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Ma il 1188 per entrambi i contendenti è l’anno della battaglia di Kayseri. Da sempre luogo di importanza strategica notevole, Kayseri è in mano turca fin dall’infausto giorno di Manzikert. Il suo possesso può determinare il corso dell’intera guerra e spostare irrimediabilmente gli equilibri. Finché Kayseri resta in mano selgiuchide Konya non sarà mai sicura e tantomeno Amasya. Il principe Abi era ben conscio della sua importanza e ne aveva fatto il proprio centro militare, un luogo in cui far convergere le unità reclutate e da cui lanciare pericolosi attacchi. La morte di Abi ha paralizzato momentaneamente la macchina bellica turca, ma all’ombra delle imponenti mura di Kayseri ci sono quasi 10.000 uomini in attesa, un pericolo che Bisanzio non può permettersi di ignorare.
L’onere di tentare di risolvere il problema è ovviamente affidato a Romano di Efeso e alla I Anatolica . Questa annovera 8.400 uomini all’inizio della campagna, ma fra di essi vi sono 1.200 pronoiaroi , unitisi nel corso del 1187 alla legio e comandati dal giovanissimo Pietro Argiro, figlio di Marciano.
La marcia di avvicinamento è fin troppo semplice ed appare chiaro che il governatore di Kayseri, il potente Shayrh, intende far allontanare il più possibile dai propri centri di rifornimento i bizantini. Tuttavia, dopo alcuni mesi di manovre e piccoli scontri, nel luglio del 1188 i due eserciti si fronteggiano nella piana antistante Kayseri.



Le forze turche sono un misto di fanteria saracena, arcieri e schermagliatori, sostenuti da unità di arcieri a cavallo curdi. Shayrh compie la prima mossa ordinando a un sottoposto, il capitano Qayit, di occupare una collinetta in posizione avanzata, in modo da assicurare una posizione dominante attorno alla quale schierare le forze per reggere l’attacco nemico. Romano di Efeso, tutt’altro che propenso a lasciare che ciò avvenga, invia rapido gli squadroni di hippotoxotai a scacciare il nemico.



I cavalieri bizantini portano rapidamente a termine il lavoro, ma si ritrovano isolati dal resto dell’armata, nel frattempo impegnata dai fastidiosi curdi.



Shayrh vede l’occasione di distruggere gli hippotoxotai e lancia il grosso delle proprie forze verso la collina, arcieri davanti e fanti in seconda linea. Si sviluppano una serie di feroci scambi di frecce, con i turchi che cercano la mischia e gli hippotoxotai che tentano a tutti i costi di evitarla.
A questo punto, mentre i trapezountai riescono finalmente a vincere il duello coi curdi, inferiori numericamente, Pietro Argiro cavalca dalla sua posizione fino al luogo dal quale Romano di Efeso osserva pensieroso l’andamento della battaglia e gli chiede il permesso di attaccare il fianco sinistro turco, pericolosamente esposto e difeso unicamente dai cavalieri di Shayrh in persona. Romano, dopo aver analizzato con occhio critico la cosa, autorizza l’attacco e nel giro di pochi minuti 1.400 cavalieri pesanti bizantini iniziano ad avanzare, mettendo definitivamente in fuga i curdi.



Passo, poi trotto, gli zoccoli che rimbombano e i vessilli che garriscono al vento. Infine Pietro, che si trova alla testa della linea, abbassa perentoriamente la spada verso il nemico e i pronoiaroi si scagliano avanti con impeto inarrestabile. Shayrh, denotando coraggio e stupidità, cerca di arrestarne l’attacco con i suoi miseri 210 uomini e viene massacrato con tutta la sua guardia.



A questo punto le truppe turche, prive di un comando, tentano la peggiore delle mosse: una ritirata verso l’illusoria sicurezza delle mura di Kayseri. Il risultato è che vengono presi in pieno dai pronoiaroi e dagli hippotoxotai letteralmente annientati; i pochi superstiti vengono inseguiti fino alla fortezza e fatti a pezzi. I numeri del trionfo sono impressionanti: 10.000 turchi giacciono morti o prigionieri a fronte di solamente 770 soldati bizantini.