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Seque qui il testo integrale, nelle parti note e rimaste, del manoscritto tardo-trecentesco Historia Anglorum Plantagenetarum Regum ("Storia dei Re Plantageneti d'Inghilterra"). Il testo, frammentato e mutilato di alcune sue porzioni, ci è pervenuto in tali condizioni a seguito dell'incendio che, il 30 marzo 1461, scoppiò nella cistercense Abbazia di Rievaulx, presso il villaggio inglese di Helmsley, alcune miglia a nord di York. Le truppe della Rosa Bianca, guidate da Edoardo IV, avevano sanguinosamente trionfato sulle forze dei Lancaster nella grande battaglia di Towton, avvenuta il giorno prima, e due reparti della cavalleria edoardiana avevano inseguito diversi fuggitivi che, nella loro rotta per cercare la salvezza al porto di Whitby, si erano rifugiati presso gli edifici dell'abbazia. Vicende mai chiarite del successivo scontro là avvenuto causarono un incendio che distrusse buona parte della biblioteca monastica e dei suoi preziosi volumi L'Historia Plantagenetarum, di cui finora non si sono mai ritrovate altre copie, fu mutilata dalle fiamme e dall'acqua e, solo grazie alla disperata opera dei monaci, che tentarono di mettere in salvo quanto più ruscirono di ciò che conteneva il loro scriptorium, la porzione restante poté salvarsi e giungere a conoscenza della contemporaneità.

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Sua Maestà Riccardo II, Re d'Inghilterra e d'Irlanda e di Francia, fa affidamento su di noi, Lord Alessandro Neville, Arcivescovo di York e Conte di Carlisle, affinché sia composta una cronaca che dia conto della storia del Regno a partire dall'ascesa della gloriosa sua casata dei Plantageneti. Sendo noi, nella nostra opra, guidati dalla più grande fede nella verità di Dio, la quale si dispiega ai nostri occhi attravrso il susseguirsi della Storia delle umane genti, et assistiti dall'industrioso et erudito aiuto dei monaci di tutti gli scriptoria della terra inglese, con grande disponibilità di testimonianze scritte et autentiche, sendo noi stati braccio fedele et accorto, al massimo delle nostre possibilità, al servizio del Sire nostro e del di lui padre, Sua Maestà Re Riccardo confida che saremo indi in grado di dare compiuta e fausta esecuzione ad un cotale ufficio. Ecco dunque, in queste pagine sarà nostro inesausto intento il riportare narrazione esatta degli accadimenti legati alla storia della Corona d'Inghilterra, dal tempo dell'ascesa del primo dei Plantageneti, Re Enrico II, sino al limitare dei giorni nostri. Lasciamo in primis a Sua Maestà et in secundis ai lettori tutti il giudizio circa il valore della nostra opra e la sua capacità di assolvere il compito affidatoci.

York, anno Domini 1386






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Enrico Plantageneto vide i propri natali il giorno quinto del mese di Marzo dell'anno Domini 1133, nella città angioina di Le Mans, generato dal seme di suo padre Goffredo il Bello, Conte d'Angiò e del Maine, e dal ventre di sua madre, l'Imperatrice Matilde. Egli era il primogenito della nobile famiglia del Conte Goffredo ed ebbe in sorte quali diletti fratelli minori Goffredo e Guglielmo, e quale fratellastro, per parte di padre, Hamelin, quarto figlio illegittimo di Goffredo. Il Conte d'Angiò era illo tempore detto Plantageneto, a cagion del fatto che egli era solito portare infilato nel proprio copricapo un piccolo ramo di ginestra, o planta genesta, donde deriva – come si puote ben intendere – il nome dell'intera dinastia reale. Un nome, questo, che di... [†]





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Nel mese di Dicembre dell'anno Domini 1135 spirava, per volontà di Dio, che decise di dare termine ai di lui giorni di senectute e di chiamarlo a Sé, il Re Enrico I. Tristi et accompagnati dalla malinconia erano stati gli ultimi anni del vecchio Sire, giacché niuno erede maschio e legittimo del suo proprio sangue era in vita per succedergli e con sé la linea diretta della regia casata del Conquistatore veniva ad estinguersi. E su codesti suoi neri pensieri circa il futuro del governo del regno, su tutti aveva gravato il dolore per la tragica perdita del suo prode figlio legittimo Guglielmo, che egli amava grandemente e che era morto quindici anni addietro.

Nell'anno di grazia 1120, infatti, il giorno vigesimo quinto di Novembre, la Nave Bianca naufragò e si inabbissò al largo delle tempestose coste di Barfleur, in Normandia, portando seco le vite di nobili principi e signori. Et alla testa di codesti giovani cavalieri d'Inghilterra v'era il valente figlio del Re, che perdette la vita, nel fulgore dei propri anni, assieme a tutti costoro, quando, impegnati in momenti di letizia per festeggiare degnamente il fruttuoso periodo che avevano trascorso in terra francese, furono ghermiti dalla triste Morte, che nera et inaspettata – la volontà di Dio è imperscrutabile – suole spezzare i cuori degli homini. I flutti accolsero, quel giorno, i vigorosi corpi di oltre trecento tra i più valenti e fulgidi giovani del Regno, oltre a quello del Principe Guglielmo. Et in codesto modo, non l'unica fu la linea dinastica del Re ad essere interrotta, bensì furono intaccate quelle di molti feudi e casate signorili, generando scompiglio e lutto generali.

Si racconta che da allora il Sire d'Inghilterra smise di sorridere e che per tutto il resto della sua vita niuno poté più vedere sulle sue labbra espressione di letizia.

E si racconta inoltre che, all'epoca, strani mormorii strisciarono per la Corte, mormorii i quali alludeano ad un'occulto complotto, ordito da una ristretta cerchia di grandi Baroni, che avevrebbero fatto sabotare la Nave Bianca per spezzare la forte discendenza della Corona et acquisire così maggior potere su un Trono indebolito. Se ciò corrisponde alla realtà e codesto invero era l'intento loro, allora – possiamo oggi dire in grazia di ciò che il Signore, attraverso il dispiegarsi della Storia, ci ha finora mostrato del destino che ha disposto per l'umane genti – i loro piani, se magari promettenti agli inizi, si rivelarono infine infruttuosi, et anzi si rivolsero contro gli stessi che li avevano elucubrati.

Il Re, dunque, perdette in quel nefasto evento il suo unico erede maschio legittimo, oltre che due suoi figli illegittimi, et a lui rimanea la sola Matilde, battezzata col nome di Adelaide, sua unica figlia legittima. Ma ella non potea succedergli, giacché al tempo era moglie del Sacro Romano Imperatore Enrico V. Il Re convolò dunque a nozze con Adeliza, figlia del Duca della Bassa Lorena, Goffredo di Lovanio, dalla quale sperava di ricevere un nuovo erede maschio. Ma l'unione si rivelò, negli anni successivi, infruttosa e niuno figlio diede al Sire.

E tuttavia l'Imperatore germanico morì nell'anno 1125 e Matilde, rimasta vedova et impedita nel conservare a sé le insegne e la dignità imperiali per poterle trasmettere ad un nuovo marito, accolse indi la richiesta del padre che le chiedeva di tornare in Inghilterra. Quivi il Re Enrico, potendo apprezzare il di lei fiero portamento et il temperamento capace e risoluto, e risolvendo che tali qualità poteano far di lei un valevole sovrano, la nominò sua diretta erede al trono d'Inghilterra; et era la prima volta nella storia del Regno, se non d'Europa, che una donna avea ad ereditare e cingere la corona. Per consolidare i di lei diritti di succesione, passati due anni, il Re – cosa di certo inusuale e mai avvenuta prima – convocò ad un concilio il cognato suo, Re Davide di Scozia, e tutti i più grandi signori delle terre inglesi, reggitori delle cose terrene come di quelle spirituali, compresi tra essi il suo primogenito illegittimo Roberto di Gloucester, e suo nipote Stefano di Blois. E da ognuno di loro egli pretese il giuramento che, alla sua morte, avrebbero riconosciuto et accettato Matilde quale loro Regina e ad ella avrebbero dato la loro fedeltà di sudditi, giuramento quello che quasi tutti i convenuti accondiscesero a giurare.

Il Sire Enrico dunque, concluse con insperato successo lunghe trattative diplomatiche con il signore dell'Angiò, da sempre fiero nemico delle patrie terre inglesi di Normandia, diede Matilde, che adusava portare ancora l'appellativo di Imperatrice, come fece per tutta la vita, in sposa al giovane Goffredo Plantageneto, Conte d'Angiò e del Maine. Il Re, lungimirantemente, andava in cotal modo a pacificare le terre inglesi d'Oltremanica e ad ingrandire i futuri feudi della Regno in Francia. Il matrimonio, tuttavia, non risultò affatto gradito a tanti tra i Lord che l'anno precedente aveano prestato il giuramento di lealtà, i quali già eo tempore avevano mal digerito il concilio e la faccenda della succesione di Matilde, e costoro disconobbero indi la propria solenne promessa. Essi furono però costretti dal Re a giurare nuovamente nell'anno 1131, dopo che alcuni nobili riottosi erano stati ricondotti all'ubbidienza con la forza delle armi.

Dall'unione di Matidle con Goffredo – come abbiamo già avuto modo di dire precedentemente – nacquero tre figli, sani e forti, il primo dei quali fu Enrico, venuto alla luce nel 1133. Quello stesso anno il Re si recò nelle terre di Normandia per far visita alla figlia e vedere il proprio nipote, da poco nato. Fu durante quel soggiorno che insorsero, tra il Sire da una parte e la figlia Matilde et il genero Goffredo dall'altra, dispute et incomprensioni accese, tutte vertenti su talune questioni circa i territori di alcuni feudi di cui ormai s'è persa memoria. Tali diatribe contribuirono a che tutti quei nobili d'Inghilterra che già non vedevano di buon occhio l'Imperatrice Matilde accrescessero nei loro animi l'astio verso l'erede del Regno. Et accadde proprio a quel tempo, mentre si trovava ancora Oltremanica, impegnato in codeste dispute, Re Enrico morisse per un morbo improvviso nella cittadina di Saint-Denis-le-Fermont, ove la Corte aveva momentaneamente preso sede, nel 1135. La linea diretta della Casa di Normandia e del Conquistatore si estinse con lui.






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Ordunque, sendo morto il Re Enrico I, subito i Baroni inglesi, ritenendosi impropriamente svincolati dai giuramenti che, quasi costretti, aveano prestato al Sire pochi anni addietro, convennero in concilio per discutere della succesione e risolvere a favore di uno dei candidati. Grande fu allora l'indignazione dell'Imperatrice, la quale a buon et iusto diritto reclamava come ella sola fosse la legittima erede al Trono d'Inghilterra, e per discendenza di sangue e per volontà di suo padre il Re e per il solenne giuramento che i Lord aveano, innanzi a Dio, giurato al Sire Enrico.

Nel frattempo, il cugino minore di Matilde, figlio terzogenito della sorella del Re Adele, Stefano di Blois, Conte di Mortain e Boulogne, che grande prestigio vantava in seno alla nobiltà inglese, raggiunse l'Inghilterra per perorare la propria candidatura. Egli fu accolto con grande entusiasmo e benevolenza presso Londra; e tuttavia il consesso dei nobili indugiava ancora, indeciso. Gli venne dunque in soccorso l'allora potentissimo Vescovo di Winchester, suo fratello minore Enrico di Blois, il quale, forte della ricchezza et influenza della Chiesa in Inghilterra, dei suoi stretti legami con il Santo Padre a Roma, e dell'amicizia con molti Baroni, convinse infine la nobiltà ad eleggere il Conte di Mortain Re d'Inghilterra. E nemmeno il ricorso che l'Imperatrice Matilde sottopose all'attenzione del Papa Innocenzo II, tentando di far valere la sua discendenza, la volontà del padre defunto et il giuramento, potè fermare l'ascesa al trono di Stefano, giacché il Sommo Pontefice finì per sostenere il Vescovo di Winchester nelle sue scelte. Fu così che Stefano, preferito dai Baroni per la sua indole mite, e "scelto e fatto Re" – come le voci d'allora presero a dire – dalla Chiesa e ad essa legato da vincolo di riconoscenza, venne incoronato il giorno vigesimo sesto del mese di Dicembre dell'anno Domini 1135 a Westminster.

Re Davide I di Scozia, zio dell'Imperatrice, si mosse allora per sostenere in armi le pretese di sua nipote et invase breve tempore le terre settentrionali di confine: il Cumberland e lo Yorkshire. Tuttavia egli finì per siglare un accordo di tregua e pace con il nuovo Re Stefano, accorso nel frattempo con le proprie truppe per respingere l'invasione. Così pure il potente fratellastro di Matilde, Roberto di Gloucester, il quale si era rifiutato inizialmente di riconoscere il Blois come sovrano, infine si accordò con Stefano.
Matilde era, in quel tempo, in attesa del suo figlio... [†]

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Il parziale fallimento della sua impresa in Normandia, durante la quale avea scontentato diversi Baroni et in particolar modo il nobile Roberto di Gloucester, costò caro al Re Stefano. Lord Roberto si riavvicinò infatti alla sorellastra Matilde e strinse alleanza con lei e suo marito, il Conte d'Angiò; pubblicamente egli disconobbe poi il Re e lo denunciò quale usurpatore del Trono. Unitosi con le sue schiere alle truppe di Davide I di Scozia che nuovamente marciava contro l'Inghilterra, fu però con questi duramente sconfitto presso Cowton Moor nella Battaglia dello Stendardo, da alcuni detta altresì Battaglia di Northallerton, e costretto alla fuga.

Re Stefano sedeva dunque ancora saldamente sul suo trono, forte della benevolenza dei Baroni che lo avevano insediato e, sopra ogni altra cosa, forte del decisivo sostegno di suo fratello, il Vescovo di Winchester Enrico, il quale, una volta innalzato dal Santo Padre alla ulteriore dignità di Legato Papale, era in grado di mobilitare come ritenea più opportuno la gran parte delle energie e delle sostanze della Chiesa in Inghilterra.

Fu indi – come a questo punto si puote ben intendere – un atto cieco e improvvido, nonché arrogante, quello che il Re compì nell'anno di graza 1139: cieco e improvvido giacché Stefano non sembrò avere – o non volle avere – piena consapevolezza di quanto il suo destino fosse legato alla benevolenza dei Vescovi, arrogante giacché, privo di codesta coscienza, con cotanti nemici et avversari che premevano di qua et insidiavano di là, tentò di sottomettere e ridurre il potere di quello stesso grande clero che era la base fondamentale per il suo proprio. Egli infatti fece imprigionare il Vescovo di Salisbury Ruggero, il quale rifiutava di consegnare il proprio castello alle schiere regie, e dopo la di lui morte, si appropriò di tutti i beni dell'Episcopato di Salisbury. Lo sconcerto e l'indignazione che tale atto suscitò in Inghilterra furono striscianti e provocarono l'ira e la condanna del potente Vescovo Enrico, che più di ogni altra cosa era sempre stato intento a perseguire, a modo proprio, il maggior bene per la Madre Chiesa. Cosicché il sostegno della comunità e dei nobili ecclesiastici prese a venir pesantemente meno.

L'Imperatrice Matilde, scaltramente, scelse proprio quel momento, che vedeva tra le altre cose anche la vittoria parziale di suo marito, il Conte Goffredo Plantageneto, sul Ducato di Normandia, per dar avvio alla sua offensiva in Britannia. Sbarcata sul suolo inglese alla testa di 140 cavalieri et accompagnata dal fratellastro Roberto di Gloucester, ella si congiunse con le forze di diversi nobili sollevatisi contro Stefano e, forte dei castelli e delle armi di codesti Lord suoi alleati, portò la guerra contro le forze del Re. Diversi furono i successi delle truppe dell'Imperatrice, particolarmente nell'Inghilterra occidentale, ma non sufficienti.

Trascorso che fu infatti un anno e più, la situazione era in stallo e niuna delle due fazioni riusciva ad avere ragione dell'altra. E la guerra imperversava, e continuava, in un irrequieto et, ad un tempo, immoto equilibrio; e le alleanze e le lealtà dei nobili, grandi Baroni o piccoli signori che fossero, cambiavano innumerevoli a seconda dei calcoli di convenienza e delle decisioni di ciascuno, e se Matilde, magari, perdeva l'amicizia di due Conti, che si volgevano a Stefano, a quest'ultimo finiva per venir di lì a poco a mancare quella di un Duca o di un grande Vescovo. Et in un modo siffatto la guerra si protrasse quasi sino al suo termine et il disordine era tale che le terre e le genti di molti dei feudi d'Inghilterra erano grandemente colpite e provate da codesta Anarchia.

Nell'anno di grazia 1141 l'esercito di Roberto di Gloucester, ormai gran generale dell'Imperatrice, diede battaglia a quello del Re nei pressi della città di Lincoln. Le due schiere pressappoco si eguagliavano per possa, entrambe contavano circa un migliaio di uomini, tra cavalieri e fanti, ma le forze di Lord Roberto ebbero la meglio e, nel culmine della battaglia, fecero prigioniero Stefano, le cui schiere si diedero alla fuga pochi momenti dopo la di lui cattura. Il Re fu indi incarcerato nel castello di Bristol, una delle roccaforti delle forze dell'Imperatrice. Colà egli giurò che avrebbe riconosciuto sua cugina Matilde quale legittima Regina d'Inghilterra e che si sarebbe poi ritirato in esilio nei suoi possedimenti francesi di Blois e di Boulogne.

L'Imperatrice dunque si diresse in marcia verso Winchester et alle porte della città, sulla strada, le venne incontro il potente Vescovo Enrico di Blois, il quale le rese omaggio e, ottenuta da lei assicurazione che la Chiesa avrebbe mantenuto piena libertà per quanto riguardava i propri affari sia spirituali che temporali, la riconobbe Domina Anglorum, Signora delle genti d'Inghilterra. Egli, indi, le aprì i cancelli di Winchester, ove pochi giorni dopo un concilio riunitosi nella grande cattedrale la salutò quale Regina d'Inghilterra.

Matilde giunse allora a Londra per essere finalmente incoronata nell'Abbazia di Westminster, le cui mura, da ben prima della venuta del Re Guglielmo il Conquistatore, erano solite vedere l'incoronazione e l'unzione di ogni sovrano d'Inghilterra. Tuttavia, prima che ella potesse essere incoronata, il suo diniego a riconoscere i privilegi della città di Londra, l'aperta ribellione della popolazione cittadina e l'avvicinarsi di un esercito guidato dalla moglie di Stefano, Matilde di Boulogne, la costrinsero a fuggire. Et il Vescovo di Winchester Enrico subito ritirò l'appoggio datole e riconobbe nuovamente il proprio fratello Stefano quale legittimo Re. Le schiere dell'Imperatrice cinsero dunque d'assedio Winchester per prenderne possesso e piegarne il Vescovo una volta per tutte. E fu proprio in occasione di quell'assedio che Lord Roberto fu fatto prigioniero dai soldati di Matilde di Boulogne, che aveano sorpreso gli assedianti con un attacco alle loro spalle.

La Domina Anglorum perdea così il più valente dei suoi fidi e di gran lunga il suo miglior generale, e, per riaverlo indietro, si vide costretta a scambiare la sua liberazione con quella di Stefano, scambio di prigionieri questo che in effetti avvenne. Stefano fece indi ritorno a Londra et il giorno di Natale fu per la seconda volta incoronato nella cattedrale di Canterbury. Egli riprese poi l'iniziativa e, una volta radunate le proprie schiere, attaccò le forze di Matilde: ben presto pose l'assedio al castello di Oxford, ove l'Imperatrice si era rifugiata. Fu solo in grazia di una fortunosa fuga, avvenuta calandosi dai ripidi bastioni della fortezza, che ella, assistita dalla Provvidenza, poté salvarsi dalla caduta del castello e dal cadere nelle mani del nemico Stefano. Sfuggita all'assedio dunque, la Domina si ritirò a Wallingford.

Non il ritorno dalla prigionia del valoroso Lord Roberto di Gloucester, che conducea seco altri 360 cavalieri, né l'arrivo del giovane figlio Enrico in Inghilterra, né persino la vittoria ultima del marito Goffredo Plantageneto sulla Normandia, di cui veniva ad assumere il titolo di Duca, valsero alla Domina la possibilità di far prevalere le sue sorti su quelle del Re Stefano. La guerra mossa dall'Imperatrice continuò, con grande scempio di vite e consumo di ricchezze e disordine nel Regno e sofferenza per le genti, sino all'anno 1147, quando Lord Roberto morì di malattia. L'Imperatrice, stanca e sfibrata nelle forze, sebbene il suo animo rimanesse saldo nei propositi et ardente nella volontà, si risolse a cedere i propri diritti al Trono d'Inghilterra in favore di suo figlio primogenito, Enrico Plantageneto, cui andava ora il dovere di sostenerne la pretesa, con la forza delle armi, nel conflitto contro Stefano. Ella attraversò la Manica e fece ritorno nei possedimenti francesi dei Plantageneti, ove risiedette e consigliò, dall'alto della sua esperienza e del suo acume nelle cose del potere secolare, il figlio Enrico, il quale mai rinunciò ad ascoltare le sagge parole di una sì grande consigliera, sia prima che dopo la sua ascesa al Trono, per la qual cosa gli fu da taluni dato il soprannome di Fitzempress, Figlio dell'Imperatrice.

Enrico Plantageneto dunque attese qualche tempo, trascorso il quale si... [†]

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Nell'anno Domini 1152, seguendo il saggio consiglio di sua madre, Enrico, già Duca di Normandia per volere di suo padre e, dopo la di lui morte improvvisa, ora anche Conte d'Angiò, sposò Eleonora d'Aquitania. Ella era sì già stata sposata con il Re di Francia Luigi VII, matrimonio che era poi stato dichiarato nullo dalla Chiesa, et aveva sì ben più anni del Plantageneto, ma era erede del ricco Ducato d'Aquitania e della Contea del Poitou e portava in dote al suo nuovo sposo proprio codesti diritti ereditari. Fu così che i possedimenti plantageneti in Francia si espansero ulteriormente e ciò rafforzò di molto la posizione di Enrico.

Re Stefano, nel frattempo, aveva cinto d'assedio il castello inglese di Wallingford, una delle roccaforti delle forze plantagenete, et il Duca Enrico era impossibilitato a soccorrerlo poiché intento a fermare l'invasione delle truppe francesi di Luigi VII, le quali marciavano contro la Normandia et alle quali si erano uniti il figlio del Re Stefano e Conte di Boulogne, Eustachio di Blois, et il fratello dello stesso Enrico, Goffredo d'Angiò. Tuttavia il Plantageneto, riuscito a sconfiggere la soldataglia francese e ad aver ragione della ribellione di suo fratello, sbarcò in Inghilterrà e soccorse Wallingford, ove sconfisse le truppe del Re e liberò i suoi alleati assediati, che aveano resistito con tenacia e lealtà per molti mesi.
[Modificato da ~ Cerbero ~ 09/12/2012 13:31]