Finalmente ci siamo: trovare i buchi per mettere assieme il materiale è stata duretta, ma sono pronto per questo aggiornamento. E di quanto viene narrato di seguito, lo ammetto, sono un po' orgoglioso
Dunque, enjoy e commentate, commentate...
Quando, nel 1242, la
III Bulgara conquista Arges, Niceta Argiro Comneno ha 55 anni.
Il
basileus sa perfettamente che il suo tempo non è più così lungo e che presto Dio lo richiamerà a sé: tuttavia è altrettanto consapevole che ora come ora la corona non resterebbe in possesso della sua famiglia. L’erede al trono è Demetrio di Amastri, duca di Zeta: egli è un uomo ambizioso e desideroso di gloria, i cui rapporti col
basileus sono tesi e improntati sulla consapevolezza che egli, Demetrio, ha il coltello dalla parte del manico.
Un grande studio del 1243 voluto da Niceta parla di una Basileia da 40 province – Italia settentrionale, tutti i Balcani, la Grecia, la Crimea, tutta l’Anatolia e l’Armenia, Krete e Kypros – e di un tesoro imperiale forte di un milione di solidi costantemente rifornito da 25 compagnie mercantili attive: tutto questo, costruito soprattutto dalla famiglia degli Argiri Comeni, è destinato dunque a passare alla famiglia Amastride?
La sola speranza del
basileus sta nell’unico frutto del suo matrimonio con la principessa aragonese Letgarda. Nato nel 1232, il giovane Alessio Argiro Comneno è però decisamente troppo giovane per assumersi gli oneri del comando – nel 1242 ha solo 10 anni – e non ha neppure iniziato la sua educazione di uomo d’armi: Niceta ha solo da sperare di vivere per altri sei anni, quando Alessio raggiungerà i 16 anni, per poterlo nominare erede. Logico dunque che ogni nobile della Basileia osservi con apprensione cosa accade in Italia – Niceta è stabilmente a Verona – e cerchi di mantenere buoni rapporti con la famiglia imperiale e intanto di stabilirne con quella Amastride, senza però assumere una posizione ben precisa: Niceta è notoriamente un uomo molto duro e spietato, spesso crudele, che si è guadagnato il soprannome di
Malevolo con le sue gesta sanguinarie e terroristiche, e nessuno vuole affrontarne l’ira.
E Niceta si congeda dal mondo esattamente con un gesto di questo genere: quando, finalmente, nel 1248 il giovane Alessio compie i 16 anni, il
basileus fa leva sul desiderio di gloria militare di Demetrio di Amastri e lo invia a combattere a fianco dei normanni di Sicilia – con cui, in verità, non esiste alcun trattato d’amicizia – contro gruppi di banditi che scorazzano per le terre calabre:
il principe viene ucciso e Alessio può essere nominato erede al trono.
Niceta si spegne a Verona nel 1249, pochi mesi dopo aver assicurato al figlio la corona con un atto che suscita riprovazione un po’ ovunque. Si era discusso parecchio sulla morte di Romano Zimisce quando Pietro era
basileus e Niceta il figlio in attesa di un’investitura ufficiale; ma anche i più sospettosi avevano dovuto ammettere che, se davvero Pietro aveva mandato Romano Zimisce alla morte, l’aveva fatto con abilità; Niceta, per contro, non si è affatto preoccupato di velare la cosa, anzi. Questo si ripercuote sull’autorità del nuovo
basileus , già minata dalla sua giovanissima età. E la notizia che Alessio non abbia le caratteristiche per essere investito cavaliere non fa che accrescere le perplessità. Sarà davvero in grado di governare? La sua giovane mente è pronta a sobbarcarsi gli oneri e gli obblighi che il potere comporta, soprattutto uno così vasto? Intende davvero occuparsi del benessere della Basileia o lo gestirà come suo padre, col terrore? E in molti già associano il nome di Alessio con il titolo di
Spietato .
Apparentemente ignaro di tutto questo, Alessio è ancora a Verona a completare la propria istruzione militare. Denotando una forza di volontà non comune, il giovane sovrano riesce nonostante tutto a ottenere la qualifica di cavaliere e l’investitura avviene durante la grande cerimonia d’incoronazione nella neo consacrata cattedrale ortodossa di Milano.
basileus a tutti gli effetti, Alessio intende immediatamente compiere grandi azioni. E il suo sguardo si posa rapace sulla piccola ma fiera Repubblica Pisana, che ha saputo difendere la propria indipendenza dalle mire di tanti. Senza consultare nessuno, Alessio raduna a Genova gli
hippotoxotai della
VII Helvetica e della
IV Asiatica , nonché i nobili Giorgio Paleologo duca d’Istria, Teodoro di Magnesia duca di Naupaktos e Nicola Comneno podestà di Genova. Con queste piccole forze marcia risoluto contro Pisa, il cui
priore maior , Pietro, ammassa uomini per contrastare la minaccia. Giorgio Paleologo, che ha combattuto contro i Francesi ed è un esperto uomo d’armi, cerca di convincere Alessio che attaccare una città le cui milizie si aggirano attorno ai 12.000 uomini con un sesto di quella forza è un’autentica pazzia; ma il giovane
basileus ascolta, sorride e prosegue per la sua strada. E la battaglia di Pisa (1252) si rivela un autentico trionfo per Alessio: 360 cavalieri bizantini cadono sul campo, ma l’intera armata nemica viene annientata e la città entra a far parte dei domini imperiali. A Giorgio Paleologo che, denotando umiltà, chiede perdono di aver dubitato, Alessio semplicemente risponde: “Ho solo imitato il grande Marciano”.
Il quadriennio 1252-1256 è estremamente denso per Alessio. All’indomani della conquista di Pisa, il
basileus rientra a Verona e inizia a diramare una serie impressionante di ordini. Le fucine di Dyrrachion e Ras lavorano giorno e notte alla costruzione di ingenti quantità di armi d’assedio; la fortezza di Naupaktos è spinta all’estremo per completare l’addestramento e l’equipaggiamento della
legio X Italica , fondata da poco tempo; quasi ogni vascello della Basileia viene indirizzato ai porti di Ragusa, Dyrrachion, Patras, Naupaktos e Zara. Contemporaneamente anche a Genova ferve attività navale e ampie scorte alimentari vengono immagazzinate.
Mentre sempre più persone si chiedono cosa passi nella mente del loro sovrano, Alessio dirama una nuova serie di ordini che riposizionano comandi e comandanti. L’esperto Alessio Monoftalmo viene nominato comandante della
IX Dalmatica (a Naupaktos); Laonico Cerulario e Giovanni Argiro Comeno il Crudele assegnati alla
X Italica ; Nicola Comneno diviene comandante della
VII Helvetica ; Giorgio Andreopulo è sollevato dall’incarico di comandante della guardia imperiale e inviato a Ras dalla
II Balcanica . Inoltre i giovani cugini di Alessio sono inviati a comandi secondari – Romano a Trapezounta, Marciano a Kaysareia, Stefano a Thessalonike - e a Patras vengono radunati quasi 8.000 uomini della milizia.
I nobili sono sconvolti, non riescono a capire e l’anziano Anastasio di Gallipoli, che riveste il doppio ruolo di governatore della Capitale e di erede, è l’uomo a cui molti guardano perché usi la sua autorità e la sua esperienza per fare qualcosa. E invece l’aristocrazia è costretta a digerire l’ennesima mossa di Alessio: nel 1255 vengono stretti legami diplomatici con il Patrimonium Sancti Petri e unilateralmente rotti quelli con l’Atabeg di Siria. Quest’ultimo atto viene ritenuto estremamente grave e disonorevole: tuttavia da più parti cominciano a circolare voci che Niceta, sul letto di morte, abbia fatto giurare al figlio di conquistare l’Oriente e che questa sia una mossa preliminare. Il che peraltro non spiega invece la mobilitazione di truppe a Occidente.
La risposta fin troppo attesa arriva durante le celebrazioni natalizie ortodosse del 1255, a Milano. Qui convergono tutti i nobili delle province italiane e adriatiche della Basileia, fra cui anche Giorgio Paleologo, Teodoro di Magnesia, Nicola Comneno, Giorgio Andreopulo, Laonico Cerulario, Alessio Monoftalmo e Giovanni Argiro Comneno, lo zio del
basileus . E fra gli sguardi attenti dei presenti, Alessio Argiro Comneno solleva finalmente il velo che fino a quel momento ha coperto il reale motivo di tutte le sue mosse.
Il Regnum Normannorum è uno stato ricco e potente, esteso per tutta l’Italia meridionale e centrale.
La perdita dei possedimenti africani non ne ha vanificato la forza e l’unico problema che i normanni hanno è quello di una fastidiosa ribellione in Calabria che il nuovo sovrano, Albizzo, intende chiudere quanto prima. A tale scopo la città di Messina è diventata il luogo di accentramento delle truppe da usare per la campagna.
Alessio ha passato gli ultimi quattro anni a informarsi estesamente di tutto quanto concerne il Regnum e ormai ne sa più degli stessi regnanti normanni. Conosce la disposizione di ogni singola armata – una a Palermo, due a Messina, due a Napoli, una ai confini col Papato, un’altra in Istria - il suo comandante e le sue attitudini; è informato sullo stato economico del Regnum e sui suoi progetti di spesa; sa cosa la gente comune pensa della dinastia e cosa desideri; ha appoggiato strenuamente movimenti di penetrazione religiosa e conosce le attitudini religiose regione per regione – Tuscia 89% ortodossia, Marche 81%, Campania 85%, Apulia 77%, Val di Mazara 41% - ; in una parola sa praticamente tutto. E, cosa più importante di ogni altra, ha identificato nove punti cardine del Regnum, la cui perdita lo farebbe crollare come un castello di carta. Questi nove centri nevralgici sono l’antica capitale di Palermo, l’attuale capitale Napoli, le città di Ancona, Reggio, Bari e Firenze, le fortezze di Siracusa, Rossano e Chieti.
Sulla base di queste informazioni Alessio ha sviluppato un piano d’attacco tremendamente semplice nella sua teoria, studiato fin nei minimi dettagli e catastrofico nelle conseguenze in caso di successo.
- La
legio IX Dalmatica , al comando di Alessio Monoftalmo, sbarca a Palermo; qui i Normanni hanno un vasto esercito e la città è difesa da un battaglione di fanti della guardia reale.
- Laonico Cerulario, alla testa del 70% circa della
X Italica sbarca a nord di Reggio; la città è difesa dalle milizie del principe Coluccio.
- Giovanni Argiro Comneno il Crudele conduce il resto della
X Italica a Siracusa; la fortezza, al cui comando c’è Teofilatto da Vetri, è piuttosto sguarnita e conta poche centinaia di armati.
- I due eserciti miliziani, affidati ad altrettanti capitani, muovono invece su Rossano e Bari; entrambi gli obbiettivi sono sguarniti e facilmente conquistabili.
- Giorgio Andreopulo, alla testa della
II Balcanica , ha invece il compito di coordinare un doppio attacco alla città di Ancona e alla fortezza di Chieti; queste aree sono sguarnite e difese unicamente da truppe di milizia.
- Nicola Comneno alla testa della
VII Helvetica marcia da Pisa su Firenze; gli ultimi rapporti la danno del tutto priva di difese, ma indicano anche la presenza di un forte esercito normanno a sud, lungo il confine con lo stato papale.
- Infine la
IV Asiatica , comandata direttamente dal
basileus , sbarca presso Napoli; la capitale del Regnum Normannorum è fortemente difesa da un doppio esercito, affidato all’esperto Boemondo Scarlatti, buon comandante dalla fedeltà però incerta.
I nobili presenti sono sconvolti da quanto hanno appena appreso; inconsciamente sanno che questa guerra susciterà un vespaio di polemiche all’interno della Basileia, ma sono altresì affascinati da quel progetto apparentemente così folle. E soprattutto da quanto detto da Alessio in risposta all’obbiezione che un simile passo trascinerà Bisanzio in un lungo conflitto: “Iniziamo le operazioni a marzo e, se seguite il piano, per agosto avremo finito”.
Nel marzo 1256 60.000 soldati bizantini sono pronti per l’impresa. Il Regnum Normannorum dispone di più di 80.000 uomini, ma il piano elaborato da Alessio prevede che solamente la metà di questa forza sia effettivamente impegnata.
Il primo colpo viene sferrato a Palermo.
La
IX Dalmatica sbarca senza incontrare opposizione, ma le pattuglie informano che una vasta armata sta avanzando dalla città per fermarli. Alessio Monoftalmo dispone le proprie truppe secondo lo schema preferito bizantino – lancieri pesanti al centro,
skoutatoi sulle ali,
trapezountai in seconda linea,
pronoiaroi larghi a destra – e invia gli
hippotoxotai a stuzzicare e a attirare la cavalleria nemica.
Mentre questo attacco ha pieno successo, la fanteria normanna attacca con decisione il centro dello schieramento bizantino
Alessio Monoftalmo ordina con assoluta calma agli
skoutatoi di attaccare i fianchi normanni e ai
pronoiaroi di aggirare il nemico e di aggredirlo alle spalle.
Nemmeno l’intervento della guardia reale può impedire il tracollo normanno. Palermo, ormai priva di qualunque difesa, viene occupata.
Le notizie dell’attacco bizantino si diffondono rapidamente e re Albizzo, che si trova in Calabria, ne viene a conoscenza in breve tempo. Il principe Coluccio, governatore di Reggio, ha appena il tempo di far rientrare le poche pattuglie che viene informato di uno sbarco in forze a nord della città. Si tratta del grosso della
X Italica al comando di Laonico Cerulario che, forte di un ampio treno d’assedio, attacca immediatamente. La resistenza normanna è gagliarda, ma condannata fin dall’inizio dalla disparità di forze (8.000 bizantini contro 4.000 normanni, molti dei quali della milizia).
La caduta di Reggio ha delle conseguenze micidiali sul proseguio delle operazioni. Ora, infatti, il sovrano normanno si trova tagliato fuori da ogni contatto con la fortezza di Siracusa e, soprattutto, con le vaste armate radunate a Messina; i collegamenti con Napoli sono tenuti unicamente per via marittima, flotte bizantine permettendo; dulcis in fundo la via per Rossano è bloccata dalle forze della ribellione calabra, che diventano in modo del tutto involontario alleati invalutabili di Bisanzio.
Mal difesa, Siracusa cade rapidamente sotto l’attacco dei restanti reparti della
X Italica , comandati da Giovanni Argiro Comneno il Crudele.
Allo stesso modo Rossano e Bari, i cui difensori nulla sanno di quanto avvenuto in Sicilia, vengono facilmente conquistate dalle armate miliziane.
Frattanto, a settentrione, la
II Balcanica ha portato a compimento la propria parte del piano e Ancona e Chieti sono state occupate praticamente senza sforzo dalle truppe di Giorgio Andreopulo. In luglio la
VII Helvetica di Nicola Comneno entra senza alcuna opposizione a Firenze.
A Napoli Boemondo Scarlatti non ha una chiara visione di quanto sta accadendo, ma dalle scarne informazioni che riceve si evince che i danni causati dall’attacco di Bisanzio sono enormi e che le principali città e centri militari del Regnum sono caduti; tuttavia non giungono voci di grandi scontri campali e questo fa ritenere che le armate normanne siano ancora intatte. Dunque riuscire a difendere Napoli vuol dire far sopravvivere il potere normanno, perderla significa far calare il sipario su un’epoca e un mondo.
Ed è esattamente per questo scopo che la
legio IV Asiatica , comandata dal
basileus in persona, sbarca a nord della capitale normanna.
Il significato dello scontro è fin troppo chiaro a entrambi i comandanti. E nessuno intende perdere. Alessio ha uomini meglio addestrati, veterani in molti casi delle guerre d’Italia; Boemondo ha dalla sua il numero e il fatto che i normanni combattono per le propria sopravvivenza. La scelta del generale normanno è di suddividere le proprie forze in due grandi schieramenti e di attaccare da due diverse angolazioni e in due diversi momenti: il primo corpo si compone di una forte linea di fanteria con due ali di cavalleria a protezione di un vasto parco d’assedio; la seconda armata è invece composta da tre spesse linee di fanti, anch’essi col sostegno di squadroni di cavalleria.
Alessio risponde schierando i lancieri pesanti a protezione degli arcieri e disponendo i battaglioni di
skoutatoi all’ombra dei lancieri, in modo da poterli facilmente estendere come ali o muovere alle spalle della prima linea; i
pronoiaroi vengono schierati a destra, gli
hippotoxotai a sinistra.
La prima mossa la compiono i normanni, la cui prima armata si muove rapidamente per assaltare la linea dei lancieri pesanti bizantini. Contemporaneamente la cavalleria compie alcune mosse diversive e attira l’attenzione della controparte nemica. Se sulla destra normanna gli
hippotoxotai riescono facilmente a sconfiggere la cavalleria nemica, a sinistra i
pronoiaroi si trovano ben presto in una spinosa situazione: la loro carica ha pieno effetto e i primi cavalieri nemici vengono rapidamente messi in rotta; ma ben presto entrano in gioco quelli della seconda armata, che impegnano più severamente i bizantini.
Solo dopo una furiosa mischia, i
pronoiaroi riescono a ritirarsi, appena prima che le ondate di fanteria della seconda armata precludano loro ogni via di fuga.
Con il centro già pesantemente sotto pressione, Alessio muove tutti gli
skoutatoi per soccorrere i
pronoiaroi e fermare la nuova minaccia. L’attacco dei fanti bizantini avviene in contemporanea a quello normanno e l’impatto è tremendo. Da ogni parte le urla di guerra si mischiano a quelle dei feriti, il rumore delle lame cozza con quello degli scudi e ovunque è sangue e morte. Aggrediti da ogni parte, i fanti della Basileia tengono strenuamente campo e non cedono un centimetro.
Impossibilitato a richiamare gli
hippotoxotai , impegnati in un complesso duello con gli artiglieri delle catapulte e un paio di noiosissimi battaglioni miliziani, Alessio ha solamente i
pronoiaroi su cui contare e purtroppo la loro prima carica è validamente respinta dalla fanteria normanna.
A questo punto, coi normanni che subiscono più perdite e i bizantini impegnati allo stremo, i due comandanti scorgono ciascuno l’opportunità di dare una svolta decisiva alla battaglia nella morte dell’altro. Lanciando ciascuno il proprio grido di battaglia, i due generali si scagliano all’attacco con le proprie guardie; anche fra questi magnifici guerrieri comincia a scorrere il sangue e ognuno mette in campo tutta la sua abilità per prevalere.
E la prima spada a trovare il varco giusto è quella di Alessio.
Boemondo stramazza al suolo proprio nel momento in cui la massa dei
pronoiaroi finalmente riesce a sfondare il muro della fanteria normanna. Poco dopo anche gli
hippotoxotai hanno la meglio e nulla si frappone più fra Bisanzio e il trionfo finale. Le armate normanne si sfaldano e interi reparti si arrendono.
Esattamente sei mesi dopo l’inizio delle operazioni, Alessio Argiro Comneno entra vittorioso a Napoli. Aveva promesso una guerra di sei mesi e dopo sei mesi il Regnum Normannorum è stato annientato.