrivare et a renderlo edotto di come quelle terre, una volta assaltate, fossero state immantinenti cedute ai Francesi e di come il Plantageneto, secondo una manovra – come si suol dire in codesti casi – di toccata e fuga, già si fosse ritirato nuovamente oltre i confini francesi della Borgogna.

Mattia di Lorena, preso dunque dalla frustrazione di non essere riuscito ad impedire il piano inglese et a distruggere il Re Enrico assieme a tutti i di lui homini, già meditava d'attaccare Lione et i Francesi, per punirli d'essersi ignobilmente prestati all'operazione compiuta dagli Inglesi. Quand'ecco che sopraggiunse, al suo accampamento, un messo dalla Corte imperiale, inforata di già sui fatti, il quale gli riportò l'ordine dell'Imperatore di non movere in alcun modo offesa a quelli che di fatto erano ora territori francesi, poiché la situazione cogente sconsigliava categoricamente una mossa che avrebbe provocato l'estendersi della guerra anche al Regno di Francia. Il nobile Mattia fu dunque costretto a levare il campo et a ripercorrere l'accidentata strada nord-orientale verso l'Elvezia.

Con una mossa siffatta, sebbene essa avesse in fin dei conti coinvolto un ben modesto numero di truppe, il Re non solo indebolì il Sacro Romano Impero privandolo di un ricco feudo, et alleggerì la pressione nemica sulle Fiandre, bensì, cedendolo al Regno di Francia, andò anche a rinsaldare l'alleanza con il Re Roberto Capeto et a rafforzare lo stesso suo alleato, indispensabile per la sicurezza di quasi l'intero fianco orientale dei possedimenti inglesi sul continente, et inoltre andò a sbarrare al Sacro Romano Impero la strada più diretta per accedere alla Francia meridionale et a tranciare così le vie di comunicazione tra i Germanici et i loro alleati aragonesi e castigliani. Senza contare oltretutto il fatto che l'Impero cominciò a moversi con più cautela et a sguarnire di meno posizioni che prima avrebbe tranquillamente lasciate senza gran difesa.

Alla fine dell'anno poi, profittando della situazione di stallo nella manovre militari seguita alla vicenda lionese, il Santo Padre emise una decretale in base alla guale il Regno d'Inghilterra et il Sacro Romano Impero erano chiamati a rispettare una "tregua Dei" della durata di tre anni e mezzo. I messi inglesi presso la Corte pontificia comunicarono, com'anche quelli inviati dall'Impero, che il Re si sarebbe attenuto all'invito papale et avrebbe cessate le manovre di guerra contro gli Imperiali per tutta la durata della tregua, ma che, una volta che questa fosse giunta a scadenza, non avrebbe garantito d'astenersi da nuovi attacchi. Come conseguenza immediata fu tolto il blocco navale all'importante porto olandese di Haarlem e la flotta ritirò in patria. Il fronte germanico era così, per il momento, tacitato.

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Frattanto, diversi accadimenti occorsi fuori dai confini del Regno giunsero all'attenzione del grazioso sovrano. Prima fra tutte la notizia, riportata dalle spie, che gli Scozzesi erano riusciti ad aver ragione delle resistenze nel Mide irlandese, da poco sottomesso, et aveano indi mosso contro il Munster e la città di Cork, i cui abitanti adusavano chiamare Corcaigh. Dopo una pugna feroce assai, l'insediamento era stato ridotto alla sottomissione e così anche il resto del selvaggio territorio irlandese, con il suo castello di Tipperary et il suo porto di Limerick. La situazione sulle Isole Britanniche s'aggravava dunque per l'Inghilterra, con il rafforzamento del piccolo ma bellicoso Regno di Scozia e con l'indebolimento dei diritti inglesi alla sovranità sulla verde isola d'Irlanda.


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Altra notizia riferiva di come l'Impero avesse profittato della "tregua Dei" per rafforzare i propri confini sud-orientali, stipulando alleanza con la Serenissima Repubblica di Venezia et il Regno magiaro. Il Re d'Aragona, oltretutto, era in quei giorni perdonato dalla Santa Sede e riammesso in seno alla comunità della Madre Chiesa: l'impasse in cui versava a causa della scomunica cessava e gli Aragonesi, che sempre erano, come tutte le genti iberiche, particolarmente fedeli alla Chiesa di Roma a cagion della loro incessante guerra santa di Reconquista contro gli infedeli, che numerosi e minacciosi non smetteano di premere ai confini, poteano riprendere a cuor leggero le opre per la continuazione del conflitto d'Oltremanica.

Nell'anno Domini 1176, inoltre, un grave lutto colpì la persona del Re Enrico: il giorno decimo del mese di Settembre, infatti, richiamata a Sé da Dio, morì nell'Abbazia di Notre-Dame-du-Pré ove dimorava, l'anziana Imperatrice Matilde, sua diletta madre. Nei giorni luttuosi di quel mese, il Re e gran parte della Corte si recarono in Normandia per rendere l'estremo omaggio alla Domina Anglorum, sulla cui tomba fu scritto l'epitaffio:

Qui giace la figlia, moglie e madre di Enrico, grande di nascita, più grande per matrimonio, ma grandissima nella maternità.

La Principessa Alexandra, ormai cresciuta e divenuta una giovine di grande beltà et intelligenza, sebbene ancora raggiunto non avesse i tredici anni, si trasferì per volere del padre a Londra, cosicché potesse abitare presso la Corte e fare esperienza delle cose mondane del governo e della politica e potesse vivere presso il padre.

Ma i lutti illustri non finirono colà. Sebbene infatti la morte del Re d'Aragona Ramon Berenguer IV, cui seccesse Ramon Berenguer III, non colpì più di tanto le coscienze delle Corti europee, se non forse quelle degli alleati castigliani et imperiali, la dipartita del Papa Adriano IV, da lungo tempo ormai nobile e piissimo reggitore del Solio di Pietro, rieccheggiò nell'anno del Signore 1177 per tutta la cristianità.


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E sulle triste note di codesta eco i Cardinali si riunirono poco tempo dopo in Conclave a Roma per eleggere un nuovo reggitore della cristianità; per molti e molti giorni le consultazioni e le votazioni degli alti prelati ebbero infruttuosamente luogo dietro alle sacre porte oltre le quali essi s'erano chiusi. Infine, quando già si cominciava a temere che mai avrebbero trovato un accordo, grazie in particolar modo all'energico sostegno delle Eminenze del clero inglese, i Cardinali elessero il francese cinquantaseienne Enrico Capetingio a nuovo successore di Pietro. Egli sedette sul trono pontificio col nome di Papa Andrea, il pastorale universale nella mano sinistra e l'aura mitra di principe dei Vescovi sulla testa, e con occhio benevolo guardava, oltre che ai Francesi, sua gente d'origine, anche agli Inglesi, la cui influenza nella Chiesa ed i cui voti nel Conclave s'erano rivelati assai preziosi per la sua elezione.

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Egli era un uomo retto e pio, deciso a mantenere ferma la rotta della Chiesa sull'inflessibile via tracciata dai dogmi della vera fede, e grande nemico delle eresie. Subito le sue attenzioni si rivolsero alla situazione dei Crociati in Terra Santa, donde giungeano confuse notizie di grandi movimenti et altalenanze e della venuta di un potente sultano chiamato Saladino e di quella d'un Re Lebbroso.

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Forse era un segno inviato dal Signore ai cristiani, et in particolare ai Lionesi, quello che fosse stato scelto un Papa che per molto tempo era stato un inflessibile inquisitore et a lungo avea mondato le terre francesi dall'infame presenza d'eretici e miscredenti. Un segno che la fede professata e praticata da quel Valdo di Lione, il quale sempre più diveniva famoso e proprio allora cominciava una predicazione virulenta et una condotta spregevole nei confronti all'autorità della Madre Chiesa, fosse aberrazione della parola di Dio et andasse condannata, come avrebbe poi avuto modo di fare il Santo Padre.

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E mentre colà, nelle terre francesi della Provenza e del Delfinato germinava la mal'erba d'una nuova eresia, la dedizione al lavoro et alla preghiera, con la rettitudine intrinseca che il Signore Misericordioso ha voluto porre in questi Suoi due doni, s'aumentava invece nelle terre inglesi d'Hampshire e di Galles, grazie all'insediamento et alla crescita di due grandi monasteri di monaci cistercensi, alacri nelle opre loro e saldi nella loro sacra regola allo stesso modo e forse più dei loro fratelli benedettini., dalle fila dei quali essi provennero in origine.

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Ma torniamo ora alle sanguinose vicende della Guerra d'Oltremanica, la quale, dal canto suo, sebbene vivesse invero un periodo di stallo, conclusa non s'era affatto et anzi andava riprendendo vigore nei bellicosi piani dei Regni coinvolti. Assieme ai suoi Lord di Francia, il Re Plantageneto avea elaborato una nuova manovra per portare la guerra, stavolta, contro il Regno d'Aragona, che illo tempore s'era fatto il più pericoloso tra i suoi nemici – permanea infatti la "tregua Dei" tra l'Impero e l'Inghilterra. Dalle guarnigioni d'Angers e Rouen, che poteano essere sguarnite in grazia della difesa prestata dal Regno di Francia al fianco orientale inglese sul continente, fu ordinato che si dipartissero diversi contingenti e che si radunassero presso la fortezza di Tours, situata sulle sponde della Loira. Radunato che ebbe un esercito di 1.013 homini, composto da due reparti d'armigeri, sette di lancieri coscritti, tre d'archi lunghi e tre compagnie di cavalieri feudali, Re Enrico si parò a partire alla volta di Alvernia e Rouergue.

Negli stessi giorni in cui il figlio primogenito del Principe Goffredo il Cavalleresco, Giovanni Plantageneto, terzo in linea di successione al Trono, compiva il suo sedicesimo compleanno e raggiungea la piena maturità, venendo nominato Visconte d'Aquitania, l'esercito inglese lasciò le proprie posizioni presso Tours et entrò nel Berry francese. Contemporaneamente a ciò, una grande flotta regia dai porti inglesi di Southampton, Plymouth e Cherbourg penetrava nel Golfo di Biscaglia e, dividendosi in tre compagini minori, ponea il blocco ai porti castigliani di Gijòn, Santander et A Coruña.


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L'anno era il 1179: le truppe del Sire penetrarono nell'Alvernia e Rouergue, lasciate quasi indifese dagli improvvidi Aragonesi, et assediarono la città di Clairmont. Tuttavia un'armata guidata dal Re aragonese Don Ramon Berenguer III di Barcellona in persona accorse in aiuto degli assediati et in tutta fretta s'appropinquava alla città et alle posizioni inglesi.

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Il Re Plantageneto, dovendo scegliere tra assaltare la città immantinenti od andare incontro agli Aragonesi per dar loro subito battaglia, risolse a favore della prima ipotesi, concludendo che fosse preferibile non lasciarsi nemici, per quanto pochi, alle spalle. Clairmont fu indi presa d'assalto, espugnata in pochi giorni e saccheggiata per 1.558 bisanti, giacché grandemente dispari era l'entità delle forze che presso le sue mura s'erano scontrate.

Lasciati pochi fidi homini a guardia della città conquistata, il Re volse poi a sud-ovest e s'incontrò, nel mezzo dell'inverno, col sovrano nemico sul campo di quella che fu detta poi la Battaglia di Clairmont. La mattina del giorno decimo secondo di Gennaio era fredda e tersa, e le schiere inglesi presero posizione su una lieve altura, al crocevia delle strade che conduceano alla città da poco espugnata, ostruendo il passo all'armata nemica. Colà la fanteria regia si trincerò, utilizzando i pali a protezioni delle proprie linee, mentre la cavalleria feudale fu disposta dal Re alle ali dello schieramento, abile così a manovrare e pronta a travolgere la soldataglia avversaria con la sua carica irresistibile.


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L'esercito aragonese intanto, costretto a moversi risalendo il pendio e col sole in faccia, si schierava innanzi agli Inglesi, a circa 600 metri di distanza. Una moltitudine di contadini francesi, armati di lunghe lance e reclutati nelle terre di Tolosa, cavalleggeri e lancieri iberici, cavalleggeri coperti, oltre alla sua guardia pesante personale, Re Ramon Berenguer III avea radunato per formare l'esercito che colà contendea il campo ad Enrico II.

Sul finire delle manovre di schieramento, il Plantageneto si portò innanzi ai suoi homini e, consapevole che la maggior parte di loro, se pur addestrata adeguatamente, mai avea prima d'allora affrontato una battaglia campale, apostrofò le proprie truppe per galvanizzarle et ispirarle alla vittoria. Fiera e maestosa era la sua figura, mentre a cavallo arringava le truppe. "Miei valenti soldati, – disse egli – oggi siamo qui per spezzare la minaccia aragonese e far intendere ragione al loro sciocco Re. Oggi non vacillerete né arretrerete, così com'io, in mezzo a voi, condividendo la mia fatica et il mio sangue coi vostri, non vacillerò né arretrerò. Gli occhi di tutto il Regno guardano a noi et al nostro valore; siate consapevoli di ciò et infiammate il vostro animo alla portentosa chiamata delle armi. Questo è l'ordine: marciate impavidi e vittoriosi per il vostro Re e per Dio nostro Padre, l'Inghilterra e San Giorgio!" gridò il Plantageneto sguainando la spada.

Urla eccheggianti di bellicosa acclamazione accolsero le sue parole. E subito, quasi a compimento di ciò che parea alle truppe esser un comandamento ispirato dal Cielo, i pesanti passi dei destrieri della cavalleria feudale presero ad empire il campo, lanciati contro le linee aragonesi per ordine del Sire.


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In pochi attimi il ritmo battente del trotto si trasformò in un rombo assordante e, lancia in resta, i cavalieri d'Inghilterra s'abbatterono al galoppo contro le schiere ancora impreparate degli Aragonesi, travolgendone i fanti in prima fila e portando scompiglio e scempio tra i nemici, et in particolar modo tra i contadini armati. Sempre plebaglia di tal fatta, che viene scioccamente armata da generali improvvidi et i cui homini si ritengono boriosamente e ciecamente veri e propri soldati, verrà sul campo dispersa e sterminata, e le sue fragili ossa saranno spezzate, et i villani che la compongono tremeranno dal terrore prima di morire, ogniqualvolta la portentosa carica di nobili e potenti cavalieri in armatura – quellì sì veri bellatores! – travolgerà le loro fila.

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L'iniziale attacco della cavalleria, nei piani del Re, dovea indebolire il centro aragonese e costringerne poi l'intero schieramento ad inseguire le truppe montate inglesi – che si ritiravano subitaneamente verso le loro posizioni iniziali – e ad assaltare sotto lo spietato tiro degli archi lunghi il presidio trincerato degli Inglesi sul pendio. E così avvenne. Gli arcieri incoccarono innumerevoli le frecce e le scagliavano con letale precisione sui ranghi avversari, facilitati in ciò dalla posizione sopraelevata e godendo della protezione dei pali e dei fanti.

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Mentre la fanteria aragonese faticosamente avanzava, Re Ramon ordinò che i tiratori a cavallo andassero a controbattere agli arcieri inglesi con le proprie frecce et i propri giavellotti. Egli li seguì a poca distanza assieme alla sua cavalleria pesante, puntando contro l'ala sinistra degli Inglesi.

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E tuttavia i cavalleggeri nemici non poterono rivaleggiare contro i rinomati archi lunghi et in poco tempo furono decimati e dispersi a distanza dai loro dardi. La carica della guardia del Re aragonese, invece, non potea esser fermata dalle frecce, e già i cavalieri nemici erano prossimi a riversarsi, lancia in resta, contro le linee dei lancieri coscritti sul fianco sinistro.

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La Provvidenza, però, avea deciso altrimenti per quella sanguinosa giornata: evidentemente accecato dal sole che gli baluginava in viso et impossibilitato a scartare per via dei comites che gli stavano affianco et appresso, il Re aragonese terminò la propria carica, assieme ad una parte della sua guardia, contro i pali acuminati piantati nel terreno e da essi fu rovinosamente trafitto.

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Grida di trionfo s'alzarono dai ranghi inglesi, giacché tutti i soldati aveano potuto vedere il corpo del sovrano avversario, all'apice dell'eroico impeto della carica, sbalzato e squartato dalla solida trappola lignea. Il volere di Dio, che chiaro si delineava nella mente di tutti gli homini inglesi quel giorno, non solo si rivelò truce contro coloro che gli erano avversi, ma anche beffardo. In un modo siffatto perì Ramon Berenguer III di Barcellona e gli Aragonesi si ritrovarono improvvisamente senza un Re et un duce nel bel mezzo della battaglia e della guerra.

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I cavalieri aragonesi rimasti furono circondati dai lancieri coscritti e dalla guardia del Plantageneto e, ancora sconvolti dalla pardita del proprio Sire, furono distrutti.

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L'impatto della tragica fine di Re Ramon sul morale delle proprie truppe fu enorme. Mentre ciò che restava della cavalleria pesante aragonese si lanciava contro la controparte inglese, anch'essa in carica, l'intero fronte dei nemici cercava tra i pali d'abbattersi contro la fanteria regia per vendicare la morte del proprio sovrano, il tutto sotto la costante granuola del tiro degli archi lunghi, i quali, intoccati dall'assalto in grazia della loro posizione, continuavano alacremente nella propria mortifera opra.

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Ma il morale degli Aragonesi era ormai spezzato e ben presto cominciarono a cedere terreno, lasciando che i compagni delle prime file fossero feriti et uccisi dai fendenti degli armigeri e dalle lance dei coscritti inglesi. E subito Re Enrico comandò che l'intero suo fronte avanzasse et ingaggiasse furiosamente il nemico che pian piano arretrava.

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La ritirata delle ali, che cedettero infine sotto l'attacco della cavalleria feudale inglese, precedette di poco la rotta dello stesso centro aragonese. L'intero esercito nemico si volse e si diede ad una rotta precipitosa, discendendo il pendio. Inseguiti dai soldati del Re, gli Aragonesi correano a più non posso in cerca della salvezza. Stavolta però, col sole che beffardo gli illuminava le spalle.

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La vittoria inglese sul campo della Battaglia di Clairmont fu grande et indiscussa: 255 Inglesi erano periti, mentre dei 979 soldati nemici, 614 erano stati uccisi assieme al proprio Re e 219 erano fatti prigionieri. Soltanto 146 soldati aragonesi riuscirono a tornare incolumi a Tolosa, recando seco l'infausta notizia della morte del Sire d'Aragona, cui, nei giorni seguenti, successe Re Don Alfonso di Barcllona.

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La "tregua Dei" pontificia, indetta tra l'Inghilterra e l'Impero giungea agli inizi dell'anno 1180 al proprio termine et i Germanici, preoccupati dei successi inglesi contro gli alleati d'Aragona, nuovamente presero ad ammassare truppe nei loro forti di Treviri et Aquisgrana, nei pressi dei confini della Lotaringia. Lo stesso anno, il nuovo Papa Andrea sanciva un'altra "tregua Dei", codesta volta tra il Regno inglese e la Castiglia, che sino ad allora poco o niente avea fatto se non subire le operazioni navali delle flotte plantagenete. Il Re, volendo andare incontro alle richieste del Santo Padre in grazia delle relazioni d'amicizia con questi detenute, ordinò che le flotte impegnate nel Golfo di Biscaglia cessassero le operazioni di blocco contro i porti castigliani, levassero l'ancora e doppiassero lo Stretto di Gibilterra, alla volta del Mediterraneo occidentale.

L'armata d'Angers, sempre guidata dal Plantageneto in persona, una volta che i prigionieri aragonesi catturati nella Battaglia di Clairmont furono giustiziati – il nuovo Re d'Aragona avea rifiutato di pagarne il riscatto – et una volta che Clairmont e le terre d'Alvernia e Rouergue passarono sotto il controllo dei Francesi secondo la solita strategia diplomatica dell'alleanza di Amiens, essa – dicevamo – si diresse a sud, oltrepassò il fiume della Dordogna presso il ponte d'Aurillac e conquistò il forte di Rodez.


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Da lì, le truppe del Re penetrarono poi nella Tolosa settentrionale, generando l'allarme delle numerose forze aragonesi colà stanziate, le quali improvvidamente non s'erano immaginate che gli Inglesi, da Clairmont, avrebbero proseguito penetrando ancor più nei possedimenti del loro sovrano. Ma così gli Inglesi fecero in effetti et Enrico II, consapevole che una manovra incauta in campo aperto, circondato da superiori schiere nemiche, l'avrebbe esposto al rischio d'un disastro, diede l'assalto alla piazzaforte d'Albi, a metà strada tra Rodez e Tolosa, la espugnò e vi si trincerò col proprio esercito all'interno, costringendo gli Aragonesi a venirgli incontro e ad attaccarlo colà. I suoi piani ebbero di lì a poco la propria conferma, e la sua astuta strategia ancora una volta fu vincente.

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Gli 800 (o poco meno) soldati del Re doveano fermare alle porte d'Albi la possente armata aragonese, forte di ben 1.265 homini, altrimenti Enrico e la di lui spedizione si sarebbero trovati colà in trappola e sarebbero periti per mano del nemico. La fiducia che il Re mostrava ai suoi militi tuttavia empiva d'orgoglio i loro cuori e con grande determinazione essi s'apprestarono a difendere ogni singolo parapetto del forte d'Albi et a spezzare la risolutezza delle forze nemiche innanzi a quei bastioni.

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Con torri e scale il nemico si diresse appresso le mura di pietra, passando attraverso la stretta strada lasciata libera dal fossato, empito d'acqua, che circondava la piazzaforte su tutti i lati. Il Re potea osservare lo svolgersi dello scontro intero dalle feritoie dell'altro maschio del fortilizio, che su tutto colà dominava.

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Gli Aragonesi spazio non torvarono per utilizzare le scale e le torri – ben costruito era infatti quel forte dalle molteplici difese, scelto saggiamente dal Re Enrico come luogo dello scontro – e dovettero accalcarsi presso i cancelli divelti, ove gli Inglesi parata aveano non solo una salda linea difensiva, ma truci stratagemmi. La densa massa dei nemici colà costretti e fermati nel passo dai fanti e dai cavalieri difensori fu decimata dalle frecce degli archi lunghi, sugli spalti appostati, e soprattutto dalle micidiali colate di pece bollente che il presidio del cancello riversava loro adosso dall'alto delle caditoie.

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Diverse volte gli Aragonesi si ritirarono innanzi a quell'orrore di corpi ustionati e bruciati dalla pece infuocata e trafitti dai dardi che avea luogo sotto l'arco delle porte, e tutte le volte furono risospinti nuovamente all'attacco dagli ordini sbraitati, dalle minacce e dagli improperi dei propri capitani. Ma ogni volta erano molti meno nel numero et infine ne rimasero davvero pochi e quei pochi che rimaneano si diedero alla fuga, lasciandosi le armi e gli innumerevoli cadaveri dei propri compagni alle spalle.

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Soltanto trentatré di loro sopravvissero a quella giornata: la grande armata aragonese era disfatta, la superiorità del nemico in quelle terre spazzata via e la strada per Tolosa s'apriva nuovamente sgombra dinanzi all'avanzata del Re Plantageneto.

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Et il Re difatti avanzò. Giunto presso l'imponente castello di Tolosa, vi pose l'assedio e mandò esploratori in avanscoperta nelle regioni circostanti per aver informazioni circa le mosse del nemico. Essi lo informarono di lì a poco di come oltre il fiume, sulla cui sponda orientale sorgea la fortezza, era acquartierata una schiera aragonese di rilevanti dimensioni, e di come dai Pirenei, i quali divideano materialmente in due il Regno d'Aragona e ne individuavano le due compenenti francese et iberica, stessero discendendo altre forze.

Gli Inglesi arruolarono ad uopo un battaglione di rudi e forti lancieri mercenari, lo unirono ad uno di archi lunghi, et inviarono quelle forze oltre la Garonna, ove presero posizione nella fitta boscaglia che precedeva ad occidente i guadi di Tolosa. Loro compito, nel caso in cui le truppe aragonesi, poco più ad ovest stanziate, avessero tentato di passare i guadi et andare in soccorso dei difensori del castello, sarebbe stato quello di tender loro un'imboscata e sbarrargli il passo fintantoché Tolosa non venisse espugnata.


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Cosa che però i nemici non fecero, poiché preferirono rimanere ai loro posti et aspettare l'esercito del nobile Oriol Montcada, distante un paio di settimane di cammino.

E tuttavia le mosse del Re Enrico furono più rapide di quelle dei suoi nemici. Egli, non potendo permettersi il lusso di protrarre l'assedio per lungo tempo, ordinò che prontamente si parassero scale e torri et arieti, e, una volta terminati, che si desse immantinenti l'assalto alle mura, giacché i difensori erano di molto inferiori nel numero e non avrebbero saputo arginare l'attacco inglese. Neanche le mura del castello di Tolosa, che si stagliavano imponenti dall'altura sulle quali erano edificate, poteano infatti fermare le truppe del Re se non presidiate a dovere dalla guarnigione.


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Il castello era sotto l'autorità dell'aragonese Alfonso Montcada, il quale si profuse di persona nella difesa dell'insediamento, assieme ai suoi cavalieri et al suo nobile parente Domingo Montcada, che era riuscito ad ottenere che tra i ranghi della piccola guarnigione ci fossero anche alcune schiere dell'Ordine Templare. Ma tutti costoro erano comunque destinati a soccombere e furono falcidiati dagli arcieri inglesi, che erano riusciti a prendere possesso dei bastioni, e dai fanti del Re.

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Fu così che, nell'anno Domini 1181, Tolosa cadde nelle mani dell'Inghilterra e colà vennero saccheggiate ricchezze per 3.346 bisanti, et un altro duro colpo era inflitto ai nemici d'Aragona. L'iniziativa degli alleati iberico-germanici era andata scemando nel corso del conflitto, lasciando il campo alle iniziative degli Inglesi. Ma la guerra vicina non era ancora alla sua conclusione, ed altri sanguinosi giorni avrebbero infuriato selle terre d'Oltremanica.

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