Bene, Sigurd andrà a Bergen! Visto che mi sono ritrovato a scrivere molto, come mio solito, ho diviso il secondo capito in due parti poichè sarà davvero ricco di eventi. Eccovi la prima che narrà visioni e sensazioni di Sigurd all'entrata di Bergen ed intrduce nuovi personaggi. Buona lettura!
La pioggia leggera e sfumata del giorno prima aveva lasciato sul campo a sud di Bergen un'altrettanto leggera foschia ed una rugiada lucente al sole sulle foglie. Nubi grigiastre ancora si affollavano nel cielo terso solo verso oriente dove gli stormi degli uccelli si dirigevano a quelle prime ore del giorno. Sigurd sostava ancora nella sua tenda di pelli calde grazie al braciere interno che non aveva smesso di fumigare durante le ore notturne. Rigirandosi nel giaciglio riusciva a sentire ancora nitide le urla del giorno precedente, ma ancor di più la sua mente vagava immersa nei ricordi di quella carica vissuta e comandata ai suoi con tanta fermezza inaspettata. Sembrava già così lontana e dipsersa nel tumulto di quelle emozioni che lo avevano travolto nel momento stesso in cui aveva stretto forte le briglie di Sven, stallone nordico grigio, che aveva sentito prima ansimare e poi lanciarsi furioso in mezzo alla mischia. Sigurd sapeva bene di aver compiuto soltanto una piccola parte della missione affidatagli dal padre, quella forse più semplice. Rimaneva ora il compito di addentrarsi leggero come quella foschia che ristagnava fuori dal suo accampamento nei saloni e nei vicoli del palazzo reale alla ricerca di ciò che realmente stava accadendo in Norvegia fra i Clans una volta uniti sotto lo stesso stendardo ed ora vacillanti nell'oscurità. Predisponeva quindi la mente al nuovo incarico che lo avrebbe visto d'ora in poi abbandonare le vesti del guerrierio e vestire gli abiti della diplomazia e del sotterfugio. Avvertì il trambusto del campo che veniva smantellato, degli uomini che vestivano le armature e le spade. Fra poco sarebbero venuti a chiamarlo per incominciare il breve cammino che li separava dalla capitale del Regno. Bergen. Non l'aveva mai vista prima, lui cadetto nato in provincia, a Tonseberg, e poi cresciuto a Skara. Suo padre gli aveva però descritto più volte la bellezza di quella città al sole, con le sue palizzate rigide a strapiombo sui fiordi, quasi si trattasse di un'antica divinità posta a sorvegliare la vastità del mare. E quando ne parlava Sigurd Munn conservava nello sguardo una malinconia profonda come se ricordasse un amore perduto, un viaggio dimenticato da tempo, una chimera fumosa impossibile da conquistare. Evidentemente lì era avvenuto qualcosa che lo aveva privato di una parte del suo futuro, una parte a cui il padre di Sigurd non avrebbe mai voluto rinunciare. La tenda fu scostata all'improvviso. Sigurd riconobbe due spalle esili ma ben strutturate, un collo forte ed una muscolature longilinea. "Signore dobbiamo andare. E' ora ormai.". La voce era quella del suo luogotenente, Cristophe. Un mercenario francese ormai da anni al servizio di suo padre ed ora al suo. Aveva un'età di certo avanzata ma ancora pronta all'azione del campo di battaglia. Inoltre era stato il precettore militare di Sigurd nel castello di Skara, il mentore di ciò che Sigurd stesso aveva appreso con la spada e con la lancia. Ora che vi rifletteva, vedendolo, Cristophe non lo aveva mai chiamato signore prima di quella mattina, ma era con Sigurd quando egli lanciò la carica verso le schiere di arcieri ribelli il giorno prima. Poteva scorgere negli occhi chiari di quell'uomo di ventura una luce particolare quando lo fissava nel dirgli quelle poche cose. Sigurd forse si sarebbe aspettato di più, un cenno di assenso per come si era destreggiato in battaglia, ma no, doveva accontentarsi di quello sguardo che però sembrava carico di nuova fiducia e vigore. Come se Cristophe avesse finalmente visto affilata alla perfezione quella lama che tanto aveva immerso nel fuoco e poi nell'acqua nella fucina dei suoi insegnamenti militari. "Certo Cristophe, mi preparo immediatamente, torna a cercarmi quando gli uomini saranno pronti alla partenza".
"Solo un'ultima cosa Signore. Penso di doverla informare che suo cugino è già partito alle primissime luci dell'alba alla volta di Bergen". Sigurd si aggiustò i capelli manifestando apparente noncuranza per la notizia "Va bene Cristophe, vuol dire che da buon padrone di casa ci preparerà il benvenuto...". Con un lieve cenno del capo, che tradiva una gran dolcezza così strana per quell'uomo che forse aveva spaccato crani in giro per mezza europa, Cristophe si congedò da lui richiudendo bene le tende per non far filtrare il freddo mattutino.
Non vi era in realtà molta strada da percorrere. le ore vennero spese molto più per preparare gli uomini, destatisi tardi dopo il lauto banchetto della sera, che per camminare alla volta della capitale.
Il tempo li accompagnava nel viaggio con un sole man mano più forte sui monti ed un'aria che perdava poco a poco la pesantezza della mattina per rischiararsi notevolmente. Dopo poco più di due ore di cammino verso nord le vedette del Clans finalmente avvertirono Sigurd di essere in vista della capitale. Sigurd stesso volle seguirle sul piccolo promontorio che si levava poco oltre per ammirare un panorama a lui ancora sconosciuto. La città di Bergen con il vasto contado di terre coltivate attorno si adagiava su una ampia valle contornata da monti più lievi a sud che non a nord. Sembrava un occhio profondo scavato in una terra spoglia così diversa dal mare verde attorno a Skara. Oltre il contado esterno si stendevano le ampie palizzate di legno fortificato che fungevano da prima difesa esterna. All'interno di esse prendeva vita la vera e propria cittadina che si sviluppava attorno alle fortificazioni centrali di quello che doveva essere il palazzo reale, cuore e centro vitale della politica non solo della capitale, ma di tutto il paese. Sulle alte guglie del palazzo sventolavano gli stendardi del Clan reale, quello degli Haraldsson, discendenti diretti di quell'Harald IV detronizzato ed ucciso anni prima dagli stessi usurpatori che suo padre aveva contribuito a sconfiggere nella decisiva battaglia di Hvaler. La luce si posava morbida sui tetti in paglia e legname, così abbondanti in tutta la Norvegia, e le strade sterrate sembravano già molto vive per quell'ora, così ricolme di banchi dei commercianti e di clienti pronti all'acquisto. Sigurd spaziò con lo sguardo in lungo e largo per osservarne le caratteristiche anche naturali. Non era una fortezza in verità e Skara risultava essere molto più fortificata e abituata agli assedi. Ma la caratteristica perculiare di Bergen era senz'altro la sua posizione geografica. Come detto essa giaceva in un avvallamento profondo ed era protetta da mura di promontori e montagne. Ad ovest poi giaceva il mare ed il clima rigido di quelle terre non solo in Inverno ma perfino d'estate avrebbe reso ben poco praticabile uno sbarco di forze nemiche. Insomma la natura sorrideva a quei luoghi, era il suo sostentamento e la sua difesa allo stesso tempo. Sigurd girò il volto verso il suo contingente e fece cenno di avanzare. Le vedette li avrebbero preceduti per raggiungere per tempo la guarnigione di stanza al cancello sud e per avvisare la città dell'arrivo di un rappresentante nobile del Clan dei Sigurdsson.
Giunti all'alta cinta di palizzate e dopo aver attraversato il ricco contado, la piccola guarnigione di stanza al cancello salutò Sigurd come si conveniva e comandò l'apertura del varco. La loro venuta, gli disse, era in realtà stata già preannunciata dal figlio primogenito del Re, Jon Kuvlung, reggente del titolo della città di Bergen. Lo informò inoltre che lui stesso li avrebbe guidati a palazzo. Sigurd salutò e si addentrò nei meandri della cittadina abbandonando per un momento i foschi pensieri sulle mosse perpetuate dagli Haraldsson e dagli Eystensson per perdersi così letteralmente nella curiosità, che già lo pervadeva, di poter osservare un luogo mai visto in precedenza. Imboccarono subito una strada che sembrava essere una delle principali, larga almeno il doppio dei piccoli vicoli che vi accedevano lateralmente. La strada era abbastanza pianeggiante e lineare ma per il resto in essa regnava il caos più completo. Dovevano infatti procedere scansando fisicamente la moltitudine di persone che si accalcavano non tanto per osservare il passaggio di un nobile, non ne sembravano infatti molto impressionati a dire il vero, ma per eseguire le proprie normali faccende quotidiane o almeno così sembrava essere. L'ambiente era saturo di colori sgargianti, fossero essi addosso alle persone, nei loro vestiti, o sui banchi dei commercianti di stoffe posti a lato della strada. Ed i suoni erano così vivi fra urla, proposte di vendita e richieste di abbassare i prezzi, saltimbanchi con fuochi e luci, sciami di bambini provenienti da non si sa dove che sparivano per non si sa dove all'improvviso. Sigurd non sapeva dove volgere lo sguardo frastornato visto che lui stesso era ben poco abituato ad un ambiente così ricco e vivo. Era stato abituato a vagare in piccoli villaggi di frontiera ed in fortezze deserte fatte solo per la dura guerra e la dura morte che ne conseguiva solitamente. Bergen era già nella sua mente un luogo a sè stante, un posto dalle molteplici possibilità. Dopo aver attraversato le zone più affollate la fila di uomini d'arme affrontava ora una lieve salita su di un terrapieno che sembrava di fattura umana oltre il quale si apriva, in una spianata luminosa, la piazza principale della capitale, al termine della quale, oltre i mercati che su di essa sostavano, si intravedeva il palazzo reale circondato da nugoli di soldati dalle più varie acconciature ed armature mescolati a dame che percorrevano la piazza spesso scappando dai primi. Un'amplissima scalinata determinava l'imboccatura rialzata del palazzo tramite la quale avrebbero avuto accesso ai cortili ed alle zone interne. Furono accolti all'entrata dalla guarnigione reale contraddistinta dagli ampi e lucenti stemmi degli Haraldsson che campeggiavano sui loro stendardi su fondo bianco. Quello che aveva l'aria di esserne il capitano, un uomo alto e bruno come un orso, piantato come una vecchia quercia al suolo e con profonde cicatrici sulle braccia, dopo che si fu presentato con il nome di Dan, li avvertì che li avrebbe accompagnati nei loro alloggiamentinti ed avrebbe provveduto a sistemare le cavalcature presso le stalle private del Sovrano. Sigurd si separava così dai suoi uomini destinati a sostare per quella visita presso le caserme reali mentre lui ed il fido Cristophe avrebbero preso posto all'interno del palazzo vero e proprio. Fu un lampo della sua mente a risvegliarlo dallo stupore della novità ed ha richiamarlo alla scomoda realtà della sua situazione. Mentre si apprestava ad entrare Sigurd si accorse che, sul sagrato appena accennato di quella che sembrava essere una cattedrale ancora in costruzione, qualcuno guardava attento la scena del suo arrivo a corte. La lontananza e la confusione di persone frapposte non aiutava certo a distinguere con chiarezza, ma l'uomo sembrava fissare il contingene ed annotare qualcosa in una piccola pergamena scostando di tanto in tanto l'abito talare che ricopriva copioso le braccia e le gambe. Si trattava quasi sicuramente din un prete.
Fine della prima parte!
"Fare l'amore con la Non Violenza per partorire la Pace dal grembo della Società", A.F.