Dicembre del 6690 (1181 d.C.)
Demetrio,
spero che questa lettera non sia intercettata! Sono mesi che qui siamo isolati dall'assedio. Ma ora che il blocco alle mura è stato sciolto, posso scriverti in relativa libertà.
Questa lettera non sarà troppo lunga, cosìche il volume della pergamena (assai difficile da reperire ahimè) non venga notato sotto i vestiti del mio servo.
Non posso allontanarmi da qui. Le spie mi tengono d'occhio, sono considerato un ribelle. Ed è così, ma sono un ribelle senza speranza. So che morirò presto, amico mio. Non sono turbato, perchè è così che finisce per tutti gli uomini. Ma come ultimo lascito voglio raccontarti la presa di Adrianoupolis. Come sai, gli Ungari si sono spinti in profondità nel nostro territorio, assediando contemporaneamente Kostantia e questa città. Se soltanto i nostri eserciti avessero impedito loro la conquista di Tirnovgrad! Com'è possibile che le nostre armate non li hanno attaccati in quel momento di debolezza?
Saprai di certo che a Kostantia c'era una discreta guarnigione, e saprai molto meglio che qui c'era solo la guardia del generale Giovanni Arbanteno. Ah, maledizione al Papa! Se solo non avesse indetto la crociata su Kurtuba! Quella carogna del Re Ungaro ha colto l'occasione e, sapendo che mai nessun esercito sarebbe riuscito ad arrivare in Iberia prima della fine della crociata, ha deciso di far fare un giro più "lungo" al suo galoppino, Miroslav Nemanja. Il crociato ha approfittato della fede dei suoi uomini per compiere marce forzate fino a Kostantia, dove ha aiutato il fratello Stracimir a combattere le sue legioni, poi è sceso a Sud e ha assediato Adrianoupolis. Per sei mesi le armate dei due fratelli hanno bloccato ogni rifornimento a due preziose città dell'Impero!
Finchè una notte, i crociati si sono introdotti in città. Avevano preparato scale, arieti e ogni sorta di marchingegno, ma sapevano bene che non c'era nessuno a difendere le mura. Li ho sentiti sfondare la porta e li ho visti passare sotto la mia finestra: un mare di torce e scudi, lance e stendardi, si riversava silenzioso in città. arrivati alla piazzza, presidiata dal solo Giovanni Arbanteno, i lancieri si sono disposti in formazione. Le croci rosse brillavano selvagge alla luce tremula delle torce. All'improvviso gli arcieri ungari (semplici contadini, a giudicare da come tenevano l'arco) hanno cominciato a scagliare dardi contro i cavalieri del generale. Non ci fu nessun ferito, ma Arbanteno deve aver pensato (giustamente) che morire infilzato da quegli imbranati non fosse troppo onorevole. Così i soldati si sono scagliati contro il muro di lance. Fu la fine. Dal combattimento si ritirarono cinque cavalieri, che successivamente si arresero. Il corpo del generale giaceva sotto la mia finestra.
Gli Ungari hanno saccheggiato la città. Io sono scampato alla loro furia pagando un enorme riscatto. Ma non mi illudo: è stata solo una piccola tregua, presto torneranno alla carica.
Questa volta, amico mio, non ho nulla da lasciarti. Dalla caduta della città sono costretto a lavorare per questi barbari, servo di un loro prete. Queste memorie sono tutto ciò che mi resta, dopo la tua amicizia.
Addio,
Nicodemo.
LETTERA INTERCETTATA.
PER ORDINE DEL GOVERNATORE MIROSLAV NEMANJA,
NICODEMO DA COSTANTINOPOLI E' CONDANNATO A MORTE.
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