Due anni dopo la conquista dell’Imereti, di fronte alle continue provocazioni cumane nell’area carpatica, Metodio Argiro Comneno ordina a Demetrio di Amastri, comandante dell’
Imperialis, di muovere sulla roccaforte di Regen e risolvere una volta per tutte la situazione. Questa operazione è appena partita quando una delegazione magiara si presenta al governatore di Dierna (un tempo Orsova) Giorgio di Chio. Il regno d’Ungheria, dopo la guerra con Bisanzio del 1278-85, ha vissuto un lungo periodo di crescita e prosperità: in guerra coi vecchi alleati del Sacro Romano Impero, ha strappato loro Pecs, l’importante città di Wien e la roccaforte di Olomuc. Operando in sinergia con l’alleato polacco ha inoltre permesso a quest’ultimo di strappare al potere germanico Praha e ha ridotto l’Impero all’ombra di sé stesso. Ora, dopo cinquant’anni di pace e tranquillità, i magiari compiono un passo che definire suicida è riduttivo: presentano un ultimatum alla Basileia, pretendendo la resituzione immediata dei possedimenti persi nel secolo precedente – ossia le città di Soli e Tripolis, più la roccaforte di Dierna – offrendo in cambio unicamente una non dichiarazione di guerra!
Forse un
basileus come Romano Argiro Comneno avrebbe potuto trattare la questione con un certo aplomb, mantenere la calma e ignorare una minaccia talmente patetica (6 province per i magiari, 111 per i bizantini); ma Metodio è un uomo molto più duro e decisamente meno malleabile. Per lui una simile proposta è un affronto che può essere lavato unicamente col sangue del nemico. E, come sempre, le
legiones ricevono l’ordine di lasciare i quartieri e marciare verso la battaglia.
La
XVIII Dacica lascia Dierna e, passate le Porte di Ferro del Danubio, punta risolutamente su Arad; contemporaneamente la
II Balcanica lascia Gradec per stringere d’assedio la grande città di Pecs. I magiari provano a reagire concentrando le truppe a loro disposizione: due vaste armate accorrono verso Arad, mentre un’altra cala da Wien per unirsi alle forze radunare attorno a Pest.
Ma Metodio ha previsto queste mosse e ha pronte le contromisure adeguate: il giovane Romano Angelo raduna rapidamente svariati contingenti mercenari slavi e tedeschi, puntando poi su Arad in sostegno alla
XVIII Dacica.
Ma soprattutto la Basileia getta nella mischia la
legio che è stata creata per sostituire la
XV Aegyptica, che si è deciso di non ricreare: la
XX Germanica, affidata alla giovane ma intraprendente mano di Andrea Argiro Comneno detto il Bastardo, fratello del
basileus,
lascia Verona all’inizio del 1336 – quindi prima dello scoppio delle ostilità – e, passando per Gradec, un anno dopo è sotto le mura di una Wien ormai totalmente sguarnita.
La situazione giorno dopo giorno diviene più complicata per i magiari e il loro sovrano, re Keresztes, decide di forzare una battaglia campale.
Nell’inverno del 1340 le forze magiare, divise in tre tronconi, attaccano la
XVIII Dacica presso Arad: il sovrano è alla testa della guarnigione della rocca, composta da 2.800 uomini; il nobile Vilmos Pal guida un’armata di soccorso forte di 6.900 uomini e una terza forza, 7.940 uomini in tutto, è affidata all’esperto capitano Ulaszlo. Bisanzio schiera la
XVIII Dacica di Michele Zimisce e l’armata mercenaria arruolata da Romano Angelo per un totale di 20.000 uomini.
La battaglia si svolge lungo le rive del fiume Maros, a pochi chilometri dalla roccaforte, e si rivela un affare sanguinoso. Michele Zimisce opta per mantenere il controllo ferreo del guado, impendendo al nemico di passare il fiume, e affida ai mercenari il compito di impegnare e sconfiggere l’armata reale magiara.
Tuttavia, sotto notevole pressione delle ardite schiere d’Ungheria, Michele si vede costretto a inviare rapidamente i
pronoiaroi in soccorso di Romano Angelo.
L’intervento della cavalleria pesante bizantina ricaccia indietro la guarnigione di Arad e riesce a catturare l’ormai ferito mortalmente re Keresztes;
ma impedisce a Michele Zimisce di avere a disposizione quella forza d’urto necessaria per tamponare le falle al guado. La
XVIII Dacica è costretta quindi ad abbandonare la posizione e a ripiegare più indietro, riattestandosi su una tenue collina.
La conquista del guado è però costata ai Magiari molte più energie di quante ne abbiano e il successivo attacco si rivela privo di vero nerbo;
dopo aver ottenuto qualche vago successo su gruppi di mercenari scioccamente spintisi avanti,
le truppe ungheresi vengono prese in pieno dalla carica dagli
hippotoxotai e dei rientranti
pronoiaroie messe definitivamente in fuga.
Sei mesi più tardi, al riaprirsi della stagione di guerra, la
II Balcanica coglie un fondamentale successo a est di Pecs, schiacciando senza appello l’armata di soccorso proveniente dalla capitale magiara.
In sempre più evidente crisi, il regno d’Ungheria perde anche Wien nel 1342
e, dopo aver inutilmente cercato di fermarne l’avanzata presso il villaggio di Besnyö,
si ritrova due
legiones sotto le mura di Pest: ogni tentativo di salvare la città si rivela vano e nel 1346 la
XVIII Dacica entra vittoriosa nell’antica Aquincum.
La situazione geopolitica all’inizio del 1346 è di grande stabilità per la Basileia: ormai padrona incontrasta dell’intera penisola iberica – per quanto Cordoba e Hispalis in Andalusia continuino a restare zone di malcontento – sta rapidamente chiudendo la pratica magiara e si è impossessata di Regen, riducendo ulteriormente la forza del khanato cumano. Vero è che questi ultimi continuano a portare avanti una politica aggressiva e nel 1342 riprendono Tualpse: ma ormai la loro potenza è un lontano ricordo e vari pezzi del loro territorio vengono fagocitati dai lenti, metodici e insaziabili Rus.
La Basileia conta ormai 118 province – diverranno 119 con Pest/Aquincum – e Metodio Argiro Comneno può contare su un tesoro di ben 5 milioni di solidi aurei: una potenza e ricchezza che gli altri stati non riescono neppure a immaginare.
(N.B. Come si vede il Papato è tornato a essere uno stato sovrano: del come e del perchè narrerò più avanti)
Ma anche questa Basileia ha i suoi punti deboli e si ritrova impreparata come gli altri quando, da Oriente, un terribile flagello si abbatte sul mondo conosciuto: frutto dei lunghi scontro fra Cumani, Mongoli e Rus, la pestilenza irrompe come un fiume in piena nella Basileia portandovi la morte, anzitutto lungo le coste del mar Nero.
Metodio si è già guadagnato il titolo di
“Malevolo” per altri motivi, non ultimo il terribile trattamento a cui ha sottoposto Helmantica (Salamanca);
ma è durante gli anni della Grande Pestilenza che davvero dimostra di meritare in tutto e per tutto questo titolo. Avvisato di quanto accade a Oriente mentre si trova a Roma, il
basileus dirama una serie di ordini di una durezza spaventosa: ogni singola
legio o corpo d’armata di una qualche vera utilità viene acquartierato in specifici accampamenti, isolati dalle maggiori città e lontani dalle vie di comunicazione interne; i rifornimenti vengono portati da persone specificamente autorizzate e comunque non vi sono contatti diretti fra soldati e civili; le sentinelle hanno l’ordine tassativo di colpire a vista chiunque cerchi di avvicinarsi agli accampamenti, amico o nemico che sia; e i nobili devono far rispettare alla lettera le disposizioni imperiali pena la perdita del titolo, dei beni e la possibilità di essere condannati alla pena capitale immediata.
Logicamente questo sistema spietato non porta amore verso Metodio, che vede il proprio prestigio scendere considerevolmente; nel tardo 1348 quasi la metà dell’Impero è zona infetta, i commerci latitano, l’economia stenta a mantenersi attiva e la gente vive immersa nella paura. Ma è proprio grazie alla durezza di Metodio se nel 1350, quando ormai la pestilenza sta passando – solo le città di Zantar, Aquincum, Regen e Lykopolis in Egitto sono ancora infette – la Basileia è diventata ancora più forte, ancor più pronta a fare l’ultimo, grande passo: e questo
roi Laurens purtroppo non lo ha affatto compreso.
Mentre la Basileia conquistava il totale controllo del Mediterraneo e si accaparrava le ricche terre iberiche, il Royaume de France era impegnato in una lunga guerra contro il Sacro Romano Impero Germanico. Con costanza e metodicità i generali francesi hanno eroso pezzo per pezzo i confini imperiali, arrivando all’alba della Grande Pestilenza a possedere un vasto regno: 16 province da Bordeau sul golfo di Biscaglia a Wreslaw in Polonia Occidentale. Proprio queste ultime conquiste, avvenute dopo il 1339, hanno portato a una rottura dei legami di alleanza con Bisanzio, in quanto anche il piccolo stato polacco si era legato alla Basileia.
roi Laurens è un sovrano dotato di carisma e abilità politica, che guida con mano ferma il suo stato e guarda al futuro con tranquillità;
i rapporti con Bisanzio sono rimasti buoni anche dopo la fine dell’alleanza e, comunque, la lunga fila di possenti cittadelle fortificate lungo i confini meridionali – Lemotges, Bourges, Dijon, Thun, Staufen – rappresenta un vallo in grado di bloccare ogni attacco. Quello che gli manca per essere un grande sovrano è la capacità di comprendere che è solo una questione di tempo prima che Metodio rovesci le sue
legiones sulle terre di Francia e che, dunque, riposare sugli allori è la peggior strategia possibile.
Fra il 1345 e il 1350 le regioni di Salzburg e Regensburg vengono attraversate da pesanti rivolte all’autorità imperiale e il
kaiser, troppo debole per poter reagire, è costretto ad accettare quell’ennesima perdita di autorità e a rinchiudersi dietro le mura di Wurzburg; quasi contemporaneamente la riottosa città di Gand scaccia i francesi. Laurens, miopemente, si scaglia contro gli infidi fiamminghi – per altro senza riuscire a piegarli – e abbandona la possibilità di occupare le terre tedesche. E, ovviamente, questo errore non viene commesso da Metodio.
Nel 1348 la
XX Germanica guidata da Andrea Argiro Comneno si impadronisce di Juvavum (Salzburg).
Due anni dopo il nobile Michele di Zara riunisce una serie di parigrado desiderosi d’avventura – Giovanni di Tessalonica, Andrea Argiro Comneno, Romano di Lampsaco e l’anziano duca di Dalmazia Michele il Degno – e lancia una spedizione contro Regensburg. Pesantemente soverchiati in numero dalle milizie tedesche (quasi nove volte di più), i nobili bizantini mettono in campo grande esperienza e coraggio, e con una serie di virulenti scontri separati distruggono l’armata avversaria;
la città viene conquistata, ma tanto Romano di Lampsaco quanto Andrea Argiro Comneno pagano con la vita la loro audacia.
L’anno dopo, con una operazione anfibia di notevole portata, il principe Romano di Elenopoli sbarca alla testa della
I Anatolica in Inghilterra e si impadronisce facilmente di Londinium, da decenni ribellatasi all’autorità reale.
A questo punto Metodio, come un maestro di scacchi, dispone dalla sua dimora a Konstantinoupolis le pedine per la prossima partita: la
I Anatolica è a Londinium; la
IV Asiatica si trova a Lugdunum, proprio sulla via di Dijon; la
V Greca è a Augustoritum (Clairmont, conquistata dopo averne forzato la rivolta nel lontano 1317), in faccia a Bourges; la
XII Syriaca viene inviata a sottomettere le ancora riottose Fiandre; la
XVI Cisalpina è sulla via per Lemotges; la
XVII Hiberica, al comando del principe Romano, si trova in Inghilterra, pronta a prendere il mare per la Normandia; la
VII Helvetica è a Loukan, con Thun come obbiettivo; la
XX Germanica, appena affidata al nuovo comandante Teofilatto di Chio, e la
IX Dalmatica sono a Juvavum. In Italia inoltre staziona un’armata mercenaria e l’
XI Macedonica è a Polai, in attesa che il giovane Giorgio Argiro Comneno, primogenito di Metodio, ne assuma il comando.
Il cerchio si sta ormai chiudendo, l’ora della Francia sta per scoccare.