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La vittoria a Sofya permise ai kipchaq di mantenere una posizione strategicamente fondamentale; ma soprattutto generò una vera e propria voragine nelle difese romee, che Konchak Osen si affrettò quanto prima a occupare. Nello stesso 1165 Tolon Kunbek venne inviato con un corpo di cavalleria a razziare l’intero territorio serbo, da poco riconquistato da Bisanzio; l’incapacità romea di difendersi portò i contadini della zona a simpatizzare vieppiù con i kipchaq e a stringere con loro accordi di varia natura, che diedero sicurezza ai prime e informazioni ai secondi. Proprio grazie a questa collaborazione Tolon Kunbek fu in grado di sorprendere il governatore bizantino di Ras e di strappare la fortezza al controllo dei Comneni. Perfino Amastris riuscì a respingere un primo tentativo d’assedio.

Ma la vera mazzata venne inflitta nel 1166 da Kotian Terter-Oba. Dopo Sofya Konchak aveva avanzato profferte di pace a Manuele Comneno, vedendosele respinte come era accaduto a suo fratello; anzi, il basileus aveva lasciato la capitale e si era diretto a Thessalonike per fare della città un centro di raduno di ogni soldato disponibile dalle regioni greche e adriatiche. Approfittando della sua assenza Kotian Terter-Oba lanciò un vasto raid contro le lande attorno alla capitale romea, saccheggiando i villaggi, bloccando le vie commerciali e spingendosi fino a vedere in lontananza le possenti mura di Konstantinoupolis.

Manuele Comneno, avvisato nel corso dell’estate di ciò, decise di rientrare quanto prima e inviò ordini precisi affinché l’armata del capitano Andronico gli venisse incontro. Ma il messaggero venne intercettato dai razziatori peceneghi e il plico del basileus non arrivò mai al capitano Andronico; finì invece a Kotian Terter-Oba, che colse al volo l’occasione. Nell’ottobre 1166 Manuele Comneno cadde in un’imboscata e venne ucciso assieme al nobile Costantino Paleologo e a tutta la sua guardia.







La morte di Manuele venne vista in tutto il khanato come un grande trionfo e Konchak, convinto che il nuovo basileus avrebbe avuto più senno e meno vano orgoglio del suo predecessore, tornò ad avanzare profferte di pace. Tuttavia Michele Paleologo era tutto fuorché interessato a stringere trattati di alcun genere con coloro i quali gli avevano ammazzato diversi parenti; inoltre una rivolta ad Amastris riconsegnò la città ai bizantini e questo indusse il nuovo basileus a proseguire la politica di Manuele.

Fra il 1166 inoltrato e il 1168 l’intera area balcanica venne spazzata da venti di guerra, con armate che andavano e venivano, villaggi che bruciavano, cadaveri che imbiancavano al sole, urla di morte nell’aria.





Adrianoupolis venne attaccata a ripetizione e Kotian Terter-Oba si creò una fama di grande comandante per la strenua difesa che fece sia della città che dell’area circostante, assicurando continui contatti con Sofya a settentrione. I peceneghi di stanza nella città dovettero confrontarsi perfino con i temutissimi Hetairoi, i cavalieri della guardia del basileus, che pur in netta inferiorità numerica, andarono nel corso della battaglia combattuta nel 1168 a un passo dal far crollare l’ala sinistra kipchaq, cosa che venne impedita unicamente dal tempestivo intervento di Kotian in persona.







Tuttavia la situazione generale non andava a favore di un impero romeo orgoglioso, combattivo, ma ormai a corto di uomini e mezzi. Nel 1167 il khanato kipchaq arrivò a un accordo di alleanza con la Repubblica di Venezia, assicurandosi ulteriore tranquillità alle frontiere settentrionali. Soprattutto Konchak Osen sposò la bellissima Elisabetta Arpad, figlia di Geza II, sovrano d’Ungheria, un matrimonio che univa strettamente i due popoli e faceva cadere qualunque possibilità di un accordo fra magiari e bizantini.

Nel corso del 1168 il sultanato di Rum attaccò a sorpresa Amastris, riuscendo a conquistarla e l’anno dopo le armate dell’Islam assediavano Nikaia.

Nello stesso 1168 il khanato si impadroniva anche della rocca di Orsova, ribellatasi tempo prima ai magiari, e occupò con un audace raid navale la città di Chandax e in breve l’intera isola di Creta: la flotta bizantina riuscì ad avere la meglio sulla controparte kipchaq, ma non a impedire che questa prima sbarcasse le truppe che aveva trasportato.



Nel marzo 1169 si spense Sharukan Osen, khan dei Kipchaq. Dalla sua fortezza di Sarkel – dalla quale non si era mai mosso – aveva saputo gestire uno stato molto esteso e dilaniato da rivalità tribali tutt’altro che sopite, portandolo a diventare un’entità potente, temuta e rispettata, capace di confrontarsi da pari a pari con i Romei, ottenendo frequentemente la vittoria. Morì senza essere riuscito a realizzare il suo sogno, quella conquista di Maghas e dell’Ossezia che il giovane Lavor dei Rus avrebbe avviato un mese dopo.



Alla guida del khanato assurse Konchak Osen, certamente l’uomo più indicato per condurre i kipchaq a nuove vittorie.
Il suo primo atto fu quello di nominare l’anziano Sevench Terter-Oba reggente, in attesa che Elisabetta gli desse un erede. Poi si concentrò su come costringere l’imperatore romeo ad accettare una pace di cui chiaramente il suo regno aveva bisogno anche se egli faceva di tutto per non rendersene conto. Era evidente che allo stato attuale il romeo si considerava abbastanza forte da resistere e che, dunque, riteneva la pace un’umiliazione. Così Konchak stese un piano per ridurre con la forza a più miti consigli l’arroganza romea.

Nella primavera del 1169 due armate mossero da Ras, una puntando verso Ragusa, l’altra verso Dyrrachion. Una terza, guidata da lui in persona, lasciò Sofya e puntò a sud su Thessalonike, mentre a Chandax si facevano preparativi per un eventuale raid contro le coste meridionali della Grecia se queste fossero rimaste troppo sguarnite.
Ma i romei, pur ridotti allo stremo, si dimostrarono una volta di più tenaci e subdoli. Se da un lato né Athenai né Monemvassia vennero sguarnite al punto da poter essere prese con un raid, dall’altro il nobilotto che guidava le truppe dirette a Dyrrachion si lasciò corrompere dalla malia dell’oro romeo e disertò, lasciando i suoi uomini senza guida e alla mercé del nemico.

Inoltre l’armata inviata verso Ragusa, che era composta da tre compagnie di fanti croati e due di arcieri balcanici, spalleggiati da uno squadrone di calarisi e guidati da Tetrobich Kumcheg, scoprirono che la guarnigione della città non era, come avevano riferito gli informatori, fatta da miliziani, ma annoverava un battaglione di varangoi e uno di skoutatoi, accompagnati da un contingente di arcieri di morea e da una compagnia della guardia imperiale. Oltre a qualche miliziano croato.

Tuttavia, come detto, l’impero era troppo debole per poter approfittare di un attacco condotto sulla base di informazioni lacunose e le singole guarnigioni dovettero cavarsela per conto proprio. Certamente quella di Ragusa si comportò degnamente e, tentata la sortita, costrinse i kipchaq a una battaglia quanto mai complicata a livello tattico. Purtroppo Tetrobich Kumcheg si rivelò un decente stratega: utilizzò i calarisi per stornare l’attenzione dei varangoi e si occupò personalmente di ridurre le fila della fanteria nemica con un paio di cariche mordi e fuggi ben assestate;



quindi mandò uno dei tre contingenti di croati a impegnare frontalmente la controparte, mentre gli arcieri balcanici si scambiavano salve con gli avversari.





Questo scontro, così incerto, indusse i bizantini a far intervenire la guardia imperiale per far pendere dalla loro la bilancia; e a gettarsi inconsapevolmente nella trappola tesa da Tetrobich. Infatti il comandante kipchaq ordinò agli altri due contingenti croati di scivolare sulle ali e di caricare all’unisono la guardia, prendendola a tenaglia. L’attacco, violentissimo, si rivelò devastante e dissolse più di metà della guardia al primo impatto, lasciando il resto dei soldati in una situazione troppo complicata.





Bastarono un paio di altre cariche a scompaginare gli arcieri per chiudere vittoriosamente la giornata.

Egual sorte, ma con molti meno problemi, ebbe Dyrrachion. Dopo il tradimento della prima spedizione, il khanzada Sevench Terter-Oba ne mise rapidamente in piedi una seconda e con questa marciò sulla città, difesa unicamente dal synbasileus Giovanni Comneno. Che ovviamente poco poté quando i kipchaq attaccarono.

Boccone un po’ più grosso si rivelò Thessalonike, in quanto i bizantini cercarono in tutti i modi di preservarla; ma avevano contro il miglior esercito kipchaq di tutti i Balcani, guidato dal miglior generale del khanato; e in una serie di sanguinosi scontri ogni tentativo romeo fallì e nel 1171 la città si arrese.











La vittoria, che spaccava in due l’impero bizantino e consegnava di diritto il dominio sui Balcani ai kipchaq, venne festeggiata a lungo e allietata dalla notizia che la regina Elisabetta aveva partorito il tanto agognato erede, a cui era stato posto nome Gza.



Ci rivediamo a settembre con il proseguio! [SM=x1140443]