00 27/07/2010 16:23
Grazie dell'apprezzamento, fa sempre piacere! E ora sotto col seguito: il primo pezzo era più che altro un prologo, un'introduzione(per quanto di parecchi turni). Ora però si fa sul serio! [SM=x1140483]


Fase II – La grande Jihad (1180-1210) - Sahal ad Din

Appena la ferale notizia giunge nelle terre gerosolimitane l’intero Outremer viene attraversato da un brivido di assoluta, genuina paura. Come si potrà sopravvivere all’imminente tempesta? Come potrà un singolo esercito, senza nessuna reale esperienza di battaglia, impedire che migliaia e migliaia di soldati, animati dalla furia della fede, entrino nella città santa e ne lordino le vie col sangue della popolazione inerme? Ogni sguardo si volge verso Baldovino, verso quel sovrano sulle cui spalle poggia l’onere di trovare una risposta. Ma Baldovino è nel panico come tutti, non è un soldato e soprattutto sa che l’esercito gerosolimitano non può farcela. La speranza ha abbandonato il suo cuore ed egli si rifugia nella preghiera, sperando con la devozione di convincere l’Altissimo a cambiare parere e ad allontanare da lui la furia islamica. Amalric, dal canto suo, si barrica in Antiochia assieme ai suoi fedelissimi Ospitalieri, mostrando chiaramente quanto poco gli importi della sorte di Gerusalemme; pur tuttavia, per non attirarsi ogni biasimo, accetta che due contingenti di ospitalieri di basso rango vengano acquartierati nella fortezza di Kerak e siano dunque a disposizione.
Diplomatici franchi navigano a vele spiegate verso Roma, per supplicare il Pontefice di non abbandonarli e di indire una grande crociata che porti forze fresche in soccorso dell’Outremer. Ma sono già fuori tempo massimo, le armate dell’Islam premono ai confini, prima fra tutte quella del possente Sahal ad Din in persona, che marcia nelle sabbie del deserto per schiacciare l’odiato franco.
A capo dell’esercito d’Outremer vi è un giovane uomo, francese di nascita, arrivato in Terrasanta solo da pochi anni assieme alla consorte incinta. Il suo nome è Raymond de Coligny e si trova a essere Marechal d’Outremer semplicemente perché non ha manifestato – quantomeno non ancora – l’ambizione e l’egoismo dei feudatari di Terrasanta. La sua gloria militare è nulla, le sue capacità tutte da dimostrare: solo la sua devozione è certa. Eppure, a dispetto di tutto lo scetticismo nei suoi confronti, nessuno fa nulla per limitarne le mosse; forse perché Raymond occupa una posizione talmente poco invidiata che è più comodo lasciarlo dove si trova e usarlo come capro espiatorio che impegnarsi a destituirlo.
Infischiandosene altamente di tutto ciò, Raymond decide che agire rapidamente e con estrema decisione è l’unico modo per cercare di salvare il salvabile. Dei quattro nemici che avanzano l’armata almohade è per il momento dimenticabile: arriva da troppo lontano e ci vorranno mesi, forse anni prima che compaia sullo scenario bellico; i turchi, che pure con grande foga hanno abbracciato la guerra santa, devono tuttavia prepararsi al meglio e, a quanto riferiscono le spie, intendono calare assieme alle armate di Siria, evitando la città-fortezza di Antiochia e i temutissimi ospitalieri; dunque è ovvio che sono gli egiziani i più pericolosi, tanto più che Sahal ad Din è l’anima stessa della jihad.
Presa la sua decisione Raymond abbandona le spesse mura di Kerak, all’interno delle quali si stanno febbrilmente addestrando nuovi contingenti, e marcia in pieno deserto per tagliare la strada a Sahal ad Din e costringerlo a una decisiva battaglia. Il sultano egiziano è tutt’altro che contrario alla cosa: infatti sa bene che una sua vittoria non solo ne rafforzerebbe il prestigio, ma praticamente gli consegnerebbe su un vassoio d’argento l’intero Outremer. E così, fra le bollenti sabbie, si decide il destino del regno crociato.
Alla capitale Baldovino passa il suo tempo fra preghiere e digiuni spirituali; eppure non riesce ad astrarsi a sufficienza da non sentire le terribili nuove che arrivano. Armate immense provenienti da Siria e Turchia calano da Homs e Dimashq, migliaia di fuggiaschi si accalcano entro le mura della città santa cercando una protezione che non esiste.
Poi un mattino le vedette scorgono un solitario cavaliere arrivare al galoppo sfrenato da meridione: l’uomo e la cavalcatura sono allo stremo, le vesti e la sella lorde di sangue, le ferite ancora aperte. La gente, vedendolo passare, capisce che tutto è finito, che Raymond de Coligny è caduto e Sahal ad Din avanza trionfante. Baldovino, immediatamente avvertito, riceve il cavaliere nella piazza d’armi del palazzo, attorniato dai pochi nobili rimastigli accanto.
Il cavaliere, smontato, cade in ginocchio.

“Maestà”, esclama, “ti porto nuove di una grandissima vittoria: il mio signore Raymond de Coligny ha ricacciato nel sangue il superbo sultano d’Egitto da dove aveva osato emergere!”

La notizia, incredibile nella sua realtà, passa di bocca in bocca; le campane di Gerusalemme prendono a suonare a festa ininterrottamente e il loro suono viene udito ovunque, ripreso com’è da quelle dei villaggi e delle cittadine. Perfino al confine siriani, dove gli eserciti jihadisti sostano prima del definitivo balzo, arriva notizia di una terribile battaglia nel deserto.
Ed effettivamente era stato un terribile scontro quello con Sahal ad Din: le sabbie del deserto si erano arrossate fino a diventare viscide, il numero di morti era stato incalcolabile, gli atti di eroismo da ambo le parti pure. Ma alla fine l’incrollabile volontà della fanteria franca di non cedere aveva avuto la meglio, unita alle micidiali cariche che i cavalieri di Raymond avevano portato ai fianchi dello schieramento nemico. Sahal ad Din, resosi conto che la giornata era persa e che non c’era nulla da guadagnare dal rischiare oltre la vita, aveva dato ordine di ritirarsi e le truppe gerosolimitane, spossate, avevano lasciato che gli Egiziani superstiti abbandonassero in buon ordine il campo. Raymond sapeva bene che Sahal ad Din non era stato distrutto, ma solo battuto; tuttavia le notizie che arrivavano da nord non davano alcuna possibilità di inseguirne l’esercito in fuga e così, stanchi ma vittoriosi, i franchi avevano voltato le spalle al nemico umiliato e si erano diretti verso Gerusalemme minacciata.