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Capitolo I
Un manoscritto bizantino




Malvasia, 10 ottobre 1157.

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Le trattative con l'Imperatore ed i suoi cortigiani erano state estenuanti. Ed al contrario di come aveva fatto il Basileus Manuele I Comneno, il Consigliere Vitale II Morosini-Michiel non aveva potuto affidare tutte le negoziazioni meno importanti e più tediose ai suoi burocrati, ma aveva dovuto seguire l'intero processo diplomatico di persona, per assicurarsi che tutto si svolgesse come auspicava il Doge. E come auspicava d'altronde anche il Consiglio, l'ormai secolare Consilium Sapientes, con cui il Doge doveva condividere i massimi poteri della Repubblica.

Non che non se l'aspettasse: i bizantini erano rinomati per la complessità della loro arte diplomatica. Ciò nonostante, aveva sperato che l'antico legame di amicizia ed i nuovi successi di Venezia (specie contro i pirati dell'Illiria, che costituivano una minaccia non solo per i traffici della Repubblica, ma anche per gli interessi della stessa Basileia) avrebbero disteso il clima e reso più facili le varie fasi della negoziazione. Invece aveva riscontrato la solita superba diffidenza da parte dei romei, venata inoltre da una nuova nota di rivalità e, forse, di risentimento. L'Impero, evidentemente, non aveva ancora del tutto digerito il nuovo ruolo di Venezia quale potenza marinara indipendente e prospera e quale potenziale rivale per il controllo delle terre balcaniche. Inoltre i romei si rendevano conto che la penetrazione commerciale veneziana aveva raggiunto livelli altissimi e che ai mercanti della Repubblica era stato concesso fin troppo, fin troppo essi erano riusciti ad ottenere per sé, e difficilmente ora Bisanzio poteva sperare di recuperare le prerogative commerciali cedute. Ma forse, più di tutto, i bizantini erano infastiditi dal fatto che la Repubblica poteva vantare un prestigio di fondamento storico capace forse di aspirare a rivaleggiare con il loro. Non era forse seppellito a Venezia il primo degli evangelisti di Cristo? Colui che guidato dallo Spirito Santo aveva vergato, in terra, per gli uomini, il celeste Verbo di Dio?

Ma i bizantini, quale che potesse essere la loro disposizione d'animo verso quella che era diventata una vecchia amica fin troppo ingombrante, restavano per loro stessa natura assuefatti alla raffinatezza ed alla complessità retorica della loro arte politica e diplomatica, ed intraprendere una negoziazione con loro, che si fosse amici od avversari, era sempre cosa faticosa; condurne una a buon fine, poi, era un cosa assai ardua. Non era infatti un caso che Costantinopoli fosse sopravvissuta alla caduta di Roma sino a quel giorno. Quello bizantino era un Impero in decadenza, i segni di cedimento si mostravano qua e là in tutti i suoi sconfinati territori, ma restava pur sempre una compagine vasta e potente, la cui forza risiedeva nell'aver custodito l'antica eredità romana e con la quale bisognava sempre approcciarsi con cautela e rispetto.

Quella primavera il Basileus s'era recato in visita nelle province greche e la Corte aveva preso momentaneamente dimora nel castello peloponnesiaco di Malvasia. Appresa la notizia di questo spostamento, il Doge aveva approfittato dell'occasione – la Corte bizantina, nella sua fastosa tana a Costantinopoli, infatti, poteva risultare assai più intimidente e scostante – ed aveva organizzato immediatamente quella spedizione diplomatica guidata dal suo congiunto il Consigliere, tra i tanti aristocratici veneziani quello, forse, più avvezzo agli usi romei. E Vitale non aveva deluso le aspettative, riuscendo a strappare all'Imperatore, dopo giorni e giorni di riti diplomatici e negoziati, un trattato che non solo rinnovava l'alleanza militare e commerciale tra Venezia e Bisanzio – ciò che più premeva al Consiglio –, ma che concedeva, inoltre, ai mercanti veneziani il monopolio dello sfruttamento dei preziosi traffici di seta e tappeti della Tessalonica, dell'Opsikion e dell'Optimaton – ciò che più importava invece alle ricche famiglie mercantili e patrizie.

La partenza della galeotte e di Vitale, che sarebbe ritornato a Venezia per portare le buone notizie al Doge, era prevista per l'indomani. Quel giorno, dunque, conclusi gli affari politici, Vitale s'era potuto concedere una visita di cortesia presso un ricco ed importante mercante bizantino, suo ospite e amico di lunga data, la cui accogliente villa sorgeva su una dolce altura a poche ore di cammino dalle mura del castello di Malvasia. Se la diplomazia e la politica dei bizantini erano sofisticate e raffinate, lo stesso poteva dirsi della loro ospitalità, e per tutta la giornata il Consigliere s'era goduto l'affabilità, l'opulenza e le cortesi maniere del suo ospite. Cose, queste, che stavano prendendo piede, con i naturali accorgimenti di una cultura che rimaneva italica e cattolica, anche nei costumi veneziani, assai influenzati dai modi orientali.

Scesa la sera, poco prima di rimontare in sella e tornare con la sua guardia al porto, Vitale era seduto nella bella stanza che il suo amico aveva adibito a studio e biblioteca, discorrendo con lui di storia e delle ultime novità politiche, nonché dei succulenti pettegolezzi che la Corte bizantina non smetteva mai di produrre. Aveva sempre avuto modo di apprezzare la grande cultura di cui erano custodi i bizantini, assaggi della quale gli erano spesso e volentieri stati dati proprio dal suo ricco – ed assai più giovane – amico mercante, che parlava correntemente, per le ragioni della propria attività, il veneziano. La lingua greca infatti, come per Vitale così anche per la maggior parte dei veneziani, s'era sempre rivelata un ostacolo di non poco conto.

Quella sera egli era però rimasto particolarmente colpito: il suo amico gli aveva raccontato la storia di una potenza di tanti secoli addietro, che aveva fatto del mare la propria vocazione, della cultura il proprio vanto, e che, all'apice della suo potere, aveva tentato un'impresa militare grandiosa. Un presentimento s'era insinuato in lui all'udire quegli eventi del passato ed egli non aveva fatto mistero al suo ospite di quanto quel racconto l'avesse colpito.

Al momento del congedo, Alessio – questo il nome del suo ricco amico bizantino – gli porse il manoscritto, rilegato in pelle scarlatta, dal quale aveva tratto la storia che gli aveva raccontato.

«Ecco, prendi» disse. «Un modesto dono per ricordarti negli anni a venire di questa piacevole visita e dei tuoi successi diplomatici presso il Basileus, amico mio».

Vitale ringraziò calorosamente l'amico Alessio, conscio del valore che, in un mondo in cui i libri erano cosa molto rara, quella copia manoscritta potesse avere, e, congedatosi, cavalcò alla volta delle sue navi, stringendo addosso quel piccolo tesoro letterario. Egli ancora non lo sapeva, sebbene lo presagisse vagamente in cuor suo, ma quel manoscritto avrebbe avuto un ruolo affatto trascurabile nel futuro della Repubblica di Venezia.

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[Modificato da ~ Cerbero ~ 22/10/2013 22:59]