Campagna coi numidi

Nikolaus91
00lunedì 25 agosto 2014 19:46
Salve a tutti, come si evince dal titolo, ho aperto questo topic per condividere la mia campagna Estrema\Estrema coi Numidi.

Cercherò di presentarlo come un racconto inventando di passo passo la trama.

Ho deciso di farlo per paura che la Mod sia abbandonata data l'uscita di Rome 2, anche se non è tutta 'sta cosa. paura Nata dal fatto che il forum mi sembra un po' morto.

Spero di non tediarvi col racconto e vi sarò grato che se mi dare te pareri e consigli su tutto ciò che è attinente al testo. Avrei un idea per scrivere un libro ma non l'ho mai fatto ne sono bravissimo in italiano; un'altro dei motivi per cui sto scrivendo la campagna è come prova per vedere se ne sono capace.
Grazie a tutti per la lettura [SM=x1140430]

p.s. spero di non violare nessuna regola scritta sulla discussione "Leggete qui prima di aprire topic". non l'ho letta perchè non ho le autorizzazioni per farlo (?) [SM=g27982]
Nikolaus91
00lunedì 25 agosto 2014 19:59
Prologo
Kirtah appariva splendida sotto il sole cocente, circondata da campi floridi e pascoli per greggi, fra le lussureggianti colline del Nordafrica. [SM=x1140552]
Zelansen, l'Aguellid dei numidi della nobile stirpe dei Massili, ammirava la sua città, costruita dalla sua gente, mangiando datteri al fresco della sua tenda.
Era accampato su una collina nel pieno dei pascoli più distanti perché alcuni sudditi erano venuti da lui lamentandosi della presenza di un feroce leone che attaccava le pecore e nulla sembrava temere,
tanto che aveva ucciso un intera muta di cani pastore.
Quando suo figlio, l'Amajegh Gala, suo erede, lo venne sapere, non perse tempo e trascinò il padre e il fratello più piccolo, Oezalces in una battuta di caccia per debellare la minaccia di una fiera così impavida. [SM=x1140503]
Ma Zelansen aveva ormai visto mezzo secolo e non poteva stare dietro all'irruenza di suo figlio ventenne ed era rimasto al campo, con i servi, [SM=x1140507] a godere della giornata che piano piano volgeva al termine, [SM=x1140506] lasciando la caccia e la gloria alla sua giovane progenie. [SM=x1140537]
Ma c'era anche un altro motivo.
L'aria fresca e gli ampi spazi gli avrebbero permesso di meditare meglio sul futuro della suo popolo.
La sconfitta subita dal suo potente vicino, la fenicia Cartagine, ad opera dei Romani vicino alle Egadi aveva ridotto tantissimo il prestigio, il potere e l'influenza dei cartaginesi, tanto che in Africa si erano aperte, delle promettenti possibilità geopolitiche.
Uno scalpiccio di zoccoli riscosse l'Aguellid dai suoi pensieri, annunciando l'arrivo dei figli che portavano in trionfo, sorretta da quattro guerrieri a cavallo per nulla impediti dal peso, una gigantesca bestia, un imponente maschio con la folta criniera, possente anche se ormai impotente, con le zanne scoperte in un ringhio ferino impresso nella rigidità della morte, inflitta dalla punta aguzza di ben sei giavellotti.
“Padre” disse Gala saltrando a terra con un balzo, inginocchiandosi riverente di fronte all'Aguellid “ è un onore presentarti Oezalces, colui che ha ucciso lo Scannatore” [SM=x1140498]
Emulando il fratello maggiore, Oezalces, appena quindicenne, balzò giù dal cavallo barcollando quando toccò il terreno. Era pallido in volto, aveva un andatura zoppicante e aveva il braccio fasciato, ma in faccia si leggeva il più grande orgoglio.
“Ecco la bestia che attaccava le tue greggi” con un gesto imperioso della mano fece cenno ai guerrieri di scaricare a terra la fiera, che fece un grosso tonfo facendo tremare il terreno circostante.
“ E' stato incredibile padre, peccato che non c'eri” iniziò a raccontare Gala sedendosi a terra vicino al padre, mentre i servi portavano il necessario per scuoiare l'animale.
Quando trovarono il leone, la fiera senza paura alcuna gli si gettò contro e solo la rapida inversione dei cavalli e due giavellotti ben assestati la fecero desistere dall'attacco dandosi alla fuga. Da allora la inseguirono per strade a selve, non senza perderla di vista e rischiando dei suoi agguati approfittando del fatto che spesso scompariva all'occhio. Solo la caparbietà dei cacciatori gli permise di infliggerle altre tre ferite e alla fine, il leone ferito, sfinito e in trappola, cercò l'ultimo assalto per non morire da solo verso il fratellino. Ma Oezalces rimase freddo e al suo posto finché la lancia non si conficco nel cuore della fiera. Il cavallo non scartò in tempo e la bestia rovinò su Ozealces buttandolo a terra e graffiandolo con un artiglio senza vita.
Col racconto il leone piano piano fu scuoiato e sviscerato dai figli col padre che interveniva quando sbagliavano con i consigli dell'esperienza, e ben presto fu sera.
Banchettarono con le carni, col primo boccone al novello cacciatore per festeggiarlo come si deve, parlando del più e del meno, ascoltando i racconti di guerra del padre, molti insieme a Cartagine volenti o nolenti, che voleva sempre la migliore cavalleria del deserto fra i suoi ranghi fin dai tempi dove la sicilia era in mano ai greci, parlando delle femmine numide, alcune delle quali molto più feroci del leone di cui stavano assaporando le carni e di altri argomenti. La cena così in famiglia fu accompagnata da un buon vino greco, servito allungato con dieci parti d'acqua come facevano i greci quando non volevano che andasse troppo alla testa. [SM=x1140512]
Fu verso la fine del banchetto che fu spiegato il motivo di questa scelta.
Quando i servi ebbero sparecchiato lasciando solo la frutta e di che sciacquarsi la bocca, il padre con un gesto attirò l'attenzione e iniziò a parlare [SM=x1140501]
“Figli miei, è da quando la flotta cartaginese è diventata fumo per la perizia guerriera dei Romani che medito su ciò che vi sto per dire.
Il nostro popolo è sempre stato un popolo semplice di agricoltori e pastori, anche se non abbiamo mai dimenticato la nostra origine nomade e guerriera. La nostra stirpe è antica e popola queste terre da tempo immemorabile.”
“Vero” dissero i figli pieni d'orgoglio
“Mi chiedo allora come mai ci siamo ritrovati all'ombra di Cartagine. Stranieri che sono arrivati dal mare da una terra lontana. Noi li abbiamo lasciati vivere, così poco attaccati alla vita sedentaria... Ma chi poteva immaginare che sarebbero diventati così forti? Arrivarono a sedurci e corromperci, facendoli diventare loro fantocci. Fino a mandare la nostra gioventù a combattere le loro guerre.
Fino a dover chiedere il permesso per costruire un porto o un villaggio sulla nostra terra.”
Fece una pausa per vedere che effetto faceva le sue parole sui figli, e loro si chiedevano dove voleva arrivare con questo discorso.
“Ebbene possiamo mettere fine a tutto ciò. Dopo la sconfitta contro i Romani, che pure hanno ucciso molti dei nostri giovani, Cartagine è debole, dilaniata da discordie politiche e con varie tribù in aperte rivolta. E' il momento di agire” [SM=x1140523]
“Padre” lo interruppe Gala “una guerra contro Cartagine è un suicidio. [SM=x1140492] Anche se debole non riusciremo mai a vincere, e un attacco da parte nostra gli rifarebbe trovare l'unità. Già i canti di morte per i caduti percorrono le nostre vie. Con questa guerra poi non ci sarà più qualcuno che canta”
[SM=j2369094] “Sei sciocco a pensare che voglio la guerra con Cartagine.”rispose l'Aguellid “so bene che è un suicidio. Ciò che voglio dire è diverso. Cartagine ci ha sempre imposto dei limiti al nostro potere. Ci ha sempre controllato e ha influenzato tutte le popolazioni dell'Africa. Tutte sono state ossequiose, remissive e Cartagine godeva di questo potere. Quando Syphax mutilò il regno mi vietò categoricamente di riconquistarlo.”
Queste parole furono seguito da un silenzio. Syphax. Zelansen non parlava mai di lui. Una volta, prima che salisse Zelansen al trono, il regno dei numidi era molto più grande e comprendeva due grandi stirpi: i Massili, la stirpe di Zelansen e i Massesili. Alla morte del nonno un generale Massesili, Syphax, si ribellò apertamente e rivendicò come regno a parte tutta la numidia occidentale, a maggioranza Massesili. Ma il nuovo regno era debole, la maggioranza della popolazione non vedeva di buon occhio questa divisione, tanto che metà almeno delle forze di Syphax disertarono.
Per Zelansen si prospettava facile riprendere il controllo, ma i cartaginesi glielo impedirono, arrivando addirittura con una armata sotto le porte della città [SM=x1140552] chiedendo di riconoscere Syphax come re della Numidia occidentale. Ai cartaginesi gli andava bene avere delle realtà piccole sotto casa, più controllabili. Da quel punto Zelansen fu Aguellid di nome, ma vassallo di fatto.
“Una guerra contro Syphax? E' perché Cartagine dovrebbe permettercelo stavolta? Per non parlare dell'oro. L'instabilità di Cartagine sta facendo molto male hai nostri commerci, mentre Syphax commercia con tutte le tribù dell'africa occidentale.” disse Gala “e poi, padre, Cartagine la conosciamo da tempo. Dai suoi disordini ritornerà più forte, e l'aver unito un popolo di pastori come il non gli impedirà di spaccare il nostro regno di nuovo in due. Questa cosa farebbe solo più male al nostro popolo”
“Un ottima analisi figlio. Ma se dalla guerra che ho in mente potremmo avere così tanto oro da diventare qualcosa di più di pastori?” pose questa domanda con un mezzo sorriso sornione, [SM=g1546275] sperando che i suoi figli arrivassero dove era arrivato lui.
“Non c'è oro da quelle parti, padre” disse Gala
Oezalces, che fino adesso era rimasto muto e pensoso, parlò “Di la no, ma di la sì” disse indicando a sud dietro le colline.
“Là c'è solo il deserto e le tribù che vi abitano, che vagano da un capo all'altro senza meta” disse Gala, poi s'illuminò “portando merci dall'altra parte del deserto. Ma padre, la loro infedeltà è nota e commerciano molto con Cartagine, che ha molti porti sul mare”
“Cartagine, come hai notato tu prima, non da più sicurezze commerciali finché non si stabilizza. Cercheranno altri acquirenti, e saremo noi” disse Zelansen “ ma non c'è solo il deserto e i suoi nomadi, c'è anche un'oasi . Un oasi che ospita un villaggio fondato da Cartagine, che ora si autogoverna. Cartagine non se ne accorgerà nemmeno se lo prendiamo noi, troppo impegnata a tenere insieme i pezzi. Se ne accorgerà solo quando l'oasi l'avremo fatta diventare un porto sul deserto, dove tutte le carovane arriveranno a riempire di oro i nostri forzieri. [SM=x1140549] Allora potremo eliminare Syphax, rifondare la Numidia e saremo abbastanza ricchi che per Cartagine non sarà facile dividerci.” Sorrisi sui volti dei figli. Capivano il piano e capivano che era fattibile. [SM=g2584622]
“Figli miei, dovrete essere vuoi i fautori di questo progetto. Pultroppo il Fato ha voluto dare questa opportunità in età avanzata, e non so se morirò vedendo la Numidia unita, dovrete essere voi.
Dovrete essere voi a prendere per il nostro popolo l'oasi di Tucrumura.
franky317
00martedì 26 agosto 2014 14:17
Re:
Nikolaus91, 25/08/2014 19:46:

Ho deciso di farlo per paura che la Mod sia abbandonata data l'uscita di Rome 2, anche se non è tutta 'sta cosa. paura Nata dal fatto che il forum mi sembra un po' morto.




La mod non è morta ;) si sta testando la patch che ha cambiato parecchie cose ;)

Ottimo il racconto , continua così!
Nikolaus91
00martedì 2 settembre 2014 12:30
Il sole baciava le lunghe lance dell'esercito in marcia quando uscirono dalla gola che spaccava la collina in due aprendo uno squarcio sullo spazio aperto. Una grande distesa di verde assediata dalle sabbie cocenti e divorata dai branchi affamati di antilopi e gazzelle. Ed in mezzo ad essa, incastonata come una gemma su un vestito di seta smeralda, l'oasi dalle acque fresche e salvifiche, creatori del miracolo faunistico tutt' intorno.
Sorgeva in parte all'oasi una dritta e aguzza palizzata di tronchi appuntiti, a sbarrare il passo e la vista ai viandanti. La c'era l'uomo. La c'era il motivo del loro viaggio: Tocromura.
Quando videro l'esercito in marcia alla loro volta, gli abitanti al di fuori della palizzata corsero dentro, e subito le porte sbarrarono il passo.
L'esercito avanzava lentamente trascinando il tronco che sarebbe funzionato come ariete, tagliato chilometri prima con la ragione che difficilmente avrebbero trovato buon legno e in abbondanza nel oasi per i loro scopi bellici.
Il tempo ci fu, da parte del villaggio, di inviare quindi un araldo per parlare in vece di tutti loro e sincerarsi delle intenzioni di Amajegh Gala e del suo nobile fratello Oezalces.
Sul terreno piatto puoi vedere grandi distanze, quindi il tempo c'era per fermarsi sotto una macchia di acacie per ristorasi all'ombra e preparare un piccolo rinfresco per l'ospite, non senza provocare i soffi irati di qualche ghepardo, scacciato dal suo riposo.
L'araldo si avvicinava al trotto, e guidava il cavallo senza briglie ne sella ma con un bastone. Ciò era incoraggiante, se guidava il cavallo come i numidi allora era un numida.
I tappeti erano sistemati e nei calici c'era già succo fresco quando il cavaliere arrivò. Scese a terra con un balzo e consegnò il cavallo all'attendente corso li per servirlo e si avvicinò ai due fratelli. Era un uomo nel mezzo della vita con le mani dure dal lavoro e uno sguardo segnato del sole e dalla fatica di chi non trova mai il riposo se non nella morte.
Gala e Oezalces lo aspettarono in piedi, nelle loro vesti regali e l'uomo, una volta accorto che erano i due principi quelli che stavano di fronte, si prostrò a terra e bacio loro i piedi.
“Quale grande onore mi riserva il fato nel farmi incontrare i miei principi, e quale grande dolore nel vedere che sono verso casa mia con mille armati”
“Alzati, buon uomo, e ti prego, accetta il nostro invito nel sederti al nostro desco e a rinfrescarsi del nostro nettare” disse Gala, indicando con un gesto un tappeto di fronte a loro e una coppa ricolma di dissetante sostanza.
“Qual'è il tuo nome, e cosa ci fai così lontano dal tuo gregge, buon uomo?” chiese Oezalces.
“Nobili signori, io mi chiamo Bodasthart ed è stato il fato a portarmi qui. Ero un ragazzo apprendista fabbro, quasi un uomo ormai, quando i beduini del deserto mi presero in schiavitù razziando il nostro villaggio. Vagai insieme a loro per decenni, tenuto in grande considerazione fra tutti gli schiavi per la conoscenza della mia arte.
Un giorno uno dei loro capi, in contrasto col la loro natura mobile, decise di fondare un piccolo centro per meglio vendere i frutti delle loro scorrerie e commerci, e gettarono le fondamenta di questo villaggio. Io fui stabilito qui per servire i miei padroni, sempre schiavo di loro.
Non passò troppo tempo che il villaggio cresceva e finì nella brame di Cartagine. Si presentarono a noi volendo far diventare i miei padroni loro servi.
Successe così un assedio e una notte i cancelli furono aperti da un traditore. Il capo dei beduini, che non mi aveva in simpatia e non perdeva occasione per farmi torti e angherie, quando lo seppe incolpò me e mi venne a cercare con l'intento di uccidermi. Ma fui io a uccidere lui. I cartaginesi ebbero vita facile a fare strage dei guerrieri, una volta entrati, senza nessuno che coordinasse le difese. Quando fui indicato come colui che uccise il capo beduino fui sollevato dalla mia condizione di schiavitù e mi feci una famiglia sotto la dominazione cartaginese. Vissi la mia vita con tranquillità fino a quando i beduini che ancora sono la maggioranza in questo villaggio non spedirono a casa loro i funzionari di Cartagine con le mani mozzate e il piombo fuso in gola. Da allora questi selvaggi aspettano che vengano a vendicarsi, ma oggi hanno visto una armata numida avvicinarsi alle loro porte e hanno mandato me a chiedere perché.”
Dopo questo suo monologo lui guardò i suoi interlocutori, avendo già posto la domanda per cui era stato mandato.
“E' una gioia sapere per noi che la libertà alla fine ti è stata donata. Noi condividiamo lo stesso odio verso i cartaginesi e siamo venuti ad offrire a Tocromura la nostra bandiera da mettere sull'asta più alta, ed entrare nel nostro regno, con tutti i benefici che ne derivano” rispose Gala “uniti Cartagine non può farci paura. Chiediamo solo che venga riconosciuta l'autorità di mio padre su queste terre e ai suoi eredi per i secoli a venire. Se ciò accade, questi armati da domani potrebbero essere vostri, pronti a versare sangue fenicio con voi”
“Mio nobile signore, se io potessi decidere con gioia accetterei, ma questi selvaggi non vogliono l'autorità di nessuno. Sebbene sarebbero contenti di avere lance in più, vi odierebbero se sarebbero vostri sudditi e per loro sarete solo degli oppressori. Potrebbero anche accettare, ma solo finché le vostre nobili persone sarebbero in vista! Poi un destino ben peggiore di quello dato ai cartaginesi toccherebbe a chi di voi resterà qui. Mi dispiace ma con questi termini la trattativa non avrà buon esito” disse l'emissario quasi piangendo.
“Riferisci allora che i miei armati non saranno loro alleati ma condurranno la trattativa in mia vece con la forza, domani, con tutte le violenze del caso. Sappiamo che non potete vincere, siete pochi in grado di combattere contro i nostri esperti guerrieri”
“Lo farò. Nel caso i miei capi decideranno di evitare il sangue, stanotte tre fiaccole verranno agitate verso di voi. Che le stelle possano vegliare su di vuoi stanotte” disse Bodasthart.
“Che la ragione possa illuminare le vostri menti, amico mio” salutò Gala “e se le cose andranno per il peggio, disegna cavallo numide sulla tua porta. Non ti verrà fatto alcun male”.
Detto questo l'emissario se ne andò e la sera cadde. Ben presto divenne notte e poi giorno, ma nessun lume fu visto dal villaggio.

Il mattino seguente l'esercito si mise in marcia verso la cittadina, chiusa nella sua ostilità. Dalle torri di legno alte grida emisero le vedette per dare l'allarme e subito fu trambusto, gente che correva, sbarravano le porte delle case, bambini che si nascondevano in posti improvvisati e donne che si facevano colpire sul volto dai loro uomini per apparire meno desiderabili. La follia del sangue spesso portava ad azioni senza umanità.
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L'ariete, trasportato da dei mercenari libici, puntò inesorabile verso un punto preciso della palizzata, scelto dopo una attenta osservazione delle difese, perché appariva come il più lontano dalle torri e più debole e sconnesso.
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Mentre osservavano la macchina avanzare pesantemente sulla sabbia, Gala chiamò a se suo fratello.
“Prendi la cavalleria e poniti alla porta sud. Quando saremo entrati e i loro militi saranno impegnati, manderò un contingente di soldati alla porta sud per aprirla. Da li occuperete la piazza e chiuderemo il nemico fra le strette vie”.
“Si, fratello” rispose Oezalces, e al galoppo si diresse verso i cavalieri numidi, la migliore cavalleria del mediterraneo.
Con uno schianto secco la palizzata cedette e i mercenari, già pregustando il bottino, sciamarono dentro come locuste. Ma davanti a loro, fieri e orgogliosi, si ergevano i cittadini, cuore impavidi e lance aguzze erano le loro armi, le loro case la loro determinazione. Ma i mercenari non si scomposero, misero mano ai giavellotti e fecero piovere su di loro una pioggia letale. E già altri soldati si gettarono dietro di loro dentro la breccia.
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Il capitano nemico, vedendo i nemici sciamare dentro la cinta, giocò il tutto per tutto e mandò i suoi cavalieri contro i giavellottisti mercenari.
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Essi ressero titubanti l'urto, armati di un solo coltello, aspettandosi l'ordine della ritirata. Che non venne. I mercenari! Uomini violenti e con la realtà verso il solo soldo, che un giorno ti sorridono e il giorno dopo ti accoltellano, bocche da sfamare e denaro speso e violenza in più se vittoriosi quel giorno. Gala li lasciò lì, a morire per permettere alla sua leva, ai suoi compaesani, di schierarsi dietro di loro e di andare ad aprire le porte e ad attendere la fine del mattatoio per affondare le loro lance nelle carni degli equini e dei loro fantini. Non ressero. Si dettero alla fuga, i mercenari, perdendo paga e bottino e stupri. Erano morti quasi tutti. Solo allora le lance numide intervennero.
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I cavalieri si lanciarono all'attacco, cercando di aprire varchi fra le fila per permettere alla loro fanteria di insinuarsi. Ma era troppo tardi. Le porte sud erano aperte.
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La cavalleria numide si lanciò contro le porte ad un comando di Oezalces, ma lui non andò. Forse il suo cuore era grande per uccidere una fiera, ma le grida di morte che venivano dalla breccia lo turbavano nel profondo. Uccidere uomini non era la stessa cosa.
Il primo cavaliere numide che si era buttato alla ricerca della gloria, all'improvviso voltò la sella scagliando giavellotto lanciando un grido “Escono dalle fottute pareti!” perché assistette ad un prodigio.
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La città non voleva arrendersi! Anche i mattoni diventavano soldati! Ma per quanto avessero valore, con la cavalleria alle spalle e piano piano la fanteria che avanzava dalla breccia sui corpi di chi li aveva contrastati, nulla si poteva fare contro la potenza numide e morirono sulla piazza nell'ultimo mattatoio della giornata.
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Nikolaus91
00martedì 2 settembre 2014 12:31
p.s. mi scuso per la qualità delle immagini. non ho mai caricato immagini, devo ancora prendere il metro giusto di risoluzione (=
Nikolaus91
00giovedì 18 settembre 2014 14:59
Scusate e tutti, ma devo interrompere il racconto.

Purtroppo ho trovato lavoro, me è adesso molto difficle trovare tempo per scrivere.

Pubblicherò il seguente capitolo quando riuscirò a scriverlo
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