00 26/11/2012 20:38
CAPITOLO I
PRIMA PARTE
11-18 Giugno 1155 d.C.


Il monastero di Kielce


18 Giugno 1155 d.C.

La contea di Kielce era un luogo del tutto nuovo agli occhi di Casimiro. I bassi altipiani erano ricorperti da ampi boschi di pini e betulle che si estendevano a vista d'occhio. Questi si alternavano a vaste pianure dall'erba fitta e alta. Mentre ne attraversava il sentiero, appena visibile anche per un occhio esperto, il ronzio incessante delle cavallette fra i prati stordiva la mente, costringendolo più volte a fermarsi per ritrovare la via.
Per lo più il paesaggio ricordava le pianure di Krakow, città in cui era nato e cresciuto, ma quello che lo affascinava era la totale assenza di costruzioni, uomini o donne che fossero. Era in viaggio da quasi due settimane ormai e aveva visto solo sporadicamente qualche piccola fattoria a ridosso di un ruscello o di un piccolo laghetto. Per la strada avevano incrociato un paio di carovane mercantili dirette a Sud, ma nulla più.
Fin da quando era nato, diciassette anni orsono, non si era mai allontanato così tanto da casa. Era solito partecipare fin da ragazzino alle battute di caccia e a passare anche diversi giorni nelle boscaglie limitrofe alla capitale, ma non credeva, tuttavia, che il regno di suo fratello fosse così vasto e incontaminato. Aveva studiato mappe e letto libri a proposito del Sacro Romano Impero, dell'Italia e della Terra Santa ma non si era mai fatto un'idea reale di quanto questi fossero estesi e lontani.

Alzò lo sguardo e si accorse di essere rimasto nuovamente indietro. Strinse i fianchi con gli speroni e lanciò Dzikan al galoppo per raggiungere il gruppo. Il suo era un purosangue, dalla costituzione robusta ma dalle linee snelle. Gli era stato regalato per il suo sedicesimo compleanno e da allora non vi era stato giorno in cui non lo avesse cavalcato. Lo esibiva come un trofeo, come se quello fosse il miglior cavallo che un uomo potesse desiderare. Ci era voluto un po' per riuscire a cavalcarlo con destrezza, ma ora si sentiva un tutt'uno con lo stallone.
Superò la lunga fila di cavalieri e raggiunse la testa del gruppo. Infine tiro le redini e si rimise al trotto al fianco di Boleslao. Lo guardò esitante e ne ammirò per un attimo il portamento. Era uomo alto e snello dai folti ricci biondo-rossastri, gli occhi chiari e dal viso puntellato di lentiggini. Si ergeva da vero nobile, fiero e incurante ma allo stesso tempo umile e degno.


Questi lo guardò sghignazzando, come se potesse leggergli nella mente, e prima che egli potesse aprir bocca gli disse con tono leggermente severo ma comprensivo: - Smettila di meravigliarti per ogni sasso o filo d'erba che vedi, non ho alcuna intenzione di aspettarti se ti perdi di nuovo. - Casimiro finse di non sentire, si strinse nelle esili spalle e replicò: - Quanto manca al monastero? -
Boleslao cambiò espressione, aveva sentito quella domanda almeno una decina di volte negli ultimi due giorni e non aveva intenzione di replicare alle lagne provocatorie di un giovane adolescente. Infine sospirò, lo fissò intensamente per un momento e rispose: - Entro sera saremo arrivati se affrettiamo il passo. - E poi aggiunse con tono di sfida: - E se me lo chiedi ancora una volta ti farai il resto della strada a piedi. -
Casimiro soffocò una risata, sapeva che la minaccia del fratello non era seria, avrebbe dovuto rincorrerlo per molte miglia prima di riuscire a disarcionarlo e in ogni caso non lo avrebbe mai fatto davanti agli uomini, per non risultare patetico. Inoltre erano di fretta. Quindi gli sorrise e fingendo sbadataggine e ribattè: - Si, scusami, solo che mi annoio e non mi accorgo del tempo che passa. -
Boleslao non aveva proprio la forza di continuare quell'inutile battibecco, scrutò il cielo con attenzione e infine si voltò verso il capitano Michal Groc, un cavaliere veterano che lo affiancava fin dai primi anni della guerra civile, ordinando con tono deciso: - Comanda agli uomini di affrettare il passo, Mieszko e Henryk ci stanno aspettando, dobbiamo arrivare prima del calar del sole. - Prontamente arrivò la risposta: - Si mio signore. -
L'ordine fu eseguito con un sordo suono di corno che riecheggiò in tutta la pianura.
Casimiro fu contento di accelerare, non sopportava quelle lunghe e noiose cavalcate, almeno cosi avrebbe sentito l'aria accarezzargli viso. Si tenne vicino a Boleslao ma non osò mai superarlo durante la corsa. I due non si rivolsero più parola, nemmeno quando venne dato il contrordine di decelerare per non stremare i cavalli.

Qualche ora più tardi la compagnia si era fermata per una sosta nei pressi di un torrente. I cavalli furono legati vicino alla sorgente affinchè potessero bere e rinvigorirsi. Boleslao aveva riunito gli ufficiali di grado maggiore e parlava animatamente. Non era il caso di disturbarlo.
Non sapeva cosa lo aspettasse quella sera o nei giorni seguenti, ma fantasticava su quello che sarebbe potuto succedere. Boleslao gli aveva solo ordinato di prepararsi per la partenza, definendo unicamente i dettagli riguardo la destinazione. Quello che sapeva per certo era che ogni Piast una volta compiuti i sedici anni doveva recarsi presso il monastero di Kielce, circa duecento miglia a nord dalla capitale, per trascorrervi due anni. Tuttavia Boleslao aveva menzionato una "sacra benedizione" a cui avrebbe dovuto partecipare e non sapeva in cosa consistesse esattamente.
Quello era il luogo in cui erano custodite le ceneri dei suoi avi nonché di suo padre, il quale era morto prima che lui nascesse. Anche le ceneri di sua madre, in seguito alle celebrazioni funebri svoltesi a Krakow undici anni prima, erano state portate li.
Non vedeva gli altri due suoi fratelli da allora, Henryk e Miszeko. Li ricordava a stento. Aveva sei anni quando sua madre Salomea morì e da allora ebbe solo il fratello Bolesalo come punto di riferimento. Quest'ultimo si investì ufficialmente del suo protettorato e si preoccupò affinché gli venissero insegnate le arti della scienza e della letteratura nonché le migliori tecniche di combattimento e le strategie da utilizzare in battaglia.
Per anni si era allenato con la giostra nel cortile del palazzo e aveva affinato le tecniche di utilizzo della spada grazie all'aiuto di validi maestri. Era da poco stato nominato cavaliere e Boleslao, anche se non lo ammetteva, era fiero di lui poiché aveva dimostrato in più di un'occasione di essere molto portato al comando. Prendeva le decisioni in fretta, valutando tutte le variabili in maniera lucida e consapevole. Non temeva il pericolo, anzi si poteva affermare che era un temerario. Non aveva tuttavia mai ucciso nessuno se non qualche cervo e alcuni capi di bestiame. Fremeva all'idea di poter un giorno uccidere un uomo. Si domandava quali emozioni avrebbe provato e come si sarebbe sentito. Il fratello aveva passate molte sere davanti al camino nel salone del palazzo a raccontargli delle eroiche gesta che avevano consentito la sua ascesa. Non vedeva l'ora di mettere in pratica tutti gli insegnamenti ricevuti. Lui era il principe di Polonia e voleva portare tale titolo con onore.


All'improvviso sentì il suo nome venir pronunciato a gran voce. Era Boleslao, lo stava cercando. Non si era nemmeno accorto di essersi allontanato dal resto degli uomini seguendo a ritroso la corrente del fiumiciattolo. Rispose scocciato indicando la sua posizione. Possibile che a volte dovesse essere ancora trattato come un ragazzino?
- Dove diavolo ti eri cacciato? - lo rimproverò Boleslao. Gli spinse quindi con forza la testa verso il basso e per poco Casimiro non perse l'equilibrio rischiando di finire a mollo. - Ahi, ma che fai?! Ci siamo appena fermati, stavo facendo due passi per sgranchirmi le gambe! - Ribattè infastidito per lo scappellotto Casimiro.
- Dobbiamo ripartire - rispose seccato Boleslao - Bisogna muoversi, non manca molto e fra poco sarà buio. -
- Perché tutta questa fretta? Secondo me potremmo anche accamparci qui e arrivare domani con calma. I cavalli sono spossati. - Contestò Casimiro mentre scrutava il fratello nell'attesa di restituirgli il favore.
- Smettila di argomentare questioni delle quali non hai completo controllo o conoscenza, dobbiamo arrivare stasera. - Disse solennemente Boleslao. Si fermò un attimo e poi riprese pensieroso: - La pioggia ci ha rallentato molto in questi giorni, saremmo dovuti essere al monastero l'altro ieri. -
- Proprio non capisco Bolly, perché proprio oggi? - "Bolly" era il suo modo di chiamare il fratello quando cercava di strappargli informazioni, per qualche motivo, che tutt'ora nemmeno lui capiva, spesso risultava essere la tattica vincente.
- Tanto vale che te lo dica. - Riprese Boleslao intenerito dal nomignolo. - Stasera c'è la luna piena e non possiamo perdere questa occasione. Ma adesso su muoviti, vai e raggiungi gli altri. -
- Va bene. Ah.. dimenticavo... - Con un gesto rapido colpì a mano aperta la nuca del fratello e prese a correre spedito. Boleslao sorrise mentre si massaggiava il collo. Non era proprio capace a farsi rispettare come avrebbe fatto un vero padre. Ma non gli importava, il loro rapporto era perfetto così com'era.
Casimiro non si diede più pace dopo le nuove rivelazioni. Adesso più che mai aveva fretta di raggiungere Kielce e andare incontro al suo destino. La luna piena. Perché era così importante? Aveva sentito storie strane in proposito, ascoltando avidamente nelle taverne i miti e le leggende narrati da vecchi marinai provenienti da lontano Nord. Non aveva mai visto il mare: se lo immaginava come un grande lago le cui sponde distanti fossero invisibili all'orizzonte; si diceva inoltre che fosse salato e che navi maestose venissero usate per solcarne le acque spumose. Tutti quei pensieri lo eccitarono, ma al tempo stesso si sentì po' intimorito. Raccolse dunque la sacca che aveva abbandonato sotto la chioma di un albero, accarezzò Dzikan dolcemente e si mise in sella.
La compagnia ripartì al galoppo lasciandosi alle spalle la pianura in una nube di polvere.
[Modificato da deemax87 04/12/2012 20:27]





"Chi in cento battaglie riporta cento vittorie, non è il più abile in assoluto; al contrario, chi non dà nemmeno battaglia, e sottomette le truppe dell’avversario, è il più abile in assoluto."
Cit. - Sun Tzu, L'arte della guerra