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I problemi legati all’eredità russa fecero gradualmente precipitare il consenso popolare nei confronti della corona: Nel 1231 una insurrezione popolare costrinse la guarnigione locale, ed il governatore delle Fiandre, ad allontanarsi precipitosamente da Gand; questa rivolta fu sicuramente aizzata da agitatori stranieri, visto che le forze imperiali si sarebbero poi rapidamente impossessate della città.
Nonostante le inedite ristrettezze economiche, l’Armée d’Italie restava efficiente ed aggressiva.
Nella primavera del 1232 Luigi, ora noto come il conquistatore, investì Ancona. La spedizione era stata preceduta dall’assassinio di due nobili milanesi, e dall’infiltrazione di una spia che riuscì ad impedire la chiusura delle porte. Le artiglierie francesi trascurarono la consueta prassi operativa, che prevedeva l’apertura di una breccia e la tacitazione di due o tre torri, limitandosi a neutralizzare le caditoie del posto di guardia. La colonna di fanteria irruppe poco dopo, ed ebbe facilmente ragione dei pochi miliziani e cavalleggeri che tentarono di ostacolarle il passo.
Un anno dopo la stessa gloriosa armata investiva la fortezza di Chieti, ove il Conte di Tolosa ottenne la sua ottava conquista. Vista la mala parata, i milanesi richiamarono dalla Corsica quell’esercito rimasto inoperoso presso Ajaccio.
Ora il nemico disponeva di forze ragguardevoli per la difesa di Napoli, suo ultimo feudo; in ogni caso, ciò che lo salvò dall’annientamento fu il veto pontificio alla prosecuzione delle ostilità.
Nel lasso di tempo intercorso fra la presa di Ancona e quella di Chieti, anche l’Armée de Russie colse il suo primo successo: stroncò la sortita degli affamati insorti moscoviti, affidandosi quasi esclusivamente al tiro dei kazaki e dei cacciatori, e penetrò in città nella scia dei combattenti in fuga.
La nobiltà francorussa non ebbe alcuna pietà né per gli armati, né per i civili; la giornata si concluse con un massacro di proporzioni mai viste in occidente.
Le armi dei cattolici d’oriente non avrebbero riposato a lungo; già nell’estate del 1234 si ritrovarono assediati da un esercito mongolo, che non tardò ad assaltare le mura.
Essendo prioritario arginare la potente cavalleria nomade, la difesa dei bastioni fu lasciata ai soli cacciatori. Tutti i lancieri si schierarono dietro la porta, appoggiati da due ali di kazaki che avrebbero combattuto a piè fermo, e dai tre generali pronti ad intervenire con cariche di alleggerimento.
Il dispositivo funzionò quasi alla perfezione; quando il cancello fu schiantato si scatenò una bolgia infernale, in cui finì per perdere la vita anche l’orgoglioso condottiero delle steppe. Annichiliti dalla piega degli eventi, i cavalieri e fanti che gli si affollavano intorno iniziarono a cadere come mosche. Le cose erano andate meno bene sulle mura, dove i cacciatori erano prossimi a soccombere; furono salvati dall’intervento dei fanti, che corsero a dargli manforte mentre gli uomini a cavallo si lanciavano all’inseguimento dei fuggiaschi.
Al termine della giornata l’esercito mongolo risultava totalmente annientato; i francesi, che avevano perso circa la metà dei loro combattenti, avevano inflitto una cocente umiliazione ad un nemico più numeroso e meglio equipaggiato.
Purtroppo, in altre parti del regno la situazione era tutt’altro che rosea.
Pressato dalle istanze popolari, il Re dovette erigere un palazzo per l’assemblea.
Le difese di Brest vennero travolte da un improvviso sbarco castigliano, Firenze era sull’orlo della ribellione, gli alleati aragonesi si erano alleati con i nemici mori, e troppi soldi andavano sprecati per il mantenimento dell’enorme flotta del Mar Caspio, che non si poteva disarmare per mancanza di porti.