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CAPITOLO II
Buon sangue non mente


11 giugno 1155 d.C

Mieszko battè il calice di sidro di mele con forza sul tavolo e proruppe con una sonora risata. Non vedeva Henryk da un paio di anni e avevano molto di cui parlare. - E poi quando siamo entrati in quella chiesa, era li, dietro all'altare, a sbandierare che quella era la casa di Dio e che non poteva essere toccato! - continuò Henryk. Mieszko a malapena riusciva a stare in equilibrio sulla sedia ma aggiunse ridendo: - Hahaha si si mi ricordo, quel codardo...hahaha...si era pure fatto il segno della croce quando gli uomini lo hanno disarmato...hahaha. -
Parlavano di Ladislao, o meglio, "Ladislao II l'esiliato", il loro fratellastro.
Erano passati diversi anni ormai da quando erano saliti al potere in seguito al colpo di stato effettuato ai danni del fratello e ora ne ricordavano con il sorriso la cattura. Il discorso era nato del tutto involontariamente, ma adesso incalzavano di buona lena la conversazione con aneddoti a proposito della guerra civile che li aveva coinvolti.
Spodestare il fratello li aveva resi potenti e temuti e da allora tutto era cambiato. Ladislao era stato accompagnato fino ai confini del regno e fu abbandonato a se stesso con una riserva d'acqua, qualche provvista e un cavallo. Non fu ucciso in quanto aveva ancora diversi sostenitori, grazie ai vincoli matrimoniali dei figli, i quali avrebbero potuto appellasi al fratricidio come pretesto per rivendicare le terre da lui precedentemente possedute. Si mormorava che avesse chiesto asilo ad alcuni familiari in Boemia e che da allora vivesse li. In seguito aveva provato a riarmarsi e marciare su Krakow con l'appoggio dell'imperatore Corrado III, ma il tentativo fallì miseramente prima ancora di cominciare.
Infine il Papa aveva dato il suo assenso a favore del loro fratello maggiore, Boleslao IV, e nessuno osò più rimettere in questione l'argomento.
Non avevano più sue notizie da allora.


Henryk era contento di rivedere il fratello. Erano sempre stati molto uniti, fin dall'infanzia. La pensavano allo stesso modo su molte questioni, la politica anzitutto, e questo rendeva il loro legame ancora più intenso.
Mieszko era un uomo possente, dalla lunga barba grigiastra, gli occhi scuri e i lunghi capelli neri. Aveva preso dal padre, Boleslao III, ne era la copia perfetta. Coloro che avevano più confidenza lo chiamavano scherzosamente "niedźwiedź", ossia "l'orso".
Henryk invece era magro, dalla statura media, biondo e con gli occhi verdi. Portava dei baffetti curati accompagnati da una barbetta corta. Se li si confrontava attentamente non si assomigliavano per niente, a parte per quel naso importante, comune a tutti i Piast.
- Allora dimmi, cosa te ne parte del mio primogenito Odon? - Chiese con un velo di soddisfazione Mieszko.
Henryk scrutò nuovamente il ragazzo con attenzione e rispose: - Bhé, non lo vedevo da molti anni, è cresciuto molto da allora. Sembra sveglio e talentuoso, lo hai educato bene. Quanti anni ha adesso? Dodici? -
- Tredici! - Si affrettò a rispondere il piccolo Odon.
Uno schiaffo centrò la guancia destra del ragazzino il quale cadde dalla sedia e soffocò un gemito. - Nessuno ti ha dato il permesso di parlare! -
- Si padre. - Fu la risposta malinconica di Odon che si rimise al proprio posto senza lamentele riprendendo a sorseggiare la zuppa di cavoli e patate. Mieszko non era sempre così duro con il figlio, ma voleva dare la giusta impressione al fratello.
- Suvvia non c'è bisogno di malmenare il ragazzo, in fondo non ha fatto nulla di male. - Disse Henryk leggermente divertito per la scena.
- Si è intromesso - ribattè Mieszko - I ragazzi alla sua età non hanno il privilegio di partecipare ai discorsi degli adulti, gli avevo raccomandato di sedere e tacere. -
Mieszko si era portato appresso Odon nella lunga traversata che divideva Kielce da Gniezno. Avevano viaggiato per più di un mese, attraverso tutta la Grande Polonia. Henryk non era sicuro del perché il fratello avesse portato il figlio con sé, ma aspettava che questi si allontanasse per chiederglielo.

Finito il pasto Odon chiese il permesso di congedarsi e il padre acconsentì in fretta. Era un ragazzo schivo, a dispetto delle apparenze. Come il padre la sua corporatura era robusta, con occhi e capelli neri, ma doveva ancora crescere. Un leggero filo di barba soffice gli copriva il volto, ma osservandolo da alcuni metri sarebbe sembrato glabro. Uscì dal refettorio e si incamminò verso il chiostro del monastero. Passò velocemente sotto gli ampi porticati, che circondavano un piccolo giardino, al cui interno si innalzava un fontana. Al centro la statua di un angelo dai capelli ricci riversava l'acqua da una brocca nella conca sottostante.
Proseguì ed entrò in un grande salone. Erano arrivati quella mattina, ma non aveva ancora visitato la struttura in quanto il padre gli aveva ordinato di cacciare un po' di selvaggina insieme agli uomini. Non lo sopportava poiché impallidiva alla vista del sangue. Mieszko lo aveva notato e da allora lo costringeva sempre ad assistere i guardacaccia. Inoltre quando venivano catturati ladruncoli o vi erano impiccagioni lo accompagnava alle torture pubbliche e alle esecuzioni. Ciò nonostante il suo rigetto per la violenza non era cambiato. Avrebbe preferito giocare con i suoi coetanei nei boschi o fare il bagno nel fiume piuttosto che sorbire quelle atroci "lezioni".
Si affacciò all'uscio di una stanza nella quale alcuni monaci leggevano in silenzio. Era la biblioteca. La maggior parte di essi aveva la sua età ma gli era stato proibito parlare con gli altri bambini, novizi del monastero. Un monaco gli fece cenno di fare silenzio e passò oltre. Proseguì la visita annoiato arrivando alle scale che portavano verso i dormitori al secondo piano. Non salì immaginando ci fosse poco da vedere. Uscì nel piazzale e percorse il perimetro. Si ritrovò presto in un nuovo giardino sormontato da croci e lapidi. Era arrivato al cimitero, posizionato sul retro della costruzione, al cui centro si innalzava una piccola cappella. Il portone d'ingresso era di legno massiccio lavorato e diviso a quadrettoni. Osservò affascinato i disegni intagliati che rappresentavano alcune scene bibliche. Si guardò intorno e non vedendo nessuno entrò. All'interno grossi blocchi di pietra squadrata avevano la funzione di gelidi sedili e gli angoli della stanza erano sormontati da grandi statue. In fondo vi era un altare sul quale poggiavano alcuni candelabri con dei ceri accessi. L'atmosfera era alquanto mistica.
Percorse la lunghezza dell'edificio e notò appoggiato al lato, su di un leggio, un grande libro rivestito da una spessa copertina in cuoio. Grandi lettere erano incise al centro. Lesse l'iscrizione senza capirne il significato: "Reges Et Nobilis Regni Poloniae". Si rassicurò che nessuno lo stesse guardando e, incuriosito, aprì il volume con cautela. In verità non sapeva leggere molto bene, ma poteva, sforzandosi, capire qualche parola. Notò fin da subito un'alternanza di pagine minuziosamente scritte ad inchiostro a disegni curati e pittoreschi raffiguranti ritratti e città. Sfogliò il libro pagina per pagina ammirandone la fattura.
La sua attenzione cadde improvvisamente su una delle ultime pagine in cui vide, accanto ad altre, una figura molto assomigliante a suo padre. Cercò di leggere e stupito trovò poco più sotto il suo nome.


Sgranò gli occhi cercando di capire meglio di cosa si trattasse quando una voce ruppe il silenzio.
Odon rabbrividì. - Non potete stare qui signorino. - Disse la voce.
Odon si voltò e vide un monaco che lo guarava con aria seria ed interrogativa.
- Siete il figlio del Duca Mieszko Piast di Pomerania non è cosi? - Continuò il monaco.
- Si.. - mormorò Odon. - Dite a vostro padre che vorrei riceverlo, mi può trovare nello scriptorium. -
Odon annuì e corse fuori dalla cappella. A stento tratteneva le lacrime. Era appena arrivato e già si era messo nei guai. Suo padre l'avrebbe sicuramente punito. Quando si arrabbiava ne aveva una paura viscerale. Oltretutto in quei giorni era stato molto più severo del solito e si raccomandava con lui di continuo. Mentre correva senza una meta davanti a sé vide il bosco. Un'idea si concretizzò nella sua mente. Riprese a correre e sparì fra gli alberi.

- Allora dimmi.. - continuo Henryk - ..come mai nella lettera mi hai chiesto di anticipare di una settimana l'arrivo rispetto alla data scelta da Boleslao? -
- Volevo essere sicuro di poterti parlare in privato fratello, ho diverse questioni da sottoporre al tuo giudizio. - Rispose Mieszko asciugandosi con la manica la schiuma del sidro. Era l'occasione che Henryk desiderava per fare finalmente la domanda relativa al figlio.
- C'entra qualcosa con il piccolo Odon? So che ci tieni molto a lui e al suo futuro, perchè hai voluto rischiare la sua incolumità portandolo con te attraverso mezzo regno? Non so come sia la situazione da voi, ma a Plock dobbiam tener testa a molte compagnie di ribelli e briganti che arrivano da Est. Spero l'avevi messo in conto. Inoltre se mi permetti, conosci la tradizione: non avrebbe dovuto visitare questo luogo prima del suo sedicesimo compleanno. -
- Bah.. tu ti preoccupi troppo Henryk! Da quando sei tornato dalla crociata contro gli slavi vedi nemici ovunque. Perché, invece, non ti trovi una bella donna e non inizi a mettere su famiglia? Io ho già quattro figli, tutti maschi, se aspetti ancora un po' rischi di non avere eredi. -
- Sai come la penso su questo argomento... non cambiare discorso. Non mi hai risposto. Boleslao non sarà contento di vedere qui Odon. -
- Boleslao non sarà contento di molte cose fratello. -

Henryk aggrottò la fronte. Ne aveva avuto il sospetto ma voleva che fosse Mieszko ad iniziare l'argomento. Adesso poteva finalmente farsi dire esattamente cosa aveva in mente: - Sarebbe a dire? - riprese Henryk fingendo incuranza.
Mieszko fece un grande respiro e scelse con cura le parole per articolare la frase senza tralasciare alcun dettaglio: - Ho intenzione di chiedere a Boleslao di designare Odon come suo erede legittimo; voglio che questa luna venga benedetto davanti al sacro reliquiario al posto di nostro fratello Casimiro. Non vedo perché debba essere lui il prossimo erede della nostra casata. Siamo stati noi, io e te fratello, a creare tutto questo con il nostro sudore e il sangue dei nostri uomini. Mentre quel bamboccio ciucciava ancora il latte di nostra madre. Parliamoci chiaro, in famiglia quello che ha i maggiori diritti di successione sono io. Pertanto voglio che sia mio figlio a ereditare il trono. Immagino che tu capisca e condivida le motivazioni che mi spingono a fare queste dichiarazioni... - si fermò un istante cercando di leggere l'espressione del fratello dopodiché procedette trepidante: - Non è cosi Henryk? -
Henryk finse stupore ma i suoi sospetti avevano trovato conferma. Lo aveva capito appena aveva visto Odon in sella al pony arrivare quella mattina. Non poteva essere un caso che ci fosse anche lui, suo fratello doveva aver qualcosa in mente.
Fin da piccoli Mieszko si era dimostrato molto egoista e ambizioso. Durante la guerra civile aveva temuto per la vita di Boleslao, soprattutto nelle battaglie campali quando si erano trovati fianco a fianco a combattere contro Ladislao. Mieszko in più di un occasione era rimasto a fissarlo, sembrava che pregasse di vederlo morto da li a poco. Tuttavia non si era mai risparmiato per la causa del fratello dimostrandosi infine degno e leale. Adesso quindi che la guerra era finita e che le sue speranze di prendere il posto del padre defunto erano svanite, cercava di sistemare il figlio, era ovvio.
Boleslao a confronto era invece più mite e riflessivo. Ma non per questo meno capace. In fondo se adesso governava un terzo del regno il merito era suo. Era stato equo nella spartizione delle terre ed era riuscito a prevenire ulteriori attacchi da parte dell'Imperatore.
Se avesse dovuto scegliere, tuttavia, avrebbe sicuramente preferito Mieszko a Boleslao. Quando era al suo fianco sentiva uno strano senso di onnipotenza, e tale sensazione gli dava letteralmente alla testa.
- Spiegati meglio fratello, dimmi, qual'è il tuo piano? - insistette Henryk trattenendo un visibile entusiasmo.
- Boleslao a mio parere è si è rammollito in questi ultimi anni, ecco la verità. Lo ammetto è stato bravo a comandare la ribellione e a spodestare Ladislao, ma se ci pensi bene la vera mente è sempre stata nostra madre, Salomea. Fu lei a organizzare la diplomazia e a convincere Piotr Włostowic alla nostra causa e abbiamo vinto solo grazie questo. Ho riflettuto a lungo e credo sia arrivato il momento di riprenderci ciò che è nostro. I tempi sono maturi fratello. E non parlo solo di riconquistare l'intera Pomerania che è mia di diritto. Parlo di ricostruire il Grande Regno di nostro padre! -
Era vero, dopo la guerra civile il glorioso Regno di Polonia che aveva creato il padre e il nonno prima di lui, si era frantumato.
A Nord in Pomerania un'altra casata governava le terre. A Est avevano perso ogni tipo di controllo sui regni indipendenti mentre a Sud, in Boemia, c'era adesso Ladislao con i suoi parenti.
- E quindi, se io sostenessi la candidatura di tuo figlio, cosa otterrei in cambio? - Disse Henryk che ne frattempo si era alzato in piedi per l'agitazione.
- Un esercito da me stipendiato al tuo comando e il futuro consolato di Gdansk ti bastano? -
Henryk rise, difatto si trovava bene già così, a lui interessava l'onore non il potere; non poteva tuttavia negare che l'idea di annettere anche Gdansk alle sue terre, oltretutto senza spese, gli faceva davvero molta gola.
- Speriamo di far ragionare Boleslao allora. - Disse rimettendosi a sedere e sollevando il boccale.
- Non temere.. Boleslao ragionerà vedrai! - ribattè Mieszko con aria trionfante.
I due brindarono.

All'improvviso la porta si aprì di colpo. L'anziano abate a passo deciso varco la soglia e si diresse verso i due commensali. Fissò Mieszko severamente e disse: - Sir Mieszko, l'avevo mandata a chiamare da suo figlio, l'ho attesa tutto il pomeriggio nello scriptorium. Tengo a precisare che questa è la casa del Signore e qui la vostra autorità è nulla davanti a Dio. Potrebbe pertanto gentilmente seguirmi? Le devo parlare urgentemente. -
Mieszko arrossi dalla rabbia, Odon non era venuto ad avvisarlo e l'aveva messo in ridicolo davanti al fratello con cui aveva appena finito una conversazione vitale, nonchè davanti all'abate. - Questa me la paga - pensò. Si alzo velocemente e chiese scusa per l'attesa menzionando che il figlio non si era fatto vedere.
Uscì dalla stanza mentre Henryk ripensava soddisfatto a quello che era successo nelle ultime ore. Era andata meglio del previsto.


[Modificato da deemax87 09/12/2012 01:09]





"Chi in cento battaglie riporta cento vittorie, non è il più abile in assoluto; al contrario, chi non dà nemmeno battaglia, e sottomette le truppe dell’avversario, è il più abile in assoluto."
Cit. - Sun Tzu, L'arte della guerra