Ecco a voi un capitolo ricco di eventi...
IL CONSOLIDAMENTO E IL RICONOSCIMENTO
Morto il perverso Diodato, il Consigliere Almerico sentì di dover presentare al popolo un nuovo pupillo: scelse il promettente Anechino da Pistoia, buon combattente e discreto credente.
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Fatto ciò, gli uomini politici di Venezia si misero di buzzo buono per cercare di elaborare una politica che portasse la Serenissima agli alti livelli dello scacchiere europeo. Ma il 1178 è un anno di sconvolgimenti religiosi: la dura faida già in corso fra lo Stato Pontificio e il Regno di Gerusalemme, infatti, trovò il suo culmine nella nomina di un Antipapa da parte dei crociati.
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Questa sconvolgente notizia condusse il già anziano e cagionevole Papa Fabio di Venezia alla morte. Il nuovo Papa è un siciliano, che ha in alta stima i veneziani, i quali si stanno dedicando proprio in quel momento all’ampliamento delle strutture religiose.
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Contemporaneamente, il Doge Vitale riuscì a prendere accordi per un potenziamento del grande banco di Venezia, iniziativa questa che porterà molti benefici all’economia della Serenissima.
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E l’entrata in politica dei nuovi interessi del banco veneziano, portò a sviluppi interessanti del sistema commerciale: fu infatti richiesto che fossero stipulati trattati con i Turchi, e in cambio il banco avrebbe concesso un prestito al Doge di 10.000 fiorini con tassi di interesse veramente comodi.
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La proposta era allettante, perché il boom di costruzioni avviato da Vitale, richiedeva finanziamenti, dunque gli accordi con i Turchi furono presi.
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Il prestigio della famiglia Michiel cominciò a risalire lentamente, ma proprio allora, nel 1179, il Doge morì.
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Doge Vitale II Michiel non era stato di certo una manna per Venezia, ma si doveva a lui il fatto che la fama della Serenissima avesse cominciato a crescere in Europa; le campagne in Terrasanta e sul Mar Nero non avevano portato a nulla, se non a uno spreco di soldati e risorse economiche, ma non si poteva negare che ora la Repubblica di Venezia godesse di un minimo di rispetto. Tuttavia, queste cose interessavano poco al popolo, in quegli anni, quindi furono fin troppo felici i festeggiamenti per l’arrivo del nuovo Doge, il popolarissimo Almerico, che scelse come Consigliere il figlio adottivo Anechino da Pistoia.
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Il nuovo capo fazione, proseguì innanzitutto la politica religiosa del suo predecessore, consentendo l’insediamento di un monastero di cistercensi a Zara. In quello stesso periodo fu ordinato cardinale il veneziano Balsamo Zorzi.
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Importante fu anche la politica matrimoniale del Doge Almerico: dapprima concesse la mano della figlia Florenzia al giovane Claudio di Dalmazia.
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E ancora più importante fu il matrimonio fra Anechino, il giovane erede veneziano, con la principessa siciliana Iolanda d’Altavilla, che apriva tutto uno scenario di possibilità territoriali per la Serenissima nel caso di morte senza eredi del Re di Sicilia.
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Sul piano diplomatico, Almerico cercò di aumentare il prestigio veneziano, tenendo una politica di pace e commercio, prima con i Cumani (con i quali fu sancita la tregua), e poi con i Danesi.
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Infine, per quanto riguardava l’espansione territoriale, una buona opportunità era costituita dalla vicina e ricca Firenze, in mano a un signorotto locale, che aveva già resistito a un assedio da parte delle armate papali. Si cominciò dunque ad approntare un esercito per la conquista.
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Per quanto riguardava il comandante, fu scelto Claudio, il marito di Florenzia, che da legato di Romagna si era dimostrato un vassallo fedele alla Serenissima e devoto agli ideali cattolici.
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E così già nel 1184 gli stendardi con il leone alato presero a sventolare per la Tuscia, radunandosi per assediare Firenze.
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Lo scontro è cruento fin dall’inizio; i nemici oppongono una accanitissima resistenza sia presso le mura sia presso il portone.
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Solo quando la folla veneziana riesce a sfondare la resistenza nemica al posto di guardia, la situazione migliore, e vengono prese anche le mura.
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Ma non c’è coordinazione fra i reparti della Serenissima, e i primi temerari che si gettano nella piazza presidiata da numerosi ribelli, vengono facilmente ricacciati indietro.
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A questo punto il generale Claudio cerca di raggruppare i suoi uomini in modo da muovere un’offensiva decisa; già fin troppi sono stati i caduti.
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Ma nulla cambia. Lo scontro sul limitare della piazza si fa veramente infernale.
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Solo l’aggiramento operato dalla cavalleria e le reiterate cariche di questa, portano infine alla morte del capitano nemico e allo sgretolamento della resistenza ribelle.
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Infine vi è la vittoria, ma il rapporto delle perdite la fa somigliare più a una sconfitta, considerando anche che i ribelli fiorentini erano già stati decimati dall’attacco di alcune armate papali.
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A ogni modo, la presa di Firenze ridiede animo ai veneziani, che notando l’opportunità di gettarsi alla conquista anche di Pisa, non esitarono ad avviare i preparativi per un nuovo assedio. In quel mentre, furono presi accordi commerciali con il Principato di Kiev, e il noto Bertuccio Mastropiero riconobbe un suo figlio illegittimo, tale Leonardo, che per la sua nascita fu soprannominato il Bastardo. Egli rivestirà grande importanza nel futuro della Serenissima.
Nel 1187, durante i preparativi per l’assedio di Pisa, il capitano veneziano Bartolomeo Premarin, che guidava un contingente destinato ad unirsi all’armata in allestimento, decise di ribellarsi all’autorità del Doge. Con i suoi infidi uomini, Premarin saccheggiò alcuni villaggi nel sud della Romagna, e si stabilì in una torre di guardia sita a sorveglianza dei valichi appenninici che conducevano a Firenze.
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Immediatamente, il generale Aloisio Contarini ricevette l’ordine di punire i ribelli, e la questione si risolse in fretta: la gigantesca armata di Aloisio si avvicinò come un unico corpo alle poche truppe di Premarin…
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…le mise in fuga senza difficoltà…
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…e le inseguì, uccidendo tutti dal primo all’ultimo; il capitano ribelle cadde mentre si affannava a scappare nella neve. Inoltre, la piccola vittoria galvanizzò i vertici militari della Serenissima, giacché le perdite erano state davvero minime.
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Finalmente, l’armata veneziana poté valicare gli Appennini ed entrare in territorio pisano. Nel 1191, la mite città era sotto assedio, ma proprio in quell’anno, si ebbe un inverno straordinariamente rigido per quei luoghi, e il generale Aloisio si ammalò di polmonite. Per poter continuare l’assedio fu inviato a Pisa il già vincitore di Firenze, Claudio. Egli decise di attendere senza lanciarsi in un attacco diretto, che gli assediati si arrendessero per fame. Poco dopo, si spense a Venezia il benvoluto Doge Almerico. L’ottima politica del defunto capo fazione, lasciava nelle mani del nuovo Doge Anechino, una Repubblica veneziana ottimamente avviata verso grandi traguardi. Essendo fra l’altro Anechino privo di figli, egli vide il suo successore in Leonardo il Bastardo, figlio di Bertuccio Mastropiero, il più fidato collaboratore del vecchio Almerico. Questo giovane, era cresciuto con il fardello di essere un bastardo, ed aveva sviluppato una certa depressione, dalla quale gli veniva il nuovo soprannome di “l’Affiltto”, e un’indole da intrigante. Ma Bertuccio fu contento per lui, e il Doge confidava nel figlio del suo amico.
Con la primavera del 1193, dopo un inverno di fame, le stremate truppe pisane, tentarono una disperata sortita contro i veneziani. Lo scontro non si prospettava troppo difficile. Claudio di Dalmazia si affrettò a schierare i suoi uomini su un dosso propizio alla difesa, appena fuori dalla cinta muraria.
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A quel punto le truppe pisane avevano davanti un solido muro di fanti…
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…ma non esitarono a caricare a testa bassa come cani arrabbiati.
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La battaglia si risolse tutta lì. La cavalleria veneziana si slanciò alle spalle della fanteria nemica impegnata in mischia, abbattendo gli arcieri…
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…e trovandosi poi a fronteggiare un branco di fuggiaschi.
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La vittoria costò qualcosina in più del previsto, ma risultò comunque netta.
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Con la conquista di Pisa, le rotte commerciali veneziane avevano finalmente uno sbocco anche sul mar Tirreno. Inoltre, Aloisio Contarini trovò tregua dai suoi acciacchi grazie al clima nuovamente mite della regione (Leopardi docet), e divenne governatore locale.
Gli anni successivi videro la fine della guerra con il Regno di Gerusalemme, che, stanco di subire disfatte navali, chiese umilmente la tregua alla Serenissima.
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Questo evento, sommato alle recenti conquiste e all’ottimo lavoro del Doge Anechino e del suo predecessore Almerico, portarono il rispetto verso la fazione veneziana a livelli molto alti, in Europa.
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A tali successi in politica estera, ne corrisposero altrettanti nella politica interna della Serenissima: l’ammiraglio Baldassarre, già eroico vincitore dei gerosolimitani, si diede al commercio, accettando di indire per conto del Doge un grande mercato portuale a Pisa;
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A Bologna, così come in altre città, fu ampliata la cinta muraria a causa dell’incremento della popolazione;
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Un devoto sacerdote di origini veneziane, Domenico Morosini, ottenne la nomina cardinalizia;
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Infine, le innovazioni tecnologiche, permisero la costruzione delle prime armi d’assedio della Repubblica di Venezia, le balliste, con le quali si sperava di poter migliorare la negativa tendenza alle perdite negli assedi.
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A questo punto, forte dei nuovi strumenti d’assedio, il generale Palmerio de Baza fu incaricato di attaccare Genova, portando con sé i veterani di Pisa. Il generale non si fece pregare, e nel 1199, attaccò la ricca città indipendente, avvalendosi anche dei rinforzi degli alleati milanesi stanziati lì vicino.
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Su Palmerio ricadeva una grossa responsabilità; tutti i suoi predecessori veneziani, non erano mai riusciti a limitare le perdite negli assedi, ma non disponevano di balliste. Invece lui doveva rivoluzionare quel tipo di scontri, e doveva ottenere una vittoria comunque non facile. Il primo passo fu quello di schierare tutto l’esercito dietro le balliste.
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Fatto ciò, mentre i milanesi arrivavano lentamente aggirando le mura, Palmerio avviò il bombardamento.
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Il portone fu abbattuto presto, e i ribelli si ritirarono dalle mura, che furono facilmente prese dai primi alleati in arrivo.
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Allora anche i veneziani s’incamminarono verso la città. I primi ad arrivare furono alcuni reparti di fanteria, che si incaricarono di bloccare la via principale, salvaguardando la testa di ponte degli invasori. Presto arrivò il contrattacco nemico.
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Ma avvenne un imprevisto. Mentre la resistenza degli uomini attestati in strada si faceva sempre più esasperata, alle porte vi era una gran confusione, in quanto sia i milanesi che i veneziani si stavano gettando alla rinfusa nell’insediamento.
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In questo modo, l’arrivo di soccorsi ai veneziani che mantenevano la strada principale, fu tardo. Inoltre, arrivarono tanti reparti spezzettati nella calca, il che rendeva pressoché impossibile coordinare un attacco corretto. La mischia era furibonda.
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Nel tentativo di migliorare la situazione, Palmerio inviò alcuni reparti a destra, sperando di aggirare il fronte robusto del nemico. Ma nessuno si accorse che anche i ribelli avevano inviato degli uomini ad aggirare gli invasori sulla sinistra.
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Nei convulsi combattimenti successivi, persero rapidamente la vita sia il capitano milanese Tamerigo, sia il generale veneziano Palmerio.
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Parve però che vi fosse un barlume di speranza; infatti, i più forti dei reparti veneziani erano riusciti a incalzare i nemici fino alla piazza, pur lasciandosi dietro una scia ininterrotta di caduti.
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Inoltre, alcuni sergenti a cavallo veneziani erano riusciti a oltrepassare il terribile sbarramento dei ribelli, portandosi nella via alle spalle della piazza centrale di Genova.
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Ma la disorganizzazione, il morale basso, e la costante presenza di nemici che spuntavano da ogni angolo, costrinsero i veneziani a retrocedere a mano a mano.
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Alla fine, senza sapere nemmeno quanti milanesi restavano ancora realmente, i superstiti veneziani decisero di battere in ordinata ritirata.
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Nonostante la rotta veneziana, i milanesi restarono a combattere fino al termine della giornata, senza mai mettere veramente in pericolo i ribelli genovesi, e ottenendo un nulla di fatto. Quando si contarono le perdite, risultò un miracolo che duecento veneziani su mille si fossero salvati.
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La sconfitta pesò relativamente sulla Serenissima, visto che comunque la situazione generale era piuttosto rosea. Il periodo seguente al fallito assedio di Genova, fu più che altro un periodo di forti movimenti religiosi: il mondo islamico si mobilitò in una Jihad che aveva per obbiettivo la città portoghese di Ischbilya.
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Il fatto che i musulmani si riunissero in un’unica santa missione, cozzò duramente con le divisioni interne al cristianesimo; Francia, Inghilterra, Aragona e Gerusalemme erano fazioni scomunicate, e addirittura le ultime due avevano dei propri Antipapi. In questo clima di tensioni religiose si aprì il nuovo secolo. In seno alla Serenissima, inoltre, furono eventi importanti la morte di Bertuccio Mastropiero e la caduta di Genova in mano milanese nel 1201, dato che sanciva la definitiva divisione in due del nord Italia. Nel 1202, Ischbilya cadde in mano musulmana.
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Il Doge Anechino, ben deciso a mantenere la pace con i milanesi, puntò lo sguardo verso la Corsica, utile baluardo militare e commerciale. Un’armata fu allestita e affidata al comando di due bravi generali, Jacopo de Nigro e Sebastiano Mastropiero, il giovanissimo figlio legittimo di Bertuccio. I due sbarcarono rapidamente nei pressi di Ajaccio, e scoprirono una situazione confusa, sull’isola.
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Intanto messi papali portarono la notizia in tutta Europa che il Papa esigeva la conquista di Gerusalemme, in mano al Regno crociato. Il Doge Anechino, non volendo comunque impegnare truppe in Outremer, negò la partecipazione veneziana alla crociata, affermando che non era una buona mossa attaccare dei cristiani, seppure scomunicati, invece che i veri nemici della croce. Fra il 1204 e il 1205, il Doge fece eseguire un’accurata ricerca ai suoi agenti, in modo da stabilire un quadro di confronto fra le maggiori potenze europee del periodo e la Repubblica di Venezia. La ricerca portò a risultati non proprio incoraggianti:
- Complessivamente, il Regno di Sicilia era la fazione più potente, e per fortuna i veneziani e i siciliani erano legati da un lungo sodalizio. Le altre grandi fazioni erano nell’ordine Mori, Bizantini, Turchi e Russi di Kiev.
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- Sul piano militare, i più potenti erano i Mori, sempre seguiti da vicino da siciliani e le stesse altre fazioni. I veneziani erano militarmente molto lontani dalle altre fazioni.
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- Dal punto di vista della produzione, i Siciliani scendevano a livelli infimi negli anni recenti, con un calo a picco motivato da chissà cosa; i veneziani erano su un buon livello, anche se surclassati dalle altre potenze, soprattutto dai Mori, che ovviamente potevano disporre di una produzione proporzionale alla grandezza del loro immenso regno.
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- Le fazioni con maggiore estensione territoriale erano i Siciliani, i Mori e i Russi di Kiev, mentre Turchi e Bizantini erano in lotta fra loro.
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- Nel settore finanziario, i veneziani spiccavano come la maggiore potenza, almeno fino agli anni recenti, dove erano di poco sorpassati dai Siciliani. Le altre fazioni erano un groviglio confuso.
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- Infine, per quanto riguardava la crescita demografica, le fazioni maggiori erano quelle con imperi più vasti, quali i Siciliani, i Mori e i Bizantini.
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Mentre il Doge traeva qualche conclusione dalle sue ricerche, avvenne un fatto che lo portò a rivalutare la sua ferma decisione di mantenere la pace con i milanesi; questi, infatti, sciolsero l’alleanza con la Serenissima.
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Inoltre, il Duca di Milano inviò un’armata capitanata da un certo Brunaccio alle porte di Bologna. Grazie alle informazioni ricavate dall’agente di spionaggio Blasio Cesaresco, i veneziani seppero che quell’armata era composta da ottimi reparti.
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Immediatamente, Jacopo de Nigro e Sebastiano Mastropiero si reimbarcarono, abbandonando l’assedio di Ajaccio, e sbarcando nel porto di Pisa. Ma il Doge ordinò loro di attendere lì nuovi ordini, perché aveva in mente bellicosi piani; visto che i milanesi sembravano pronti a dichiarare guerra, perché non anticiparli? In gran fretta fu preparata un’armata a Verona, affidata a Gerardo da Pistoia.
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Nel frattempo, Jacopo e Sebastiano restavano al porto di Pisa, pronti a salpare verso la vicina Genova.
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E l’entroterra del territorio milanese restava sotto la vigilanza di Blasio Cesaresco.
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Le notizie provenienti da lontano riguardo all’arrivo di una feroce popolazione guerriera, i Mongoli…
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…e riguardo alla presa di Gerusalemme da parte delle truppe fedeli al Papa di Roma…
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…passarono inosservate. Era il 1208, e la Serenissima Repubblica di Venezia era tutta tesa e pronta verso il più grande e decisivo sforzo militare che avesse mai intrapreso.
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"La parola di Dio è Pace". (Corano 36:58)
"Beati gli operatori di pace, perchè saranno chiamati figli di Dio".
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