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La vittoria finale sui Turchi lascia Bisanzio padrona di un territorio quasi doppi rispetto a venti anni prima, che richiedono interventi tanto a breve quanto a lungo termine. La popolazione musulmana, ormai priva di una guida della medesima religione, sceglie in parte di emigrare in massa verso il Sultanato Zenghide a sud, in parte resta e viene man mano convertita all’ortodossia. Altro problema è invece la parte ebraica della popolazione, i cui rappresentanti sono assai preoccupati da questo cambio di signore: dopo attente riflessioni, Pietro decide di lasciare gli ebrei dove si trovano, nel triangolo composto dalle città di Ikonion, Amaseia e Sebasteia, facendo edificare e ampliare appositi quartieri.
Tbilissi viene quasi immediatamente abbandonata, in quanto ritenuta difficilmente controllabile. La linea della frontiera viene imperniata sulle roccaforti di Anion e Trapezounta, da cui dipendono una serie di fortini avanzati – due verso l’Azerbaijan, uno verso Tbilissi e, al confine fra Chaldia e Georgia, la cittadina portuale di Batum – difesi da unità di lancieri leggeri limitanei. Ad Anion vengono acquartierati i primi battaglioni della VI Armena , una legio particularis espressamente adattata a compiti di frontiera.



Nel 1204 il basileus si trova a dover fronteggiare un altro problema: l’intera guerra con la Turchia è stata accompagnata da una vasta produzione propagandistica e molto si è insistito sulla vendetta dell’infausto giorno di Manzikert. Il crollo dei Selgiuchidi preoccupa non poco l’Atabeg di Siria, che teme un proseguio della guerra verso meridione, a dispetto dell’alleanza stipulata anni prima. Dopotutto, perché non cercare di vendicare, dopo Manzikert, anche lo Yarmuk?
In maniera preventiva l’Atabeg siriano, che è impegnato contro il possedimento veneziano di Urfa, muove vasti contingenti di truppe alla frontiera con Malateia; la sua mossa provoca la controllata reazione del basileus , che dispiega a sud della città la IV Asiatica di Andronico di Alicarnasso, spostando nel frattempo la I Anatolica a Kaysareia. Le due legiones restano in queste posizioni fino al 1215, quando ben altri eventi sposteranno l’attenzione di tutti e faranno rientrare le tensioni.



Risolto momentaneamente anche questo problema, Pietro si trova a dover scegliere un nuovo erede: nel 1201 infatti muore Demetrio di Calcedonia. Viene nominato al suo posto Romano Zimisce, giovane e irruento membro della famiglia omonima.



La scelta esacerba gli animi di alcuni, che ritenevano di essere migliori candidati e uno di essi, Michele Monoftalmo, si ribella apertamente a Pietro, stabilendo un proprio dominio fra Rascia e Bulgaria e bloccando le vie di comunicazione. Nel 1203 il principe Romano decide di risolvere la questione e imprudentemente si lancia verso la gloria senza il sostegno della III Bulgara , di stanza nella vicina Sredetz: nello scontro il traditore è ucciso, ma anche Romano resta sul campo. Questo apre le porte della successione a Niceta, figlio primogenito di Pietro e duca di Malateia.



Per quanto le velleità militari di Romano Zimisce fossero note e il suo carattere fin troppo impetuoso biasimato, alcuni non riescono a ritenere che tutto sia solo frutto del caso e iniziano a circolare voci secondo le quali il basileus , deciso ad assicurare senza problemi la successione al proprio sangue, abbia espressamente fatto leva sulle ambizioni di Romano per spingerlo a un’impresa rischiosa chiusasi, come si è visto, in tragedia. E l’epiteto di Spietato comincia sempre più ad essere unito al nome di Pietro Argiro Comneno. Quasi a voler sottolineare la cosa nel 1206 Derya, l’ultimo selgiuchide ancora in vita, viene misteriosamente assassinato a Kutaissi.
Nel frattempo l’economia della Basileia subisce una brusca accelerazione e il tesoro imperiale passa dai 330.000 solidi del 1203 al mezzo milione di vent’anni dopo. Le continue campagne navali, in particolare quelle dell’ammiraglio Pietro detto il Bucaniere, ripuliscono con sistematicità i mari dai vascelli pirati e rendono sicure le rotte;



la riforma stradale iniziata da Michele Branas nel 1180 viene finalmente completata e solide e confortevoli strade di pietra collegano tutti i maggiori centri della Basileia; nuovi accordi vengono stipulati, accrescendo considerevolmente i mercati. Ma soprattutto sono le compagnie commerciali a generare profitti: a cavallo del secolo i mercanti bizantini si lanciano in una serie apparentemente inarrestabile di conquiste economiche, sottraendo con sistematicità ai propri avversari importanti traffici e, in ultima analisi, assestando duri colpi a tanti stati. Sicilia, Ifriqija, Ungheria settentrionale, steppe russe vedono merci pregiate sempre più sotto il controllo di Bisanzio. Chi più di ogni altro subisce questa autentica bulimia commerciale di Bisanzio sono però gli stati islamici dell’Oriente: i traffici di avorio, schiavi e spezie entrano nella sfera d’azione dei mercanti imperiali e ogni tentativo di recuperarli fallisce miseramente.



Anno 1207. A Milano muore Ordelaffo della Torre, signore di Milano. A questa data i possedimenti che fanno capo alla città lombarda si estendono dalla Svizzera meridionale (Lugano) al Piemonte (Asti), dalla Liguria (Genova) alle coste della Romagna (Bologna). Uno stato piuttosto insignificante a livello internazionale, ma cospicuo a livello locale, in costante lotta per la supremazia con la Serenissima Repubblica Veneta, che da poco si è impadronita dell’importante rocca strategica di Verona. Ordelaffo è stato un governante capace, che ha saputo dare una certa coesione ai propri domini e ha mantenuto rapporti amichevoli col Papato (a differenza dei Veneziani, che di lì a poco verranno infatti scomunicati). Il problema è che Ordelaffo non ha eredi e con lui si estingue una casata, lasciando i domini lombardi privi di una guida. Una straordinaria occasione per Venezia di annettere territori ormai indifesi; sennonché il sangue dei Della Torre scorre ancora in una persona: Agnella, l’unica figlia di Ordelaffo, andata sposa nel 1199, come parte di un trattato diplomatico, a Demetrio di Calcedonia, allora erede al trono imperiale di Bisanzio. Demetrio è morto del 1201, ma Agnella vive ancora alla corte di Konstantinoupolis e questo rende Bisanzio erede primario dei territori lombardi.



A Konstantinoupolis nessuno si aspettava una simile eredità e fin da subito essa viene sentita come un peso. Lontani, diversi per leggi, costumi e religione, i territori italici non rientrano nei piani dei grandi nobili né in quelli del basileus ; troppe spese da sostenere per riuscire a controllarli, troppe poche informazioni su cui basare piani d’azione, pochi profitti visibili all’orizzonte. Senza contare un probabile quanto impopolare conflitto con Venezia.
Se le reazioni nella Basileia sono di stupore e disinteresse, la situazione in loco è anche più difficile. La morte di Ordelaffo sparge il caos e l’incertezza, i potenti non hanno una precisa idea di come comportarsi; fino all’altro ieri comune indipendente e dominatore su altre città, si ritrovano oggi con due prospettive, entrambe poco attraenti: o darsi un nuovo ordinamento (e dire addio a tutta la potenza acquisita in decenni di lotte) o sottomettersi a un’altra potenza, rinunciando alla libertà (e comunque a condizioni di vita diverse). Il forte spirito indipendente dei genovesi spinge la città ligure verso la prima scelta e in breve indirizza i sentimenti dei rappresentanti delle altre. Tuttavia vi sono anche uomini che ritengono Bisanzio la scelta migliore: fra di essi spicca Giorgio Mondello.



Da molti ritenuto nient’altro che un avventuriero, questi è stato da poco nominato Legato di Romagna. Assieme ad altri due di recente nobiltà, Giuliano da Vicenza e Raimondo Palermo, egli si proclama immediatamente a favore di Bisanzio e comincia a radunare truppe a Bologna, la cui posizione dovrebbe permettere più facili contatti con Bisanzio.
Nella primavera del 1208 un’ambasceria bizantina raggiunge la Serenissima per incontrarsi col consigliere Almerico (il doge Alessandro è a Urfa): è un’udienza affabile, ma la proposta di scambiare Milano, Asti e Lugano in cambio della cessione di Ragusa non viene accettata. Quando la notizia della mossa del basileus raggiunge le terre lombarde un empito di sdegno scuote tutti e nel corso dei tre mesi seguenti una serie di rivolte instaura altrettante repubbliche indipendenti. Giorgio Mondello riesce ad evitare la morte per puro caso, scappando nottetempo da Bologna. Le sue truppe di ritrovano d’improvviso in territorio ostile, senza alcun aiuto e, cosa assai peggiore, con un futuro cupo davanti a sé.
Ironicamente le rivolte in Italia acquietano immediatamente ogni protesta interna e il prestigio del basileus , leggermente scosso dagli avvenimenti, ritorna più solido che mai. A questo punto, quando tutto sembra finito in un nulla di fatto, Pietro Argiro Comneno prende una decisione che determinerà il destino della Basileia nei quarant’anni seguenti: invia infatti un messaggero in Italia per informare Giorgio Mondello che una flotta è disponibile in qualunque momento a raccogliere lui e le sue forze sulle coste romagnole e a traghettarle in terra bizantina. Tuttavia il basileus lo invita a riflettere se non esiste, considerate le sue forze, la possibilità di conquistare un caposaldo che diventi il seme di un futuro dominio imperiale nell’area.
Dal punto di vista di Giorgio la scelta non si pone nemmeno: a Bisanzio egli non sarebbe altro che un piccolo avventuriero lombardo senza nessun potere; restando in Italia, invece, potrebbe diventare un uomo molto importante, primo referente del potente signore di Konstantinoupolis in Occidente. Dunque bisogna rischiare, indipendentemente dalle forze disponibili. E l’unico luogo che risponde a quanto desiderato dal basileus è la roccaforte alpina di Lugano.



Per tentare l’impresa Giorgio Mondello dispone un’armata di circa 13.000 uomini, molto più di quantità che di qualità. Il fulcro sono i battaglioni di lancieri italiani, noti come pavesari dal nome del grande scudo che portano; sono truppe coriacee, paragonabili per compiti ai lancieri pesanti di Bisanzio, anche se complessivamente meno addestrati. La massa delle truppe è però composta da uomini provenienti dai contadi delle varie città: questi servono tutto sommato volentieri nelle armate, vedendo nella guerra un modo rapido per ottenere i mezzi per una vita migliore. Ciò li rende determinati e talvolta temerari, ma non può cancellare il fatto che il loro equipaggiamento è scarso e che le armi con cui combattono vanno da vecchie asce e coltelli spuntati, da falcetti da potatore a forconi per il fieno. Sono truppe che un comandante non può usare a cuor leggero, a cui bisogna mantenere il morale alto pena un crollo di volontà e una fuga disordinata. Altri 1.900 uomini, al comando di Giuliano da Vicenza, fungono da corpo esplorativo e da razziatori per nutrire l’armata principale.
E le notizie che portano non sono affatto positive. Il nuovo governatore di Lugano, tale Ludovico, ha immediatamente iniziato un processo di rafforzamento delle difese della rocca; inoltre, usando in egual misura il denaro e la propaganda, è riuscito ad attirare intere compagnie di mercenari tanto italiani quanto svizzeri. Vi sono oltre 8.000 uomini a Lugano, lancieri mercenari, balestrieri pavesi e alcune unità di pericolosissimi picchieri svizzeri. Il che implica che i bastioni saranno fortemente difesi e che la loro conquista sarà quanto mai complessa. L’assenza di un treno d’assedio però non lascia alternativa che l’uso di scale e torri.



Lugano viene investita dalle forze di Giorgio Mondello nell’estate del 1209, ma solo verso ottobre il generale lombardo si ritiene pronto a lanciare l’attacco: la costruzione delle tre torri d’assedio e delle scale ha richiesto tempo ed energie. Inoltre l’inverno ha bussato presto e per quasi tutta la settimana precedente la neve è caduta generosamente, stendendo il suo bianco manto sul Canton Ticino.
Giorgio Mondello ha progettato un attacco a quattro punte. Due delle torri avanzano contro la parte sud del bastione orientale, la terza invece contro la parte est del bastione meridionale assieme ad una delle scale; una seconda scala viene lanciata contro la parte nord del bastione orientale, mentre l’ultima è tenuta di riserva, per un attacco di sorpresa al bastione occidentale.





Giocando d’azzardo, Giorgio Mondello sceglie di affidare la prima ondata alle unità miliziane, ritenendo che inviarle più avanti in soccorso dei compagni sull’orlo della distruzione possa minarne il morale e renderne l’attacco inefficace.
I difensori si sistemano calmi sui bastioni orientale e meridionale, lasciando un corpo (un battaglione di lancieri e uno di picchieri) a protezione del maschio e con un battaglione di lance pronte ad intervenire su un altro bastione. I balestrieri accolgono coi loro micidiali quadrelli le torri, ma il morale dei miliziani resta alto e ben presto le macchine d’assedio raggiungono le mura: uno dopo l’altro, gli uomini si slanciano sui bastioni affollati di mercenari e ha inizio una mischia assolutamente feroce.



Lo spazio limitato impedisce ai mercenari di usare appieno la propria superiorità, ma restano comunque in netto vantaggio. Ogni minuto che passa la pugna si fa più selvaggia, i morti e i feriti vengono sospinti dalla calca giù dalle mura ormai arrossate dal sangue. Ma, nonostante l’estrema determinazione, i miliziani cominciano a cedere terreno, le teste di ponte sono via via minacciate un po’ ovunque.



Con freddezza Giorgio Mondello ordina che i pavesari vengano immediatamente inviati sulle mura: il loro arrivo sposta nuovamente la bilancia in equilibrio e la mischia riprende con rinnovata ferocia. A questo punto Raimondo Palermo arriva di gran carriera per annunciare che il bastione occidentale è virtualmente inattaccabile: i difensori hanno incluso nelle fortificazioni lo stretto passaggio antistante e ora esso sorge su uno strapiombo.




Giorgio, che ha ben presente la situazione sui bastioni e sa di essere in svantaggio, ordina allora che il corpo destinato a quell’attacco (un contingente di miliziani con una scala e due battaglioni di pavesari ) venga immediatamente spostato e lanciato all’attacco della parte ovest del bastione meridionale, per tentare di impadronirsi del corpo di guardia e dei meccanismi di apertura dei pesanti cancelli della rocca. L’attacco risulta molto improvviso e i mercenari deputati a tappare impreviste falle, da tempo vicino al bastione orientale, non riescono a raggiungere in tempo le porte. Anzi, vengono immediatamente impegnati in un duro corpo a corpo da uno dei due battaglioni di pavesari e assistono impotenti all’ingresso della cavalleria di Giorgio Mondello.
Questa vittoria arriva appena in tempo. Infatti la situazione sui bastioni si è ormai irrimediabilmente deteriorata: se nel settore nord di quello orientale i pavesari riescono infine a prevalere e a scacciare il nemico (ma senza energie residue per proseguire), dalle altre parti i mercenari ricacciano nel sangue gli attacchi. I miliziani, fin troppo provati, si danno a una fuga disordinata; quanto resta dei pavesari si ritrova a combattere disperatamente per la propria vita in una resistenza destinata inevitabilmente ad essere vana.





La conquista delle porte cambia tutto. Alcuni mercenari iniziano ad abbandonare i bastioni e a ripiegare verso il maschio; altri, semplicemente, restano in attesa, vinti dalla fatica e non così desiderosi di morire.
La conquista del maschio è sanguinosa, ma Raimondo Palermo guida abilmente le poche truppe disponibili (la sua guardia, un battaglione di pavesari e un contingente di miliziani) e infine anche l’ultimo svizzero cade.





Tuttavia la situazione resta incerta, parecchi mercenari stanno ripiegando e rischiano di imbottigliare Giorgio e i suoi. Con una rapida mossa, l’unico battaglione di pavesari presente al maschio blocca l’unica vera via d’accesso e respinge uno via l’altro i sempre più deboli attacchi mercenari. La comparsa all’orizzonte del corpo di Giuliano da Vicenza (altri 1.900 uomini) induce finalmente i mercenari ad arrendersi e a consegnare la fortezza.





Lugano è conquistata, ma il conto del bagno di sangue è spaventoso: 7.600 mercenari sono rimasti sul campo (suo 8.700 totali), ma l’esercito di Giorgio Mondello ha perso qualcosa come 6.640 uomini, un salasso tremendo. L’unica consolazione (anche se piuttosto cinica) è che il grosso delle perdite si sono avute fra i miliziani, mentre i battaglioni di addestrati pavesari hanno sopportato meglio il massacro.