00 15/09/2010 09:08


Per i Turchi Kayseri è una catastrofe: la grande città di Sivas è ora direttamente minacciata e Tezcan, al sicuro nel suo palazzo di Ani, vede rovina ovunque.



Il nuovo principe ereditario, Lachin, prova a contenere i danni ma ha a propria disposizione un numero limitato di truppe, senza contare che il loro addestramento è ampiamente incompleto. Inoltre non può sguarnire eccessivamente Malatya e i suoi tentativi di rinforzare il confine si scontrano coi desideri di suo fratello Salamish, che invece preme per avanzare a nord contro la Georgia. La cosa più grave però è che la popolazione stessa del sultanato comincia a ritenere che ormai la speranza abbia abbandonato le loro terre. La decisione di Anastasio di ribattezzare le città turche con gli antichi nomi greci – Konya diviene Ikonion, Kayseri Kaysareia, Amasya Amaseia – non fa che rafforzare questa visione e una serie di predicatori cominciano ad operare fra i monti dell’Anatolia, annunciando la fine di un mondo e la rinuncia al credo dei sovrani che hanno trascinato il Sultanato in questa guerra.
Il 1189 è praticamente scevro di grandi movimenti militari; ma è proprio in quest’anno che avviene un fatto che mostra in maniera lampante come ormai la bilancia del destino sia contro i Turchi e a favore di Bisanzio. Uno squadrone di 400 trapezitoi viene inviato a compiere una serie di razzie nei dintorni di Angora, la roccaforte più occidentale in possesso turco. Il comandante della guarnigione, informato delle mosse nemiche, decide di guidare le sue forze, circa 1.300 uomini, in una caccia. Nel corso di un’incredibile esempio di inettitudine militare, i Turchi vengono sistematicamente massacrati e gli increduli trapezitoi conquistano Angora (ridenominata Ankara) con perdite complessive inferiori ai 50 uomini!





Questa è l’ultima vittoria vista da Anastasio di Amastri. Egli infatti si spegne all’inizio del 1190 in Amaseia. Uomo certamente duro, tanto da guadagnarsi il soprannome di Tiranno , Anastasio ha però avuto l’indubbio merito di saper fronteggiare l’attacco turco e, dopo un paio di vittorie fortunate, adottare l’esatta strategia e fidarsi degli uomini giusti. Al trono sale Marciano, che in memoria del suo benefattore Manuele, unisce al nome della propria famiglia, Argiro, quello di Comneno. Erede al trono diviene il figlio Pietro, che si è coperto di gloria a Kayseri come comandante della cavalleria.
E proprio il neoprincipe nell’autunno del 1190 guida la I Anatolica verso Sivas.



Dopo aver varcato senza problemi l’Halys, le truppe bizantine incappano in avanguardie turche, appartenenti nientemeno che alla guardia personale del principe Lachin. Questi chiama rapidamente a sostegno l’intera guarnigione di Sivas, guidata dal capitano Shaban, dando inizio a una battaglia dal destino già segnato. Sebbene un primo attacco dei pronoiaroi sia respinto, le milizie turche sono prive di coesione e di vero controllo; la morte di Lachin, imprudentemente espostosi senza alcun rispetto per le capacità degli hippotoxotai , permette a Pietro di accerchiare da ogni lato il nemico e di conquistare vittoria e città. E così Marciano può entrare in Sebasteia finalmente riconquistata dopo oltre un secolo.





Il 1192 è, un po’ per tutta Europa, un anno di lutti: il signore di Milano, il re di Danimarca, il re di Portogallo, il re di Gerusalemme e il khan dei Cumani passano a miglior vita. Anche Marciano Argiro Comneno si spegne a Sebasteia e con lui Bisanzio non perde un grande basileus – è stato al potere troppo poco – ma un grande uomo e un grande generale. Il suo genio e intuito ha scongiurato la possibilità di attacchi su tutte le frontiere, fatto guadagnare a Bisanzio una posizione di assoluta forza nei Balcani e di rinnovato prestigio internazionale. Per un curioso caso del destino due settimane dopo si spegne anche Romano di Efeso, l’uomo della riforma militare.



Il nuovo basileus è dunque il venticinquenne Pietro Argiro Comneno e difficilmente Bisanzio può aspirare a qualcosa di meglio. Egli conosce diffusamente la parte asiatica della Basileia, sa come trattare coi Turchi ed è più che deciso a saldare ogni conto con l’infido Sultano. La sua prima mossa è la creazione di due nuove legiones: la IV Asiatica a Dorylaion, la V Greca a Naupaktos. Subito dopo nomina proprio erede Demetrio di Calcedonia che, in qualità di Eparco della Capitale, assicura una presenza fissa presso il centro della Basileia.





Forte di un prestigio ai massimi livelli e di un controllo quasi assoluto sul consiglio nobiliare (10 seggi su 20), Pietro nel 1194 lancia la potenza della I Anatolica contro la città di Malatya, difesa dal governatore Sundak con 5.000 uomini. Si tratta di una battaglia piuttosto dura e sanguinosa, ma in cui la tattica adottata dal basileus si rivela vincente: dopo aver aperto un breccia nel bastione occidentale, Pietro ordina alle macchine d’assedio di rendere inutilizzabili le torri e, quindi, fa avanzare in massa gli arcieri (sia a cavallo che a piedi) per investire con fitte piogge di frecce le truppe turche in attesa.



Contemporaneamente il parco d’assedio concentra i propri sforzi contro le porte della città. Sundak non può che reagire spostando tutte le proprie truppe da tiro in avanti, in modo da contrastare gli arcieri nemici. A questo punto Pietro manda all’attacco i lancieri pesanti in due ondate, impegnando al massimo la fanteria nemica già indebolita dalle raffiche di frecce, prima di scatenare la terza ondata di fanti attraverso le porte ormai abbattute sugli arcieri. Ne nasce una mischia assolutamente selvaggia, che però vede i Turchi pesantemente soverchiati in numero e che non può che condurre al loro annientamento.





1.700 bizantini restano sul campo di Malateia, facendo di questo scontro il più sanguinoso dell’intera guerra. Inoltre la nuova regione è ormai in preda a venti eretici sempre crescenti, che in breve si espandono anche alle regioni limitrofe. Fra il 1194 e il 1203 la chiesa ortodossa viene impegnata duramente per reprimere questi movimenti e non pochi sacerdoti inviati nell’area vengono contagiati a tal punto da divenire a loro volta predicatori eretici.
Frattanto il principe turco Salamish, che ha da poco occupato Tbilissi, invia un proprio messo al basileus Pietro per proporgli un accordo: egli, Salamish, si impegna a firmare un trattato di pace e ad accettare la perdita di tutti i territori ora in mano bizantina; si impegna a essere un leale amico di Bisanzio e a fare da baluardo orientale contro chiunque; si impegna a chiedere al basileus il permesso per ogni successiva espansione del proprio sultanato (eccezion fatta per la Georgia); in cambio desidera solo essere messo nelle condizioni di rendere possibili le sue intenzioni. Ossia, in parole povere, chiede a Bisanzio che suo padre venga assassinato.
La prima reazione di Pietro Argiro Comneno è di sdegno: come osa questo cane pretendere un gesto così disonorevole? Il fatto che Tezcan sia un codardo che si nasconde fra i monti non giustifica moralmente il suo omicidio a sangue freddo. Tuttavia una considerazione ben più prosaica induce infine Pietro a ordinare l’invio di un uomo fidato per la difficile missione: la morte del sultano potrebbe generare ulteriore instabilità nel Sultanato, agevolando le mosse di Bisanzio. Così, nel tardo 1198, l’esperto Simeone di Alicarnasso riesce a penetrare in Ani e nottetempo elimina silenziosamente Tezcan. Beninteso, Pietro non intende in alcun modo accordarsi realmente con Salamish: i Turchi vanno distrutti ed egli intende farlo fino in fondo.



La successiva campagna militare parte nel 1200 e coinvolge la I Anatolica , guidata dal basileus in persona, e la IV Asiatica , al comando di Andronico di Alicarnasso. Il neosultano Salamish viene messo a fronte della stupidità del suo gesto e della follia delle sue aspirazioni, senza alcuna possibilità di rimediare. Infatti Pietro lascia trapelare in qual modo Salamish è riuscito a salire al trono e questo provoca un moto di sdegno: il principe Derya, impegnato nell’assedio della rocca georgiana di Kutaissi, abbandona disgustato il suo signore e si accorda coi Georgiani, accettando di cingere la corona che essi gli offrono.



Sei mesi dopo, sotto le mura di Ani, il nuovo principe ereditario, Kuikabad, affronta alla testa di 8.700 uomini l’intera I Anatolica rinforzata da reparti della IV Asiatica per un totale di quasi 10.000 uomini: la battaglia si risolve nell’ennesima disfatta turca e tre settimane dopo Andronico di Alicarnasso guida la IV Asiatica alla conquista della rocca, immediatamente ribattezzata Anion.







Abbandonato da tutti i suoi vassalli, con il solo ausilio della propria guardia personale e di 450 rozzi montanari armati alla leggera, Salamish si rinchiude in Tbilissi. E qui, nel 1202, ha luogo l’unico scontro fra sovrani dell’intera guerra. Pietro Argiro Comneno attacca la città alla testa della I Anatolica , che si apre facilmente una via e annienta i montanari sotto gli occhi disinteressati del Sultano. Alla fine sono i suoi più intimi seguaci che, consci dell’ineluttabilità del loro destino, attaccano i Bizantini. Salamish viene ucciso quasi subito, ma anche nella morte si ritrova solo: le sue guardie, infatti, si dimostrano assai poco toccate dalla fine del loro signore e semplicemente continuano a combattere fino all’ultimo uomo, riuscendo a morire con dignità.