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I demoni venuti dall'Oriente- Seconda Parte 1214-1218

La battaglia con esito incerto di Andreininigrad aveva messo una certa dose di ottimismo nel campo Rus. Le forze mongole si erano decimate e con i nuovi rinforzi in arrivo da Vladimir e dal resto della Russia sembrava solo questione di tempo prima che di spazzare via gli invasori oltre gli Urali.



Dopo il grande spavento mongolo, i mercanti della seta di Andreinigrad hanno ripreso i loro commerci tramite il Volga, dal Caspio e dalle steppe Kazake da cui arrivavano i mercanti dall'Asia, fino agli angoli più remoti dell'Impero

Lo Zar era sul punto di sferrare l'attacco decisivo ai guerrieri mongoli rimasti a gozzovigliare. Quando, nella primavera del 1114, dagli avamposti nelle zeppe, arrivarono notizie aberranti. 30.000 guerrieri mongoli stavano giungendo da Oriente. Sommate alle forze già presente, l'orda mongola raggiungeva i 35.000, l'esercito più numeroso dai tempi dell'Antica Roma che si sia mai visto in Europa.



Esploratori Mongoli guidano l'orda nelle steppe Kazake

Lo Zar ripensò alla battaglia di Andreinigrad, avrebbe dovuto uccidere il Khan, in quegli anni il maledetto non era restato con le mani in mano ma era riuscito a chiedere ed ottenere delle nuove forze dall'Impero d'Asia.



La seconda orda nel 1214

La situazione era disperata, l'esercito Rus era appena riuscito a superare i 10.000 uomini, altri 10.000 erano sparsi in Russia come rinforzi e l'economia cominciava a sentire il peso delle spese di mantenimento. Orekh decise che l'unica cosa da fare, con parte dell'Orda che aveva già varcato il Volga e quindi con l'impossibilità di far evacuare alla popolazione dalla città, era trincerarsi ad Andreinigrad e resistere.

Tuttavia, i Mongoli avevano altri piani e incredibilmente snobbarono la ricca città produttrice di seta e varcarono il Volga, apparentemente diretti alla fortezza di Ryazan.
Questa mossa sorprese i Russi ma alcuni mercanti che commerciavano in Oriente e che avevano visto l'espansione mongola in Asia raccontavano che la loro strategia non era tanto occupare stabilmente la nazione nemica pezzo su pezzo ma di sfruttare la velocità del proprio esercito per prendere il cuore della nazione e farla collassare. L'obiettivo quindi era chiaro, volevano colpire il cuore della Rus: Vladimir, centro militare e nucleo dell'esercito, Mosca, la capitale e le altre città limitrofe quali Rostov, Smolenks. Dopo quel colpo che avrebbe tagliato in due la Russia, i Mongoli avrebbero potuto fare quello che volevano sulle macerie di una nazione collassata, così come era avvenuto in Qatai e in Corasmia.

Lo Zar non poteva permettere che ciò accaddesse. Lasciò pochissime forze a presidio di Andreinigrad e si lanciò all'inseguimento dell'orda, intanto, i rinforzi arrivavarono da Occidente. Così, a metà strada tra Andreinigrad e Ryazan si era venuta a creare una paradossale situazione per cui l'esercito mongolo avanzata e quello Rus lo seguiva a distanza, pronto a intervenire (ma anche soggetto ad eventuali attacchi).



Questa strana marcia arrivò fino alla fortezza di Ryazan. Orekh non poteva più aspettare, i Mongoli dovevano essere fermati. Attaccare tutte insieme le quattro armate piene Mongole era un suicidio, occorreva trovare un modo per divididerle. L'occasione arrivò quando una delle armate attraversò Ryazan e il fiume Oka. Lo Zar spostò le truppe in modo che tra i 30.000 uomini dell'esercito Mongolo, diecimila restassero aldifuori del campo di battaglia.

A Sud di Ryazan, nei pressi del piccolo paese di Voronez, si stavano per scontrare finalmente i Rus contro l'invincibile esercito Mongolo. I Rus avevano 28.000 uomini, di cui però buona parte era costituita da arcieri della milizia, poco più che forze d'ordine interno, mentre l'esercito Mongolo, pur contando solo 19.000 uomini, aveva al suo interno tutti guerrieri esperti e ben armati.

La notizia peggiore però era che l'armata Rus, divisa in tre gruppi, poteva schierarne solo 10.000 alla guida di un giovane generale di nome Chort. Mentre i Mongoli avevano la possibilità di schierare subito il pieno delle loro forze.



L'armata di Chort, certa del fatto che i Mongoli avrebbero sfruttato la mobilità della loro cavalleria per farli a pezzi, usava i pali lituani e i reparti di lancieri, con ogni schieramento schierato a Schiltron, per creare un immenso anello difensivo al cui interno gli arcieri lituani e le catapulte avrebbero potuto colpire, mentre la cavalleria avrebbe dovuto cercare di rallentare la pressione, che i Mongoli, sia con i dardi dei loro innumerevoli arcieri che con con la cavalleria pesante, avrebbero esercitato sull'anello difensivo.
A sud del campo, attendeva l'armata di rinforzo guidata dal capitano Vladimir, costituita perlopiù da cavalleria leggera e da forze di milizia e qualche unità di lancieri, la prima che sarebbe entrata in campo nel caso le cose si cominciavano a mettere male tra le forze di Chort. Per ultima, più defilata ad Ovest, si trovava l'armata dello Zar, costituita da soldati scelti boiardi Rus, Dvor, Nobili della Volga Bulgaria, Kazankis e qualche unità di milizia.


L'inizio della battaglia fu un disperato tentativo da parte dei Rus di reggere l'anello. I Mongoli, forti della loro superiorità numerica, stavano già decimando la pur numerosa cavalleria Rus, e avevano forze più che sufficienti per fare pressioni su tutto il perimetro dell'anello, finendo inevitabilmente per sfondarlo e avere la meglio sulla prima armata. Tuttavia la tenacia dei Rus aveva permesso alle catapulte di fare gran parte del loro lavoro e i pali e le lance dei coriacei Rus avevano mietuto più vittime tra i Mongoli di quelle che si sarebbero aspettati. Il 30% delle forze nemiche era caduto in quell'assalto.

Ma tutto ciò era una magra consolazione alla vista dei soldati del campo Sud che vedevano i loro fratelli fuggire disperati per tentare inutilmente di sfuggire alle scimitarre Mongole. Presto sarebbe toccato a loro ma cosa avrebbero potuto fare contro quei mongoli cui nessun popolo era riuscito a resisterli? Il copione che descriveva la caduta di tante, potenti civiltà, per mano mongola si stava ripetendo anche lì a Voronez. Quando lo Zar fece un discorso al suo campo e lo fece pronunciare anche al lontano campo Sud.

Fratelli miei! Ci conviene sacrificare le nostre terre per la vera fede cristiana e per le nostre famiglie affinché non siano catturate le nostre città dai pagani e non vengano saccheggiate le sante chiese di Dio! Fratelli miei (questo era il modo in cui i principi si chiamavano fra di loro), è meglio una morte onorevole qui e visto che siamo già qui è impensabile, senza disonore, decidere di ritornare. Se ora ce ne andiamo, avremmo forse salva la carne ma la nostra anima sarebbe perduta, perché avremmo consegnato ai nostri figli un futuro di terrore e di schiaviù. Perciò andremo avanti a combattere fino a quando l'ultimo di noi Rus sarà caduto e affidiamo le nostre sorti al Signore per la difesa della nostra fede e della nostra chiesa!

Quelle poche parole riuscirono a ricordare ai spaventati soldati Rus cosa ci facevano lì. Così, mentre l'esercito Mongolo si abbandonava a catturare i resti di ciò che restava della prima armata, entravano in scena i soldati dell'armata Sud. Erano soldati poco esperti, molti dei quali semplici miliziani, ma si batterono con un coraggio tale, pur cadendo in grandissimo numero, che i Mongoli si stavano lentamente ma progressivamente consumando, tanto che i primi reparti nemici cominciavano a fuggire.

Quando ormai anche l'armata Sud si era consumata, i Mongoli avevano perso poco più dei due terzi dei loro uomini. Grazie al coraggio di quei soldati Rus poco esperti, la cavalcata vittoriosa dei Mongoli si era trasformata in un mezzo disastro.

Lo Zar saltò quindi sul suo cavallo, mise il sacro elmo tramandato dai tempi dei Gran Principi di Kiev e alla guida dei suoi Boiardi si lanciò alla carica con il resto della cavalleria Rus. Gli inseguitori si trasformarono in inseguiti e i Mongoli per la prima volta cominciarono a rompere le righe e a fuggire in massa.



Lo Zar Orekh II ritratto mentre carica i fanti Mongoli

Solo l'elitè dei cavalieri mongoli resisteva, ma furono tutti massacrati, compreso il Generale Mongolo Bayan. Quando i nobili bulgari catturarono l'ultimo soldato mongolo, il sole stava per calare, era un sole rosso, come il sangue versato dai quasi 30.000 morti da entrambe le parti, ma era rosso come il vessillo Rus, che sventolava trionfante sul campo di battaglia.



I Rus avevano perso 15.000 uomini, più delle perdite Mongole, ma l'orda aveva perso metà delle sue forze e si trovava a centinaia di chilometri di distanza dall'Impero Mongolo. Ancora 20.000 mongoli restavano da sconfiggere, ma quella sanguinosa battaglia aveva rappresentava un punto di svolta decisivo per le sorti della guerra e per i destni dell'Europa.
La sera seguente alla battaglia di Voronez, nella sua tenda da campo lo Zar Orekh II scriveva.

Ci scontrammo con grande forza. Con rabbia i guerrieri si uccisero gli uni con gli altri e non solo con le armi, ma, a causa della calca, molti morirono schiacciati dagli zoccoli dei cavalli, sia Rus che Mongoli. Si vedeva sangue dappertutto mentre brillavano come lampi le lame delle spade. Il rumore era forte e assordante sia per i colpi d’ascia che per l’incrociarsi delle spade, tanto che quando raggiunsi il campo di battaglia con la mia guardia non era possibile avere una visione completa di tutta la battaglia. Già muoiono in tanti, molti eroi Rus cadono come alberi colpiti dal fulmine. Anche l’erba è secca sotto il sole e calpestata dagli zoccoli, intrisa sia del sanegue dei demoni invasori che dei martiri Rus…».



Questo sperduto e tranquillo angolo di Russia non sarà più lo stesso dopo l'epica dei vittoria dei Rus contro i non più invincibili Mongoli.
[Modificato da Lan. 25/04/2009 21:24]