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Manuele è poco propenso a ritenere che esista la reale possibilità per Bisanzio di tornare ai fasti del passato; tuttavia non intende essere ricordato come colui che lasciò andare tutto in malora per pura pigrizia. E la prima materia su cui intervenire è senza dubbio quella economica: se le finanze non si risollevano ogni altro progetto rimarrà unicamente in fase di idea.
La prima mossa è impopolare ma necessaria e comporta un inasprimento della tassazione fiscale; conscio dei rischi che quest’atto comporta, Manuele lo fa seguire da una serie di spese volte a modernizzare le tecniche agricole e a incrementare la produzione, migliorare le strutture commerciali nelle città e dotare ogni piazza di mercati più vasti e porti commerciali più capienti. In breve città come Thessalonike, Adrianoupolis, Athenai e Nikaia vedono il proprio volume d’affari crescere sensibilmente e il tesoro imperiale recupera parzialmente gli investimenti fatti.
Ma senza dubbio il massimo impegno Manuele lo mette nella costruzione di una serie di relazioni volte a favorire il commercio e nello sviluppo di una rete di compagnie mercantili che li sfruttino a dovere. Sultanato Turco (1155), Regno d’Ungheria (1159), Royuame d’Outremer (1164), Regnum Normannorum (1165), Patrimonium Sancti Petri (1166): sono i soggetti politici con cui Manuele tratta proficuamente. I primi colpi mercantili, tuttavia, vengono messi a segno contro uno stato apertamente ostile come l’Impero Bulgaro: nel 1156 la compagnia mercantile guidata da Demetrio Calafate riesce ad ottenere il monopolio dei traffici argentiferi delle miniere di Sredetz. È un colpo piuttosto duro per i bulgari, che sono costretti ad assistere all’arricchimento di Bisanzio a loro spese.
Il successo incoraggia Manuele, che scorge un po’ ovunque segnali di ripresa, e nuove compagnie vengono create: nel 1163 i commerci auriferi dell’Erdely entrano nella sfera d’influenza di Bisanzio. Nel medesimo periodo, però, il tentativo di assicurarsi l’argento della Zakarpatia finisce in una sonora sconfitta contro concorrenti polacchi. Tuttavia questo non ferma la marcia dei mercanti bizantini: l’anno dopo Michele Studita riesce a sottrarre ai Turchi i commerci di zolfo della Kapadokya, segnando la prima vittoria imperiale contro i selgiuchidi da tempo immemorabile. Non pago dei trionfi esterni, Manuele si lancia anche in una valorizzazione delle risorse interne, cominciando dallo zucchero cretese e dalla pregiata carta di Athenai.
Il successo rischia però di sottrarre al controllo imperiale le varie compagnie e Manuele, che assolutamente non vuole concedere ai governatori provinciali la loro gestione, decide nel 1165 di fondare a Konstantinoupolis una gilda centralizzata: in meno di trent’anni il volume dei traffici mercantili della Basileia imporrà necessariamente l’ampliamento della sede della gilda fino a renderla proprietaria di uno dei più imponenti palazzi della Capitale.



Impossibilitato, come abbiamo visto, ad affidarsi a membri dell’aristocrazia, Manuele decide di affidare il compito di riformare le armate imperiali a nuovi volti della nobiltà, legandoli a sé tramite l’adozione nella famiglia Comnena. I due prescelti sono Marciano Argiro e Romano di Efeso, provenienti dalle terre asiatiche.



Il secondo è una mente pianificatrice, uomo ideale per tentare la difficile impresa; il primo, invece, è cresciuto lungo la frontiera turca, dove ha appreso il mestiere delle armi e la debolezza di Bisanzio, avendo dunque una precisa cognizione di quale sia la forza della Basileia e della sua immagine. Marciano è un uomo d’azione, non intende affatto occuparsi diffusamente di una riforma su carta; sa bene che la Basileia ha bisogno di tempo per portarla a termine e che i sovrani stranieri, che ancora temono il nome di Bisanzio, cominciano però a scorgere le crepe della sua immagine, in particolare il re magiaro e il doge. La rinascita dei Bulgari, le rivolte in Rascia e Peloponneso, la scissione dell’Epiro sono tutti segni che urlano al mondo la crisi della Basileia. Come, dunque, impedire che il mondo comprenda e approfitti?
Il primo atto di Marciano è quello di ordinare un’adunata generale di tutte le milizie ad Adrianoupolis, lasciando ai confini lo stretto indispensabile; la Chaldia addirittura viene svuotata completamente. Nella città macedone il governatore, Michele Gabras, assiste con preoccupazione crescente all’arrivo di quell’orda disordinata di uomini lavativi e pericolosi. Ma Marciano non li ha convocati per creare ulteriori problemi: rapidamente rimpasta i reparti e li suddivide in due armate. La prima consta di sette battaglioni di fanteria e quattro squadroni di skythikon per 6.010 uomini totali; il secondo di quattro battaglioni di fanteria, due squadroni di skythikon e un contingente di arcieri per 4.000 uomini.
La seconda forza viene affidata a Romano di Efeso con il compito di chiudere quanto prima i conti con i ribelli peloponnesiaci; Marciano dal canto suo muove invece verso settentrione, direttamente contro il cuore militare dell’Impero Bulgaro: la grande rocca militare di Sredetz.
Questa fortezza è affidata ad uno dei più potenti nobili bulgari, Andrea di Sredetz, al cui comando lo zar Michele ha posto un esercito forte di oltre 8.000 uomini. Soldati bulgari, coriacei mercenari slavi e fieri miliziani lo compongono, tutti egualmente decisi a distruggere gli arroganti bizantini.
E Marciano pare fare in tutto il gioco del nemico: già in netta inferiorità numerica, destina tre battaglioni di fanti, più di 2.200 uomini, a compiti di razzia e foraggiamento, dando ai bulgari un’occasione impossibile da mancare. Così, nel freddo autunno del 1159, Andrea di Sredetz guida la propria armata contro Marciano, certo del trionfo.



I soldati bizantini sono preoccupati e col morale basso, consci della precarietà della loro situazione. Mentre l’esercito bulgaro si dispone con calma nella piana, i fanti occhieggiano al proprio comandante quasi con paura, chiedendosi come mai non fa qualcosa per impedire il disastro imminente. Ma Marciano è sereno, il suo volto è illuminato da un sorriso. E quando, finalmente, Andrea di Sredetz inizia ad avanzare, dà i propri ordini. La fanteria arretra in maniera precipitosa, quasi fuggendo davanti al nemico; contemporaneamente gli skythikon , divisi in due corpi, si aprono sulle ali e attaccano i fianchi dello schieramento bulgaro.



Andrea di Sredetz rimane momentaneamente incerto sul da farsi, quindi opta per separare in due tronconi le proprie forze e attaccare gli skythikon . E così facendo consegna la giornata a Marciano.
La velocità degli skythikon impedisce ai bulgari di arrivare a contatto e permette ai mercenari di adottare la loro tecnica preferita, tempeste di frecce prima di letali attacchi mordi e fuggi;



la fanteria bulgara si sfianca nell’inutile inseguimento e, soprattutto, si espone alle micidiali cariche della cavalleria pesante di Marciano.




Nel giro di un’ora tutto è finito, Andrea di Sredetz rimane sul campo con l’intera armata, i pochi superstiti vengono tallonati spietatamente fino in Sredetz. La fanteria bizantina non ha praticamente perso effettivi, le perdite totali assommano a soli 290 uomini.
Il trionfo spinge la nobiltà a insistere presso il basileus affinché si operi rapidamente contro i rivoltosi in Achaia, forse sperando che la vittoria di Marciano, che in molti guardano come a un puro colpo di fortuna, renda imprudente Manuele e lo conduca a un disastro tanto militare quanto politico. Ma Romano di Efeso ottiene per l’occasione l’appoggio del principe Michele, duca di Athenai, sconvolgendo i piani di molti aristocratici. Appoggiati dagli skythikon , i cavalieri pesanti di Michele Angelo e Anastasio di Amastri – nobili adottati nella famiglia Branas – danno un contributo decisivo all’annientamento della rivolta.



La riconquista di Patras e l’iniziale successo della sua riforma economica inducono Manuele a procedere con forza contro l’uomo che più di ogni altro gli si oppone: nel 1161 Isacco Diogene è arrestato, spogliato di ogni titolo e inviato ai confini magiari con compiti indegni di un nobile del suo rango. Al suo posto il giovane Michele Angelo è nominato duca di Thessalonike. L’atto, che certamente contribuisce in maniera decisiva a chetare ogni voce contraria, è però molto duro e esacerba l’animo di Isacco Diogene; profondamente umiliato, egli pensa seriamente di cambiare bandiera e legarsi magari agli Ungheresi.



Ma nel 1163 Marciano Argiro, divenuto nel frattempo duca di Sredetz, invita Isacco alla propria casa e lo accoglie con tutti gli onori dovuti a un uomo del suo rango. Questa mossa provoca preoccupazione un po’ ovunque e Manuele comincia a chiedersi se Marciano sia davvero fidato o se, invece, non stia diventando troppo ambizioso. Prima, però, che il basileus possa intervenire Marciano lascia Sredetz alla testa di cinque squadroni di skythikon e con Isacco nei ranghi (2400 uomini), dirigendosi con estrema decisione e rapidità verso occidente e sconfinando in Rascia all’inizio del 1164.
Il principe di Rascia, Stephan Nemanja, da anni è pronto a respingere eventuali tentativi bizantini di attentare al suo potere e la sua capitale, Ras, ospita oltre 10.000 uomini fieri e determinati. Quando riceve notizie dell’avanzata di Marciano, Nemanja decide di affrontarlo all’ombra delle imponenti mura di Ras: la rocca infatti è incassata fra i monti e il terreno collinoso mal si adatta alla tattica prediletta degli skythikon , rendendoli più lenti e vulnerabili.



Quel che Nemanja non sa è che lì, davanti a Ras, Marciano si appresta a dare al mondo una lezione di tattica militare. Sfruttando con estrema abilità la natura del terreno contro i suoi avversari – gli skythikon saranno più lenti, ma questo vale anche per le forze serbe – Marciano costringe il nemico a perdere coesione e a esporsi alle cariche della cavalleria pesante, assolutamente devastanti.





210 bizantini restano sul campo, ma sono quasi 10.000 i serbi che, fra morti, feriti e prigionieri, non rivedono la loro città. Isacco Diogene si batte come un autentico leone ed è proprio lui che, nelle fasi finali della battaglia, irrompe nel cuore dell’unità di Nemanja, abbatte il suo vessillo e cattura il principe di Rascia.



La notizia del trionfo vola in breve di bocca in bocca e ovunque è accolta con gioia. All’esterno il disastro serbo di Ras induce il sovrano magiaro a più miti consigli e ad accettare un’alleanza con la Basileia. E Marciano, sulle ali della gloria appena conquistata, prosegue la sua corsa inarrestabile verso le coste adriatiche, distruggendo il sogno di un Epiro indipendente nella primavera del 1167. Dyrrachion viene conquistata al termine di una gigantesca battaglia in cui, però, fin dall’inizio le truppe epirote e il loro despota Eliodoro sapevano di non avere possibilità.



A questo punto Marciano si trova con una duplice possibilità: proseguire lungo la costa per Ragusa o tornare a Sredetz per preparare la campagna definitiva contro i Bulgari. La prima possibilità è temuta in particolar modo dai Veneziani, che hanno accolto la notizia della conquista bizantina dell’Epiro come un lutto nazionale; per loro l’impossibilità di un’espansione verso Ragusa sarebbe praticamente mortale. Marciano difficilmente si preoccupa troppo dei desideri della Serenissima: la sua scelta, tuttavia, salva il traballante trono del doge. Le notizie di continue razzie da parte di predoni serbo-magiari inducono infatti Marciano a tornare indietro. Dopo aver velocemente risolto il problema banditi presso il villaggio di Lepinski Vir, Marciano e Isacco rientrano a Sredetz nel 1170, pochi giorni prima che Manuele in persona vi giunga.
La visita del basileus ha come scopo quello di esercitare un’antica prerogativa degli imperatori romani: il diritto al perdono. E Isacco Diogene si è guadagnato tale possibilità con le eroiche gesta compiute a Ras e Dyrrachion. Un’occasione che il nobile non può permettersi di ignorare, ma che gli impedisce di partecipare alla seguente campagna di Marciano. Alla testa dei suoi fidatissimi skythikon , il geniale comandante bizantino punta risolutamente verso la città portuale di Constanta, difesa dal potente Ban di Dubrodza Giovanni.





Il suo esercito è annientato sotto le mura della città dai trionfanti cavalieri di Marciano (1172), che pochi mesi dopo sorprendono le truppe bulgare inviate a rinforzo presso il villaggio di Cobadin e ottengono un’ulteriore vittoria. Il governo della regione è affidato a Marco Melisseno, neosposo di Elena Branas, e Marciano rientra da trionfatore a Sredetz, eseguendo per via una cavalcata per le terre bulgare che gli frutta un lauto bottino.
Ormai Manuele ha assoluta fiducia nel suo figlio adottivo nonché generale e così, nel 1178, Marciano può lanciare la campagna finale contro i Bulgari. Assieme a Isacco Diogene e ai suoi skythikon punta risolutamente su Tirnovgrad, dove lo zar Michele sta ammassando truppe in vista dell’inevitabile scontro. Quest’ultimo ha sviluppato un abbozzo di piano per sconfiggere i bizantini al loro stesso gioco. Così, quando Marciano suddivide le proprie forze in due tronconi – l’ala destra forte di tre squadroni di skythikon affidati a Isacco, l’ala sinistra composta da quattro squadroni al proprio diretto comando – lo zar mette in atto la sua idea: non suddivide le proprie forze come fatto dai suoi vassalli nei precedenti scontri, ma le scaglia tutte contro l’ala destra bizantina. Intende infatti limitarne il più possibile la mobilità e usare le proprie truppe d’elite, la guardia imperiale bulgara, per colpirle sul fianco e annientarle.
Il suo piano inizialmente pare funzionare e gli skythikon si trovano in effettiva difficoltà; inoltre Isacco viene richiamato da Marciano, lasciandoli senza una guida autorevole. Ma quando la guardia imperiale si prepara a colpire Marciano colpisce: momentaneamente esposti nel loro movimento aggirante, i bulgari vengono presi in pieno dalla tremenda carica della cavalleria pesante bizantina e letteralmente fatti a pezzi.



Nel frattempo gli skythikon dell’ala sinistra scatenano nugoli di frecce sul retro dei bulgari. L’attacco dello zar viene spezzato e la battaglia si incanala facilmente verso il trionfo bizantino: la morte di Michele, ucciso durante l’ultima disperata resistenza, è solamente il sigillo a un giorno di gloria.



In meno di vent’anni e usando unicamente truppe mercenarie dalla fedeltà inquieta, Marciano è riuscito nell’epica impresa di mostrare al mondo una facciata tremendamente forte, conquistando nel frattempo posizioni di alto valore strategico. Al rientro a Sredetz Manuele Comneno lo premia col titolo di Balcanico e con una cerimonia di trionfo come la Basileia non vedeva da tempo immemorabile.