00 28/07/2010 15:23
Con le tanto agognate vacanze alle porte penso proprio che posterò il resto di questa campagna nei prossimi giorni. Così potrò concentrarmi sul resoconto di quella che sto portando avanti ora, più complicata (sono passato a full m/m) e decisamente più ambiziosa (a volte penso pure troppo!). Detto questo, avanti con il nuovo pezzo!


Fase II – La grande Jihad (1180-1210) – La miglior difesa è l’attacco

Mentre le notizie del nuovo trionfo di Raymond si spargono per tutta la Terrasanta, il destino delle armate crociate è assai meno glorioso. Gli Aragonesi, conquistatori di Al-Qahira, si trovano a dover fare i conti con una città popolosa e di difficile controllo, animata da un fortissimo odio per gli invasori; l’unica cosa che impedisce agli abitanti di ribellarsi apertamente è l’incerta situazione del paese, momentaneamente privo di una guida. I lombardi, perso il proprio comandante per pestilenza, si ritrovano a vagare inquieti fra Tripoli e Adana, esponendosi a continue scaramucce coi turchi e al rischio di diserzioni. Messi peggio di tutti, i magiari si ritrovano imbottigliati fra Halab e Homs, in pieno territorio zenghide, continuamente aggrediti da eserciti siriani via via più forti e determinati. Fra 1188 e 1192 si svolgono in quest’area ben quattro grandi scontri, al termine dei quali l’esercito magiaro e ridotto a piccole bande di fuggiaschi, senza nessuna coesione o pericolosità.
Questa grande vittoria islamica rappresenta però una goccia in un mare di sconfitte e, cosa ben più grave, spossa oltremodo la già traballante economia del sultanato zenghide. E Raymond vede la grande occasione per assestare un colpo semi-mortale alla causa jihadista. Con grande prontezza marcia con la principale armata gerosolimitana verso Tripoli, piegando quindi a nord-est verso l’Atabeg Jazirah. La sua comparsa sotto le possenti ma poco difese mura di Homs coglie completamente di sorpresa i siriani, che non riescono a reagire e vengono duramente sconfitti. Deciso a sfruttare sino in fondo il momento favorevole e ad assicurare una linea difensiva sicura nell’entroterra, Raymond de Coligny marcia verso Halab e investe la capitale siriana senza indugi, conquistandola dopo brevi scontri e concedendo diritto di saccheggio ai propri uomini. Nel 1196, assicuratosi che suo figlio Boemond si stia occupando di conquistare Dimashq, Raymond lascia Halab e si dirige ad Antiochia, dove rende omaggio a re Amalric, consegnandogli le chiavi delle città conquistate. Il sovrano, ormai sessantenne, è più dispotico e scontroso che mai e accetta senza lodi e congratulazioni l’omaggio di Raymond; tuttavia sa bene che quell’uomo è intelligente e capace e, dunque, non intende opporsi ai suoi piani. Concede senza alcun problema l’autorizzazione a colpire ad Adana il sultanato turco. Come unica condizione pone la partecipazione all’impresa di contingenti ospitalieri. E Raymond, grato di quel segnale di favore, accetta. Nel 1197 Adana è conquistata e i turchi scacciati dalla Cilicia.
L’anno dopo Amalric si spegne ad Antiochia e viene incoronato rex latinorum Philip, governatore di Tripoli. Il nuovo sovrano è ben diverso dal suo predecessore e si dimostra fin da subito assai più attivo: come primo atto investe molto nelle terre appena acquisite, per valorizzarle e assicurare la popolazione che nel cambio di dominio hanno solo guadagnato. Poi, assieme al fidato Raymond de Coligny, rivede il piano di sviluppo militare di Baldovino e lo aggiorna: la rocca di Acri perde importanza, mentre vengono implementate difese e servizi tanto di Homs – baluardo contro gli zenghidi – quanto di Adana, scudo contro i selgiuchidi. Nel 1203 re Philip spezza poi il dominio assoluto degli Ospitalieri affidando la difesa della città di Gerusalemme e dei luoghi santi all’Ordine del Tempio.
Poi, nel 1208, dopo quasi vent’anni, una gigantesca armata almohade cala spavalda dall’Anatolia. Gli zenghidi, profondamente provati, non si uniscono, ma lasciano libero passaggio. Re Philip decide di affrontare la minaccia in prima persona e, assunto il comando dell’armata acquartierata a Homs, marcia contro il nemico. I due eserciti si scontrano nelle calde sabbie del deserto siriano, non molto distanti dalle rovine della città di Palmira: i mori, fin troppo sicuri di sé, non si sono presi la briga di studiare in profondità il nemico e non hanno idea di quanto l’esercito franco possa essere tenace, determinato e abile. Il risultato è una colossale sconfitta che, de facto, chiude la jihad. Nel 1210 a Homs i messi dell’atabeg zenghide firmano la pace con l’Outremer, imitati due anni dopo dai selgiuchidi.

Fase III – La conquista dell’Egitto (1200-1226)

Piccolo passo indietro. Nel 1196 la seconda armata franca, comandata dal giovanissimo Boemond de Coligny, staziona sotto le mura di Dimashq, ultimo capoluogo zenghide nell’area. Le forze gerosolimitane sono impegnate a nord, a punire i turchi e praticamente tutto il meridione dell’Outremer è controllato unicamente da sparute guarnigioni. Sembra che la tempesta sia stata superata e che, a sancire ciò, manchino unicamente dei trattati. Ma una mattina all’accampamento franco di Dimashq arriva una terribile notizia: un grande esercito egiziano ha varcato il confine, sopraffatto le poche pattuglie e ha raggiunto Gerusalemme, cingendola d’assedio. A difesa della città vi sono unicamente due contingenti di lancieri miliziani e la guardia personale del nobile Husset, in pellegrinaggio ai luoghi santi.
Boemond si trova di fronte ad un dilemma terribile: conquistare Dimashq e abbandonare Gerusalemme o correre in soccorso della capitale dando però respiro al nemico? La sua decisione è quanto mai audace: ordina di proseguire l’assedio e di portarlo a veloce compimento tramite assalto generale; dal canto suo, egli intende prendere tutta la cavalleria disponibile – due squadroni di arcieri a cavallo e due di cavalleggeri – e marciare in soccorso della capitale.
Ma come è possibile che l’Egitto abbia trovato la forza di montare un simile attacco? La disfatta di Sahal ad Din sotto Gerusalemme ha lasciato lo stato egiziano profondamente scosso e privo di una guida autorevole. In più Sahal ad Din muore senza autentici eredi e l’estinzione della sua linea dinastica lascia aperto un vuoto pericoloso. In questo frangente, mentre l’armata di crociati aragonesi conquista Al-Qahira, gli ultimi fatimidi rialzano il capo e si re insediano sul trono, prendendo nuovamente le redini del potere. Il loro primo obbiettivo è quello di consolidare il ritrovato potere e di scacciare la peste dei crociati iberici; l’impegno in tal senso è molto forte, ma altrettanto forte è l’astio per i gerosolimitani, un odio che i fatimidi cavalcano per unificare il paese. Così troppo grande è la tentazione per resistere e, non appena le notizie dei tracolli zenghidi arrivano sul Nilo, il sultano ordina la preparazione di una grande spedizione: alla sua testa purtroppo non può che porre un fidato capitano, giacché i pochi rappresentanti della nobiltà gli servono in patria per controllare la situazione e governare le città. Questa decisone, seppur dettata da effettive necessità, si rivela assolutamente letale per il successo della spedizione.
Nella piana antistante Gerusalemme, infatti, Boemond de Coligny dimostra di essere un mirabile comandante di cavalleria e con meno di cinque squadroni effettivi costringe il nemico a spezzettarsi e a sfiancarsi in inutili inseguimenti, salvo poi essere impotente quando la cavalleria, con un rapido dietrofront, si lancia alla carica e travolge le esauste schiere musulmane. Al termine della giornata il campo è costellato di cadaveri e molto pochi sono quelli franchi: la vittoria di Boemond è assoluta e apre le porte per una spedizione punitiva.
Boemond impiega quasi due anni per assemblare al meglio le truppe e essere pronto a partire; ma nel 1198 l’esercito, forte anche di due contingenti ospitalieri, lascia Kerak e si dirige verso il mare e la via per Dumyat. La rocca viene conquistata senza particolare sforzo nel 1200 e subito il consiglio nobiliare preme perché non rimanga un episodio isolato come Adana, ma perché si vada oltre, sottraendo ai fatimidi la città portuale di Al Iskandariya. Entro il 1202 il delta del Nilo è totalmente in mano gerosolimitana, ma proprio in quell’anno i fatimidi riescono a cogliere un’importante vittoria morale: la riconquista di Al-Qahira.
Tuttavia si tratta di una vittoria di poco conto perché Boemond non intende affatto dare loro tempo di riprendersi: per ora le forze fatimidi sono numerose ma molto inesperte e mal equipaggiate, ma con tranquillità potrebbero essere forgiate in una forza assolutamente temibile. Così ha inizio una spettacolare girandola di conquiste e battaglie che porta l’Outremer a controllare entro il 1210 tutta la regione di Al-Qhaira e la possente roccaforte di Asyut. Boemond, ormai padrone di mezzo Egitto, inizia l’assemblaggio di un esercito nubiano-sudanese: si vuole così premiare l’appoggio dato ai franchi dalle popolazioni sottomesse ai fatimidi, che vedono nei nuovi signori, per quanto di differente religione, persone meno spietate e sanguinarie. La nuova armata viene radunata a Dumyat, ma non ha ancora terminato il periodo di addestramento quando Boemond scatena la nuova offensiva. Con un’azione combinata a cui i demoralizzati e sempre più isolati fatimidi non possono reagire, le truppe d’Outremer attaccano da nord la rocca di Qenah, ultimo bastione fortificato dell’Egitto islamico, e attaccano la cittadina costiera di Qoseir con un’operazione anfibia. Nel 1214 anche la città carovaniera di Aswan viene annessa e tutto ciò che resta alla dinastia fatimide è l’oasi di Siwa, nel cuore del deserto.
Gli anni 1214-1224 registrano complessivamente ben poco sul piano esterno, se si eccettua l’occupazione da parte degli ospitalieri dell’isola di Cipro, ribellatasi al dominio bizantino. Il bienno 1224-1226 per contro vede due atti di grande importanza. Il primo è il battesimo di guerra del nuovo esercito nubiano-sudanese. Queste truppe, arrivate al giusto addestramento troppo tardi per poter partecipare attivamente alla conquista dell’Egitto, vengono acquartierate a Dumyat e ivi restano fino al 1222, quando Boemond, ormai Governatore Generale del Nilo, ordina l’organizzazione di una spedizione in grande stile per impadronirsi della rocca di Barqah, all’estremo orientale del golfo della Sirte. Spostate via mare, le truppe sbarcano in prossimità di Barqah nel tardo 1223 e iniziano l’attacco nella primavera seguente. La battaglia, straordinaria per ferocia e intensità, rappresenta un tremendo salasso per l’armata; ma dimostra altresì quanto fieramente questi uomini possano battersi. La vittoria finale viene salutata con un plauso più o meno ovunque e Barqah designata come nuova sede dei nubiano-sudanesi, ora prima linea di difesa del fronte africano.
Il secondo atto fondamentale avviene nel 1226 e segna la fine della dinastia fatimide e del dominio islamico sull’Egitto. L’operazione, niente altro che una rapida conquista dell’oasi senza troppo interessarsi di quanto accade nelle sabbie circostanti, viene condotta a termine da Chanteur de Coligny, figlio di Boemond dal quale tuttavia non ha ereditato che poche caratteristiche, fra cui non vi è la fedeltà. Infatti Chanteur sarà protagonista di una sciocca quanto breve ribellione solitaria, a cui una lama nell’oscurità porrà rapida fine.