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Medieval Total War Italia

Renovatio Imperii

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    frederick the great
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    Principe

    00 21/09/2010 09:56
    Per puro riepilogo:






    Bisanzio si trova così con un possedimento in Occidente e la nobiltà, per quanto conscia che il basileus ha agito contro il loro volere, non ritiene onorevole abbandonare chi ha lottato in nome della Basileia. E, soprattutto, guarda con cupidigia alle ricchezze dell’Italia settentrionale.



    Che fanno gola anche ad altri. Nel 1209 Bologna viene conquistata dalle forze veneziani; la Serenissima tenta anche un colpo contro Milano, ma le milizie della città respingono l’attacco. Due anni dopo il Piemonte è invaso dalle forze del re di Francia e interamente occupato. Queste mosse inducono i bizantini a prestare sempre maggior attenzione agli avvenimenti italici: per quanto non si abbia intenzione di scatenare una guerra in nome di un’eredità che, praticamente, si è stati incapaci di accettare e difendere, tuttavia a Konstantinoupolis si guarda con preoccupazione alla perdita di potenziali provincie dalla grande ricchezza. Lugano è sicuramente un luogo strategicamente importante, ma le ricchezze stanno a Milano o a Genova. Così Pietro Argiro Comeno decide di agire: nel 1213 concede alle truppe di Mondello lo status di legio col nome di VII Helvetica ; i miliziani sono inquadrati in unità ausiliarie. Frattanto un sempre maggior flusso di denaro viene inviato verso la roccaforte svizzera per ammodernarla e renderla nel minor tempo possibile degna sede di una legio . Dulcis in fundo, il basileus ordina a Giorgio Mondello di iniziare operazioni contro il piccolo comune di Milano appena pronto.



    Queste vengono avviate nel corso del 1216 e in breve la VII Helvetica , per quanto incompleta (manca di cavalleria pesante, sostituita da unità di prokursatores , e di skoutatoi ) ottiene consistenti vantaggi, inducendo le milizie del comune lombardo a tattiche sempre più difensive. Questo però preoccupa non poco Veneziani e Francesi: i primi reagiscono inviando ingenti forze in Lombardia, i secondi mandano pattuglie da Thun verso Lugano e cominciano le operazioni contro Genova. Tuttavia nessuno osa provare una mossa di aperta rottura e tutto pare chiudersi in un nulla di fatto. Per il 1219 le forze veneziane vengono ritirate e i Francesi si concentrano esclusivamente su Genova. Milano è sotto stretto assedio e a Konstantinoupolis si preme perché venga inviato un nobile bizantino come governatore; va bene essere grati a Giorgio Mondello per quanto ha compiuto, ma non è il caso di dargli in mano troppo potere.
    Pietro Argiro Comneno, ormai rientrato alla Capitale e padrone assoluto della Basileia – il primogenito Niceta è erede e comandante della IV Asiatica , il secondogenito Metodio governa Sebasteia ed è universalmente noto per la sua benevolenza e nobiltà d’animo, l’ultimo nato, Giovanni, è Eparco – è della medesima opinione e sceglie di inviare il giovane Pietro di Amastri.



    Questi, appena diciannovenne, nel 1219 salpa da Dyrrachion per Genova. Nessuno ha idea che questa mossa sarà la scintilla che farà detonare le Guerre d’Italia.




    Nel febbraio del 1220 Pietro di Amastri sbarca a Genova dopo un lungo viaggio attraverso il canale di Sicilia e il mar Tirreno. La città ligure è impegnata in una feroce contesa con il Regno di Francia, le cui truppe ogni giorno sono più vicine alle sue mura. Il podestà di Genova, che lo accoglie con ogni onore, cerca di convincere Pietro di Amastri a restare in città e a contribuire alla sua difesa, sperando ovviamente di attirare il potente Basileia Bizantino dalla propria. Ma il nobile ha altri compiti e intende raggiungere la VII Helvetica a Milano quanto prima.



    Tuttavia, sulla base di quanto ha appreso, Pietro decide di non avventurarsi nell’entroterra con la sola scorta della propria guardia personale, ma di arruolare mercenari. La lucente promessa dell’oro di Konstantinoupolis attira rapidamente un capitano mercenario di origine germanica, Gunther, che offre i propri servigi. Egli comanda un corpo di fanti germanici, uno di lancieri, uno di balestrieri pavesi e uno di cavalieri franchi; sono tutti veterani della lunga guerra che oppone Francia e Impero Tedesco e ritengono che troveranno miglior sorte con Bisanzio che restando in una Genova che ritengono ormai condannata.



    Pietro di Amastri si accorda con Gunther e verso la fine della primavera lascia finalmente la città ligure per Milano alla testa di 2.500 uomini. La marcia prosegue tranquilla fino a quando, circa una settimana dopo, gli esploratori riportano forti movimenti di truppe francesi. Esse, riferiscono, assommano a oltre 9.000 uomini, divisi in due corpi: quello più piccolo è guidato da un certo capitano Emery (3.200 uomini), l’altro è ai comandi del capitano Baldovino (6.200 uomini). Sulle loro intenzioni, però, non si hanno informazioni attendibili.
    Una volta giunti presso il passo del Turchino queste diventano fin troppo evidenti. I francesi di Emery si preparano senza il minimo dubbio ad attaccare e Pietro riesce appena in tempo a fermarsi e a disporre i propri uomini attorno a una collinetta.



    Da lì i balestrieri possono con una certa calma mirare ai nemici avanzanti, protetti davanti dai lancieri e sul fianco destro dai fanti tedeschi. Ma la velocità dell’attacco francese impedisce loro di essere veramente efficaci e il compito di colpire duramente il nemico ricade sui cavalieri: le loro ripetute cariche spargono il caos nei ranghi nemici, ma senza riuscire a fermarne l’avanzata. Solo l’attacco dei fanti di Gunther riesce a respingere i francesi.







    Purtroppo però tutti hanno già visto che l’attacco di Emery aveva il solo scopo di bloccarli e sfiancarli: infatti le truppe di Baldovino avanzano tranquille verso la sottile linea bizantina, cantando e insultando gli uomini di Emery ormai in ritirata. Che, peraltro, hanno provocato ingenti danni alla piccola forza di Pietro: metà della cavalleria è rimasta sul campo e la sua efficacia si è grandemente ridotta. Non a caso un primo attacco, se pure riesce momentaneamente a scompaginare gli arcieri francesi, è presto respinto con altre perdite (su 400 cavalieri francesi solo 180 sono ancora in grado di combattere) e da ogni parte le milizie francesi avanzano soverchianti contro la collinetta.







    Presto ogni singolo mercenario è impegnato in una disperata lotta per tenere la posizione e sopravvivere: i balestrieri devono intervenire spada alla mano per bloccare una manovra aggirante sul fianco sinistro. Pietro di Amastri, resosi conto che tutto è perduto, raduna la cavalleria a destra e si lancia in un’ultima carica, cercando una morte onorevole.
    Quanto può un singolo colpo di spada! Nel corso dell’attacco il comandante francese Baldovino viene ucciso e la sua morte sottrae ogni volontà ai suoi uomini. Increduli, i mercenari osservano le truppe francesi in precipitosa ritirata, tallonati da un’altrettanto stupefatta cavalleria.





    La giornata è di Bisanzio, a prezzo di 700 mercenari, ma tutti sanno quanto poco ci è mancato perché fossero i Francesi a gioire.





    La notizia della battaglia viene accolta con costernazione a Konstantinoupolis in quanto nulla è mai stato fatto contro i Francesi, né militarmente né in altra maniera. Ben presto questo evento si va a collocare in un più grande contesto di scontro: per un complesso giro di alleanze – gran principati russi, khanato cumano, sultanato almohade e zenghide - Bisanzio si ritrova in guerra con la Corona d’Aragò, il regno di Danimarca, quello di Francia e la Serenissima Repubblica Veneta. Una simile situazione non è oggettivamente accettabile e risulta quanto mai problematica da gestire sia da un punto di vista commerciale che da un punto di vista militare: la Francia ha attaccato e non sarà certo la Basileia a subire passivamente. Così Pietro Argiro Comneno analizza attentamente la situazione e infine fa la sua mossa: invia l’esperto diplomatico Demetrio di Alicarnasso a conversare coi potenti d’Aragona.
    Il piccolo regno iberico è tutt’altro che desideroso di mantenere uno stato di belligeranza scaturito indirettamente da varie alleanze: dunque ascolta con attenzione le proposte del basileus e rapidamente si giunge alla firma di un trattato. Questo, noto come trattato di Ais, si divide in due parti: nella prima si sancisce un’alleanza fra la Corona d’Aragò e la Basileia, alleanza rafforzata dal matrimonio della principessa aragonese Letgarda con il principe Niceta Argiro Comneno; nella seconda invece vengono trattati i rapporti da mantenere con gli altri stati le cui posizioni hanno condotto allo scontro. Così, fra l’autunno e l’inverno del 1220, i sovrani di molte realtà politiche sono costretti ad analizzare nei dettagli il Trattato di Ais e a decidere se accettarlo (tenendosi l’alleato, sia esso Bisanzio o l’Aragona, e chiudendo la guerra) oppure se rigettarlo (mantenendo lo stato di belligeranza e perdendo l’alleato, sia esso Bisanzio o l’Aragona).



    Il sultanato almohade opta quasi subito per continuare la sua guerra contro l’Aragona e abbandonare Bisanzio. I Russi e i Cumani, i cui rapporti con la Basileia sono sempre stati ottimi, decidono di rimanere fedeli all’alleanza coi Danesi e, quindi, rescindono i trattati con Bisanzio, contando che i buoni rapporti passati non condurranno a gesti ostili da parte bizantina. Gli Zenghidi di Siria invece accettano il Trattato di Ais, chiudendo così un conflitto con l’Aragona che data al 1167.
    Ma il vero nodo è Venezia. L’alleanza con la Corona d’Aragò è qualcosa che può essere mantenuto o abbandonato senza troppi patemi per la Serenissima; il mantenimento o meno di uno stato di belligeranza è invece ben altra cosa, soprattutto perché Venezia è l’unico soggetto politico interessato dal Trattato a essere in lotta con la Basileia. Il doge Almerico il Severo e il suo successore designato, consigliere Stefano, optano infine per rigettare il Trattato di Ais sulla base di alcune considerazioni. Venezia dal 1167 si è impegnata in un’avventura orientale che, dopo alterne fortune, è naufragata miseramente nel 1210 con la perdita di Urfa e la morte del precedente doge Alessandro; il crollo del comune di Milano e il frazionamento della sua realtà politica ha ovviamente attirato la Serenissima, che però ora vede queste terre in serissimo pericolo dall’espansionismo di Francia e Basileia. Le informazioni su quest’ultimo riferiscono di un’ingente armata di stanza a Ras (si tratta della II Balcanica) e di un’altra a Naupaktos (la V Greca). Considerato che l’unica strada per l’Italia passa dalla Zeta e dalla città di Ragusa, il doge ritiene di poter fermare un attacco: gli eserciti veneziani sono forti e numerosi, ben comandati e ben disposti lungo la linea costiera e sostenuti alle spalle dalla potente fortezza di Pola. Da ultimo si ritiene che Bisanzio possa attaccare fino a quando avrà un serio motivo per farlo (ossia dei possedimenti in Italia): la loro conquista porterebbe, nella visione del doge, alla morte di un casus belli e, quindi, alla cessazione delle ostilità. Ecco dunque che a Venezia fervono i preparativi e fra la fine del 1221 e l’inizio del 1222, una grande armata, affidata all’esperto Agostino de Finiza, viene inviata in Lombardia per distruggere i possessi bizantini.
    Il calcolo veneziano si rivela, come vedremo, assai miope e, cosa ben più grave, costruito su due assunti tutt’altro che certi: che Bisanzio non cerchi alcuna rivincita in caso di sconfitta in Italia e, soprattutto, che le armate veneziane possano agevolmente sconfiggere in campo aperto una legio bizantina. La storia della battaglia di Codogno (1222) proverà limpidamente quanto questo secondo assunto sia errato e foriero di disgrazie.
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    ironman1989.
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    Principe
    00 21/09/2010 10:52
    molto bella!!!


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    frederick the great
    Post: 4.003
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    Principe

    00 21/09/2010 11:36
    Mi sono accorto di aver scritto una scemenza: è vero che i cumani erano miei alleati quando ho stipulato il trattato con l'Aragona, ma non hanno dovuto affatto scegliere; nn erano in guerra con l'Aragona...
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    Keirosophos
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    Principe
    00 21/09/2010 14:13
    Bellissima cronaca!!!
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    postremo dicas primus taceas
    parla per ultimo, zittisci per primo




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    frederick the great
    Post: 4.003
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    Principe

    00 21/09/2010 15:09


    L’avanzata dei Veneziani desta somma preoccupazione nella Lombardia appena conquistata – Milano si è arresa all’inizio dl 1221 – e spinge il neogovernatore Pietro di Amastri a mettere in stato di allerta la VII Helvetica e a far confluire reparti aggiuntivi da Lugano. Gli 11.116 uomini che convergono su Milano sono battaglioni di pavesari (6), contingenti di arcieri leggeri (3), battaglioni di lancieri leggeri (2), squadroni di prokursatores (2), pronoiaroi (2) e hippotoxotai (2).
    A fronteggiarli sta l’armata di Agostino di Finiza, 9.720 uomini addestrati e ben equipaggiati: contingenti di arcieri e balestrieri, ampi battaglioni di fanti sia professionali che miliziani, squadroni di cavalleria leggera.
    Pietro di Amastri non è un uomo di guerra: se è vero che è cresciuto in Rascia fra le truppe, è altrettanto vero che ha sempre denotato interesse per le materie di governo ed è stato educato per fare il governatore. Tuttavia i movimenti francesi in Svizzera e Piemonte inducono Giorgio Mondello a restare a Lugano con i suoi compagni lombardi e costringono Pietro di Amastri ad assumersi personalmente l’onere di condurre la campagna militare.



    Le forze bizantine si attestano presso il villaggio di Codogno, aspettando l’attacco veneziano. Ma Agostino de Finiza purtroppo non è uno stupido, è un generale esperto e capace. Si rende conto rapidamente che la posizione tenuta dalla VII Helvetica è quanto mai difficile da assaltare e, dunque, opta per una diversa tattica: dispone i suoi uomini in tre file, la prima di arcieri e le altre due di fanteria, con la cavalleria sui due lati, in una posizione piuttosto favorevole e attende.



    Pietro di Amastri sa che non può ritirarsi, sarebbe un gesto codardo e con conseguenze gravissime per il morale dei soldati: così verso mezzodì ordina l’avanzata. Agostino risponde inviando un corpo di balestrieri a bersagliare i ranghi nemici: questo induce Pietro a ordinare ai pronoiaroi di ripulire l’area. Intanto invia gli hippotoxotai a tartassare l’ala sinistra veneziana.
    I pronoiaroi piombano sicuri sui balestrieri e ne scompaginano rapidamente i ranghi; ma sono altrettanto rapidamente costretti a ritirarsi dai nugoli di frecce degli arcieri di Agostino. Frattanto uno squadrone di cavalleria leggera impegna gli hippotoxotai in una feroce mischia.



    Ormai l’attacco principale è imminente e Pietro di Amastri ordina a tutte le unità di caricare secondo gli ordini ricevuti in precedenza: i pavesari , che formano la prima linea, si slanciano contro la tranquilla linea della fanteria nemica, mentre i lancieri leggeri si aprono sulle ali e i prokursatores iniziano la carica contro la cavalleria dell’ala destra avversaria.



    Agostino sta aspettando questo momento da tanto. Rapido ordina una contro carica immediata e le forze veneziane assaltano fra grandi urla l’arrembante marea bizantina.



    Lo scontro è selvaggio, ben presto alle urla di guerra si mescolano quelle dei feriti e i gemiti dei moribondi.



    Gli arcieri veneziani, ritiratisi in seconda fila, accorrono a loro volta nella mischia o in aiuto dei propri cavalieri, contro i quali i prokursatores si ritrovano in difficoltà. E Agostino, avendo ormai lanciato i propri dadi, si scaglia contro gli hippotoxotai , facendone strage.
    A Pietro di Amastri non resta che contare sulla volontà dei propri soldati e sulla capacità di tenere la linea dei pavesari . Le sue esortazioni servono a ben poco, molte non vengono nemmeno udite nel frastuono della battaglia. Così si pone alla testa dei pronoiaroi e li guida in una carica contro gli apparentemente inarrestabili cavalieri di Agostino de Finiza e contro le unità di arcieri che continuano a bersagliare i nemici.



    La buona stella che lo ha protetto due anni prima al Passo del Turchino non abbandona Pietro nemmeno ora e infatti è Agostino a cadere sul campo. La sua morte ha effetti nefasti per la causa di Venezia: privi di una presenza carismatica, i soldati della Serenissima cominciano a dare campo e una micidiale carica alle spalle li manda definitivamente in rotta, consegnando la giornata a Bisanzio.





    Pietro di Amastri, nello scrivere quella sera il resoconto della battaglia per il basileus , non può però esimersi dal ricordate che questa vittoria è stata estremamente dura – oltre 3.400 soldati caduti - e che senza aiuti difficilmente egli sarà in grado di mantenere oltre la posizione.
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    Keirosophos
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    Principe
    00 21/09/2010 18:56
    Bellissimo aggiornamento! [SM=x1140428]
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    Keirosophos
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    Principe
    00 21/09/2010 18:56
    -scusate doppio post-
    [Modificato da Keirosophos 21/09/2010 18:56]
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    postremo dicas primus taceas
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    frederick the great
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    Principe

    00 22/09/2010 12:19
    Prima di postare questo nuovo aggiornamento vorrei ringraziare sentitamente tutti quelli che seguono questa campagna: grazie davvero per l'incoraggiamento! E lasciate post, mi raccomando!
    Dedico questo aggiornamento a chiunque, per qualsivolgia motivo, detesta Venezia e vuole vederla nella polvere. Enjoy!



    Le parole di Pietro di Amastri sono certamente veritiere, ma a Konstantinoupolis il basileus sta già da tempo emanando ordini per un attacco in forze. Nello stesso anno di Codogno la legio II Balcanica muove da Ras e invade la Zeta, puntando risolutamente su Ragusa: alla sua testa c’è il fratello minore di Pietro, Demetrio di Amastri. È la mossa che il doge si aspetta e a cui ritiene di poter efficacemente reagire: invia ordini al governatore di Zara, Prelato de Draga, di resistere il più a lungo possibile e promette l’invio di una grande armata di soccorso, il cui assemblaggio viene avviato a Pola. Frattanto Pietro Argiro Comneno non se ne sta ad aspettare, ma prepara quello che dovrà essere il vero colpo di maglio: la V Greca viene affidata a Teodoro di Magnesia e riceve l’ordine di iniziare i preparativi per partire al minimo segnale da Naupaktos; la IV Asiatica, spostata rapidamente da Kayseri a Smyrna, è già salpata per raggiungere l’Epiro al comando del principe Niceta Argiro Comneno.





    Il 1225 si apre con una situazione quanto mai in bilico: Venezia non ha più tentato alcun attacco contro la Lombardia, ma la VII Helvetica non è assolutamente in condizione di muovere un’offensiva; la II Balcanica ha ormai sotto controllo gran parte della Zeta e sta assediando da diversi mesi Ragusa, fieramente difesa dalle truppe di Prelato de Draga; L’armata di soccorso, affidata al capace capitano Daniele e forte di oltre 9.000 uomini, lascia Pola sul finire dell’anno precedente e arriva a Zara per marzo; Verona è difesa dall’esperto Vitale Barbarigo, Mestre è poderosamente controllata da un grande esercito e un’altra armata assicura il controllo sul contado veneto. Inoltre – ma questo non è noto al doge – le mosse del basileus stanno attirando sempre più critiche e il prestigio personale di Pietro Argiro Comneno ne risulta intaccato (80%).



    Ma il 1225 è l’anno determinante della guerra, quello in cui Bisanzio prende un vantaggio troppo grande per essere perso. Con un’audace operazione navale – peraltro assai poco complicata dalla flotta veneziana – la V Greca sbarca nell’aprile a sud di Pola. La fortezza è difesa da 2.000 uomini della riserva e nulla può contro l’attacco di 8.000 soldati sostenuti da un piccolo treno d’assedio.







    Un mese dopo la IV Asiatica sbarca direttamente in terra veneta e il principe Niceta comincia l’avanzata verso il proprio obbiettivo: la grande fortezza di Verona, la cui caduta toglierebbe a Venezia una base militare dal valore strategico notevole. L’unica speranza per il doge risiede nel poderoso esercito del capitano Luigi, 12.600 uomini a cui sono stati attaccati i 1.000 del capitano Ilario. Niceta dimostra un notevole acume tattico e riesce, con una serie di marce rapide, a sorprendere Ilario presso il villaggio di Roncade. Il capitano veneziano manda immediati messaggi di soccorso a Luigi e si attesta come può su una sorta di collina da cui si domina l’area circostante. Un luogo tatticamente importante, che Niceta non può permettersi di lasciare in mano al nemico: invia dunque gli hippotoxotai a colpire duramente – le truppe di Ilario sono tutte miliziane – e guida personalmente il resto della legio in una corsa contro il tempo per arrivare alla collina. Perché Luigi sta arrivando e a sua volta intende occupare la zona rialzata.





    Purtroppo per Venezia la corsa viene vinta, seppur d’un soffio, dai Bizantini e Niceta, forte del vantaggio acquisito, costringe Luigi ad attaccare in condizioni sfavorevoli; frattanto i pronoiaroi , protetti dal terreno rialzato e dunque invisibili ai Veneziani, scivolano sull’ala destra. Il cerchio si chiude rapidamente e il destino di Luigi e dei suoi viene segnato.









    Il trionfo di Roncade – 1.000 bizantini caduti a fronte di oltre 13.000 veneziani annientati – apre a Niceta la strada di Verona, che viene conquistata l’anno seguente dopo una breve battaglia.





    Ma soprattutto questi attacchi paralizzano la macchina bellica veneziana e l’esercito di soccorso, privo di ulteriori ordini da parte del doge, resta a Zara. Ciò condanna ovviamente Ragusa, che viene conquistata dalla II Balcanica al termine di una sortita tanto coraggiosa quanto disperata degli uomini di Prelato de Draga.





    Decisa a sfruttare al massimo il vantaggio acquisito, Bisanzio muove le sue pedine. Una spedizione guidata da Giorgio Mondello raggiunge Niceta a Verona – ma la VII Helvetica resta a sorvegliare le mosse francesi; intanto la II Balcanica lascia Ragusa al comando dell’anziano ed esperto Giorgio Licude, in quando Demetrio di Amastri è stato nominato Duca di Zeta e incaricato della pacificazione definitiva della regione.





    L’obbiettivo della II Balcanica è ovviamente Zara, la cui conquista darebbe a Bisanzio la continuità territoriale di tutti i suoi domini. Ma la città è fortemente difesa e i Veneziani non intendono affatto cedere senza combattere.





    La guarnigione di Zara è composta da 8.250 uomini al comando del capitano Domenico, uomo determinato e deciso a non permettere al nemico di vincere. Nell’area circostante sono accampati i 9.930 uomini del capitano Daniele, l’esercito originariamente assemblato per portare soccorso a Ragusa assediata. Queste truppe sono un pericoloso mix di truppe professionali e di veterani della milizia, con ampi contingenti di arcieri e sostenuti da squadroni di cavalleria.
    Per contro la II Balcanica dispone di 9.470 effettivi, non avendo avuto alcun tempo per ripianare le perdite subite a Ragusa; resta comunque una forza estremamente duttile e pericolosa, guidata da una mano ferma ed esperta come quella di Giorgio Licude. Questi è tutt’altro che contrario a una grande battaglia, anzi: intende distruggere il nemico con un unico grande colpo di maglio e spazzare via Venezia dalla Dalmazia. Decide pertanto di attaccare anzitutto le forze di Daniele e adotta uno schieramento piuttosto classico: una linea di lancieri pesanti al centro, alle cui spalle agiscono in sicurezza i trapezountai ; una seconda linea, composta da skoutatoi , dietro gli arcieri; due ali di cavalleria con, a destra, anche gli hippotoxotai .
    Dal canto suo Daniele sistema le proprie truppe su due profonde linee di fanti con gli arcieri a formare una linea avanzata; soprattutto manda messaggi al collega Domenico, invitandolo ad unirsi alla battaglia e proponendogli un piano comune. Le truppe di Domenico appaiono rapidamente all’orizzonte, anch’esse strutturate su due profonde linee di fanti, con arcieri in linea avanzata e due squadroni di cavalleria all’ala destra.
    Giorgio Licude, resosi conto del serio rischio di un congiungimento, decide di impedire la mossa e ordina un cambiamento di posizione e di schieramento.



    La II Balcanica si sposta decisamente verso la propria destra per affrontare l’esercito di Domenico in marcia, con gli skoutatoi sistemati all’ala sinistra e tutta la cavalleria concentrata a destra. Gli hippotoxotai vengono inviati a disturbare le manovre veneziane.
    A questo punto parecchie cose cominciano ad andare storte: i due eserciti veneziani smettono di marciare l’uno verso l’altro per unirsi, ma lanciano invece due attacchi di massa. I lancieri pesanti bizantini si ritrovano a dover lottare selvaggiamente contro una marea sempre crescente e arrembante per difendere ogni singolo centimetro di terreno.



    Contemporaneamente gli skoutatoi attaccano sul fianco i veneziani all’assalto, ma questa mossa non riesce a dare quel respiro sperato, anzi; a loro volta gli skoutatoi devono mettere in gioco il loro addestramento e la loro abilità per non cedere terreno. Giorgio Licude, che sta rapidamente perdendo il controllo della battaglia, osserva disperatamente lo schieramento nemico alla ricerca di uno spiraglio attraverso il quale scatenare i pronoiaroi , ma senza successo; con acume Domenico mantiene alcuni contingenti di fanti in retroguardia, pronti ad intervenire con le loro mortifere lance in caso di attacco della cavalleria. Licude sta per ordinare alla cavalleria di girare alle spalle dei propri fanti per portarsi a sinistra, dove la situazione è più aperta, quando un novo problema attira il suo sguardo: gli hippotoxotai si trovano in una spinosa situazione. La loro avanzata, lungi dallo spaventare i Veneziani o dall’indurli a perdere coesione, è stata accolta dagli arcieri con un nutrito lancio di frecce; questo ha costretto gli hippotoxotai stessi a rispondere con egual moneta e, in ultima analisi, li ha esposti all’improvvisa e feroce carica della cavalleria veneziana.



    Tartassati dalle frecce avversarie, impossibilitati a combattere secondo le proprie preferenze, caricati dal nemico, gli hippotoxotai reagiscono cedendo terreno e dandosi alla fuga.



    Mai un’unità legionaria bizantina si è data alla fuga e per Giorgio Licude questa è un’atroce macchia da cancellare immediatamente col sangue del nemico: così guida la propria guardia in una spettacolare carica che praticamente annienta la cavalleria nemica. Ma, proprio negli ultimi istanti della mischia, una spada veneziana trova la giusta via e colpisce mortalmente Giorgio Licude, che crolla al suolo.
    I Veneziani esultano alla notizia della morte del generale nemico e il capitano Daniele incita vieppiù i propri soldati alla sforzo finale: il morale dei Bizantini scricchiola ed è tempo di chiudere il conto.



    E il conto viene infatti chiuso, ma in un modo a cui Daniele non aveva affatto pensato. Del tutto inutilizzati fino a quel momento, i comandanti dei quattro squadroni di pronoiaroi si trovano d’accordo nel lanciare una carica contro l’ala sinistra nemica e contro i corpi di fanteria della retroguardia. I Veneziani, di fronte alla minaccia, si preparano a reggere l’urto; ma l’attacco dei pronoiaroi è troppo impetuoso e spietato.


    Sfondata nel sangue la linea di difesa nemica, i pronoiaroi si lanciano come lupi contro le spalle scoperte dello schieramento veneziano, portandovi la morte.



    E a questo punto gli eroici soldati di Venezia cedono di schianto e iniziano una precipitosa ritirata che Daniele cerca inutilmente di arrestare: spietatamente inseguiti dai pronoiaroi gli uomini scappano o si arrendono a centinaia; lo stesso Daniele è catturato. Alla fine la giornata è ancora di Bisanzio e l’aquila imperiale sventola sulle mura di Zara, ma il prezzo pagato è molto alto: oltre 2.000 uomini sono caduti, fra cui lo stesso comandante.
    Per i Veneziani Zara è un punto di non ritorno: essa segna la perdita dell’ultimo dominio orientale e di due armate per un totale complessivo di oltre 18.000 uomini.





    La perdita di Zara getta il doge Almerico in un profondo stato di prostrazione e la situazione viene presa in mano dal consigliere Stefano, che si sposta rapidamente a Bologna. Ma ormai il sole di Venezia è irrimediabilmente destinato a tramontare e a non farsi più rivedere. L’anno dopo la colossale battaglia in Dalmazia, l’esercito di Mestre, 10.000 uomini della milizia, viene sistematicamente diviso, attaccato e infine distrutto dal corpo di cavalleria pesante lombarda di Giorgio Mondello.





    Lo stesso Mondello nel 1229 coglie una nuova vittoria assicurando il controllo del principale guado del Po.








    Questo libera definitivamente il campo per l’attacco decisivo, che viene portato nello stesso 1229. Giorgio Mondello, arruolati alcuni contingenti mercenari, assedia Bologna; Niceta, alla testa della IV Asiatica a ranghi completi, marcia invece contro Venezia stessa. Gilberto Contarini, il valoroso nobile al quale è affidato il comando delle ultime truppe veneziane, 12.700 uomini arruolati in fretta e furia, cerca inutilmente di fermare l’avanzata bizantina; nel corso di una colossale battaglia, quasi l’intera totalità dell’armata viene annientata e Contarini ucciso a prezzo di 2.000 bizantini.







    Il doge Almerico si rifugia disperato nel proprio palazzo e la difesa estrema della città lagunare resta in mano a volenterosi cittadini. Nel 1232, ormai stremati, i veneziani si arrendono e poco dopo Giorgio Mondello rientra nella sua città – non ha mai abbandonato il titolo di Legato di Romagna – dopo quasi trent’anni.





    La gloriosa storia della Serenissima Repubblica Veneta si chiude.
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    Keirosophos
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    Principe
    00 22/09/2010 13:53
    Fantastica! [SM=x1140522]
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    Romolo Augustolo
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    Cavaliere
    00 22/09/2010 17:33
    sìììììììììì!!!! in EU3 venezia mi fotte sempre evvai!!!!!!!!!!!!!! è MORTA. E DICO MORTA!!!!!!!
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    Bernhard Rothmann (Munster, 13 Gennaio 1534) :i vecchi credenti non vogliono permettere a nessuno di scegliere quale vita condurre, vogliono che voi lavoriate per loro e siate contenti della fede che vi consegnano i dottori. la loro è una fede di condanna, è la fede spacciataci dall'antiscristo! ma noi, fratelli, noi vogliamo redenzione! noi vogliamo libertà e giustizia per tutti! noi vogliamo leggere liberamente la parola del signore e liberamente scegliere chi deve parlarci dal pulpito e chi rappresentarci in consiglio! chi infatti decideva i destini della città prima che lo scacciassimo a pedate? il vescovo. e chi decide ora? i ricchi, i notabili borghigiani, illustri ammiratori di lutero solo perchè la sua dottrina consente loro di resistere al vescovo! e voi, fratelli e sorelle, voi che fate vivere questa città, non potete mettere parola nelle loro sentenze. voi dovete soltanto ubbidire, come sbraita lo stesso lutero dalla sua tana principesca.i vecchi credenti vengono a dirci che i buoni cristiani non possono occuparsi del mondo, che devono coltivare la loro fede in privato, seguitando a subire in silenzio i soprusi, perchè tutti siamo peccatori condannati a espiare. ma il tempo è giunto! i potenti della terra saranno spodestati, i loro scrani cadranno, per mano del signore. cristo non viene a portarci la pace, ma la spada. le porte sono ora aperte per coloro che sapranno osare. se penseranno di schiacciarci con un colpo di spada, con la spada pareremo quel colpo per restituirne cento!!!
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    frederick the great
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    00 27/09/2010 14:07


    Nel 1228, dopo trentasei anni di regno, si spegne a Konstantinoupolis il basileus Pietro Argiro Comneno. È un momento di grande lutto per tutta Bisanzio, che perde un uomo dalla mente acuta e di grande carisma. Gli succede il figlio Niceta, impegnato in Italia contro Venezia e che viene solennemente incoronato a Milano poco prima di partire per la spedizione che si conclude con la grande vittoria di Venezia (1229).



    Ormai gli affari contro la Serenissima volgono al termine e sempre più occhi si volgono ad occidente, dove i Francesi, primi responsabili del coinvolgimento bizantino in Italia, da tempo osservano e attendono. Nonostante l’esistenza di un trattato di alleanza fra Francia e Venezia, le mosse dei due avversari di Bisanzio hanno mancato di coordinazione e i Francesi iniziano ad operare unicamente quando si rendono conto che per Venezia non vi è più alcuna speranza. Le prime operazioni sono a dir poco insensate e denotano una totale ignoranza della forza militare della Basileia: i 6.000 uomini del capitano Adam inviati contro Milano si trovano ad affrontare la forza congiunta della VII Helvetica (10.000 uomini) e della guarnigione della città lombarda (5.600 uomini), soffrendo una completa disfatta.



    A questo punto la città di Genova, da pochi anni inglobata nei domini francesi, esplode in una grande rivolta e caccia la guarnigione. La nuova repubblica ha vita breve e nel 1232 un grande esercito francese, guidato da re Perrot in persona, assalta la città ligure e la conquista, sottoponendola a un tremendo saccheggio. Tuttavia la repressione di Genova costringe i Francesi a non occuparsi più di quanto accade nel resto d’Italia e permette ai Bizantini di equipaggiarsi con tutta calma.





    Nel 1234 la II Balcanica rientra a Ras dopo aver pacificato definitivamente la Dalmazia e la Zeta. La IV Asiatica si sposta da Venezia a Verona e nel 1235 muore a Bologna Giorgio Mondello, il grande generale lombardo.
    Nello stesso anno, esasperata dalle crudeltà e dalla rapacità dei Francesi, la popolazione di Asti si arma e caccia la guarnigione. Niceta decide di cogliere la palla al balzo e ordina a Giorgio Paleologo di assumere il comando della VII Helvetica e di marciare sul Piemonte.



    Nel 1237 Asti viene conquistata e un tentativo francese di riprenderla facilmente respinto.



    A questo punto Niceta ordina che vengano edificati una serie di fortini avanzati a controllo dei valichi alpini. Uno viene costruito ad Argentara sulla via della Provenza, uno al villaggio di Oulx presso il valico della Val di Susa, un terzo a Vipiteno sulla via per le terre tedesche. Tuttavia a nessuno sfugge che questo provvedimento è volto unicamente a bloccare ogni via di comunicazione fra la Liguria e il resto del Royaume de France e che il forte di Vipiteno è più che altro un tentativo abbastanza inutile di nascondere la realtà.



    I Francesi, popolo orgoglioso, decidono a questo punto di reagire e un esercito viene assemblato a Liyon per portare aiuto alle forze in Liguria. Il comandante, capitano Evrart, ha l’ordine di distruggere il fortino di Oulx come monito perenne. Ma i limitanei posti a guardia dell’avamposto danno velocemente l’allarme e si rinchiudono fra le spesse mura, decisi a non cedere. La loro tenacia è premiata dall’arrivo di Giorgio Paleologo e della VII Helvetica , che con manovra d’aggiramento tanto classica quanto terribile accerchia e distrugge l’armata francese.





    A questo punto tutto è pronto per l’ultimo atto e il basileus Niceta Argiro Comneno in persona si pone alla testa della IV Asiatica in marcia su Genova.



    I Francesi controllano ormai solo poche guarnigioni avanzate e re Perrot decide di farle rapidamente rientrare a Genova. Il capitano Lucas è incaricato di assumere il comando di questi uomini e di riportarli sani e salvi alla città ligure. Ma ben presto Lucas si trova a giocare una pericolosissima partita di continue manovre nientemeno che con Niceta e, nonostante un’indubbia abilità del capitano francese, alla fine il basileus riesce a tagliargli la via di Genova. Perrot, avvisato del pericolo, guida prontamente tutti gli uomini disponibili a soccorso. I Francesi hanno a disposizione 8.360 uomini al comando del re e 2.850 sotto Lucas; Niceta oppone i 10.780 uomini della IV Asiatica .



    L’inizio della battaglia si compone di piccole scaramucce e di manovre. Niceta dispone la legio in modo classico e funzionale, coi lancieri al centro a protezione degli arcieri, gli skoutatoi alle due ali e i pronoiaroi a destra, lasciando gli hippotoxotai liberi di svariare. Sono proprio questi ultimi ad impegnare le forze di Lucas e a preparare il terreno per l’attacco degli skoutatoi . Le truppe francesi, stanche e malnutrite, offrono una resistenza simbolica e presto cedono terreno.





    A questo punto la legio ruota per accogliere il grosso dell’armata francese e si ritrova a fronteggiare una sgradita sorpresa: Perrot, conscio dell’inferiorità numerica e deciso a tutto pur di portare un po’ di equilibrio, ha condotto sul campo una serie di catapulte. Dopo aver schierato i propri uomini su una profonda linea di fanti con gruppi di balestrieri e arcieri avanzati, il re di Francia dà ordine agli artiglieri di cominciare a tirare e proiettili ardenti prendono a solcare il cielo.
    Niceta si aspettava un attacco francese e la nuova situazione lo costringe controvoglia ad avanzare e a perdere ogni vantaggio di posizione. I lancieri pesanti e gli skoutatoi , ora tutti a destra, avanzano ordinatamente costringendo gli arcieri nemici a ripiegare, quindi si scagliano all’attacco. I Francesi accolgono l’assalto a piè fermo e la mischia si sviluppa furibonda. Perrot invia la propria cavalleria a impegnare gli hippotoxotai , quindi lancia la propria guardia personale – 370 dei migliori cavalieri di Francia – contro l’ala destra bizantina. Gli skoutatoi vengono presi in pieno dal feroce assalto ma, a dispetto di perdite ingenti, non cedono terreno e danno tempo ai pronoiaroi di intervenire e di serrare il sovrano nemico in una morsa di spade, cavalli e uomini.





    E finalmente Niceta vede lo spiraglio giusto: le catapulte francesi sono ora prive di difese immediate, dato che tutti i reparti nemici sono impegnati. Così con la propria guardia il basileus aggira i combattenti a sinistra e si slancia contro gli artiglieri che, inermi, vengono macellati.



    La situazione francese si sta facendo via via più seria e delicata e Perrot, vista la mala parata dei propri addetti alle catapulte, si apre una via fra il muro dei pronoiaroi e accorre in soccorso.
    Nel breve tragitto, tuttavia, si ferma un istante per farsi un quadro di come procede lo scontro fra fanterie:



    e proprio in quell’istante la spada di un cavaliere bizantino trova il varco giusto.



    Re Perrot crolla nella polvere e la resistenza del suo esercito si sfalda quasi istantaneamente. 2.800 bizantini sono morti, ma la battaglia è vinta e più di 10.000 francesi giacciono nella polvere o prigionieri.




    Il Regno di Francia, in lutto per la morte gloriosa del proprio sovrano, paga il lauto riscatto richiesto e le truppe sconfitte rientrano rapide in Genova per organizzare una nuova difesa. Niceta accoglie la notizia con ira ma, consigliato dai suoi ufficiali, invia un emissario affinché si trovi un accordo onorevole: offre una pace immediata e la riapertura dei canali commerciali se Genova verrà ceduta. La proposta viene sdegnosamente rifiutata e Niceta, al colmo della furia, ordina l’assalto della città. Genova viene conquistata e sottoposta a un tremendo saccheggio.



    A questo punto la Francia finalmente si piega e firma il Trattato di Asti impegnandosi a rinunciare a qualsivoglia pretesa sui territori a sud delle Alpi. Le guerre d’Italia sono finite.






    Mentre nell’Italia settentrionale infuria lo scontro, il resto della Basileia vive un periodo di pace e prosperità senza precedenti. Le città crescono sane e floride, i governatori hanno pochi problemi con cui confrontarsi, le legioni ai confini solo la noiosa routine da portare avanti. Tuttavia questo stato di cose cambia parzialmente pochi anni dopo l’ascesa di Niceta. Nel 1233 una spedizione crociata d’Outremer lascia Adana e marcia su Attaleia: è la seconda volta che questo accade – la prima risale al 1212 – e come allora si tratta di piccole operazioni dalle conseguenze assai limitate. La notizia che nello scontro che ha bloccato questo attacco il nobile Eliodoro Angelo, anziano duca di Ikonion, è rimasto ucciso però fa sì che da più parti si chieda che gli arroganti crociati siano puniti.



    Il basileus Niceta non intende lasciare una piccola falla nelle difese della Basileia e, per cercare di forzare il rex latinorum alla pace, ordina a Isacco di Castra Comneni, comandante della legio I Anatolica di stanza a Kaysareia, di marciare su Adana e di conquistarla. Nel 1237 la fortezza a guardia dei poderosi cancelli di Cilicia è costretta ad arrendersi dopo lungo assedio e finalmente il re crociato si piega a sottoscrivere una fragile tregua.





    Quasi contemporaneamente la Valacchia, regione da sempre sottomessa al Khanato Cumano – dei cui problemi parleremo in seguito – si rivolta ai suoi signori e si dichiara indipendente: nel giro di pochi anni la II Bulgara invade il neonato stato, ne sconfigge le scarne milizie e conquista Arges, chiudendone di fatto la storia.



    Allo stesso modo viene conquistata la Crimea. Sottrattasi al controllo cumano, la regione è un’appetitosa preda dal valore strategico e commerciale elevato. L’impossibilità di inviarvi la I II Bulgara impegnata in Valacchia spinge Niceta a ordinare l’invio della cosiddetta legio imperialis , ossia la guardia imperiale di stanza a Konstantinoupolis. Comandata da Giorgio Andreopulo e forte di 6.000 uomini complessivi, fra cui un ampio treno d’assedio, l’ imperialis sbarca indisturbata a nord della città principale, Cherson, e la assalta.



    La battaglia è complessivamente breve e indolore, con le milizie locali letteralmente disintegrate dagli esperti soldati della guardia; tuttavia vede la prima uscita dei varangoi , l’elitario corpo di soldati scandinavi al servizio della Basileia, il cui comportamento sul campo è però biasimato da Giorgio Andreopulo e la loro reale abilità messa seriamente in discussione. Usati come colpo di maglio definitivo, i varangoi vengono pesantemente messi in crisi dai coraggiosi arcieri di Crimea e salvati dalla distruzione unicamente dall’arrivo della guardia imperiale a soccorso.














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    The Housekeeper
    Post: 21.194
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    Principe

    00 27/09/2010 14:19
    Che spettacolo!! Ero rimasto un pò indietro con la lettura... 2 minuti per visualizzare tutte le immagini di questa pagina ma ne valeva la pena :)
    Stupende le immagini di tattica, questa cronaca è quasi un manuale di guerra! Grande campagna complimenti










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    ironman1989.
    Post: 4.443
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    Età: 34
    Principe
    00 27/09/2010 14:52
    Bellissima cronaca!!!


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    frederick the great
    Post: 4.003
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    Principe

    00 27/09/2010 16:38
    Grazie di cuore House! Un po' del merito è anche tuo e di tutti coloro che hanno realizzato questo capolavoro! [SM=x1140440]
    E grazie anche agli altri che stanno seguendo le mie gesta come basileus!
    Per il prossimo aggiornamento ci vorrà un po' - ma in settimana dovrei farcela - non tanto perché non abbia materiale, quanto perché...beh, non voglio torgliere sorprese [SM=g27963] ...
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    Keirosophos
    Post: 1.490
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    Età: 29
    Principe
    00 27/09/2010 19:58
    Cronaca bellissima! Bravo!!!
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    postremo dicas primus taceas
    parla per ultimo, zittisci per primo




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    ironman1989.
    Post: 4.443
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    Città: CESARO'
    Età: 34
    Principe
    00 28/09/2010 11:57
    Tranquillo aspetteremo...


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    Imperatore I
    Post: 722
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    Città: CORCIANO
    Età: 28
    Conte



    00 28/09/2010 13:31
    Questa cronaca è uno spettacolo da leggere. Bravissimo



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    Romolo Augustolo
    Post: 481
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    Città: SAREZZO
    Età: 30
    Cavaliere
    00 28/09/2010 20:32
    complimenti!!! evvai, due città in meno ai francesi!!! xD
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    Bernhard Rothmann (Munster, 13 Gennaio 1534) :i vecchi credenti non vogliono permettere a nessuno di scegliere quale vita condurre, vogliono che voi lavoriate per loro e siate contenti della fede che vi consegnano i dottori. la loro è una fede di condanna, è la fede spacciataci dall'antiscristo! ma noi, fratelli, noi vogliamo redenzione! noi vogliamo libertà e giustizia per tutti! noi vogliamo leggere liberamente la parola del signore e liberamente scegliere chi deve parlarci dal pulpito e chi rappresentarci in consiglio! chi infatti decideva i destini della città prima che lo scacciassimo a pedate? il vescovo. e chi decide ora? i ricchi, i notabili borghigiani, illustri ammiratori di lutero solo perchè la sua dottrina consente loro di resistere al vescovo! e voi, fratelli e sorelle, voi che fate vivere questa città, non potete mettere parola nelle loro sentenze. voi dovete soltanto ubbidire, come sbraita lo stesso lutero dalla sua tana principesca.i vecchi credenti vengono a dirci che i buoni cristiani non possono occuparsi del mondo, che devono coltivare la loro fede in privato, seguitando a subire in silenzio i soprusi, perchè tutti siamo peccatori condannati a espiare. ma il tempo è giunto! i potenti della terra saranno spodestati, i loro scrani cadranno, per mano del signore. cristo non viene a portarci la pace, ma la spada. le porte sono ora aperte per coloro che sapranno osare. se penseranno di schiacciarci con un colpo di spada, con la spada pareremo quel colpo per restituirne cento!!!
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    frederick the great
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    Età: 41
    Principe

    00 01/10/2010 14:44
    Finalmente ci siamo: trovare i buchi per mettere assieme il materiale è stata duretta, ma sono pronto per questo aggiornamento. E di quanto viene narrato di seguito, lo ammetto, sono un po' orgoglioso[SM=g27963] Dunque, enjoy e commentate, commentate...



    Quando, nel 1242, la III Bulgara conquista Arges, Niceta Argiro Comneno ha 55 anni.



    Il basileus sa perfettamente che il suo tempo non è più così lungo e che presto Dio lo richiamerà a sé: tuttavia è altrettanto consapevole che ora come ora la corona non resterebbe in possesso della sua famiglia. L’erede al trono è Demetrio di Amastri, duca di Zeta: egli è un uomo ambizioso e desideroso di gloria, i cui rapporti col basileus sono tesi e improntati sulla consapevolezza che egli, Demetrio, ha il coltello dalla parte del manico.



    Un grande studio del 1243 voluto da Niceta parla di una Basileia da 40 province – Italia settentrionale, tutti i Balcani, la Grecia, la Crimea, tutta l’Anatolia e l’Armenia, Krete e Kypros – e di un tesoro imperiale forte di un milione di solidi costantemente rifornito da 25 compagnie mercantili attive: tutto questo, costruito soprattutto dalla famiglia degli Argiri Comeni, è destinato dunque a passare alla famiglia Amastride?
    La sola speranza del basileus sta nell’unico frutto del suo matrimonio con la principessa aragonese Letgarda. Nato nel 1232, il giovane Alessio Argiro Comneno è però decisamente troppo giovane per assumersi gli oneri del comando – nel 1242 ha solo 10 anni – e non ha neppure iniziato la sua educazione di uomo d’armi: Niceta ha solo da sperare di vivere per altri sei anni, quando Alessio raggiungerà i 16 anni, per poterlo nominare erede. Logico dunque che ogni nobile della Basileia osservi con apprensione cosa accade in Italia – Niceta è stabilmente a Verona – e cerchi di mantenere buoni rapporti con la famiglia imperiale e intanto di stabilirne con quella Amastride, senza però assumere una posizione ben precisa: Niceta è notoriamente un uomo molto duro e spietato, spesso crudele, che si è guadagnato il soprannome di Malevolo con le sue gesta sanguinarie e terroristiche, e nessuno vuole affrontarne l’ira.
    E Niceta si congeda dal mondo esattamente con un gesto di questo genere: quando, finalmente, nel 1248 il giovane Alessio compie i 16 anni, il basileus fa leva sul desiderio di gloria militare di Demetrio di Amastri e lo invia a combattere a fianco dei normanni di Sicilia – con cui, in verità, non esiste alcun trattato d’amicizia – contro gruppi di banditi che scorazzano per le terre calabre:



    il principe viene ucciso e Alessio può essere nominato erede al trono.




    Niceta si spegne a Verona nel 1249, pochi mesi dopo aver assicurato al figlio la corona con un atto che suscita riprovazione un po’ ovunque. Si era discusso parecchio sulla morte di Romano Zimisce quando Pietro era basileus e Niceta il figlio in attesa di un’investitura ufficiale; ma anche i più sospettosi avevano dovuto ammettere che, se davvero Pietro aveva mandato Romano Zimisce alla morte, l’aveva fatto con abilità; Niceta, per contro, non si è affatto preoccupato di velare la cosa, anzi. Questo si ripercuote sull’autorità del nuovo basileus , già minata dalla sua giovanissima età. E la notizia che Alessio non abbia le caratteristiche per essere investito cavaliere non fa che accrescere le perplessità. Sarà davvero in grado di governare? La sua giovane mente è pronta a sobbarcarsi gli oneri e gli obblighi che il potere comporta, soprattutto uno così vasto? Intende davvero occuparsi del benessere della Basileia o lo gestirà come suo padre, col terrore? E in molti già associano il nome di Alessio con il titolo di Spietato .



    Apparentemente ignaro di tutto questo, Alessio è ancora a Verona a completare la propria istruzione militare. Denotando una forza di volontà non comune, il giovane sovrano riesce nonostante tutto a ottenere la qualifica di cavaliere e l’investitura avviene durante la grande cerimonia d’incoronazione nella neo consacrata cattedrale ortodossa di Milano.



    basileus a tutti gli effetti, Alessio intende immediatamente compiere grandi azioni. E il suo sguardo si posa rapace sulla piccola ma fiera Repubblica Pisana, che ha saputo difendere la propria indipendenza dalle mire di tanti. Senza consultare nessuno, Alessio raduna a Genova gli hippotoxotai della VII Helvetica e della IV Asiatica , nonché i nobili Giorgio Paleologo duca d’Istria, Teodoro di Magnesia duca di Naupaktos e Nicola Comneno podestà di Genova. Con queste piccole forze marcia risoluto contro Pisa, il cui priore maior , Pietro, ammassa uomini per contrastare la minaccia. Giorgio Paleologo, che ha combattuto contro i Francesi ed è un esperto uomo d’armi, cerca di convincere Alessio che attaccare una città le cui milizie si aggirano attorno ai 12.000 uomini con un sesto di quella forza è un’autentica pazzia; ma il giovane basileus ascolta, sorride e prosegue per la sua strada. E la battaglia di Pisa (1252) si rivela un autentico trionfo per Alessio: 360 cavalieri bizantini cadono sul campo, ma l’intera armata nemica viene annientata e la città entra a far parte dei domini imperiali. A Giorgio Paleologo che, denotando umiltà, chiede perdono di aver dubitato, Alessio semplicemente risponde: “Ho solo imitato il grande Marciano”.













    Il quadriennio 1252-1256 è estremamente denso per Alessio. All’indomani della conquista di Pisa, il basileus rientra a Verona e inizia a diramare una serie impressionante di ordini. Le fucine di Dyrrachion e Ras lavorano giorno e notte alla costruzione di ingenti quantità di armi d’assedio; la fortezza di Naupaktos è spinta all’estremo per completare l’addestramento e l’equipaggiamento della legio X Italica , fondata da poco tempo; quasi ogni vascello della Basileia viene indirizzato ai porti di Ragusa, Dyrrachion, Patras, Naupaktos e Zara. Contemporaneamente anche a Genova ferve attività navale e ampie scorte alimentari vengono immagazzinate.
    Mentre sempre più persone si chiedono cosa passi nella mente del loro sovrano, Alessio dirama una nuova serie di ordini che riposizionano comandi e comandanti. L’esperto Alessio Monoftalmo viene nominato comandante della IX Dalmatica (a Naupaktos); Laonico Cerulario e Giovanni Argiro Comeno il Crudele assegnati alla X Italica ; Nicola Comneno diviene comandante della VII Helvetica ; Giorgio Andreopulo è sollevato dall’incarico di comandante della guardia imperiale e inviato a Ras dalla II Balcanica . Inoltre i giovani cugini di Alessio sono inviati a comandi secondari – Romano a Trapezounta, Marciano a Kaysareia, Stefano a Thessalonike - e a Patras vengono radunati quasi 8.000 uomini della milizia.
    I nobili sono sconvolti, non riescono a capire e l’anziano Anastasio di Gallipoli, che riveste il doppio ruolo di governatore della Capitale e di erede, è l’uomo a cui molti guardano perché usi la sua autorità e la sua esperienza per fare qualcosa. E invece l’aristocrazia è costretta a digerire l’ennesima mossa di Alessio: nel 1255 vengono stretti legami diplomatici con il Patrimonium Sancti Petri e unilateralmente rotti quelli con l’Atabeg di Siria. Quest’ultimo atto viene ritenuto estremamente grave e disonorevole: tuttavia da più parti cominciano a circolare voci che Niceta, sul letto di morte, abbia fatto giurare al figlio di conquistare l’Oriente e che questa sia una mossa preliminare. Il che peraltro non spiega invece la mobilitazione di truppe a Occidente.
    La risposta fin troppo attesa arriva durante le celebrazioni natalizie ortodosse del 1255, a Milano. Qui convergono tutti i nobili delle province italiane e adriatiche della Basileia, fra cui anche Giorgio Paleologo, Teodoro di Magnesia, Nicola Comneno, Giorgio Andreopulo, Laonico Cerulario, Alessio Monoftalmo e Giovanni Argiro Comneno, lo zio del basileus . E fra gli sguardi attenti dei presenti, Alessio Argiro Comneno solleva finalmente il velo che fino a quel momento ha coperto il reale motivo di tutte le sue mosse.
    Il Regnum Normannorum è uno stato ricco e potente, esteso per tutta l’Italia meridionale e centrale.



    La perdita dei possedimenti africani non ne ha vanificato la forza e l’unico problema che i normanni hanno è quello di una fastidiosa ribellione in Calabria che il nuovo sovrano, Albizzo, intende chiudere quanto prima. A tale scopo la città di Messina è diventata il luogo di accentramento delle truppe da usare per la campagna.



    Alessio ha passato gli ultimi quattro anni a informarsi estesamente di tutto quanto concerne il Regnum e ormai ne sa più degli stessi regnanti normanni. Conosce la disposizione di ogni singola armata – una a Palermo, due a Messina, due a Napoli, una ai confini col Papato, un’altra in Istria - il suo comandante e le sue attitudini; è informato sullo stato economico del Regnum e sui suoi progetti di spesa; sa cosa la gente comune pensa della dinastia e cosa desideri; ha appoggiato strenuamente movimenti di penetrazione religiosa e conosce le attitudini religiose regione per regione – Tuscia 89% ortodossia, Marche 81%, Campania 85%, Apulia 77%, Val di Mazara 41% - ; in una parola sa praticamente tutto. E, cosa più importante di ogni altra, ha identificato nove punti cardine del Regnum, la cui perdita lo farebbe crollare come un castello di carta. Questi nove centri nevralgici sono l’antica capitale di Palermo, l’attuale capitale Napoli, le città di Ancona, Reggio, Bari e Firenze, le fortezze di Siracusa, Rossano e Chieti.



    Sulla base di queste informazioni Alessio ha sviluppato un piano d’attacco tremendamente semplice nella sua teoria, studiato fin nei minimi dettagli e catastrofico nelle conseguenze in caso di successo.
    - La legio IX Dalmatica , al comando di Alessio Monoftalmo, sbarca a Palermo; qui i Normanni hanno un vasto esercito e la città è difesa da un battaglione di fanti della guardia reale.
    - Laonico Cerulario, alla testa del 70% circa della X Italica sbarca a nord di Reggio; la città è difesa dalle milizie del principe Coluccio.
    - Giovanni Argiro Comneno il Crudele conduce il resto della X Italica a Siracusa; la fortezza, al cui comando c’è Teofilatto da Vetri, è piuttosto sguarnita e conta poche centinaia di armati.
    - I due eserciti miliziani, affidati ad altrettanti capitani, muovono invece su Rossano e Bari; entrambi gli obbiettivi sono sguarniti e facilmente conquistabili.
    - Giorgio Andreopulo, alla testa della II Balcanica , ha invece il compito di coordinare un doppio attacco alla città di Ancona e alla fortezza di Chieti; queste aree sono sguarnite e difese unicamente da truppe di milizia.
    - Nicola Comneno alla testa della VII Helvetica marcia da Pisa su Firenze; gli ultimi rapporti la danno del tutto priva di difese, ma indicano anche la presenza di un forte esercito normanno a sud, lungo il confine con lo stato papale.
    - Infine la IV Asiatica , comandata direttamente dal basileus , sbarca presso Napoli; la capitale del Regnum Normannorum è fortemente difesa da un doppio esercito, affidato all’esperto Boemondo Scarlatti, buon comandante dalla fedeltà però incerta.



    I nobili presenti sono sconvolti da quanto hanno appena appreso; inconsciamente sanno che questa guerra susciterà un vespaio di polemiche all’interno della Basileia, ma sono altresì affascinati da quel progetto apparentemente così folle. E soprattutto da quanto detto da Alessio in risposta all’obbiezione che un simile passo trascinerà Bisanzio in un lungo conflitto: “Iniziamo le operazioni a marzo e, se seguite il piano, per agosto avremo finito”.




    Nel marzo 1256 60.000 soldati bizantini sono pronti per l’impresa. Il Regnum Normannorum dispone di più di 80.000 uomini, ma il piano elaborato da Alessio prevede che solamente la metà di questa forza sia effettivamente impegnata.
    Il primo colpo viene sferrato a Palermo.



    La IX Dalmatica sbarca senza incontrare opposizione, ma le pattuglie informano che una vasta armata sta avanzando dalla città per fermarli. Alessio Monoftalmo dispone le proprie truppe secondo lo schema preferito bizantino – lancieri pesanti al centro, skoutatoi sulle ali, trapezountai in seconda linea, pronoiaroi larghi a destra – e invia gli hippotoxotai a stuzzicare e a attirare la cavalleria nemica.





    Mentre questo attacco ha pieno successo, la fanteria normanna attacca con decisione il centro dello schieramento bizantino



    Alessio Monoftalmo ordina con assoluta calma agli skoutatoi di attaccare i fianchi normanni e ai pronoiaroi di aggirare il nemico e di aggredirlo alle spalle.





    Nemmeno l’intervento della guardia reale può impedire il tracollo normanno. Palermo, ormai priva di qualunque difesa, viene occupata.
    Le notizie dell’attacco bizantino si diffondono rapidamente e re Albizzo, che si trova in Calabria, ne viene a conoscenza in breve tempo. Il principe Coluccio, governatore di Reggio, ha appena il tempo di far rientrare le poche pattuglie che viene informato di uno sbarco in forze a nord della città. Si tratta del grosso della X Italica al comando di Laonico Cerulario che, forte di un ampio treno d’assedio, attacca immediatamente. La resistenza normanna è gagliarda, ma condannata fin dall’inizio dalla disparità di forze (8.000 bizantini contro 4.000 normanni, molti dei quali della milizia).







    La caduta di Reggio ha delle conseguenze micidiali sul proseguio delle operazioni. Ora, infatti, il sovrano normanno si trova tagliato fuori da ogni contatto con la fortezza di Siracusa e, soprattutto, con le vaste armate radunate a Messina; i collegamenti con Napoli sono tenuti unicamente per via marittima, flotte bizantine permettendo; dulcis in fundo la via per Rossano è bloccata dalle forze della ribellione calabra, che diventano in modo del tutto involontario alleati invalutabili di Bisanzio.
    Mal difesa, Siracusa cade rapidamente sotto l’attacco dei restanti reparti della X Italica , comandati da Giovanni Argiro Comneno il Crudele.







    Allo stesso modo Rossano e Bari, i cui difensori nulla sanno di quanto avvenuto in Sicilia, vengono facilmente conquistate dalle armate miliziane.







    Frattanto, a settentrione, la II Balcanica ha portato a compimento la propria parte del piano e Ancona e Chieti sono state occupate praticamente senza sforzo dalle truppe di Giorgio Andreopulo. In luglio la VII Helvetica di Nicola Comneno entra senza alcuna opposizione a Firenze.











    A Napoli Boemondo Scarlatti non ha una chiara visione di quanto sta accadendo, ma dalle scarne informazioni che riceve si evince che i danni causati dall’attacco di Bisanzio sono enormi e che le principali città e centri militari del Regnum sono caduti; tuttavia non giungono voci di grandi scontri campali e questo fa ritenere che le armate normanne siano ancora intatte. Dunque riuscire a difendere Napoli vuol dire far sopravvivere il potere normanno, perderla significa far calare il sipario su un’epoca e un mondo.
    Ed è esattamente per questo scopo che la legio IV Asiatica , comandata dal basileus in persona, sbarca a nord della capitale normanna.






    Il significato dello scontro è fin troppo chiaro a entrambi i comandanti. E nessuno intende perdere. Alessio ha uomini meglio addestrati, veterani in molti casi delle guerre d’Italia; Boemondo ha dalla sua il numero e il fatto che i normanni combattono per le propria sopravvivenza. La scelta del generale normanno è di suddividere le proprie forze in due grandi schieramenti e di attaccare da due diverse angolazioni e in due diversi momenti: il primo corpo si compone di una forte linea di fanteria con due ali di cavalleria a protezione di un vasto parco d’assedio; la seconda armata è invece composta da tre spesse linee di fanti, anch’essi col sostegno di squadroni di cavalleria.
    Alessio risponde schierando i lancieri pesanti a protezione degli arcieri e disponendo i battaglioni di skoutatoi all’ombra dei lancieri, in modo da poterli facilmente estendere come ali o muovere alle spalle della prima linea; i pronoiaroi vengono schierati a destra, gli hippotoxotai a sinistra.



    La prima mossa la compiono i normanni, la cui prima armata si muove rapidamente per assaltare la linea dei lancieri pesanti bizantini. Contemporaneamente la cavalleria compie alcune mosse diversive e attira l’attenzione della controparte nemica. Se sulla destra normanna gli hippotoxotai riescono facilmente a sconfiggere la cavalleria nemica, a sinistra i pronoiaroi si trovano ben presto in una spinosa situazione: la loro carica ha pieno effetto e i primi cavalieri nemici vengono rapidamente messi in rotta; ma ben presto entrano in gioco quelli della seconda armata, che impegnano più severamente i bizantini.



    Solo dopo una furiosa mischia, i pronoiaroi riescono a ritirarsi, appena prima che le ondate di fanteria della seconda armata precludano loro ogni via di fuga.
    Con il centro già pesantemente sotto pressione, Alessio muove tutti gli skoutatoi per soccorrere i pronoiaroi e fermare la nuova minaccia. L’attacco dei fanti bizantini avviene in contemporanea a quello normanno e l’impatto è tremendo. Da ogni parte le urla di guerra si mischiano a quelle dei feriti, il rumore delle lame cozza con quello degli scudi e ovunque è sangue e morte. Aggrediti da ogni parte, i fanti della Basileia tengono strenuamente campo e non cedono un centimetro.





    Impossibilitato a richiamare gli hippotoxotai , impegnati in un complesso duello con gli artiglieri delle catapulte e un paio di noiosissimi battaglioni miliziani, Alessio ha solamente i pronoiaroi su cui contare e purtroppo la loro prima carica è validamente respinta dalla fanteria normanna.



    A questo punto, coi normanni che subiscono più perdite e i bizantini impegnati allo stremo, i due comandanti scorgono ciascuno l’opportunità di dare una svolta decisiva alla battaglia nella morte dell’altro. Lanciando ciascuno il proprio grido di battaglia, i due generali si scagliano all’attacco con le proprie guardie; anche fra questi magnifici guerrieri comincia a scorrere il sangue e ognuno mette in campo tutta la sua abilità per prevalere.
    E la prima spada a trovare il varco giusto è quella di Alessio.



    Boemondo stramazza al suolo proprio nel momento in cui la massa dei pronoiaroi finalmente riesce a sfondare il muro della fanteria normanna. Poco dopo anche gli hippotoxotai hanno la meglio e nulla si frappone più fra Bisanzio e il trionfo finale. Le armate normanne si sfaldano e interi reparti si arrendono.





    Esattamente sei mesi dopo l’inizio delle operazioni, Alessio Argiro Comneno entra vittorioso a Napoli. Aveva promesso una guerra di sei mesi e dopo sei mesi il Regnum Normannorum è stato annientato.








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    Keirosophos
    Post: 1.490
    Registrato il: 11/03/2010
    Città: LAVELLO
    Età: 29
    Principe
    00 01/10/2010 20:43
    Bellissimo, ma davvero bellissimo aggiornamento, dai che ti manca giusto la siria e l'africa per euguagliare Giustiniano (bè anche parte della spagna però [SM=g27964] ) [SM=x1140531] [SM=x1140531]
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    postremo dicas primus taceas
    parla per ultimo, zittisci per primo




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