00 28/07/2010 09:02
Grazie a tutti! Intanto approfitto dell'occasione per scusarmi dell'assoluta assenza di immagini, ma quando ho fatto la campagna ancora non avevo una chiara idea di come realizzarle...sorry. Inoltre preciso che questa cronaca è sulla campagna light, ma credo si intuisse. Ciao a tutti!


Fase II – La grande Jihad (1180-1210) – Le quattro battaglie di Gerusalemme

Informati della disfatta di Sahal ad Din, il comandante siriano e quello turco, entrambi i legittimi eredi ai rispettivi troni, si incontrano per stabilire una strategia comune: dove l’ayubbide ha fallito loro avranno invece partita vinta. Il piano sul quale si accordano è semplice: l’esercito siriano marcia a nord del mar Morto, minacciando direttamente Kerak e costringendo la guarnigione a non uscire dalle sue spesse mura; nel caso in cui, invece, la follia guidi la mente dei comandanti gerosolimitani, il principe siriano li disintegra e prende la rocca. L’esercito turco, dal canto suo, punta su Gerusalemme da nord, guadando il Giordano prima che si getti nel mar Morto. L’idea finale è cingere la capitale franca in una mortale tenaglia dalla quale non può che uscire frantumata.
Purtroppo per i musulmani, però, Raymond de Coligny rientra a Kerak con gran celerità: dopo aver inviato a Gerusalemme un messo con l’annuncio del trionfo, il generale aveva inviato altri cavalieri a Kerak, ordinando che i battaglioni appena addestrati fossero pronti a muovere appena egli fosse giunto. Il risultato è che, quando i siriani oltrepassano Kerak e prendono a risalire verso Gerusalemme, l’armata franca è assai più vicina di quanto il loro principe pensi.
Raymond, lasciate nella fortezza le unità più provate dall’epica battaglia contro gli egiziani, prende ogni uomo disponibile e insegue i siriani, intercettandoli a soli venticinque chilometri dalla città santa. I turchi sono ancora a cinquanta chilometri a settentrione di Gerusalemme e, quindi, la tenaglia non è chiusa a sufficienza. Ma il principe siriano è smanioso di gloria e non si tira certo indietro: schiera le sue truppe in un’unica, gigantesca massa di guerrieri fanatici e urlanti e la scarica contro le ordinate ma sottili fila dell’esercito gerosolimitano. Raymond, contando sui propri veterani, lo lascia fare e prepara le contromosse: ammassa la poca cavalleria alle spalle dell’ala sinistra, lasciando invitantemente scoperta quella destra. E il generale siriano cade in pieno nella trappola: non solo abbandona al proprio destino gli arcieri, che vengono spietatamente inseguiti dalla cavalleria franca; ma si impegna personalmente nei combattimenti feroci contro l’ala destra nemica, perdendo la possibilità di una la visione d’insieme. Così non può assolutamente nulla quando, con estrema freddezza, Raymond ordina ai due contingenti di fanti ospitalieri di attaccare il fianco sinistro scoperto dei siriani: la carica irrompe nelle fila musulmane infliggendo pesanti perdite e distruggendo il morale del nemico. Quando anche l’ala destra siriana viene aggredita dalla cavalleria, l’intero fronte si sbanda e inizia la caccia: solo sparuti gruppi riuscirono a rifugiarsi nel deserto e il principe non era con loro.
Il nuovo trionfo, a conti fatti ben più vasto di quanto la durezza dei combattimenti aveva fatto pensare, però è di breve durata. I turchi sono alle porte e bisogna affrontarli. Raymond sa che questa volta si tratta di una battaglia facile: può contare su truppe di grande esperienza, temprate da durissimi scontri, e ogni sorpresa messa in atto contro i siriani non è diventata ancora di dominio pubblico, per cui può funzionare anche con i turchi. Per di più Baldovino, preso da improvvisa smania di gloria militare, decide di guidare personalmente la guarnigione di Gerusalemme in battaglia, dando agli uomini un motivo in più per dare il massimo e non cedere.
La battaglia, infatti, si risolve in una pura formalità, a dispetto del gran numero di armati turchi. L’unica nota stonata è la morte di Baldovino, caduto durante una carica. Ma nemmeno la funesta notizia riesce a togliere gloria alla giornata e quella sera, pur nel lutto, gli abitanti di Gerusalemme respirano più liberi, senza vedere all’orizzonte nuove orde nemiche.
L’anno seguente, 1185, si apre con l’incoronazione di Amalric a nuovo rex latinorum. Il dispotico principe di Antiochia rifiuta categoricamente di lasciare la propria amata città e di fatto abbandona il resto del regno a sé stesso. La popolazione di Gerusalemme non prende affatto bene la decisione del nuovo sovrano e propone a Raymond de Coligny di assumere la corona, in quanto uomo più degno. Ma Raymond, fedele al proprio mandato fino in fondo, rifiuta e assume invece il governatorato della città, accettando il titolo di Vicomte de Jerusalem. Il suo primo atto è quello di spostare l’esercito a Kerak, per riequipaggiarlo degnamente e rimpinguare le fila dei contingenti.
Proprio mentre si trova nella fortezza giunsero due notizie.
La prima viene da molto lontano, addirittura da Roma: a quanto pare il Santo Padre ha infine ceduto alle suppliche degli emissari gerosolimitani – o forse era solo stufo di sentirne i piagnistei – e ha indetto una grande crociata per punire l’istigatore della jihad: l’obbiettivo delle armate sarebbe stato la città di Al Qhaira, la capitale del sultanato egiziano. Gli emissari informano che, al momento, la Corona d’Aragona, il Comune di Milano e il Regno d’Ungheria hanno aderito alla chiamata papale, mentre il resto della cristianità resta assai tiepido al riguardo.
Il tempo di rammaricarsi di una così scarna partecipazione però non c’è: infatti arrivano allarmanti notizie di una fulminea marcia egiziana da Dumyat verso Gerusalemme. Raymond riunisce rapidamente l’esercito e lascia Kerak in una afosa mattina d’estate, dirigendosi verso la capitale e un nuovo scontro col suo peggior nemico: Sahal ad Din.
Il sultano d’Egitto non ha più l’esercito fiero e sicuro di sé di cinque anni prima, ma resta comunque in possesso di una forza temibile e superbamente comandata. In più le forze egiziane sono animate da un misto di fanatismo religioso e brama di vendetta che le rende incredibilmente feroci e determinate. Raymond schiera le truppe su due linee, fanteria davanti e arcieri alle spalle, con la cavalleria sui lati pronta ad intervenire. Egli, assieme alla propria guardia, sceglie di mantenersi al di fuori della mischia, osservando da posizione arretrata la pugna.
Gli Egiziani non danno tempo agli animi di raffreddarsi, ma si scagliano all’attacco con urla belluine, i selvaggi ghazi a guidare la carica. I lancieri latini reggono l’impatto ma si trovano impegnati in un combattimento corpo a corpo all’ultimo sangue, a cui ben presto gli arcieri di ambo gli schieramenti devono partecipare. La cavalleria egiziana, in inferiorità numerica ma di miglior qualità, costringe la controparte gerosolimitana ad una serie di duelli che li portano lontani dal luogo principale della battaglia. A questo punto Sahal ad Din comprende che l’attimo supremo è giunto e scaglia i veterani della propria guardia nel cuore della mischia, massacrando senza la minima pietà nemici su nemici. E sfonda.
Lo schieramento franco si spacca in due tronconi, entrambi impegnati allo spasmo e impossibilitati a portarsi reciproco soccorso. Sahal ad Din stermina un gruppo di arcieri che stava rientrando nella mischia e, sentendo il trionfo a portata di mano, si prepara a caricare alle spalle la tesissima linea franca. Ma prima che possa infliggere il colpo di grazia viene aggredito da una disperata quanto furiosa carica guidata da Raymond in persona. Ne nasce una mischia furibonda, che si risolve solo quando il sultano viene disarcionato e ucciso. La morte di Sahal ad Din è un colpo troppo duro e l’intero esercito egiziano si dà ad un disordinata fuga verso meridione mentre le truppe franche assistono ormai senza forze.
Finalmente, nel 1186 avanzato, dall’Europa giungono i primi eserciti crociati. Le armate lombarde e magiare scendono dall’Anatolia, ma nessuno dei nobili che partecipano alla santa impresa pare particolarmente desideroso di andare fino in fondo. Né la condotta di Amalric, sempre chiuso in Antiochia, desta particolare ardore nei loro cuori. Per fortuna l’Egitto è in ginocchio e l’armata aragonese, che arriva in maniera del tutto inaspettata dai territori libici, ha facile gioco a conquistare (1188) una Al Qhaira assai poco difesa. La vittoria crociata mette fine a qualsivoglia velleità crociata lombarda e magiara, eppure nessuno lascia la Terrasanta.
Intanto Raymond non è stato a girarsi i pollici, ma ha proseguito col piano di potenziamento dell’esercito, rimpinguando di reclute i battaglioni veterani e arruolando nuovi contingenti. Inoltre è riuscito a convincere il riluttante sovrano a fondare una sede distaccata dell’Ordine Ospitaliero a Kerak, assicurandosi i servigi di quei guerrieri così temibili e determinati. Servigi che devono presto essere sfruttati per fermare un altro attacco islamico.
Sebbene gli eserciti jihadisti siano stati sconfitti duramente, il fuoco della guerra santa non ha abbandonato del tutto le lande islamiche. Anzitutto la grande armata promessa dal sultano almohade è, da quel che si sa, in viaggio; poi dai minareti di Siria ancora si chiama alla jihad. Così un nuovo esercito zenghide si ammassa presso Homs per marciare a sud e schiacciare i cani franchi.
Raymond decise di aspettarli sotto le mura di Gerusalemme e prepara per l’occasione una trappola che, se scattata alla perfezione, porterebbe alla distruzione del nemico: concorda un attacco a tenaglia da Kerak. E il generale siriano, forse troppo sicuro di sé, forse solo incauto, fa la stessa strada del suo predecessore, passando immediatamente a settentrione della rocca ed esponendosi in pieno alla mortale trappola. Che puntualmente si chiude e porta i siriani ad una rovinosa sconfitta. La cosa peggiore è che, in modo del tutto involontario, gli zenghidi hanno concesso al giovanissimo capitano della fortezza di Kerak l’occasione di diventare qualcuno e di muovere i primi passi verso la gloria: quel ragazzo, che viene nominato cavaliere e Segneur d’Outre-Jordain sul campo di battaglia, ha appena sedici anni e risponde al nome di Boemond. Boemond de Coligny.