Medieval Total War Italia

Colitvar il mar e la tera

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    RatMat
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    00 12/08/2013 14:13
    Feudal Full H\VH Venezia
    Ho iniziato questa campagna con la mia fazione preferita: venezia. Ho deciso di auotolimitarmi con la cavalleria pesante: due compagnie di comites domini per castello, tre per cittadella. E cmq non più di due unità per armata. Anche per quanto riguarda i comites ducis ho deciso di limitarne a due il numero massimo per armata. Passiamo ai trucchi: purtroppo non riesco a resistere alla tentazione di ricaricare qualche volta di troppo e uso il toggle_fow (solo una tantum per vedere cosa succede nel mondo) ed ho usato l'add_money tre o quattro volte, ma solo per rimborsarmi i 500 delle torri di avvistamento ai confini delle tre regioni originarie. Stop.
    Mi piace infilare citazioni, tratte soprattutto da Rat-Man, vediamo chi lo conosce...
    P.S. odio le faccine e tutte queste fastidiose animazioni qui sotto, perciò le metterò (forse) molto raramente



    La morte verrà all'improvviso
    avrà le tue labbra ed i tuoi occhi
    ti coprirà di un velo bianco
    addormentandosi al tuo fianco
    nell'ozio nel sonno in battaglia
    verrà senza darti avvisaglia
    la morte va a colpo sicuro
    non suona il corno nè il tamburo
    [...]
    Guerriero che in punta di lancia
    dal suolo d'oriente alla francia
    di stragi menasti gran vanto
    e tra i nemici il lutto e il pianto
    di fronte all'estrema nemica
    non vale coraggio o fatica
    non serve colpirla nel cuore
    perché la morte mai non muore
    non serve colpirla nel cuore
    perché la morte mai non muore
    "la morte" Faber


    cavalieri che in battaglia ignorate la paura
    stretta sia la vostra maglia
    ben temprata l'armatura
    al nemico che vi assalta
    siate presti a dar risposta
    perché dietro quelle mura vi si attende senza sosta
    "fila la lana" Faber
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    RatMat
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    00 12/08/2013 14:13
    Il Dandolo
    L’ansia mi prende alla gola, mi manca quasi il respiro, lo stomaco è diventato un grumo bollente e mi manda alla gola ondate acide.

    È il mio momento. L’ora che aspetto da quasi quattro anni è giunta, ho un’unica certezza: la mia vita è a una svolta. Mi chiamano sul palco, il professore mi presenta, le solite parole di circostanza: la mia collaboratrice migliore, ottima conosciuta da studentessa ne ho capito il potenziale da subito, appena ho saputo del ritrovamento, l’ho subito voluta con me e altre fesserie del genere. Poi il tono quasi cambia nel descrivermi indipendente e autonoma ma ancora inesperta e bisognosa di consigli, che però non sempre ascolta. Bastardo. Facile, così se quello che esporrò piacerà il bastardo ne avrà i meriti per avermi “guidata”, altrimenti, se il lavoro non sarà accettato se verranno considerate errate le conclusioni, lui se ne tirerà fuori affermando che è opera mia, che ho travisato i suoi suggerimenti. Un ottimo palliativo per l’ansia…

    Salgo sul piano rialzato del pulpito riservato agli espositori, lancio la presentazione con qualche difficoltà, quasi trema anche il mouse. Ora uscirà la mia voce stridula e balbettante. Invece no! Appena apro bocca e parlo tutto si scioglie e la voce esce sicura e forte, amplificata dal microfono.

    “Buongiorno a tutti, sono qui, oggi, a nome di tutto il team che ha operato gli scavi e dell’illustre professore Franciosi, che ci ha seguiti da vicino per tutti questi quattro anni e ci ha consigliato nei momenti di difficoltà, aiutandoci ad interpretare questa spinosa faccenda (peccato non vederlo in faccia ora).

    Prima di parlare del ritrovamento voglio fare un breve riassunto della vita di Enrico Dandolo, conosciuto negli ultimi anni di vita come “il conquistatore”. Nato nel 1107 non compare nella vita pubblica della Serenissima fino a quarantotto anni, si sa solo che ha stretto legami con la famiglia dei Casolo e una stretta amicizia con Vitale II Morosini-Michiel, figlio del doge Domenico Morosini-Michiel. Alla soglia dei quarantotto anni, nel 1155, si sposta da Zara a Venezia dove compie la prima prodezza: un accorato discorso sul ruolo della Serenissima nello scacchiere italiano, sul fatto che per poter coltivare il mare bisogna avere un solido entroterra. Entroterra che identifica con la penisola italiana. Poi comincia a descrivere la situazione di Verona, città in mano ad un duca tedesco del Baden che l’ha abbandonata alla famiglia Ottocara, quindi in un momento di debolezza. Questo discorso, di cui si sono perse le parole precise ed esitono migliaia di versioni, manda in fermento la città: si costituiscono spontaneamente circa dieci compagnie di volontari, armati di lancia e scudo, a cui si vanno ad aggiungere la guardia personale di Enrico e le due compagnie di sergenti a cavallo della sua scorta. Si sposta sull’entroterra dove riesce a convincere molti proprietari terrieri ad unirsi a lui, così il suo esercito guadagna altre due compagnie di lancieri con scudo pavese e cotta di maglia. Prima di dirigersi verso Verona riceve altri rinforzi: quattro compagnie di cacciatori armati d’arco e due della classe dei bellatores: una di lancieri e una di fanteria leggera armata di mazze ed asce. A questo punto muove verso Verona e, nell’inverno del 1157, la assalta. Lasciati tre compagnie comunali di scorta all’accampamento assalta la fortezza dalla porta est: le milizie utilizzando l’ariete sfondano il portone mentre le truppe dei più pesanti assaltano le mura. Subito si accende la mischia tra i sergenti veronesi ed i soldati veneziani sulle mura. Sotto l’arco della porta, sui resti dei cancelli divelti dall’ariete le milizie devono vincere la resistenza dei milites. Alla fine l’intervento dei comites ducis di Enrico permette lo sfondamento e l’esercito dilaga in città. Verona è conquistata, solo il quindici percento, circa, dei soldati veneziani è perita, contro quasi il trenta dei veronesi. Il conte di Verona si batte coraggiosamente ma la sua guardia viene sopraffatta da quella di Enrico e perisce in combattimento. Enrico impedisce il saccheggio, si arroga il titolo di conte di Verona e da subito ordine di ricostruire le strutture danneggiate dai combattimenti.

    Ricevuti rinforzi da Pola e da Venezia si sposta a sud dove conquista Bologna, anche qui con poche perdite, nel 1158 che lascia al figlio Marino.

    Nel 1158 muore l’anziano doge Domenico Morosini-Michiel e sale al dogado il figlio, Vitale II Morosini-Michiel che cede a Giovanni Dandolo il titolo di marchese d’Istria. Questo fatto ci fa capire il grande ascendente di Enrico sul neo eletto doge che non si opporrà più in futuro ad alcuna iniziativa di Enrico che diverrà doge nei fatti ma non nel nome. Due anni dopo,nel 1160, assieme al marito della figlia Maria, tale Gustavo Finiza assedia e prende Ancona. Questa battaglia è particolare perché è la prima dove partecipano le guardie di palazzo veneziane, quei famosi fanti de tera, creati da Enrico: obbliga tutti i cittadini con un certo reddito a fornire servizio per cinque anni in questa unità. E qui arriva il colpo di genio: se un cittadino non vuole essere arruolato deve fornire un sostituto per dieci anni e questo deve avere certe caratteristiche fisiche ed essere stato addestrato alle armi per almeno sei mesi prima dell’arruolamento. Questo crea un movimento di robusti contadini verso Venezia che, addestrati prima dai ricchi patrizi e poi nelle caserme, si rivelano essere soldati terribilmente efficienti. L’armamento di queste guardie comprende armature di robusta cotta di maglia rinforzate con le prime piastre ed un letale martello da guerra: una testa di martello opposta ad un picco da penetrazione consente al fante di abbattere qualsiasi armatura. Lasciata Ancona a Finiza attraversa il mare Adriatico e conquista nel 1161 Ragusa. Il figlio del doge, Marino Morosini-Michiel viene lasciato a comandare la città, mentre Enrico ritorna in Italia e nel 1163 prende Firenze che lascia al comando del figlio Renier. In soli sette anni ha quasi triplicato i territori di Venezia. In quei sette anni conclude anche due alleanze importanti: con il regno magiaro, mettendo al sicuro i confini orientali e con i normanni. Queste due mosse fanno però precipitare le relazioni con l’impero bizantino che, nel 1171, espelle tutti i cittadini veneziani da Costantinopoli, usando come scusa l’incendio del quartire genovese di Galata.

    Intanto Enrico Dandolo prepara la guerra. Pisa si è espansa in un modo preoccupante: ha occupato Corsica e Sardegna e si è spinta fino ad Asti, dopo aver preso Genova. Il prossimo passo potrebbe essere Milano, che sembra essere in difficoltà potrebbe cedere ai pisani creando una situazione difficile per Venezia. L’esercito è però parecchio cambiato: ora è costituito da sei compagnie di targhieri, quattro di uomini d’arme di nobile origine, due a cavallo e due appiedate, due compagnie di fanti de terra, tre di balestrieri pavesi e quattro di lancieri pesanti con scudo tondo (che verrano più tardi definiti lancieri italici) più i comites duci di Enrico
    [Modificato da RatMat 12/08/2013 14:20]



    La morte verrà all'improvviso
    avrà le tue labbra ed i tuoi occhi
    ti coprirà di un velo bianco
    addormentandosi al tuo fianco
    nell'ozio nel sonno in battaglia
    verrà senza darti avvisaglia
    la morte va a colpo sicuro
    non suona il corno nè il tamburo
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    perché la morte mai non muore
    "la morte" Faber


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    00 07/09/2013 19:06
    Si è passato perciò a un esercito semi-professionale, flessibile ed in grado di affrontare sia battaglie campali che assedi.

    Finora nessuna reazione, anzi tutti annoiati dalla storia che conoscono già a memoria. Però devo procedere così, anzi, è meglio così, voglio che il diario li trovi del tutto impreparati, voglio vederli saltare sulle sedie.

    Nonostante il parere del doge di cedere Verona ai milanesi per chiudere una alleanza e muovere contro Pisa, Enrico nel 1165 marcia a sorpresa su Milano prendendola d’assedio. La reazione tarda quasi quattro mesi ma è massiccia e ben organizzata: due armate controllate dal console di Milano, Jacopo dalla Torre, muovono a tenaglia contro l’armata di Enrico, costretto a fuggire verso Verona. Il console si trincera a Milano con una delle due, l’altra lo segue e si attesta tra l’Adige e il Po, per impedire al Dandolo di soccorrere Bologna, posta sotto assedio da un terza armata. A questo punto abbiamo la svolta: Enrico attacca e distrugge Vicenza l’armata, mentre il figlio Renier con una serie di sortite erode lentamente l’esercito assediante fino a distruggerlo completamente.

    La battaglia di Vicenza è la prima battaglia campale in cui l’esercito veneziano assume lo schieramento che sarà poi ripetuto negli anni successivi: i targhieri schierati in prima linea compatti a formare un muro di scudi, i balestrieri alle spalle e più dietro i fanti pesanti, nobili e ”di tera”, e sulle ali i lancieri pesanti per intercettare eventuali aggiramenti. In questa battaglia la vera differenza è pero fatta dalla mancanza di cavalleria dell’armata milanese.

    Enrico Dandolo, a questo punto marcia a tappe forzate verso Milano e, in sei mesi, dopo aver sconfitto alcune roccaforti minori, assedia Milano. Il console ha fatto però in tempo ad uscire dalla città dove ha lasciato truppe miliziane, lancieri e balestrieri, e mercenari: lancieri, balestrieri e due compagnie di cavalieri altamente corazzati, ingaggiati nel sitema che verrà poi chiamato “delle condotte”. Alla guida di queste truppe c’è il signore di Milano: Ottone Visconti.
    Nel primo autunno del 1167 Enrico Dandolo si trova, assieme a Giovanni Polani, ad assediare Milano quando l’armata del console e quella di Ottone, uscita dalla città per l’occasione, lo attaccano quasi in contemporanea. L’esito della battaglia arride ai veneziani e fa guadagnare ad Enrico il titolo di conquistatore. Nello stesso inverno assalta e prende Lugano, ceduta poi al sacro romano impero per suggellare l’alleanza. Della guerra veneto-milanese stupisce soprattutto la restia dei nobili milanesi ad aggiungere le proprie forze a quelle comunali che nulla hanno potuto contro l’esercito veneziano, meglio preparato ed equipaggiato.

    Enrico muore all’età di 61 anni, nell’inverno del 1168 a Lugano, a seguito delle gravi ferite riportate nell’assedio. Le sue spoglie si trovano ancora a San Marco.

    La storia di Enrico Dandolo è legata in maniera stretta a quella di una famiglia veneziana di umili origini: i La Roccia. Questa famiglia è conosciuta solo da poche citazioni negli atti, ma ora ne abbiamo trovato la vecchia residenza con le tombe di famiglia. Infatti una frana nel 1750 ha seppellito i ruderi del paesino di Boro, sui colli veronesi. Il primo ad emigrare in Italia è un mercenario tedesco: Boda Valker. Si stabilisce a Boro, un paesino nella campagna veneta dove sposa una donna veneziana, di cui si conosce solo la morte, perita in un incendio. Da questa ha due figli Janus e Joba che vengono addestrati dal padre nell’uso delle armi. Questi vivono col padre finchè, a seguito di una screzio, Janus uccide Joba. Janus scappa dal padre e viene reclutato da un nobile come guardia del corpo e raggiunge Venezia. Qui conosce il giovanissimo Enrico Dandolo e ne entra al servizio come guardia del corpo. A Venezia conosce una prostituta di origini orientali, Kalissa, con la quale ha un unico figlio: Ezio. Italianizzato il cognome in La Roccia (forse passando per La Ker e La Rek, storpiature del suo cognome tedesco), il figlio, entra nel 1155 al servizio di Enrico a seguito della scomparsa del padre, che lo aveva addestrato alle armi.
    [Modificato da RatMat 07/09/2013 19:08]



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    RatMat
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    00 13/09/2013 11:17
    Giugno 1154

    La piccola barchetta ci lascia al molo di un’imponente residenza signorile, ricca di raffinate sculture e di mosaici. Tra tutte queste decorazioni una spicca in modo particolare: lo stemma della potente famiglia dei Dandolo. Ho ormai venticinque anni, ho combattuto i pirati in Dalmazia sotto le insegne dei Polani, ho scortato per tutti i Balcani esponenti degli Ziani e dei Mastropietro, il mio corpo porta un ricordo di ognuna di quelle campagne ma il senso di minaccia non è mai stato tanto forte quanto qui. I racconti di mio padre arrivano tutti alla memoria, ha servito per più di vent’anni Enrico Dandolo come agente per lavori “bagnati”, e so di come abbia legato a sé la famiglia dei Casolo, dei modi in cui ha fatto sparire chiunque ostacolasse la sua azione sotterranea di potere all’interno della repubblica. Oramai quello che tutti indicano essere il prossimo doge, Vitale II Morosini-Michiel, è poco più di un semplice burattino nelle mani di Enrico. L’unico ostacolo a questa influenza, l’unico che non sia riuscito a eliminare, è l’attuale doge: Domenico Morosini-Michiel oramai vecchio e stanco.

    Appena entriamo, io e mio padre veniamo attentamente perquisiti e spogliati di tutte le armi. Veniamo condotti per tutta la reggia, attraversando l’atrio e vari saloni, fino a raggiungere questa specie di sala del trono. In fondo ad una specie di navata da chiesa si trova una piattaforma, ricoperta di tappeti di pregevole fattura, su cui è posizionato un trono maestoso. I braccioli laterali sono formati da due leoni alati dorati, in mezzo allo schienale campeggia lo stemma bianco rosso dei Dandolo in marmo e diaspro. A rovinare tutto l’effetto è questo omuncolo grassottello, con un muso di topo su cui si legge una smisurata arroganza, un senso di superiorità nei confronti di chiunque abbia davanti che si percepisce a distanza. Mentre ci avviciniamo noto l’unica caratteristica positiva dell’aspetto di Enrico, gli occhi: vigili ed attenti a qualsiasi movimento e particolare, vi si legge una grandissima intelligenza.
    Mio padre mi fa segno di inginocchiarmi e di porgere omaggio, cosa che faccio immediatamente. Lui no. Guarda dritto in faccia il Dandolo e senza alcuna formula di rispetto o di riverenza comincia a parlare:<> Il Dandolo si rabbuia in volto ma non dice niente, osserva solamente mio padre. <>. Il Dandolo non parla ancora, annuisce solo lentamente. <>.

    Enrico sogghigna lentamente e quando parla esce una voce incredibilmente forte e decisa, che mai mi sarei aspettato potesse uscire da quella bocca piccola e carnosa, quasi da donna. <>. L’unica risposta che da mio padre è il sibilo dell’acciaio della sua corta daga che esce dal fodero. Io resto paralizzato ad osservare mio padre che salta indietro mentre tre bolzoni di balestra si piantano dov’era fino ad un secondo prima. Poi sento una forte botta e un dolore acuto ed improvviso alla spalla sinistra e cado per terra. Vedo il bolzone deviato dalla cotta di maglia sbattere per terra sporco di sangue, del mio sangue. Mi giro e vedo le tre guardie all’entrata della sala convergere verso mio padre. La prima inchioda all’improvviso, si piega in due e vomita una boccata di sangue, la trachea ed almeno una carotide tranciata di netto dal pugnale da lancio. La guardia dietro non riesce a frenare lo slancio ed impatta duramente contro la prima che viene sbattuta contro una colonna cade per terra e comincia a contorcersi sempre più debolmente. La terza guardia lancia un ampio fendete verticale, diretto alla testa di mio padre. Lui alza rapidissimo la daga, sovrappone le mani sull’impugnatura e devia verso destra il colpo che colpisce il pavimento. Sfruttando lo sbilanciamento dato dalla violenza dell’impatto, fa scivolare la daga verso il basso, con la punta verso il pavimento e poi, rapidissimo si gira di spalle, urta il petto della guardia con la spalla sinistra mentre la daga risale verso l’addome della guardia, trancia la cotta di maglia e raggiunge rapidamente il cuore.

    Mio padre estrae la spada e si gira verso l’unica guardia rimasta, ancora sbilanciata dall’impatto e con un calcio colpisce violentemente il ginocchio che si piega all’interno eseguendo un angolo del tutto innaturale. L’urlo di dolore della guardia è interrotto dall’impatto del pomo della daga sull’elmo che la stordisce. Dal primo lancio dei bolzoni non sono passati più di venti secondi. Mio padre infila il portone e scompare all’esterno, mentre altri tre bolzoni saettano sulla sua scia.

    Enrico si è alzato in piedi, quasi incredulo alla vista di questo massacro, poi si risiede e comincia a parlare tra sé: <>. Poi si gira verso di me e mi osserva a lungo. Si gira verso una porta laterale e chiama un servo. << Portatelo da un cerusico e dategli armatura, armi e la tunica con le mie insegne. Poi portale negli alloggiamenti dei comites, è una nuova recluta.>>

    Mentre mi portano dal medico mi trovo a riflettere sulla mia situazione ed ho la certezza che non rivedrò mai più mio padre e che il filo che tiene la spada sulla mia testa si sia improvvisamente assottigliato…
    [Modificato da RatMat 13/09/2013 11:20]



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    .Dedo.
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    Cavaliere
    00 13/09/2013 13:01
    bella! ma non ho capito l'ultimo capitolo [SM=g27982]
    ----------------------------------------------------
    FORZA JULES! SONO CON TE!

    "What is it that makes a great soldier? Is it his brain or his heart?" SSG Matt Baker

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    Lord Spif
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    Scudiero
    00 14/09/2013 04:15
    Per ora ho notato solo i vari nomi tipo di franciosi(professore? Ma non era capitano? [SM=g27964] ) e janus joba...e ovviamente il nostro eroe la roccia debor...ezio [SM=g27964] ma nulla piu....attendo con ansia i prossimi capitoli [SM=x1140428]
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    RatMat
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    00 14/09/2013 20:27
    L'AAr procederà molto lentamente, in quanto credo mi fermerò verso il 1207, anno più, anno meno. più che un racconto di una campagna è il racconto legato alla MIA storia di Enrico Dandolo e di La Roccia. Io col gioco sono già al 1210 (più o meno) ma ho tutti gli appunti dei fatti salienti di quegli anni...
    @ lord Spif. Lo so, Franciosi è un caporale (non un capitano, ho appena controllato, eh eh) ma il dottor Gambanelli mi è venuto in mente troppo tardi! Anche il protagonista, l'ho chiamato Ezio a caso, dopo mi sono venuti i nomi di Bolo, Giuda e tanti altri sicuramente più adatti



    Agosto 1154

    Devo ringraziare mio padre… Dopo solo due mesi di addestramento faccio ufficialmente parte dei comites di Enrico Dandolo. Quel vecchio ha così poco prestigio personale da avere tra i suoi comites, una quarantina, più di 30 mercenari. Nessun nobile che si rispetti vorrebbe entrare tra i suoi comites o permettere che il figlio venga addestrato da questo fumoso personaggio.

    Sto cominciando a capire, però, che potrebbe essere una scelta giusta: sono tutti mercenari “onesti” e abilissimi combattenti, gente che preso un contratto lo scioglierebbe solo ed esclusivamente se venisse a mancare la paga, mai per una paga maggiore. E c’è da dire che il Dandolo è ricchissimo e paga bene, molto bene. Ma soprattutto sono ben disciplinati, non rincorrono la gloria, vogliono solo onorare le loro promesse e restare in vita.

    C'è un nobile, un certo Arcibaldo anche lui si chiama La Roccia, per questo ormai io sono diventato per tutti il La Roccia de Boro.
    Ho cominciato a legare con tre mercenari greci: Safelios, abilissimo con la lancia ma monotono e ripetitivo come pochi, Tantaleo, forzuto e molto irascibile, e Karkas, forte come un dio, intelligente come un’anfora. Sono sempre accompagnati da un servitore gracile e stentato che sta in piedi solo perché soffia il vento, Skrotos. Invece Aldo, un mercenario italiano con una maschera d’argento, si dice per coprire il volto sfigurato dalla lebbra, sta sempre sulle sue. L’unico che lo avvicina è il suo servitore, Giuda, e comunica solo attraverso lui. Peccato parli in un modo orribile, storpia tutto il veneziano. I più pericolosi sono senza ombra di dubbio i due gemelli inglesi: Brick e Marv, due bestioni assetati di sangue, violenti e crudeli. Credo si controllino solo grazie a Danny Ross, si dice gli abbia salvato più volte la vita. Poi ci sono tanti altri, tutti legati in un modo strano e particolare… Non l’avevo mai sperimentato prima, sembra quasi si sentano una famiglia…

    Giugno 1155

    Dopo due anni passati in Istria ed in Dalmazia a girare come trottole tra esponenti di almeno venti famiglie diverse, incontrate in luoghi sperduti, credo per evitare che gli incontri raggiungano le orecchie del Doge, forse qualcosa si muove…
    Siamo tutti qui, a Venezia, con la cotta di maglia il gambeson e le sopravvesti di lana, la spada al fianco e lo scudo sulle spalle, a fare da anello protettivo al Dandolo ed a crepare di caldo. Il sudore ruscella lungo la schiena mentre le mosche cercano di entrare in ogni anfratto, si muove appena un refolo di vento, quel tanto necessario a portare il puzzo di pece del porto e quello acido e rivoltante dell'urina usate nelle concerie.
    Alla tortura del caldo si aggiunge quella di Enrico Dandolo: ha appena iniziato un discorso, da una specie di tribuna che sembra quasi un balcone senza casa, blateranti farneticazioni sulla necessità di prendere decisioni irrevocabili, si rivolge ai cittadini veneziani, chiamandoli combattenti di terra e di mare, e spiega loro la complicata situazione di Verona, formalmente tedesca ma tenuta dagli Ottocari, discorsi sulla difficoltà di coltivare il mare senza la terra.
    Solo parole buttate fuori da un folle, roso fino al midollo dall’ambizione. Più lo conosco e più capisco che la sua voce è così potente e stentorea solo perché è così pieno di sé che non riesce a tenere dentro nemmeno il fiato per parlare. I due gemelli inglesi e Danny Ross hanno una nuovissima corazza, una cotta di maglia con delle piastre per rinforzare le zone più deboli, e sopra una sopravveste di seta. Stanno davanti ad un banchetto, a prendere le firme dei volontari che vogliono unirsi al Dandolo nella presa di Verona. Si impegnano ad armarsi di lancia, scudo e corazza di cuoio…

    A vederli da fuori uno potrebbe quasi credere che sono davvero volontari, che la forza e la passione del discorso del nobile li stanno convincendo ad arruolarsi. Peccato che dietro la fila, nei vicoli e nei canali di tutta Venezia, i bellatores, i sergenti ed i lancieri mandati da Vitale II stiano prelevando a forza i “volontari” per portarli a forza ad arruolarsi…

    Novembre 1156

    Sono passati mesi dal discorso in piazza ed ancora stiamo battendo la campagna a cercare altri rinforzi. Dopo le cinque compagnie comunali arrivate da Pola non si vedono soldati in arrivo. Tutto è fermo, l’unico movimento è nella tenda del Dandolo: una marea di messaggeri fa continua spola tra l’accampamento e la campagna veronese, spesso scortate banditi, ladri ed assassini, tutti a libro paga dei Casolo, i grandi alleati del Dandolo

    Maggio 1157

    Finalmente ci siamo. Nel gennaio del 1157, ricevuto due compagnie di targhieri come rinforzi Enrico ha marciato contro Verona. Durante il tragitto incredibilmente non incontriamo nessuna resistenza, anche i nobili veronesi più potenti si stanno accontentando di chiudersi nei loro castelli e vederci sfilare, i signorotti più deboli, invece, ci hanno aperto le porte delle loro case fortificate, ci hanno riempito di promesse e di bugie, ma neanche un soldato. Nonostante i consigli di prudenza il Dandolo li ignora, non vuole lasciare aperta una via di fuga. Se verrà sconfitto nessuno di noi vedrà nemmeno da lontano i confini della repubblica, siamo poveri cittadini e mercenari, a parte Enrico, nessuno di noi vale un riscatto.

    Stiamo preparando le opere e gli accampamenti per assediare Verona. Mario Casolo è appena rientrato da una missione a Verona: riferisce che la città è sguarnita, difesa solo dai comites del conte di Verona, da circa un centinaio di nobili minori e dai loro servienti e da un gruppo di arcieri contadini e cacciatori.
    Nonostante tutto Enrico lo rispedisce a perdersi chissà dove e tentenna…

    Luglio 1157

    Ormai abbiamo costruito due arieti, varie scale e due torri d’assedio, ma Enrico ancora non muove. I soldati cominciano ad essere sfiduciati ed all’orizzonte compaiono sempre più spesso gruppi di cavalieri corazzati, che osservano e spariscono ogni volta più tardi…
    Enrico sembra impazzito, ogni giorno schiera gli uomini ed ogni volta dopo un paio d'orette li manda a dormire, non si respira più, la tensione è quasi insopportabile, comincia anche a scarseggiare il cibo e nell'accampamento cominciano le prime risse. O attacca o dovrà tornare a Venezia.
    È ora! Ieri notte è rientrato Mario Casolo ed Enrico, dopo aver speso più di seicento bisanti per mantenere l’esercito in territorio straniero, comunica ai capitani chi il giorno dopo avrà luogo l'attacco. e sarà alla porta est, il lato più stretto. Stupido, cieco, stolto vecchio, sarà un massacro...
    [Modificato da RatMat 14/09/2013 20:30]



    La morte verrà all'improvviso
    avrà le tue labbra ed i tuoi occhi
    ti coprirà di un velo bianco
    addormentandosi al tuo fianco
    nell'ozio nel sonno in battaglia
    verrà senza darti avvisaglia
    la morte va a colpo sicuro
    non suona il corno nè il tamburo
    [...]
    Guerriero che in punta di lancia
    dal suolo d'oriente alla francia
    di stragi menasti gran vanto
    e tra i nemici il lutto e il pianto
    di fronte all'estrema nemica
    non vale coraggio o fatica
    non serve colpirla nel cuore
    perché la morte mai non muore
    non serve colpirla nel cuore
    perché la morte mai non muore
    "la morte" Faber


    cavalieri che in battaglia ignorate la paura
    stretta sia la vostra maglia
    ben temprata l'armatura
    al nemico che vi assalta
    siate presti a dar risposta
    perché dietro quelle mura vi si attende senza sosta
    "fila la lana" Faber
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    RatMat
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    Città: FORNOVO DI TARO
    Età: 35
    Fante
    00 15/10/2013 11:19
    […]
    La battaglia è finita. Verona è presa, il conte, la sua guardia, i milites e tutti i difensori di Verona sono morti. Assieme a quasi un terzo dell’esercito veneziano e un altro terzo sarà rimandato a Venezia senza un qualche arto o comunque non più in grado di combattere, tutti dovranno dipendere dalla carità o dall’assistenza pubblica per il resto della loro vita.
    Il pazzo ha mandato le milizie contro il portone principale con l’ariete, mentre i bellatores ed i targhieri cercavano di prendere le mura con le scale. Le torri d’assedio da quel lato sono risultate inutili, terreno troppo accidentato e scosceso. Dopo che l’ariete ha divelto le porte i miliziani si sono lanciati all’interno, ma hanno trovato l’opposizione dei sergentes che, armati di scudo e lancia, li hanno bloccati mentre i difensori delle mura versavano l’olio bollente sulle file più arretrate. Intanto sulle mura i fanti venivano massacrati uno ad uno mentre salivano sulle scale. Ad un certo punto Enrico, ha lanciato la sua guardia nella mischia del portone dove ci siamo impantanati nella massa compatta di fanti. Per nostra fortuna la massa di soldati veneziani è riuscita a respingere indietro i sergentes quel tanto da togliere le ultime file dal raggio d’azione dell’olio bollente. Il conte di verona ha lanciato la sua guardia personale nella mischia per arginare l’avanzata veneziana. Il Dandolo ha voluto ad ogni costo cercare di incrociare le lame col comandante veronese. Ed è quasi morto. Dopo due o tre colpi, particolarmente goffi ed impacciati da ambedue le parti, la spada di Enrico si è incastrata nella gualdrappa del cavallo del conte e questi stava tirando un fendente verticale che avrebbe ucciso Enrico. Se la mia spada non avesse reciso il braccio del conte quasi all’ultimo secondo. La spada, persa la sua forza, è scivolata sulla maglia del Dandolo colpendo il cavallo che si è impennato dal dolore permettendo ad Enrico di liberare la spada e colpire a morte il conte. La battaglia è poi continuata ancora qualche ora…
    […]
    Perlustrando la fortezza si è finalmente capito come mai il conte veronese era così goffo ed impacciato. Il conte è stato trovato morto nel suo studio personale con la gola squarciata fino all’osso. Il conte che ha combattuto in città era il figlio quindicenne che ha indossato l’armatura del padre per tenere alto il morale dei difensori.

    Agosto 1157
    Oggi Enrico mi ha sorpreso. Non lo avrei mai creduto possibile. O il massacro lo ha sconvolto molto più del previsto od ho sbagliato di grosso nel giudicarlo. Mi ha premiato in pubblico per averlo salvato dal conte e, dopo aver accettato un incontro privato, è successo l’incredibile. Io ho annunciato di voler lasciare il suo servizio a causa del massacro appena visto, l’ho insultato pesantemente, accusandolo di essere solo un vecchio vanesio che vuole giocare alla guerra senza rendersi conto che i suoi soldatini sono vivi e sanguinano, l’ho accusato di essere un incapace completamente ignorante di ogni tattica o finezza strategica ed altri insulti ben peggiori. Lui non ha battuto ciglio. Mi ha chiesto come avrei combattuto io l’assedio, cosa avrei fatto io. E dopo aver ascoltato le mie ragioni ha piegato il capo e mi ha chiesto di rimanere con lui solo altri due anni, per consigliarlo, per avere consigli strategici e tattici. Ho rifiutato perché sapevo che non avrei mai avuto ascolto. E lui mi ha quasi pregato. Mi ha mostrato il suo progetto di una Venezia forte, ma soprattutto di una nazione che riunisse tutti i popoli italiani, senza più stupide rivalità tra fazioni, un Italia in grado poter dire la sua nello scacchiere internazionale. Questo pazzo mi ha mostrato tutto quello che ha fatto, l’organizzazione delle bande, i ricatti ed i doni ai nobili veronesi perché abbandonassero la fortezza, le spese: 3100 fiorini solo per mantenere l’assedio ed i costi supplementari dell’esercito all’estero, più altri quasi duemila fiorini del costo di mantenimento ‘’normale’’.
    Vuole davvero convincermi a restare con lui. Gli ho chiesto quale sarà il prossimo passo, mi ha risposto che intende muovere a sud, verso Bologna non appena l’esercito si sarà rimesso. Ho preso la mia decisione: con lui fino a Bologna. Non avrei mai creduto possibile che quell'arrogante vecchio potesse chiedere aiuto e consigli, vedremo.
    […]
    Tre giorni dopo l’incontro col Dandolo, due individui mi hanno aggredito, chiuso in una specie di sacco e portato via. Mentre ero inerme ed al buio mi sono dato mille volte dello stupido, non avrei mai dovuto insultare così in nuovo conte di Verona. Invece erano Tantaleo e Karkas, mi hanno portato in una grotta poco distante ed iniziato ai riti del dio Mirra: nato da madre vergine, è un dio guerriero di una qualche popolazione orientale il cui culto si è diffuso, grazie ai romani, in tutta Europa. Era quasi scomparso, ora gira solo come una specie di setta tra soldati e guerrieri. Dopo un giuramento hanno ammazzato un bue, simbolo del dio, e ne abbiamo mangiato la carne e bevuto il sangue,come sorta di comunione con lui.

    Ottobre 1157
    L'esercito si muove. Abbiamo ricevuto vari rinforzi, rimpolpati i ranghi dei miliziani e soprattutto abbiamo ricevuto altre due compagnie di targhieri veronesi. Muoviamo contro Bologna...
    [Modificato da RatMat 15/10/2013 11:24]



    La morte verrà all'improvviso
    avrà le tue labbra ed i tuoi occhi
    ti coprirà di un velo bianco
    addormentandosi al tuo fianco
    nell'ozio nel sonno in battaglia
    verrà senza darti avvisaglia
    la morte va a colpo sicuro
    non suona il corno nè il tamburo
    [...]
    Guerriero che in punta di lancia
    dal suolo d'oriente alla francia
    di stragi menasti gran vanto
    e tra i nemici il lutto e il pianto
    di fronte all'estrema nemica
    non vale coraggio o fatica
    non serve colpirla nel cuore
    perché la morte mai non muore
    non serve colpirla nel cuore
    perché la morte mai non muore
    "la morte" Faber


    cavalieri che in battaglia ignorate la paura
    stretta sia la vostra maglia
    ben temprata l'armatura
    al nemico che vi assalta
    siate presti a dar risposta
    perché dietro quelle mura vi si attende senza sosta
    "fila la lana" Faber