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Gli Spahi erano truppe scelte della cavalleria ottomana, operanti prevalentemente tra il XIV ed il XVII secolo. Si trattava di cavalleria bardata, a differenza di quella più agile medio-orientale, ma comunque dotata di cavalli più veloci di quelli da carica con pesanti bardature, tipiche della cavalleria pesante medievale occidentale. Erano soldati capaci sia di tirare con l'arco (quindi arcieri a cavallo) sia di caricare con la lancia, fissa sulla spalla ed i piedi ben piantati sulle staffe, come i loro colleghi cavalieri europei. L'armamento subì lentamente l'evoluzione delle armi.
Si trattava dei titolari dei feudi militari detti “Timar”. Essendo usufruttuari di questi feudi dovevano prestare servizio nell’esercito del Sultano. Fra i secoli XIV e XVII costituivano una parte significativa del nucleo dell’esercito ottomano. La formazione delle armate ottomane è rappresentata da una mezzaluna: gli Spahis vengono rappresentati come le punte di questa figura. Dalla loro posizione nello schieramento, questi reparti di cavalleria avevano il compito in battaglia di circondare il nemico e poi colpirne il centro della formazione. Nello schieramento dell’esercito ottomano il centro era costituito dai giannizzeri.
Nella seconda metà del XIV secolo il sultano Murad I iniziò a premiare i militari che si erano distinti in battaglia assegnando loro l’usufrutto delle terre dei paesi conquistati. Gli Spahis ricevevano delle proprietà rurali relativamente piccole, che inizialmente amministravano personalmente. Altre parti venivano loro offerte dai contadini delle popolazioni sottomesse. In compenso gli Spahis dovevano andare in guerra per il Sultano tutte le volte che ne erano da questi sollecitati. Essi dovevano provvedere con mezzi propri all’acquisto dell’armatura, delle armi e dei cavalli. A seconda della grandezza del proprio Timar ciascun Spahi era tenuto a portare con sé in battaglia fino a sette ausiliari (cebeli) che doveva equipaggiare, armare ed addestrare a proprie spese. Con questo sistema i sultani riuscirono a mettere insieme eserciti anche superiori numericamente a quelli delle potenze cristiane.
Diversamente dai feudatari europei, gli Spahis non potevano trasmettere in eredità i loro Timar o trasferirli a terzi. Ognuna di queste proprietà militari era stata data dal sultano al singolo combattente e rimaneva quindi nelle mani del rispettivo titolare al quale la dirigenza militare decideva di assegnarla. In questo modo nell’impero ottomano non si poté sviluppare alcuna nobiltà rurale che come classe padronale potesse interporsi fra il sultano ed i suoi combattenti.
L’estinzione degli Spahis ebbe cause economiche e militari. Nel XVI secolo erano a disposizione del sultano circa 100.000 combattenti fra Spahi e Cebeli, mentre nel secolo successivo si erano ridotti a 30.000. L’aumento dell'importanza della fanteria e dell'artiglieria nella tecnica militare del XVI secolo rese la cavalleria Spahi sempre meno idonea. I sultani concentrarono la loro attenzione sui giannizzeri, che d’allora in poi costituirono la parte più importante dell’esercito. Inoltre l’Impero Ottomano aveva raggiunto l’apice della sua potenza e non rimanevano più molte terre occupate da assegnare come Feudo militare e per di più mancavano i grossi bottini di guerra di una volta che avevano costituito gli introiti degli Spahis.
Infine le crisi economiche condussero ad una forte riduzione delle rendite dei Timar mentre contestualmente i costi degli equipaggiamenti aumentavano. Diminuì quindi sia il patrimonio che l’entusiasmo degli Spahis a fornire delle prestazioni belliche regolari. La qualità degli equipaggiamenti si impoverì e molti proprietari di Timar cercavano, riuscendoci grazie alla diffusa corruzione ed al cattivo stato dell’amministrazione ottomana, di evitare di essere classificati come tali e quindi dover rispondere alla chiamata.
Soprattutto nel XVII secolo gli Spahis vendevano o davano in locazione parti dei loro Timar a grandi proprietari terrieri senza che la Sublime Porta prendesse delle misure contro di loro. Altri lasciavano in eredità, contro la regola, i loro Timar e spesso le autorità si “dimenticavano” di esigere dagli eredi il rispetto dell’obbligo di servizio militare. In tal modo il sistema andò lentamente in rovina.
I Cebeli, inizialmente combattenti al seguito degli Spahis, diventarono unità militari mercenarie, che non avrebbero mai potuto sostituire i loro precedenti signori per quanto riguarda le capacità di combattenti e la disciplina.



Che il grosso della fanteria Ottomana fosse composto dagli Azap, ovvero "i sacrificabili" è indiscusso,ma quello che tu chiami "sfondamento" a Raydāniyya da parte della fanteria mamelucca non era altro che la tattica classica Ottomana, attirare il centro nemico facendo cedere la fanteria del proprio centro in modo che le ali potessero operare l'accerchiamento, i giannizzeri servivano proprio a quella manovra, perché erano addestrati in modo da arretrare per far cadere il nemico in trappola invece di cedere alla pressione e far collassare il centro.
A me sembra che tu confonda troppo la cavalleria selgiuchide con quella ottomana, quest'ultima non era più quella leggera turcomanna, mentre quella mamelucca le era ancora molto simile proprio perché i cavalieri mamelucchi erano molto più legati al modo di combattere "turco" rispetto agli ottomani:


I primi mamelucchi operarono al servizio dei califfi abbasidi a Baghdad nel IX secolo. Gli Abbasidi comprarono questi schiavi che provenivano dalle popolazioni non-musulmane delle aree transoxiane dell'Asia Centrale: (Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakhstan, ecc), come pure dell'Europa orientale e delle steppe euroasiatiche, attorno a Volgograd o del Caucaso.
Il ricorso a soldati non-musulmani serviva in primo luogo ad aggirare il divieto che impediva ai musulmani di combattere altri musulmani ma i califfi desideravano anche disporre di uomini che non avessero alcun legame con le strutture di potere, che fossero proni ai comandi dei loro superiori e che, all'occorrenza, potessero essere soppressi senza troppe conseguenze legali.
Di tutti i mamelucchi, i più famosi furono quelli che riuscirono a prendere il potere in Egitto al termine del periodo ayyubide. Si trattava di circa 1250 tra turchi e, in misura minore, Georgiani, Circassi, alcuni russi, slavi, greci e addirittura mongoli Oirati.
Fin da piccoli costoro entravano in scuole (tibàq) dove venivano impartiti loro un puntuale addestramento (furusiyya) alle arti belliche e alla ferrea disciplina da parte di istruttori, spesso eunuchi, ai quali i Mamelucchi restavano poi sempre legati da sentimenti di rispetto cameratesco.
Al termine di lunghi anni di addestramento teorico e pratico, i Mamelucchi acquistavano la libertà ed entravano al servizio dei più potenti signori egiziani e siriani che, a loro tempo, erano stati anch'essi Mamelucchi. Costoro, grazie ai posti occupati nell'amministrazione civile e militare dell'Egitto e della Siria, si formavano un loro privato esercito di nuovi Mamelucchi con il quale cementavano un rapporto rigidamente gerarchico ma anche di intenso cameratismo, sottolineato da ottime paghe, prebende e privilegi di ogni genere.




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Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





"Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

"Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

"La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

"Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
Per spalancare la murata porta d'Oro;
E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
Cercherò riposo sui miei antichi confini."

"Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”