Con assai minore entusiasmo venne eseguito, quell’estate stessa, un altro ordine di Eltut: l’evacuazione di Iaski Torg. Questa decisione parve strana perché il castello non correva rischi immediati e, anche fosse stato, aveva già ampiamente dimostrato di saper tener testa ai magiari. C’erano, tuttavia, due ottime ragioni per liberarsene al più presto: la prima – comprensibile anche ai generali più testardi – era che la difesa di quel saliente isolato esigeva l’immobilizzazione di truppe che sarebbero state più utili altrove; la seconda – incomprensibile ai più – derivava da complessi calcoli dimostranti che al momento il regno sarebbe stato più prospero perdendo una provincia.
I fatti diedero ragione al Khan. Circa un anno dopo, i guerrieri recuperati da Iaski Torg si rivelarono preziosi per stroncare un attacco magiaro nel sudovest. Il tesoro registrò maggiori incassi, e con questi fu possibile iniziare il potenziamento delle mura di Asperon, destinato a diventare la fortezza satellite di Olese.
Il nuovo secolo portò con sé un nuovo Khan, nella persona del già attempato Gza, il cui chiodo fisso consisteva la conquista di Bolgar; per tale impresa iniziò a concentrare presso Saqsin truppe di provenienza assai eterogenea. I suoi piani non vennero ostacolati né dalle scaramucce di confine coi Turchi, né dal suicidio in massa dei Magiari contro le nuove difese di Asperon.
Nell’estate del 1205, dopo essersi attardati agli estremi confini del Kipchaq col pretesto di erigere posti di osservazione, Tort-Oyul e Bonyek scattarono all’assedio della grande città di Bolgar: la sottomisero al prezzo di soli 57 caduti, e vi raccolsero un bottino di oltre 7.500 fiorini.
Con ciò, ovviamente, ebbe fine la tregua pattuita coi russi di Vladimir, peraltro segnalatisi nel corso degli anni per proposte diplomatiche a dir poco insultanti. Per la prima volta si registrò un drammatico calo di prestigio, che presto impose di erigere una sede dell’assemblea.
In ogni caso, tutto pareva volgere per il meglio quando due eventi sconvolsero lo scenario: una crociata cattolica contro Antiochia, che portò al disimpegno degli alleati Polacchi nell’area di Smolensk e Chernigov, e le prime allarmanti notizie su un’orda nomade in marcia.
Nell’estate del 1209 i Russi dilagarono in ogni direzione; entro pochi mesi avevano ripreso possesso di Pereyaslav – ove cadde Stebich, Khan per una sola stagione – e le loro armate già minacciavano Bolgar, Sarkel ed Azaq. La loro capacità di mobilitazione appariva straordinaria.
Le mura di Sarkel e le baliste di Bolgar li dissuasero, sicché finirono per concentrare le loro attenzioni contro Azaq e Saqsin.
La prima battaglia di Azaq, nel giugno 1210, fu risolta con una sortita che li strinse fra gli assediati ed i rinforzi mercenari guidati da Bonjek; in quell’occasione furono stritolati.
La seconda, circa un anno dopo, fu combattuta quasi per intero ai lati della scalinata della camera di consiglio, non volendo arrischiare la difesa di mura battute da varie catapulte e baliste; la giornata si concluse con la caccia agli artiglieri ed arcieri rimasti senza munizioni.
La battaglia di Saqsin, che cronologicamente si colloca fra le prime due, ripropose invece un classico della difesa cumana. Un contingente di cavalleria riuscì a provocare l’abbandono di ogni attrezzatura d’assedio; i russi tardarono a recuperare un ariete, e riuscirono a servirsene solo dopo aver già subito perdite devastanti ad opera dei tiratori; le lance completarono l’opera.
L’urgenza del momento impose scelte drammatiche; con il nordest e la capitale minacciati da russi e mongoli, si decise di spostare dal sudest ogni guerriero disponibile. In questo modo si riuscì a rafforzare al massimo tutti i centri nevralgici, ma Tbilissi e Derbend furono perse per ribellione.
Quando la torre di avvistamento di Bolgar scorse i primi mongoli, nell’estate del 1212, gli invasori non sembravano particolarmente numerosi; ma continuavano ad affluire, e presto disposero di una forza di almeno cinque armate.
Per qualche tempo parvero indecisi sul da farsi, poi operarono la scelta più logica; puntarono dritti su Saqsin che, per quanto zeppa di armati, restava la maglia più debole della catena difensiva.
L’assedio di Saqsin iniziò nella primavera del 1216, e l’assalto fu lanciato dopo la caduta delle prime nevi. I Mongoli mandarono all’attacco due soli eserciti, quelli di Jeba ed Aradai, tenendo gli altri tre in disparte; forse ritenevano persino eccessivo l’impegno di oltre 2700 guerrieri delle steppe contro circa 1500 difensori cittadini.
Il nobile Khanzada, temendo soprattutto l’irruzione della cavalleria, concentrò quasi tutti i propri lancieri a protezione della porta occidentale (quella direttamente minacciata), con gli arcieri sui bastioni adiacenti; un distaccamento minimo occupò un settore delle mura più lontano, per ritardare l’azione dei fanti che lo avrebbero scalato; gli uomini a cavallo, compresi quelli suoi e del suo secondo in comando, avrebbero corso la staffetta per attivare le torri sul percorso che avrebbe preso l’esercito – senza attrezzature d’assedio – schieratosi innanzi alla porta orientale.
Il suo dispositivo resse bene al primo urto, ed Aradai trovò la morte con gran parte dei suoi cavalieri. Meno efficace fu il tiro delle torri sulla seconda armata, che giunse alla meta con forze ancora sufficienti a travolgere gli esausti fantaccini. Solo una disperata carica di cavalleria, in cui trovarono la morte sia Khanzada che Jeba, riuscì a spezzare le reni e lo spirito del nemico.
Due eserciti nomadi erano stati praticamente annientati, ma a Saqsin restavano solo 500 difensori. Per fortuna il Khan mongolo, dopo aver riscattato a peso d’oro centinaia dei suoi, decise di allontanarsi verso Sarkel.
Mezza guarnigione di Bolgar si mise in marcia verso Saqsin che, oltre a non potersi illudere di esser fuori pericolo, ora doveva scontare anche seri problemi di ordine pubblico.