00 12/08/2013 14:13
Il Dandolo
L’ansia mi prende alla gola, mi manca quasi il respiro, lo stomaco è diventato un grumo bollente e mi manda alla gola ondate acide.

È il mio momento. L’ora che aspetto da quasi quattro anni è giunta, ho un’unica certezza: la mia vita è a una svolta. Mi chiamano sul palco, il professore mi presenta, le solite parole di circostanza: la mia collaboratrice migliore, ottima conosciuta da studentessa ne ho capito il potenziale da subito, appena ho saputo del ritrovamento, l’ho subito voluta con me e altre fesserie del genere. Poi il tono quasi cambia nel descrivermi indipendente e autonoma ma ancora inesperta e bisognosa di consigli, che però non sempre ascolta. Bastardo. Facile, così se quello che esporrò piacerà il bastardo ne avrà i meriti per avermi “guidata”, altrimenti, se il lavoro non sarà accettato se verranno considerate errate le conclusioni, lui se ne tirerà fuori affermando che è opera mia, che ho travisato i suoi suggerimenti. Un ottimo palliativo per l’ansia…

Salgo sul piano rialzato del pulpito riservato agli espositori, lancio la presentazione con qualche difficoltà, quasi trema anche il mouse. Ora uscirà la mia voce stridula e balbettante. Invece no! Appena apro bocca e parlo tutto si scioglie e la voce esce sicura e forte, amplificata dal microfono.

“Buongiorno a tutti, sono qui, oggi, a nome di tutto il team che ha operato gli scavi e dell’illustre professore Franciosi, che ci ha seguiti da vicino per tutti questi quattro anni e ci ha consigliato nei momenti di difficoltà, aiutandoci ad interpretare questa spinosa faccenda (peccato non vederlo in faccia ora).

Prima di parlare del ritrovamento voglio fare un breve riassunto della vita di Enrico Dandolo, conosciuto negli ultimi anni di vita come “il conquistatore”. Nato nel 1107 non compare nella vita pubblica della Serenissima fino a quarantotto anni, si sa solo che ha stretto legami con la famiglia dei Casolo e una stretta amicizia con Vitale II Morosini-Michiel, figlio del doge Domenico Morosini-Michiel. Alla soglia dei quarantotto anni, nel 1155, si sposta da Zara a Venezia dove compie la prima prodezza: un accorato discorso sul ruolo della Serenissima nello scacchiere italiano, sul fatto che per poter coltivare il mare bisogna avere un solido entroterra. Entroterra che identifica con la penisola italiana. Poi comincia a descrivere la situazione di Verona, città in mano ad un duca tedesco del Baden che l’ha abbandonata alla famiglia Ottocara, quindi in un momento di debolezza. Questo discorso, di cui si sono perse le parole precise ed esitono migliaia di versioni, manda in fermento la città: si costituiscono spontaneamente circa dieci compagnie di volontari, armati di lancia e scudo, a cui si vanno ad aggiungere la guardia personale di Enrico e le due compagnie di sergenti a cavallo della sua scorta. Si sposta sull’entroterra dove riesce a convincere molti proprietari terrieri ad unirsi a lui, così il suo esercito guadagna altre due compagnie di lancieri con scudo pavese e cotta di maglia. Prima di dirigersi verso Verona riceve altri rinforzi: quattro compagnie di cacciatori armati d’arco e due della classe dei bellatores: una di lancieri e una di fanteria leggera armata di mazze ed asce. A questo punto muove verso Verona e, nell’inverno del 1157, la assalta. Lasciati tre compagnie comunali di scorta all’accampamento assalta la fortezza dalla porta est: le milizie utilizzando l’ariete sfondano il portone mentre le truppe dei più pesanti assaltano le mura. Subito si accende la mischia tra i sergenti veronesi ed i soldati veneziani sulle mura. Sotto l’arco della porta, sui resti dei cancelli divelti dall’ariete le milizie devono vincere la resistenza dei milites. Alla fine l’intervento dei comites ducis di Enrico permette lo sfondamento e l’esercito dilaga in città. Verona è conquistata, solo il quindici percento, circa, dei soldati veneziani è perita, contro quasi il trenta dei veronesi. Il conte di Verona si batte coraggiosamente ma la sua guardia viene sopraffatta da quella di Enrico e perisce in combattimento. Enrico impedisce il saccheggio, si arroga il titolo di conte di Verona e da subito ordine di ricostruire le strutture danneggiate dai combattimenti.

Ricevuti rinforzi da Pola e da Venezia si sposta a sud dove conquista Bologna, anche qui con poche perdite, nel 1158 che lascia al figlio Marino.

Nel 1158 muore l’anziano doge Domenico Morosini-Michiel e sale al dogado il figlio, Vitale II Morosini-Michiel che cede a Giovanni Dandolo il titolo di marchese d’Istria. Questo fatto ci fa capire il grande ascendente di Enrico sul neo eletto doge che non si opporrà più in futuro ad alcuna iniziativa di Enrico che diverrà doge nei fatti ma non nel nome. Due anni dopo,nel 1160, assieme al marito della figlia Maria, tale Gustavo Finiza assedia e prende Ancona. Questa battaglia è particolare perché è la prima dove partecipano le guardie di palazzo veneziane, quei famosi fanti de tera, creati da Enrico: obbliga tutti i cittadini con un certo reddito a fornire servizio per cinque anni in questa unità. E qui arriva il colpo di genio: se un cittadino non vuole essere arruolato deve fornire un sostituto per dieci anni e questo deve avere certe caratteristiche fisiche ed essere stato addestrato alle armi per almeno sei mesi prima dell’arruolamento. Questo crea un movimento di robusti contadini verso Venezia che, addestrati prima dai ricchi patrizi e poi nelle caserme, si rivelano essere soldati terribilmente efficienti. L’armamento di queste guardie comprende armature di robusta cotta di maglia rinforzate con le prime piastre ed un letale martello da guerra: una testa di martello opposta ad un picco da penetrazione consente al fante di abbattere qualsiasi armatura. Lasciata Ancona a Finiza attraversa il mare Adriatico e conquista nel 1161 Ragusa. Il figlio del doge, Marino Morosini-Michiel viene lasciato a comandare la città, mentre Enrico ritorna in Italia e nel 1163 prende Firenze che lascia al comando del figlio Renier. In soli sette anni ha quasi triplicato i territori di Venezia. In quei sette anni conclude anche due alleanze importanti: con il regno magiaro, mettendo al sicuro i confini orientali e con i normanni. Queste due mosse fanno però precipitare le relazioni con l’impero bizantino che, nel 1171, espelle tutti i cittadini veneziani da Costantinopoli, usando come scusa l’incendio del quartire genovese di Galata.

Intanto Enrico Dandolo prepara la guerra. Pisa si è espansa in un modo preoccupante: ha occupato Corsica e Sardegna e si è spinta fino ad Asti, dopo aver preso Genova. Il prossimo passo potrebbe essere Milano, che sembra essere in difficoltà potrebbe cedere ai pisani creando una situazione difficile per Venezia. L’esercito è però parecchio cambiato: ora è costituito da sei compagnie di targhieri, quattro di uomini d’arme di nobile origine, due a cavallo e due appiedate, due compagnie di fanti de terra, tre di balestrieri pavesi e quattro di lancieri pesanti con scudo tondo (che verrano più tardi definiti lancieri italici) più i comites duci di Enrico
[Modificato da RatMat 12/08/2013 14:20]



La morte verrà all'improvviso
avrà le tue labbra ed i tuoi occhi
ti coprirà di un velo bianco
addormentandosi al tuo fianco
nell'ozio nel sonno in battaglia
verrà senza darti avvisaglia
la morte va a colpo sicuro
non suona il corno nè il tamburo
[...]
Guerriero che in punta di lancia
dal suolo d'oriente alla francia
di stragi menasti gran vanto
e tra i nemici il lutto e il pianto
di fronte all'estrema nemica
non vale coraggio o fatica
non serve colpirla nel cuore
perché la morte mai non muore
non serve colpirla nel cuore
perché la morte mai non muore
"la morte" Faber


cavalieri che in battaglia ignorate la paura
stretta sia la vostra maglia
ben temprata l'armatura
al nemico che vi assalta
siate presti a dar risposta
perché dietro quelle mura vi si attende senza sosta
"fila la lana" Faber