00 12/09/2011 18:03
L’ultimo impegno di Duarte in norditalia fu l’eliminazione dell’esercito lombardo che, dopo una gita sul Garda, rimase bloccato presso Ferrara. Fu l’unica battaglia in campo aperto della sua carriera, e la risolse contrapponendo picche e balestre ai fanti e cavalieri pesanti del nemico.

Sbrigata la questione, passò ad organizzare la spedizione per Siracusa, divenuta urgente da quando pontifici e bizantini avevano preso a battersi con alterne fortune per il possesso di Rossano.
Esclusa a priori l’opzione di discendere lo stivale, l’unica vera difficoltà era eludere le navi romee che infestavano il Tirreno. Tutto andò per il meglio, anche perché un paio di caravelle se le tirarono appresso prima che la sua armata si imbarcasse dalle spiagge di Cagliari per la tratta finale. Da quel momento in poi, per l’indipendenza di Siracusa e Reggio suonò la campana a morto.

Stranamente, il grande esperto di arte ossidionale rischiò la propria reputazione nel banalissimo assalto alla rocca di Messina, ultimo rifugio dei pisani senza terra. In quell’occasione sbagliò clamorosamente lo schieramento dei pezzi, e per la prima volta i suoi artiglieri subirono perdite insensate prima di poter sparare un solo colpo. Purtroppo, non era più lo stesso uomo. Aveva appena appreso che il suo unico figlio maschio era stato colto dalla morte nera.

In quegli anni la peste infuriava ovunque, ed il sangue blu non conferiva immunità. A pochi fu risparmiata la visione di cataste di cadaveri, e meno ancora non dovettero vestirsi a lutto.
Però anche questo orrendo morbo ebbe qualcosa di buono.
Si portò via dissidenti e popolazione in eccesso, facendo scendere una strana contettezza nelle città più riottose. In più, quasi dovessero scongiurare la scomparsa del genere umano, i grandi casati lusitani presero a figliare come conigli.

Passata la buriana, nell’anno domini 1354 fu riconquistata Pola. Visto che Duarte si era ritirato a vita privata, di questa faccenda si occupò Stephen Henriques, Console di Genova, che sbarcò con immenso seguito di truppe e vi installò una guarnigione atta a scoraggiare ogni iniziativa nemica. Poco dopo lasciò le consegne al giovane Gill Ribadouro, Conte di Ais.
Il Console di Genova si era già segnalato per il ritrovamento del Sacro Catino, e quindi pareva l’uomo più indicato per assalire un luogo consono a questo suo peculiare talento: Roma.

La conquista della Città Eterna, indipendente da molti anni, non era di nessun interesse per il regno. Però, visto che le incursioni dei ladri avevano fruttato solo due colpi fortunati, il Re pensò di poter recuperare un’ultima reliquia con le armi convenzionali. Tutto andò secondo le previsioni, compresa la miserabile cifra incassata dal Pontefice per l’immediata riconsegna della sua vecchia capitale.

Per tutto questo tempo i possedimenti mediorientali erano rimasti sulla difensiva. I cannoni delle cittadelle sparavano a tutto spiano su chiunque avesse la malaugurata idea di capitargli a tiro, e solo occasionali puntate verso le men difendibili città avevano richiesto confronti in campo aperto.

In una di queste occasioni tornò a battersi perfino il vecchio Nuno, che fece una strana risatina quando ricevette l’ordine di prendere il nemico da tergo. Il gran sudicione svolse bene l‘incarico, e morì felice nel suo mal frequentato letto l’anno seguente.
Purtroppo finì per lasciarci le penne il prode Gonsaulus, durante una scaramuccia quasi insignificante nei paraggi di Aleppo. La Terrasanta pianse la morte del suo miglior paladino, ma lo stesso accadde per l’impero bizantino, che si affrettò a ritirare le proprie armate di invasione.
Unica vera crisi fu quella di Damietta ove, previo smantellamento dell’armamento delle torri, si dovette attendere il momento buono per farla finita coi dissidenti.

Fu a questo punto, nell’anno del Signore 1357, che il Santo Padre chiamò alla crociata contro la capitale turca: un obiettivo senza valore e in culo alla luna, in mano poveracci innocui con cui il Portogallo aveva riallacciato le relazioni diplomatiche.
A costoro non si voleva nuocere affatto ma, secondo antico costume, il Re fece mobilitare tre eserciti in madrepatria. Al contrario del solito si trattava di armate piuttosto modeste, il cui scopo principale era di scortare in terrasanta tre nobili pellegrini che tenevano già famiglia.
Jorge Ribadouro, Conte di Tolosa, lasciò subito l’impresa per assumere la responsabilità della difesa di Adana. Il suo contingente si fuse con quelli al seguito di Bermudo Perez di Borgogna, Gran Maestro dell’Ordine di Santiago, e di Antonio Gocaniç, Potestà di Firenze.

Rinforzati anche da leve locali, i crociati si distinsero battendosi con bande di predoni, concorrendo alla repressione dell’insurrezione di Damietta e recuperando Medina al culto cattolico. L’ultima impresa compiuta sotto il santo segno fu la battaglia con un’armata bizantina, che venne accerchiata e annientata sulle sponde del Giordano.
Subito dopo i guerrieri vennero sciolti da ogni voto, perché i Lombardi partiti da Edessa avevano ottenuto la loro Padania del Caspio, con gran disappunto dell’orda scozzese giunta poco dopo.

Una parte dei combattenti a cavallo andò ad appoggiare la sortita dei difensori di Homs, che causò la morte del Basileus e la dissoluzione della sua armata sotto un incessante cannoneggiamento.
Il grosso ebbe ordine di piegare ad est, per poi risalire verso Ar Rakkah. Un azzardo strategico che, mettendo a rischio le antiche città siriane, puntava alla soluzione finale per la sicurezza della regione.

Nel corso della faticosa marcia nel deserto, i condottieri della spedizione furono raggiunti dalla notizia del trapasso di Re Gonçallo.


[/IMG]

Uploaded with ImageShack.us