00 26/09/2011 12:33
Ancora qualcosa:

Bulgar potrebbe aver inaugurato in grande il suo traffico sul Volga forse nel VIII-IX sec., ma, non avendo notizie sicure sull'esistenza stessa della città in quel periodo, si possono fare solo delle ipotesi. Al contrario al volgere del X sec. si intravvede una comunità mercantile bulgara che si fa conoscere nel primo stadio del commercio passivo in cui cioè domina il baratto di oggetti d'uso e di prodotti di consumo, senza alcuna previa rilavorazione. In seguito però, non appena si sentirà meno la dipendenza dai Cazari fra il X e il XII sec. e sotto l'azione ideologica dell'Islam, l'attività commerciale affronterà l'evoluzione tecnica verso il più lucroso commercio attivo in cui lo scambio è sollecitato ora dai prodotti del locale artigianato. Gli scavi archeologici sul Volga e nell'Aga Bazar confermano di fatto l'esistenza di flussi commerciali intensi di questo tipo in quel periodo.

Le merci devono altresì muoversi in fretta e un fattore, il più incisivo dell'epoca, è la rapidità (relativa, rispetto agli standard moderni) delle consegne che è legata strettamente ai mezzi e alle vie usate per il trasporto. C'è pure un altro fattore altrettanto importante che incide sui tempi ed è la frammentazione politica del territorio attraversato con le infinite fermate accompagnate da cari balzelli da pagare.

Tentiamo di dare uno schizzo più chiaro della situazione.

Se i mezzi di trasporto sono sulla terra il carro (con ruote o con slitte) e gli animali (e gli uomini) da soma e da tiro, sull'acqua saranno le barche o altri aggeggi galleggianti. Non essendoci state organizzazioni statali anteriori che abbiano costruito delle strade del tipo persiano o romano, nella Pianura sono gli innumerevoli fiumi, navigabili per lunghi tratti, ad avere un ruolo fondamentale. è un ruolo che dominerà a lungo, se ancora nel XII sec. nelle Cronache Russe si leggerà: «... (Navigando) si può dalla Rus' giungere sul Volga dei Bulgari e in Choresmia e sempre verso est fra i figli di Sem (i Cazari? gli Arabi? i Tatari?). Lungo la Dvinà (di Riga) si va (invece) verso i Variaghi (le Mafie Svedesi armate del Baltico)...».

è facile dedurre già da qui che tutto s'impernia sul porto di Bulgar che noi dobbiamo immaginare ben attrezzato per ogni evenienza, compresi i cantieri navali e i carpentieri in legno. D'altro canto la posizione di Bulgar fu scelta in questa ansa perché proprio qui il Volga e il Kama confluiscono e qui c'era l'unico approdo sicuro e obbligato per chi veniva o da nord (Volga) o da nordest (Kama).

Premettendo che negli anni '50 del XX sec. la confluenza è stata adattata con nuovi invasi alla navigazione moderna, i due fiumi s'incontrano, oggi più o meno come in passato, lungo le rispettive rive, sinistra per il Volga e destra per il Kama, quasi ad angolo retto davanti all'odierna Kazan. La velocità maggiore spetta al Volga che “aggancia” le acque del Kama e provoca vortici e mulinelli. Finalmente le due correnti si fondono in una sola e questa scorre per qualche decina di km acquistando velocità finché tocca la “punta” di Bulgar. Ora, siccome in quei lontani tempi i natanti erano senza chiglia e solitamente governati con remi e pegole, raramente si usava la vela, i timonieri per non far ruotare le imbarcazioni su stesse evitavano il centro dei fiumi e si mantenevano il più vicino possibile alle rive. Quella destra del Volga però è rimasta più alta della sinistra e non offre approdi. Anzi, favorisce nei suoi recessi di canneti gli agguati dei predoni slavi della Suzdalia (in seguito la Moscovia vera e propria) e di quelli Mordvini. In tali frangenti inevitabilmente occorreva puntare su Bulgar. Qui per un certo periodo i Cazari, coi loro piloti che vigilavano sul traffico fluviale, ebbero una posizione di privilegio e imposero degli obblighi tassativi a chi approdava (applicati persino ai bulgari): Sosta nel porto, niente scorte armate e niente armi indosso. Soltanto a queste condizioni si era ammessi a restare per un tempo fissato.

Perché un soggiorno limitato? Principalmente a causa del clima più che del traffico. L'Aga Bazar e il suo porto non sono agibili tutto l'anno e il Volga (ancor oggi!) comincia a gelare già verso settembre mentre le temperature tutt'intorno scendono fino a -20/-25 °C (e oltre!) e il fiume rimane non navigabile fino a maggio. Per queste ragioni il tempo di viaggio andata-e-ritorno compresa la sosta doveva essere calcolato a puntino e un paio di giorni di riserva era consigliabile metterli in conto perché, tenendo presente che diretti a valle si è aiutati dalla corrente e si coprono distanze maggiori in tempi minori, diretti a monte i tempi sono più lunghi quasi del doppio. Informa Al-Istakhri: Da Bulgar a Itil occorrono una ventina di giorni, mentre per il percorso inverso ci vogliono ben due mesi!

Se poi il regime delle acque muta nel frattempo, si rischia di rimanere bloccati e occorre trovare un luogo sicuro dove svernare e dove riporre merci e denaro perché risalire la corrente alla ventura era pericolosissimo. Accadeva che, se a volte per le rapide o le secche occorreva ricorrere all'alaggio “a pagamento” presso gli abitanti rivieraschi, la regola era di stare sul chi-va-là per non essere derubati o dirottati verso correnti sconosciute dove si sarebbe stati spogliati di tutto e forse anche uccisi. Quanti tesoretti trovati dagli archeologi sono resti di queste disavventure! Era reale perciò l'ansia del mercante Rus' nell'Aga Bazar in attesa del compratore che viene dal sud nella scena descritta da Ibn Fadhlan: «Dopo che le imbarcazioni sono giunte in porto ogni Rus sbarca con pane, carne, cipolle, latte e bevanda fermentata e si dirige verso un grande palo là innalzato che ha un visto umano ed è circondato da piccoli idoli a loro volta contornati da paletti piantati in terra. Ogni Rus si dirige dunque verso il grande idolo e si prosterna dicendo: Signore, vengo da un paese lontano con tante giovani schiave e tante pellicce di martora. E si mette a elencare tutte le merci che ha con sé. Poi aggiunge: Ti offro questi doni. Poi depone le offerte davanti al palo e dice ancora: Desidero che tu mi accordi la grazia di inviarmi un mercante con molti dirhem che compri tutto ciò che io desidero vendergli e che non litighi con me».

Comunque sia, con la propria imbarcazione a Itil o allo spartiacque fra Volga e Don (meno di 10 km a piedi) o a nord verso la confluenza con l'Okà (oltre cui il dominio cazaro-bulgaro in pratica cessava) non si andava senza un salvacondotto che solo i Cazari rilasciavano.

C'era una rotta via terra a esclusiva gestione bulgara e che si poteva usare per dirigersi a Itil, ma di solito serviva a chi volesse immettersi nella Via della Seta. Su questa strada, se per Itil occorreva circa un mese, per la Via della Seta il viaggio era molto più lungo.

L'itinerario preferito era percorso d'inverno e procedeva lungo la riva sinistra del Volga fino all'ansa di Samara. Di qui si svoltava verso est lungo il fiume Samara (tataro Samur) nella Terra dei Burtasi e si sostava brevemente al mercato locale per approvvigionarsi di miele e di cera, di erbe da fumo e di allucinogeni o delle costose volpi nere. Ancora una volta c'era il problema dei popoli rivieraschi che non concedevano volentieri il passaggio alle carovane accompagnate dai Bulgari e ciò significava spesso lunghe trattative sui balzelli da pagare in più. Non solo! La regione da evitare prima di altre era il bacino dell'Ufà dei Basc'kiri con cui non c'erano relazioni buone, ma scontri continui...

Di nuovo in cammino, si puntava verso la steppa di Turgai dove abitavano i turchi Kimeki, amici dei Bulgari, dopo il guado del Jaik/Ural e lasciando a sud il desertico Ust-Jurt (tataro per Terra Alta rispetto alla Depressione Caspica). Una volta giunti nei pressi del Mare d'Aral si poteva optare per aggirare il lago da nordest o da sudovest (come fece Ibn Fadhlan), a seconda delle situazioni politiche e climatiche del momento.

Se si proseguiva per nordest si entrava in Transoxania (in arabo Mawàr-an-nàhr) e si pagava il passaggio sul Syr-Darya. Se finora si erano evitate o superate le tempeste di sabbia della riva sinistra del Basso Volga, ora c'erano quelle del Kyzyl Kum (Sabbie Gialle) prima della Choresmia. Queste sabbie coprono una superficie enorme di decine di migliaia di kmq e il vento che d'estate soffia per molti giorni all'anno le mette in lento, ma inesorabile movimento soffocando le coltivazioni. Non solo! Si sollevano nugoli di sabbia tanto fina da offuscare la vista agli uomini e agli animali da far perdere la rotta e finanche la vita. A poco serve il monito delle statue (baba dei turchi) o dei mucchi di sassi con su incisa la tamga (segno personale) dei mercanti passati di qui o le sparse ossa di animali (e di uomini) che non ce l'hanno fatta.

Da sudovest invece si era subito (!) sul delta dell'Amu-Darya, giunti alla meta, a Khivà... Naturalmente c'erano deviazioni e altre vie secondarie.

L'altra questione era l'attraversamento di territori divisi fra signorie diverse. Sarebbe ingenuo per noi del XXI sec. pensare all'esistenza di un governo unico e universale che regolamentasse e governasse territori estesi come la Steppa Eurasiatica, addirittura senza le tecniche militari acquisite negli ultimi secoli, eppure un simile desiderio o auspicio era proprio quello che promettevano di esaudire le religioni diffuse lungo la Via della Seta e che spinsero Cinghis Khan o Giovanni IV di Mosca nelle loro conquiste.

Per Bulgar il problema di un territorio fisso e dominato entro uno spazio di ragionevole portata non si pose subito, ma, non appena i Cazari s'indebolirono e i Rus cominciarono a premere. La città per la difesa preventiva del “suo” fiume nel raggio di 2-300 km costruì le fortezze di cui abbiamo già detto. Era però una misura che andava bene per la sicurezza del mercante, ma non gli diminuiva i balzelli e non gli assicurava che da un luogo all'altro non dovesse pagarne altri ancora.

Le soluzioni? Forse i trattati, le alleanze o le guerre... E invece raramente vedremo Bulgar impegnata in spese militari o in accordi troppo complicati perché, a parte la penuria di documenti, alla fine era uno stato troppo piccolo e debole per poter azzardare attacchi ai vicini e, da città di mercanti, cercava solo e sempre di mantenere la pace. Ciò non vuol dire che i bulgari, commerciando fra l'altro anche armi, non avessero corazze, cavalli e spade per difendersi.

D'inverno Bulgar si rinserrava fra le proprie mura in quiescenza fino al ritorno del bel tempo quando si andava a seminare. L'oscuro inverno (il sole dura poco nel cielo di queste latitudini) era il periodo della massima debolezza con i residenti rinchiusi nelle proprie case a consumare le provviste estive o a lavorare sulla roba da vendere nel prossimo mercato. Novgorod per lo stesso problema aveva scelto di lasciare che gli armati Variaghi continuassero a risiedere a qualche km dalla città, purché fossero disponibili ad ogni emergenza. Così non fece Bulgar perché forse ci s'illuse che la fama di città sacra musulmana e più settentrionale del mondo la preservasse dalla guerra e dalla conquista. E invece nel 1236 fu attaccata e conquistata... in pieno gelo!

La decadenza di Bulgar tuttavia non venne né per la guerra né per la conquista, ma... per l'insabbiamento del porto e dei suoi stabilimenti!

Spieghiamoci meglio. Non appena il Volga e il Kama si mescolano presso Kazan, la nuova corrente mista irrompe sulle acque del Kama (che arrivano da nordest) impedendo il loro fluire. Le acque, costrette verso la riva di Bulgar, rallentano con il loro molto limo in sospensione che così ha il tempo di depositarsi sul fondo stratificandosi in sempre maggiori spessori nella rada portuale. A causa di ciò nel XII-XIII sec. il porto non fu più agibile come prima e provocò la crisi dell'Aga Bazar. Molti bulgari emigrarono, prima sulla riva opposta del Kama e poi del Vjatka. Nel 1174-1181 fu fondata Vatkakar (udmurto per Città sul Vjatka), e Nuova Bulgar (poi Kazan, bulgaro per Calderone, nella metafora popolare di nuovo focolare) abbandonando alla desolazione Bulgar Vecchia, ma aprendo spazio politico a Biljar...

E la religione che ruolo giocava nello specifico problema del traffico internazionale? Psicologicamente è certo che sentirsi in mezzo a correligionari compensava il viaggiatore dei travagli incontrati lungo il cammino. A questo scopo città come Bulgar, ad esempio, mettevano servizi d'ogni tipo a disposizione: giuridico, religioso, alberghiero etc. adeguati alle tre religioni monoteistiche, ma pure agli idolatri e ai pagani (Buddhisti o Sciamanisti).

Siccome nel X-XI sec. il viaggiatore s'identifica col mercante prevalentemente, è importante descriverlo nei tratti più salienti. Nell’Occidente cristiano è percepito in modo negativo. è persona sospetta già per il fatto che non gli si richiede alcuna fatica personale fisica nella sua attività e gli si permette, al contrario, d'accumulare enormi profitti. Da dove vengono questi profitti? Per la Chiesa Romana è frutto degli imbrogli che costui architetta: Vedi le eterne liti su prezzi qualità quantità etc. Mai fidarsi perciò del mercante o ladro travestito! Peggio che mai, se è un aborrito giudeo, uccisore di Cristo, o un musulmano eretico! La mercatura è un'occupazione da aborrire giacché per i teologi cristiani il mestiere del mercante non è grato a Dio!

Nella società della steppa il rapporto con la mercatura è altro (così come pure nel Grande Nord su cui ritorneremo) e quando l'Islam si diffuse chiunque esercitasse la mercatura era legittimato da ogni punto di vista, religioso e sociale. C'era naturalmente un'etica da rispettare e Maometto, mercante lui stesso, in una hadith (i commenti personali del Profeta) aveva avvertito: «Alla Mecca non vali granché, se non sei stato un (buon) mercante!».

L'Islam impone che il mercante da buon musulmano riconosca che i profitti gli vengano da Dio e non ha il diritto di tenerseli per sé per cui finanzi volentieri costruzioni di moschee e di annesse scuole coraniche (medrese), di case, di ponti e di ospedali, perché Dio ha a cuore il benessere di chi lo venera! è l'obbligo della zakat d'altronde e in compenso lo si ricorderà nelle preghiere o sulle chiavi di volta degli edifici che ha contribuito a costruire. Dice il Corano a proposito (IX,60) «La zakat (elemosina obbligatoria) è per i bisognosi, i mendicanti, per quelli che sono incaricati a raccoglierla, per coloro di cui si vuol guadagnare il cuore, per riscattare gli schiavi, per quelli che sono pesantemente indebitati, per le opere religiose e per i viaggiatori. Questo è l'ordine di Dio...».

Genericamente il mercante è un poliglotta e quindi una persona colta con tantissimi contatti con società umane diverse che lo stimolano all'indagine antropologica, linguistica, medica e geografica. Insomma non solo sa far di conto, ma, sapendo leggere e scrivere, sa coltivare la scienza e le arti e sa proteggere i talenti dei suoi collaboratori.

Se intraprende un viaggio, registra per iscritto ciò che vede, mette insieme le sue note (come fece Ibn Fadhlan) e le lascia a disposizione della comunità della sua città giacché «sa ragionare» (J. Goody registra questo atteggiamento del X-XI sec. nel mondo musulmano-giudaico) e cioè mescola ai conti (obbligatori e accurati per poter calcolare la zakat) il racconto delle circostanze, delle persone incontrate e degli eventi vissuti fornendo informazioni utili a chi si accinge ad esercitare la mercatura quando lui si ritirerà in pensione. è in altre parole un pozzo di notizie politiche e culturali dal quale attinge il sovrano che lo accoglie periodicamente persino per affidargli ambasciate segrete e delicate.

La figura qui descritta è naturalmente idealizzata, ma c'è una domanda da porsi: Perché il Corano privilegia i mercanti e la mercatura? Maometto aveva fondato una comunità di credenti in un dio unico che aveva abbandonato la razzia come metodo di procurarsi da vivere e quella comunità era diventata col tempo uno stato ben ordinato come di fatto appariva in quello scorcio del X sec. guardando Baghdad e il suo Califfo, ma non risulta che avesse dato delle direttive economiche da seguire per conseguire successo e ricchezza! Dunque tutto è nell'intelligenza e nell'esperienza personale...

Ad-Dimashqi (famoso giurista della metà del XI sec.), nella sua Guida del Mercante ne classifica alcuni aspetti molto interessanti dal punto di vista deontologico e dà dei modelli ai colleghi che dovessero trovarsi a giudicare. Al primo posto pone il Khazzan o mercante sedentario che organizza la raccolta delle merci nel suo magazzino e decide prezzi e compravendite tramite i suoi agenti itineranti o intermediari. Non viaggia perché ama godersi i guadagni coltivando attività intellettuali e sociali. Poi c'è il Rakkad che viaggia continuamente, da solo o associato con altri, lasciando dietro di sé un fidato alter ego che a volte è suo figlio o suo fratello o persino sua moglie. Non viaggia per lungo tempo perché sarebbe inutile e rischioso e invece preferisce stabilire rapporti personali e fidati nei mercati che visita più volte. è però il più basso nella scala dei mercanti perché non fa molta distinzione sulle merci che tratta e i turchi, siccome vedono in lui l'imbelle contadino della città lanciato nell'avventura del commercio, lo prendono in giro e lo chiamano Sart con parola sogdiano-persiana che vuol dire accompagnatore di carovane, ma interpretano quella parola parafrasandola in sar it che in turco è cane giallo e il cane è un ignobile lupo invigliacchito nel folclore popolare!

E infine c’è il Mugiahhiz, il più internazionalista, che vanta contatti ad alto livello in tutto il mondo. Ha la fama di persona di grande influenza, saggezza e disponibilità. La sua politica è guadagnarsi la fiducia e combinare incontri per stipulare accordi con le persone altolocate giacché i prodotti trafficati da lui sono a grandissimo valore aggiunto. I suoi contatti sono perciò molto cordiali anche attraverso i suoi rappresentanti e investendo dei grossi capitali deve aspettare il guadagno nel lungo termine. Non frequenza il bazar...

Logicamente anche le figure di ad-Dimashqi nella realtà non esistettero, ma servono a capire quanta attenzione si dedicasse nell'applicazione della shariya su dei personaggi che tutto sommato mantenevano la società islamica.

Siccome nel quadro da noi studiato non emerge una figura che esiga o faccia pagamenti in moneta né di un proprietario di beni durevoli o di immobili che li venda o li acquisti, ci accorgiamo che i dirhem raccolti in Centro Asia semplicemente passavano dalle borse del mercante bulgaro itinerante (con in cintola il suo bilancino per controllare il peso d'ogni pezzo d'argento) agli Ugro-finni fornitori o alle scorte variaghe! E allora i profitti e i guadagni come si definiscono e come si accumulano?

Oggi è semplice vederli in numeri registrati da qualche parte presso una banca perché siamo abituati all'uso del denaro che compra cose e persone, a Bulgar al contrario, siccome il denaro convenzionale non circolerà fino al XV sec., è il baratto che vige e i tributi in natura producono i guadagni e i profitti. Accumulare ricchezza è un problema logistico più che bancario giacché significa possedere non solo un luogo dove riporre derrate alimentari o articoli di valore, ma pure pagare un sistema di custodia e richiedere una legislazione adeguata. Ecco la ragione per cui i mercanti più abbienti abitavano case “fortificate” o erigevano tombe sontuose o regalavano gli oggetti in sovrappiù sotto forma di zakat... Alla fine tutto era un investimento finanziario con un ritorno o nella vita o dopo la morte.

Nasce così una Weltanschauung un po' egoistica, ma che durerà a lungo, se la si apprezza ancora nel XV sec. nelle parole di Ali Sc'ir Nawai, famoso umanista dignitario al servizio dell'ultimo sovrano timuride di Herat, che cantava: «Se fai coi tuoi mezzi quanto è utile per la tua gente, vedrai che sarai tu stesso a farne uso».

Abbiamo però precorso i tempi e conviene ritornare sul Volga dove Almysc' dové confrontarsi con un'esigua entrata delle uniche tasse ammesse dall'Islam, almeno in teoria: la tassa sulla persona e quella sulla terra.

Benché fosse lecito imporre una tassa sulla persona, chiamata testatico o capitazione e in arabo g'izyia, per mantenere i propagatori della fede islamica ('Alim sing. e 'Ulema plur.) e indirettamente anche il Califfo (e nel nostro caso Almysc'), un'imposta del genere era difficile da esigere senza sapere quanti e quali fossero i sudditi.

Difficile fu anche applicare il Kharag', la tassa sulla proprietà e sul raccolto esigibile dai coltivatori delle terre conquistate, ma lasciate agli stessi in usufrutto, una volta che si fossero posti sotto la protezione del sovrano musulmano. In questo caso però dobbiamo fare attenzione alla società pagana del Medio Volga, e a quella bulgara, che non conosceva il diritto di proprietà sulla terra e la facoltà di cederla a terzi. Riservarsi uno spazio da sfruttare era una concessione di tipo sacrale. La dea Madre Terra dava il permesso di usare il proprio corpo e tutto ciò che si trovava sopra e dentro di esso all'uomo che essa stessa sceglieva e legava a sé con l'obbligo di venerarla. La ricchezza che si ricavava dalla terra doveva essere ridistribuita con equità perché comunque dopo l'uso umano ritornava alla Terra. A parte i termini diversi, la credenza era assolutamente non eretica, se si identifica la Madre Terra col Dio unico, né in contrasto con la legge coranica, se pensiamo che questo regime “terriero”, evoluto e distorto, vige ancora in Iran...

Insomma, senza tener conto dei doni obbligatori che si usavano fare all'Elteber nei matrimoni e nei funerali e in mole altre occasioni collettive che costituivano comunque una grossa e cospicua entrata, l'unica imposta di cui abbiamo notizia a Bulgar è il dono volontario ad Almysc' da parte di ogni grande famiglia di una pelliccia di zibellino (o l'equivalente) all'anno in cambio della protezione e della difesa da carestie, malanni ed ogni altra disgrazia possibile che Almysc' ha il dovere di garantire, pena la destituzione.

è evidente che per la mancanza di tassazione cospicua e regolare, l'economia bulgara risulta molto fragile e, finché si produrrà troppo poco per poter mantenere un alto tenore di vita per il sovrano e per i più abbienti, l'unico cespite importante d'entrata rimane la decima sui traffici! Come fare però se questa decima in grandissima parte era percepita dai Cazari e pochissimo ne restava a Bulgar?

I Cazari vivevano su questa imposta e doveva essere talmente cospicua e profittevole che non solo aveva dato loro il successo economico, ma aveva permesso di accedere, quasi senza colpo ferire, ai vertici sacri del potere della steppa: l'onore del Kaghanato! La Cazaria era uno stato sui generis, ma con un funzionante regime di imposizioni e concessioni mercantili che permetteva di mantenere un budget statale notevole tanto da pagare i carissimi mercenari regolarmente ingaggiati nel proprio esercito senza problemi.

Nel caso di Bulgar occorreva che le cose andassero pià o meno allo stesso modo dato che l'élite bulgara aveva intenzione di entrare al più presto sulla scena internazionale, senza dover continuare a pagare lo scotto ai Cazari.

Ma che si traffica e che si produce a Bulgar?

Al-Mukaddasi (X sec.) dà tutto un lungo e dettagliato elenco di merci che di qui giungevano in Choresmia per essere riesportate, ma se cerchiamo dove i Bulgari trovavano le materie prime, gli artigiani per le sue industrie etc., la chiave è nella foresta.

Di quale foresta parliamo? Le ripartizioni del manto forestale che ricopre in pratica l'89 % della Pianura sono tante e i nomi altrettanti, ma noi, con divisioni puramente indicative, diciamo che stiamo parlando della parte centrale che a nord chiamata dell'Okà e un po' più a sudovest dove c'era la Suzdalia è chiamata di Mesc'erà (da un'etnia bulgaro-turca che qui abitava prima degli attuali Mordvini).

E partiamo dal prodotto forestale più tipico, più noto e più notevole: il legno che dominò la cultura materiale del Medioevo. Lo si usava come materiale per le costruzioni, per il riscaldamento, per fare arnesi e suppellettili e, quello speciale di quercia, per fabbricare natanti e parti di essi. Il consumo più grande era per fondere i metalli o per cuocere recipienti di terracotta, ma anche, come ci si accorse in seguito, per far i mattoni. Insomma era talmente necessario per i bisogni quotidiani che non sarà quasi mai esportato, se non occasionalmente come quando si costruì più a valle Saksin Bulgar, la città sorella poco a monte del delta e vicina a Itil dei Cazari, e ne fu fluitato lungo il Volga.

In più, se si fa conto che tagliando gli alberi, si creano delle radure, il terreno spoglio può essere usato per coltivare con il metodo del taglia-e-brucia. E, siccome i Bulgari dal sud avevano portato con sé una grande tradizione agricola, più o meno quando il fango del disgelo si fosse solidificato intorno alla fine di aprile è probabile che anche qui, come a Sarai, l'Elteber indiceva la chiamata dei contadini.

Usciva in pompa magna dalle mura della città per assegnare le terre da semina dell'hinterland a chi ne avesse fatto richiesta. Dopodiché lo stesso signore si recava nella sua residenza in località Tre Laghi vicino all'Aga Bazar e vi abitava per il resto della buona stagione in tenda e, in speciali occasioni, fin all'inizio inoltrato dell'inverno.

Si seminavano le varietà invernali (a rapida crescita) più comuni delle granaglie: orzo, miglio e frumento che si raccoglievano fino alla fine di settembre. La produzione – siamo nelle Terre Nere – dava quantità talmente abbondanti da fornirne ai vicini russi nei momenti di carestia, come si legge nelle Cronache Russe per il 1024. «In quell'anno a Suzdal si ribellarono i sacerdoti pagani locali. Per un istigazione diabolica e per azione degli spiriti maligni bastonarono un povero vecchio con l'accusa che aveva fatto incetta di provviste (proprio in un momento in cui) c'era grande confusione e fame in tutta la contrada. E la gente si recò in massa dai bulgari e di là portarono il pane e riuscirono a sopravvivere». Né fu questa l'unica volta in cui si cercò salvezza dalla fame a Bulgar...

Nella foresta inoltre si trovano piante di diverso genere: da quelle commestibili alle tintorie, dalle medicinali a quelle dai poteri magici (funghi allucinogeni) usati dagli sciamani locali e la raccolta è una delle attività contadine importanti pari solo alla coltivazione dei campi.

Nella selva si portavano a pascolare pure le bestie d'allevamento dalle quali i Bulgari ricavavano non soltanto latticini per il proprio consumo, prodotti tipici della steppa e risorsa importante per un'agricoltura difficile dal punto di vista climatico, ma anche altro. Ad esempio, i Bulgari erano famosi per saper lavorare la pelle bovina giovane che, conciata col tannino di betulla, diventava la cosiddetta “vacchetta” (juft o jukht) per farne calzature militari e borse morbide dal profumo caratteristico!

E non basta! Ci sono altri animali utili all'uomo fra gli alberi. C'è la selvaggina con le ali o quella a quattro zampe a cui si dà la caccia. Essa va distinta da quella che, salvo per le parti commestibili, è ricercata per la fitta pelliccia, salvo l'orso o il lupo ritenuti sacri e intoccabili.

Il cacciatore nordico ne fa abiti per sé contro il freddo, ma ne rivende data l'enorme richiesta che tramite i Bulgari arrivava fin qui. La caccia perciò era un'attività economica che si praticava con trappole, lacci e frecce non acuminate per non rovinare il manto ed era organizzata per rispettare i periodi di riproduzione e le variazioni dei colori del pelo nelle diverse stagioni.

Gli animali di cui parliamo sono di piccola taglia e ne occorrono molti per fare un capo di vestiario come si deve e perciò sono a decine di migliaia gli esemplari che andavano sui mercati. Fu il genere d'export che diventò la costante del mercato nordico tanto che, non appena verso la fine del IX sec. nelle foreste della Scandinavia scarseggiarono zibellini, martore e scoiattoli, fu giocoforza rivolgersi alle foreste limitrofe abitate per lo più dagli Ugro-finni intraprendendo spedizioni armate e costringendo questi popoli a difendere le loro risorse ricorrendo ai mezzi più impensati. Persino agli incantesimi... dicono le Saghe scandinave, con paura!

Marco Polo racconta che: «...gli uomini che abitano presso queste montagne (gli Urali) sono buoni cacciatori e pigliano di molte buone bestiole e ne fanno un grandissimo guadagno. Sono zibellini, vai, ermellini e capre (le pecore qui non vanno) e volpi nere e molte altre bestie da cui si ricavano le care pelli. E le catturano in questo modo: Stendono loro delle reti e non ne può scampare neppure una...». Proprio dietro queste pellicce i suoi stretti congiunti, Niccolò e Matteo, erano stati da queste parti! Attirati dalla possibilità di poter fare ricchi guadagni, vi si fermarono mentre vi risiedeva ancora il khan Berke. Poi, mentre si accingevano a tornare a Soldaja in Crimea diretti a Venezia, a causa di guerre nella steppa fra il Volga e il Don furono costretti a rifare la strada percorsa dall'Asia Centrale fin qui al contrario e dirigersi dal sud del Caspio verso il Mar Nero. Sono vicissitudini comprensibili e accettabili, se si pensa al valore enorme di questi articoli. Né si comprava sic et simpliciter, ma secondo certi criteri e certi aspetti tecnici. L'impacchettamento col sale (che al-Garnati ci informa come fosse trasportato con i barconi dal sud) o il taglio della testa e delle zampe o la separazione delle pelli in base ai colori della zona ventrale rispetto a quella dorsale erano operazioni primarie per la selezione. Al-Mukaddasi non nomina Bulgar chiaramente su queste operazioni e ciò lascia pensare che la messa a punto finale degli articoli per la vendita era completata in Choresmia. Anzi! Si tramandava la storia sul califfo al-Mahdi e su come avesse standardizzato (nel VIII sec.!) un saggio di qualità molto affidabile per controllare le pelli di volpe grigia comprate dai Burtasi per i suoi eleganti cappelli. Ogni pelle era posta in un vaso, ogni vaso era riempito con acqua e si attendeva una notte intera. L'indomani il vaso in cui l'acqua non era gelata conteneva la pelliccia migliore!

Non solo! Man mano che dal Grande Nord aumentò l'export delle pellicce, il flusso delle monete d'argento dal Vicino Oriente verso Bulgar e Novgorod aumentò di pari misura e il metallo cominciò a mancare alla fine del X sec. Si ebbe così un inasprimento delle trattative commerciali e il conseguente aumento dei prezzi per la mancanza di dirhem, ma anche per la loro peggiorata lega argentifera.

Altro articolo costoso e importante per l'export sono gli schiavi. Su di loro è bene cancellare subito l'idea di giovani maltrattati e simili anacronistiche concezioni poiché non si parla di schiavi prigionieri di guerra, ma di forniture di giovani ben fatti e in ottima salute e da trattare bene.

Era uso presso gli Ugro-finni e presso gli Slavi, già a partire dalle femmine nei matrimoni cosiddetti esogamici (per le quali si paga oggi ancora il kalym), la vendita dei figli in età pubere fuori del villaggio non appena i figli per il loro numero diventavano un peso eccessivo per l'economia famigliare. Vivendo da un pezzo di terra che di anno in anno si andava esaurendo e che era ricoltivabile soltanto dopo circa 10 anni di riposo a maggese, i raccolti andavano divisi man mano fra bocche sempre più numerose per cui ai giovani, invece di vivere di stenti in patria, si offriva l'alternativa d'una vita migliore all'estero presso un buon padrone mentre ai genitori veniva passata una somma fra i 20 e i 30 dirhem dall'intermediario. Il prezzo naturalmente raggiungeva il livello di 100 e più dirhem per il compratore finale e il traffico durò a lungo, sebbene alla fine del X sec. l'Europa Occidentale abbassasse la domanda.

I maschi spesso erano evirati dai medici circoncisori di Bukharà o di Samarcanda (ma anche a Verdun e a Praga si facevano tali operazioni) prima di arrivare al mercato e migliaia di eunuchi “slavi” servirono a Cordova in Spagna e a Roma dal Papa...

I ragazzi turchi delle steppe al contrario erano preferiti integri per i corpi militari perché sapevano cavalcare e tirar di arco già in giovanissima età. In Choresmia l'armata del sovrano era costituita proprio da loro, addestrati alla guerra in una specie di accademia che li obbligava a convertirsi all'Islam. Potevano essere assoldati da chiunque pagasse bene come sappiamo facessero i Cazari, benché tale modo di agire fosse pericoloso per chi ad un certo momento non avesse più soldi per pagarli. Così accadde in Egitto nel XII sec. dove un gruppo di schiavi riuscì ad impadronirsi del potere e fondò la dinastia dei Mammelucchi (mamluk in arabo è schiavo). Quanto costavano? Da 70 a 100 dirhem più un centinaio di dirhem per la cavalcatura!

Un particolare tipo di schiavo che più ci interessa, era un certo tipo di prigioniero “di guerra” in realtà catturato non in uno scontro armato, ma in una razzia, o addirittura che si vendeva da sé a tempo determinato. Riconoscendolo come specialista e artigiano, chi lo catturava o lo assumeva gli offriva la possibilità di lavorare, evitandogli l'ulteriore invio in altri mercati o, nel peggiore dei casi, la morte. In tal maniera si aggregarono alla comunità cittadina originaria di Bulgar molti stranieri con religioni e costumi diversi.

Se gli schiavi si possono considerare dei “prodotti della selva” vista la loro provenienza più comune dai villaggi interni alla foresta, altri prodotti forestali di gran costo erano il miele e la cera che qui si raccoglievano. L'abbondanza di api selvatiche non richiedeva grandi impegni sulle strutture d'allevamento degli insetti, data l'abbondanza (allora!), e perciò la raccolta era un'attività semplicissima.

Il miele andava naturalmente filtrato, liberato dalla cera e da altri corpi estranei prima di metterlo in commercio ed era soprattutto usato per preparare una diffusissima bevanda alcolica del Medioevo fra le classi abbienti, l'idromele, e più raramente come dolcificante finché l'estrazione di zucchero dalle piante, ad esempio dalla canna da zucchero, non giunse a perfezione. Un uso curioso era come dentifricio mescolato con l'aceto! Famoso e buono proveniva dai Basc'kiri ancora ai tempi di Giovanni IV!

La cera anch'essa andava ripulita e era la materia prima per i candelai. Se si pensa alla richiesta di luce nelle chiese e nelle moschee, nelle regge e nelle case più abbienti, sulle navi etc. si possono contare le candele in milioni di pezzi all'anno corrispondenti a varie tonnellate di materia prima. Se poi si rammenta la tecnica della cera persa per fabbricare oggetti di bronzo, le quantità sono altrettanto consistenti e per di più con la domanda in crescita da quando i Tataro-mongoli erano arrivati in Europa con gli specialisti cinesi e le prime armi da fuoco cominciavano a circolare.

E non sono tutti qui i Tesori della Terra dell'Oscurità (come li chiama la J. Martin) perché dal nord via Bulgar giungono le zanne di tricheco, quelle di mammut (che al-Garnati le dice: ...bianche come la neve e pesanti come il piombo...), la colla di pesce, le noccioline avellane e persino i famosi falconi da caccia, tanto amati da Federico II e da Vladimiro di Kiev! C'è pure l'albero halang' menzionato da Marwazi da cui i Burtasi estraggono un succo medicinale portentoso che poi vendono. Potrebbe trattarsi del succo di betulla, benché il nome sia stato preso in prestito dall'autore alla famosa galanga importata dal Sudest Asiatico.

Seguiamo il nostro mercante proveniente dal nord che si avvia a tornare dopo aver completato le sue vendite. La rotta più corta e più frequentata per il Baltico è quella che segue fino all'Okà e la mantiene in direzione nordovest fino alle sorgenti del Volga e della Dvinà di Riga. Su questa rotta deve mettere in conto di incontrare i finni Meri (Ceremissi) che dall'VIII sec. erano in continuo movimento alla ricerca di una situazione di vita migliore. E non sono persone molto gentili. La già menzionata Storia del Khanato di Kazan nel XVI sec. ritrovava i Ceremissi vicino agli Udmurti e ai Ciuvasci e li definiva gente selvaggia e incolta da non lasciar tranquillo nessun viandante. Sono dei pregiudizi, ma non si deve d'altronde nemmeno pensare che i mercanti trattassero pacificamente con gli autoctoni quando la “raccolta” delle pellicce non era stata soddisfacente. Anzi! Di certo molti mercanti si trasformavano facilmente in pirati e razziatori per cui la fama dello straniero in queste aree non era delle migliori. Quanto poi al famoso “commercio muto” fatto con gli Ugro-finni e coi loro congeneri, in realtà, più che evitare di farsi vedere gli uni dagli altri, nascondeva lo sgomento di fronte alle numerose e frammentate lingue dei locali e l'avidità per i prodotti del cui alto valore gli stessi autoctoni fornitori non avevano la più pallida idea. La storia rientrava nel calderone delle favole raccontate per scoraggiare chi pensasse di mettersi in viaggio da queste parti a scopo di lucro, benché avesse radici molto antiche, se si pensa che già Erodoto nel V sec. a.C. ne parlava!

Le circostanze insomma erano ostili e ancora nel XIV sec., all'epoca del reverendo Stefano di Perm, i locali (Jura o Permiani-Zirieni) uccisero i monaci non appena li videro affaccendati a tagliare alberi per costruirsi un convento sulla loro terra. Comunque sia, sempre sugli Ugro-finni altre storie anche più assurde ne raccolse sia frate Guglielmo di Rubruck nel XIII sec. sia fra' Giuliano in cerca dei “parenti ungheresi” fra i Basc'kiri. Gli autori arabi accettavano addirittura l'idea che gli Ugro-finni fossero le bibliche genti di Gog e Magog che preparavano la fine del mondo!

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DELENDA PISA!