00 13/09/2010 11:02
Come promesso, ecco la nuova parte! E se qualcosa vi piace lasciate un messaggio (ma potete lasciarlo anche se vi fa schifo [SM=g27962])



Le imprese di Marciano, al di là di ogni altra considerazione, hanno concesso alla Basileia il tempo sufficiente per sviluppare un coerente piano di riforma militare e per metterlo in atto. Nel 1173 Romano di Efeso, divenuto nel frattempo duca di Dorylaion, presenta a Manuele il progetto definitivo, che verrà accettato e adottato. Esso si ispira palesemente agli antichi modelli romani e si compone di tre livelli: l’esercito campale, quello di frontiera e le armate per la sicurezza interna.
Armate per la sicurezza interna è una formula ampollosa che cela dietro di sé niente altro che il sistema già vigente, quello delle milizie cittadine. Fanti armati di lancia o spada e scudo a goccia accompagnati da arcieri: questa è la base di ogni guarnigione cittadina e Romano di Efeso è categorico nell’affermare come questi soldati non debbano essere impiegati sul campo di battaglia se non in situazioni estreme.
Le truppe di frontiera sono le piccole guarnigioni da porre in posizioni strategiche, con compiti di sorveglianza e allarme in caso d’attacco. Sono divisi in fanti, esplicitamente modellati sui limitanei e armati di lancia e scudo, uniti a armature leggere; arcieri, soldati irregolari adatti per agguati; e prokursatores , cavalieri rapidi e leggeri con compiti di pattugliamento. I limitanei sono utilizzabili anche in battaglia o in movimenti offensivi, ma sempre con la consapevolezza della loro natura di truppe leggere.
La parte più cospicua della riforma si focalizza però sull’esercito campale, quello che totalmente manca alla Basileia. In piena tradizione antica ogni corpo d’armata viene denominato legio . Ogni legio si compone, di base, come segue:

- sei battaglioni di lancieri pesanti, truppe corazzate armate di lancia e scudo il cui compito principale è quello di attirare su di sé i nemici e inchiodarli sul posto; ogni battaglione si compone di 630 uomini.
- quattro battaglioni di skoutatoi , fanteria pesante d’assalto armata di spada ricurva e scudo, ideale per attacchi sui fianchi del nemico; ogni battaglione si compone di 610 uomini.
- tre contingenti di arcieri appiedati, denominati trapezountai , armati di arco, scudo rotondo e spada per l’eventuale mischia; ogni contingente conta 600 uomini.
- due squadroni di hippotoxotai , arcieri a cavallo armati di arco, scudo rotondo e spada per la mischia, meno rapidi degli arcieri a cavallo orientali, ma molto più versatili; ogni squadrone si compone di 400 effettivi.
- quattro squadroni di pronoiaroi , cavalleria pesante armata di lancia e spada, il cui compito è annientare la cavalleria avversaria e aggirare il nemico per attaccarlo alle spalle; ogni squadrone si compone di 400 uomini.
- ogni legio comprende inoltre un comandante con la propria guardia personale, di media un contingente di 210 uomini.
- Totale effettivi 3.780+2.440+1.800+800+1.600+210=10.630 uomini.



L’idea generale è quella di creare un corpo malleabile, atto ad affrontare qualsivoglia situazione tattica si presenti in campagna, con alta mobilità e facilità di reclutamento di nuovi elementi. Solamente l’assedio è trattato in maniera separata, in quanto i treni di macchine d’assedio sono corpi a parte; questo per mantenere la mobilità.
Manuele, come detto, approva la riforma con decreto imperiale nell’estate del 1173 e un mese dopo, a Dorylaion, Romano di Efeso fonda ufficialmente la legio I , che riceve la denominazione d I Anatolica . Nel 1177 seguirà la legio II Balcanica di stanza a Ras e nel 1182 la legio III Bulgara a Sredetz. Quest’ultima inaugura le legiones particolares , ossia non del tutto conformi alle basi della riforma di Romano di Efeso: la III Bulgara , in particolare, si compone di sei battaglioni di lancieri leggeri (750 uomini a battaglione), quattro battaglioni di truppe valacche (600 uomini a battaglione), tre contingenti di guardie imperiali bulgare (600 uomini a contingente) e sette squadroni di skythikon (400 uomini a squadrone). La II Balcanica è, invece, una legio del tutto normale.



Nel 1179 a Sredetz si spegne Manuele Comneno. Perfino i suoi più acerrimi avversari, gli anziani Michele Paleologo e Isacco Diogene, non possono non ammettere che il suo operato ha instradato Bisanzio verso un futuro che appare un poco più roseo. Al trono imperiale intanto sale Michele Branas, ormai quasi sessantenne. Egli sa bene di essere un imperatore di transizione e la sua prima preoccupazione è quella di scegliere l’uomo destinato a succedergli. Non avendo figli naturali, Michele sceglie il primo fra gli adottivi, Anastasio di Amastri.
Il breve regno di Michele è interamente occupato dal programma di risistemazione stradale, volto a riportare all’antico splendore la rete viaria che conduce da Athenai alla Capitale via Thessalonike (la via Egnazia) e quella che da Adrianoupolis tramite i porti della Capitale conduce fino a Nikaia. Il programma non è però ancora completo quando nel tardo 1181 Michele si spegne a Konstantinoupolis e gli succede Anastasio di Amastri. Anch’egli privo di discendenti – non si è mai sposato – opta per il mantenimento di una continuità con la precedente dinastia e nomina erede al trono Marciano Argiro, il primo figlio adottivo di Manuele.





Alla salita al trono di Anastasio Bisanzio è uno stato piuttosto forte, con una fitta rete di rapporti internazionali. Khanato Cumano, Granprincipati russi, Regno di Francia sono alcuni degli alleati dell’Basileia, mentre un più vasto numero di soggetti è interessato da accordi di carattere meramente economico. Tutto questo ha permesso a Bisanzio di superare abbastanza brillantemente le spedizioni inviate da Sua Santità a soccorso del Royuame d’Outremer, da anni in lotta con gli Zenghidi. La grande città di Urfa è stata conquistata da truppe veneziane nel 1167 e nuovamente nel 1179. Anche se è vero che il trattato di mutuo soccorso e alleanza stipulato con l’Atabeg Nur ad-Din nel 1174 ha portato qualche anno dopo alla rottura delle relazioni con i Magiari e i Portoghesi, la posizione internazionale di Bisanzio è comunque molto solida e i confini sicuri. Esiste però uno stato che viene guardato con sospetto e paura, quasi terrore; per ora il Sultanato Selgiuchide è rimasto piuttosto tranquillo, espandendosi lentamente verso l’Armenia, e ha addirittura permesso alle truppe dell’Outremer di conquistare Adana e l’intera Cilicia. Ma per quanto potrà durare questo stato di cose? Quanto passerà prima che gli infidi Turchi volgano le loro mortifere schiere a occidente e attentino ancora una volta alla vita della Basileia?



La risposta arriva con brutalità nel 1182. Anastasio si trova alla Capitale e ha da pochi giorni ufficialmente dichiarato Marciano erede quando giunge dalla lontana Chaldia una nave. A bordo vi è un messaggero che reca nuova dal capitano Andronico, comandante della guarnigione di Trapezounta, che chiede urgentemente soccorsi: un’armata turca infatti sta risolutamente puntando sulla rocca. Prima ancora che ci si possa riprendere dalla sorpresa un secondo messaggero arriva trafelato da Amastri, avvisando che un’altra armata turca dirige sulla città.
Il panico si sparge rapido per la Basileia: in molti vedono come se fossero stati testimoni il funesto campo di Manzikert e il basileus Romano Diogene catturato. Da più parti si levano voci che profetizzano il crollo e anche il Giudizio Universale. Lo stesso Anastasio, per quanto uomo energico e poco propenso a credere a fandonie di tipo profetico, è però spaventato e non sa bene come reagire. Infine, consigliato da Marciano, opta per difendere Amastri, la cui caduta minaccerebbe direttamente la Capitale, e per l’abbandono di Trapezounta, ritenuta da tutti troppo distante per poter essere efficacemente difesa. Il giovane Alessio di Abido, fresco sposo dell’unica figlia del defunto basileus Michele, viene inviato come governatore in Paphlagonia per imbastire una prima difesa; a Dorylaion Romano di Efeso mette in allarme la I Anatolica , peraltro non ancora completa – manca di skoutatoi e di pronoiaroi -; a Nikaia vengono fatte convergere tutte le truppe disponibili nell’area, quasi tutte unità miliziane.
Frattanto i due capitani turchi procedono nella loro marcia. Il loro sultano da anni osservava con crescente preoccupazione la rinnovata potenza di Bisanzio e l’applicazione della riforma militare ha rappresentato la goccia finale; sicuri dell’inevitabilità di un conflitto, i regnanti selgiuchidi hanno così deciso di cominciare col vantaggio della sorpresa e hanno preparato due spedizioni. Esse sono state affidate ai capitani Cerrah e Orhan, con la promessa della promozione al rango di nobili in caso di successo. Sono operazioni su piccola scala, che intendono testare la forza delle difese orientali di Bisanzio – ma evitando il confronto con la potente rocca di Dorylaion – e, soprattutto, occupare Trapezounta prima che essa diventi una spina nel fianco turco. La scelta di Anastasio di abbandonare quest’ultima al suo destino collima esattamente coi desideri turchi e pare instradare l’attacco su una buona via.
Ma, si sa, il diavolo tende a dimenticarsi i coperchi e la spedizione turca – 1300 uomini armati alla turca, con arco e spada – a tutto è preparata tranne a ciò che effettivamente accade: il capitano Andronico - che dispone di circa un migliaio di uomini in prevalenza trapezitoi - resosi conto di essere stato abbandonato decide di giocare una carta audace e ordina ai propri cavalieri di attaccare il nemico in modo non convenzionale; invece del classico schema mordi e fuggi con piogge di giavellotti, egli li fa attaccare come se fossero unità di cavalleria pesante, i giavellotti usati come rudimentali e corte lance. Ne nasce una carica appena passabile secondo gli standard della cavalleria pesante, ma del tutto micidiale per truppe impreparate. Il sogno di Cerrah di divenire nobile viene spento da un giavellotto e i Turchi sono costretti a una rapida fuga verso la sicurezza dell’entroterra montano.



Frattanto, del tutto ignari di quanto accade a Trapezounta, le truppe di Orhan (3.000 uomini) avanzano fino ad Amastri e stringono la città d’assedio. Alessio di Abido arriva quando ormai il cerchio si sta già chiudendo, ma riesce comunque a intrufolare in città un proprio uomo e a concordare col capitano della guarnigione (1.800 uomini) un piano.
La fanteria turca occupa una buona posizione e non intende perderla; inoltre la superiorità numerica induce Orhan a restare prudente e a non esporsi per impedire un ricongiungimento delle forze nemiche, certo che comunque alla fine la vittoria gli arriderà. Alessio dal canto suo ordina alla fanteria miliziana di sfilare sul fianco destro dello schieramento turco e poi di attaccarlo. Gli arcieri turchi tentano di contrastare questa manovra, inducendo Alessio ad intervenire personalmente con la cavalleria; questo conduce a una serie di brevi schermaglie che trascinano i contendenti lontano dallo schieramento principale. Lo scontro di fanterie arride fin da subito ai Turchi, che mostrano di avere truppe più addestrate e determinate dei miliziani di Bisanzio; il ritorno di Alessio cambia però le sorti della giornata e Amastri viene liberata, pur se a prezzo di quasi la metà dei miliziani.



Le due vittorie, per quanto limitate, dimostrano che i Turchi non sono affatto invincibili e fanno levitare il morale dei soldati imperiali. Così, galvanizzato dai successi, Anastasio prende due decisioni: anzitutto si pone personalmente a capo delle truppe ammassate a Nikaia e, con l’ausilio di Marciano come consigliere, intende lanciare una campagna lungo le coste del mar Nero con obbiettivo il porto di Sinope; poi ordina a Romano di Efeso di lasciare Dorylaion alla testa della I Anatolica , per quanto incompleta, e di puntare risolutamente su una delle perle dell’Anatolia: Konya, la capitale del Sultanato.
I Turchi stanno recuperando dalle sconfitte e intendono riprendere con rinnovato vigore gli attacchi appena l’inverno finisce; per questo stanno ammassando truppe a Kayseri, la grande roccaforte della Kapadokya. A Konya è rimasto solamente il governatore Tutush con meno di 1.000 uomini. E sono queste truppe che nella primavera del 1183 si trovano ad affrontare l’impossibile impresa di fermare l’avanzata degli 8.000 uomini della I Anatolica che, un po’ perché incompleta, un po’ a causa del suo obbiettivo, comprende anche un piccolo treno d’assedio.











300 bizantini cadono sul campo di Konya, ma la città viene conquistata e l’eco della vittoria raggiunge anche le lande più occidentali dell’Basileia. Per i Turchi è un colpo particolarmente duro e la perdita della capitale avvilisce a tal punto il sultano che in pochi mesi il dolore lo conduce alla tomba.
Il suo successore, Tezcan, è l’uomo sbagliato al momento sbagliato: privo di interessi militari, ha almeno l’umiltà di riconoscerlo e, ritiratosi ad Ani, di deporre la conduzione delle ostilità nelle mani del suo capace erede, il principe Abi. Questi è un guerriero di razza, capace e coraggioso. Resosi presto conto della difficoltà di recuperare Konya, Abi preferisce fortificare Kayseri al punto da renderla un boccone troppo grosso e puntare a eliminare la presenza bizantina dal mar Nero. Questo prevede riuscire a occupare Trapezounta e sconfiggere l’esercito miliziano del basileus Anastasio. Nel frattempo Konya va tenuta sotto pressione tramite scorribande di razziatori con base ad Attaleia.





I piani turchi vengono però presto frustrati: un secondo attacco su Trapezounta viene egualmente respinto dai difensori, numericamente accresciutisi, e gli arcieri a cavallo curdi, il cui compito era impegnare i trapezitoi , si comportano in maniera quanto mai deleteria per la causa, fuggendo dopo una breve schermaglia; contemporaneamente Andronico di Alicarnasso, la cui difesa di Trapezounta gli è valsa l’accesso al rango nobiliare, sconfigge presso Beyshir Golu bande di razziatori turchi e mantiene pulite le linee di comunicazione con Dorylaion; dulcis in fundo nel 1186 la I Anatolica espugna Attaleia dopo un breve combattimento, levando ai Turchi una base avanzata.



A questo punto, nel 1187, il principe Abi decide di marciare personalmente su Trapezounta e chiuderla una volta per tutte con l’ostica fortezza. I suoi 4.300 uomini non sono arrestabili dai 1.800 difensori; ma con una operazione anfibia degna di nota il basileus Anastasio conduce i propri 6.000 miliziani fino alla fortezza in tempo per accogliere degnamente i Turchi. Lo scontro che segue è del tutto impari e Abi viene pesantemente sconfitto, cadendo nelle fasi finali della battaglia.







La vittoria apre ad Anastasio le porte per una rapida avanzata fino a Sinope e poi, con le spalle ora coperte, fino alla grande città di Amasya, che viene strappata ai Turchi nel giugno del 1188.