Cronaca Machiavello 8.0 Spicciolati d'Italia

Legio XIII gemina
00giovedì 24 maggio 2012 18:53
Patrimonium Sancti Petri
Salve a tutti [SM=g27985]. Questa è una cronaca che ho postato l'anno scorso sul forum Total War Games Italia, alcuni di voi già la conoscono, comunque l'ho voluta mettere anche qui come modesto tributo a tutti coloro che hanno lavorato per realizzare questa fantastica mod e più in generale tutta la serie di Machiavello!

p.s. posterò la cronaca a pezzi perchè è molto lunga.

Machiavello 8.0
AAR Patrimonium Sancti Petri in Machiavello 8.0 Spicciolati d'Italia
Difficoltà di campagna: Media
Difficoltà di battaglia: Molto Alta

La seguente cronaca è un omaggio al Forum. Continuerò ad aggiornare la AAR facendo un post per ogni pontificato che si succederà, questo per dire che per alcuni ci potrebbe volere diverso tempo relativamente alle dinamiche di gioco e alle mie possibilità di tempo. Ho cercato di mettere un po' di dettagli storici per dare più colore al racconto della campagna. Sicuramente ci sono diversi errori ed imprecisioni, se ne trovate fatemeli notare per correttezza nei confronti del forum. Ovviamente la vita dei personaggi storici è stravolta avendo fatto andare le cose in maniera diversa dalla storia, ma questo è il bello della Total War.
Buona lettura!

Vester Legio XIII Gemina





«... . Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell'anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
Iustiniano, se la sella è vota?
Sanz'esso fora la vergogna meno. ...»

versi 76-90 Canto VI del Purgatorio, Divina Commedia, Dante Alighieri


«Ad Italiam Salve, cara Deo tellus sanctissima, salve tellus tuta bonis, tellus metuenda superbis, tellus nobilibus multum generosior oris, fertilior cuntis, terra formosior omni, cincta mari gemino, famoso splendida monte, armorum legumque eadem veneranda sacrarum Pyeridumque domus auroque opulenta virisque, cuius ad eximios ars et natura favores incubuere simul mundoque dedere magistram. Ad te nunc cupide post tempora longa revertor incola perpetuus: tu diversiora vite grata dabis fesse, tu quantam pallida tandem membra tegant prestabis humum. Te letus ab alto Italiam video frondentis colle Gebenne. Nubila post tergum remanent; ferit ora serenus spiritus et blandis assurgens motibus aer excipit. Agnosco patriam gaudensque saluto: Salve, pulcra parens, terrarum gloria, salve!»

«O nostra Italia! Salve, terra santissima cara a Dio, salve, terra ai buoni sicura, tremenda ai superbi, terra più nobile di ogni altra e più fertile e più bella, cinta dal duplice mare, famosa per le Alpi gloriose, veneranda per gloria d’armi e di sacre leggi, dimora delle Muse, ricca di tesori e di eroi, che degna d’ogni più alto favore reser concordi l’arte e la natura e fecero maestra del mondo. A te voglioso dopo tanto tempo io ritorno per non lasciarti mai più: tu alla mia vita darai grato riposo e alfine mi concederai nel tuo seno tanta terra quanta ne ricoprano le mie fredde membra. Pieno di gioia io ti contemplo, o Italia, dall’alto del frondoso Monginevro; rimangono alle mie spalle le nubi e un vento soave mi colpisce la fronte, mentre l'aria salendo con moto leggero mi accoglie. Riconosco la mia Patria e gioioso la saluto: salve, mia bella madre, salve o gloria del mondo!».

Ad Italiam (Epyst., III 24), Francesco Petrarca



«.... Non si debba adunque lasciare passare questa occasione, acciò che la Italia dopo tanto tempo vegga uno suo redentore. Né posso esprimere con quale amore e’ fussi ricevuto in tutte quelle provincie che hanno patito per queste illuvioni esterne: con che sete di vendetta, con che ostinata fede, con che pietà, con che lacrime. Quali porte se li serrerebbano? quali populi li negherebbano la obedienza? quale invidia se li opporrebbe? quale Italiano li negherebbe l’ossequio? A ognuno puzza questo barbaro dominio. Pigli adunque la illustre Casa Vostra questo assunto con quello animo e con quella speranza che si pigliano le imprese iuste; acciò che sotto la sua insegna, e questa patria ne sia nobilitata, e sotto li sua auspizi si verifichi quel detto del Petrarca:

Virtù contro a furore
prenderà l’arme; e fia el combatter corto,
ché l’antico valore
nell’italici cor non è ancor morto. »

dal capitolo XXVI "Exhortatio ad capessandam italiam in libertatemque a barbaris vindicandam" del De Principatibus, Niccolò di Bernardo dei Machiavelli


Patrimonium Sancti Petri
Anno Domini 1441







Pontificatus Eugenii IV ( 1431-1449 )

Lo Stato Pontificio si trova nel 1441 in un momento difficile della sua storia. Dopo la Cattività Avignonese e lo Scisma d'Occidente, la figura del Papa si trova ad essere fortemente ridimensionata nella sua autorità politca e religiosa. In tutta Europa si sono da tempo diffuse ideologie di protesta che denunciano la corruzione della Chiesa e a gran voce si richiede una riforma morale e strutturale della stessa. Le condanne di Wycliffe e Hus, condannati al rogo a seguito del Concilio di Costanza ( il primo dei quali a 50 anni dalla sua morte ), sono dei precari mezzi per arrestare le critiche nei confronti di tutte le contraddizioni fondanti la Chiesa di Roma ed il suo potere terreno: esse ormai si propagano sempre più velocemente non solo nelle cerchie elitarie degli studiosi ma anche nell'ascendente e dinamico cetto medio europeo, nelle università, intrecciandosi anche con i nascenti sentimenti nazionali che avversano l'ingerenza di un Papa italiano sugli affari politico-religiosi dell'intera Europa. Nel 1440, dopo gli scritti di Niccolò Cusano, il presbitero Lorenzo Valla compone nella capitale pontificia il celebre De falso credita et ementita Constantini donatione, che pubblicato nel 1517, sarà una delle prove più lampanti utilizzate dai protestanti per dimostrare l'illiceità del potere temporale dei vescovi di Roma. Le isitituzioni ecclesiastiche detengono un immenso potere economico e territoriale in tutti i maggiori reami cristiani ed i sovrani osservano con cupidigia gli enormi profitti derivanti da esse nella speranza di potersene appropriare: ad esempio con la Prammatica Sanzione di Bourges del 1438, la stessa Francia di Carlo VII, pur evitando insieme all'Imperatore Sigismondo di Lussemburgo il verificarsi di un nuovo scisma già poco dopo il Concilio di Costanza, istituisce una sorta di legame più stretto tra la Chiesa francese ed il proprio Re, ridimensionando l'ingerenza della Santa Sede nel reame. Sul piano internazionale anche l'antico dualismo Papa-Imperatore è ormai solo una formalità: nonostante le vicissitudini Papato e Impero si erano sempre legittimati a vicenda nel corso dei secoli mantenendo un rapporto ambiguo ma autorevole e riconosciuto nella cristianità: tuttavia ora l'Imperatore ha perduto gran parte dell'influenza politica originaria sull'Europa e la sua autorità, limitata alla Germania, è in gran parte legittimata solo con il consenso dei Principi elettori. Dopo la Cattività Avignonese il governo di Roma trova difficoltà anche nel dominare i suoi affari interni: mentre Venezia, Firenze, Milano, Napoli, Genova, Ferrara e gli altri potentati italiani costituscono dei forti poteri internazionali per la maggior parte in netta ascesa economica, culturale, tecnologica, lo Stato Pontificio è povero e decaduto. Roma è poco più che un borgo, le fazioni romane lottano l'una contro l'altra e molti vassalli pontifici sono praticamente indipendenti da Roma. Eugenio IV ( Gabriele Condulmer ), e la Curia Romana comprendono che al fine di riportare il Papato ad ottenere maggiore prestgio nella Cristianità, l'unica via è far si che esso non subisca ingerenze politiche dall'esterno ( soprattutto straniere ), e che diventi una grande istituzione forte ed indipendente, mettendosi al passo degli altri stati italiani. Per riuscire in questa grande impresa saranno necessari anni, soldi, duro lavoro, guerre ed un notevole sforzo interno allo Stato Pontificio, povero di mezzi e di risorse. A Basilea il nuovo concilio ha dato luogo ad un altro piccolo scisma con un nuovo antipapa. L'idea di una riforma morale della Chiesa non viene giudicata totalmente sbagliata a Roma, ma il nepotismo e la simonia sono "mali" troppo diffusi e peraltro fruttuosamente strutturanti la Chiesa da potersene sbarazzare: le macchinazioni politiche e militari appaiono come il mezzo più veloce per avviare una riforma quanto meno poilitca dello Stato Pontificio. Tra i colti ecclesiastici di Roma si avverte inoltre l'esigenza di una rinascita civile e poltica di Roma, la volontà di ricostruire un forte Stato Pontificio indipendente da ogni potere straniero. Eugenio IV, sebbene veneziano, rimane fortemente colpito dalla visione della Città Eterna e si innamora dell'idea di riconsegnare ad essa la forza e l'autorità che l'avevano contraddistinta nel passato, mirando a strapparla al degrado, alla violenza e alla miseria in cui essa versa, essendo stata per troppo tempo privata della Curia e lasciata in mano alle vendicative e violente famiglie nobili romane. Per ora l'immagine di un forte Stato Pontificio è ancora lontana, ma si è ancora in tempo per realizzarla, in particolare sfruttando i vari eventi della politica italiana.

Nell'ottica di una "ricostruzione" dello Stato Pontificio, Eugenio IV e la Curia decidono che il primo passo vada compiuto rafforzando l'autorità del Papato con una mossa ferma e decisa in Italia. Lo Stato Pontificio non è sufficientemente forte per espandersi contro potentati vicini: tuttavia le città di Bologna ed Ancona, strappate al Papa dal Ducato di Milano, rappresentano un ottimo obiettivo. Queste città sono ricche, entrambe in una posizione geografica strategica, relativamente sguarnite: circondate dai territori pontifici, con una manovra militare abile e fulminea potrebbero passare in breve a far parte del Patrimonio di San Pietro. Eugenio IV inoltre garantirebbe con l'annessione di queste città un appoggio alla sua amata Serenissima contro gli odiati Visconti, strappando ad essi due centri di vitale importanza tra cui uno dei più grandi porti dell'Adriatico, senza contare il miglioramento temporaneo dei rapporti con Firenze e di altri stati nemici di Milano. Nel Marzo del 1441 Eugenio IV lancia la scomunica a Milano, i comandi militari pontifici vengono messi in moto e nella primavera del 1441 due eserciti guidati rispettivamente dai generali pontifici Astorre II Manfredi Signore di Imola ( it.wikipedia.org/wiki/Astorre_II_Manfredi ), ed Everso degli Anguillara ( it.wikipedia.org/wiki/Everso_degli_Anguillara ), di circa 2000 uomini ciascuno, ben riforniti, attaccano il primo Bologna e il secondo Ancona ( quest'ultimo con delle truppe inviate da Urbino ). Gli ordini del Papa sono chiari: gli assedi devono durare il meno possibile, onde impedire l'arrivo di rinforzi milanesi che sbaraglierebbero facilmente le inesperte armate pontificie: per questo motivo vengono stanziati dei fondi per l'ingaggio di cannoni mercenari allo scopo di fare breccia tra le mura delle città e di guidare un assalto senza attendere oltre. Il 4 Aprile del 1441 Astorre II Manfredi giunge sotto le mura di Bologna e il 10, dopo aver disposto il campo e le truppe tra il torrente Savena e il lazzaretto sgombrato dai Milanesi, assalta la città: alle prime luci del mattino i Pontifici cominciano a cannoneggiare pesantemente le mura orientali bolognesi poco più a nord di Porta Maggiore; dopo poche ore una parte delle mura è completamente sbrecciata, La Chiesa dei Servi di Maria viene danneggiata dalle artiglierie romane. Astorre II Manfredi da ordine alle truppe di caricare e la cavalleria pontificia si getta nella breccia facendo strage delle esigue ed impreparate milizie milanesi posizionate dietro le mura: in breve tempo irrompe nelle mura anche la fanteria pontificia costituita da montanari dell’Appennino e milizie leggere di municipalità umbre e marchigiane che ingaggiano una dura lotta contro i temuti e rinomati spadaccini bolognesi, giunti nel frattempo in soccorso dei compagni travolti dalla cavalleria nei pressi di Porta Maggiore. Le milizie romane resistono, ingaggiando dei combattimenti durissimi con i Bolognesi i quali si battono come leoni. In breve Astorre si fa strada a colpi di spada tra i Milanesi e giunge con la cavalleria papale in Piazza Maggiore ingaggiando una furiosa lotta contro il comandante milanese Francesco Piccinino ( it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Piccinino ), e la sua scorta di cavalieri. Nella lotta il comandante milanese cade da cavallo sotto la Basilica di San Petronio: ferito a morte, da un'ultima occhiata alla croce in cima alla Basilica e viene finito a colpi di spada da alcuni cavalieri pontifici. Alla fine della giornata le belle strade ed i magnifici portici di Bologna sono disseminati di uomini morti o agonizzanti, mentre le soldataglie pontificie si abbandonano ai saccheggi per le case. La Dotta, la Grassa, la Rossa è tornata a far parte del Patrimonio di San Pietro, le truppe papali si insediano in città permanentemente e Astorre II Manfredi viene in seguito nominato governatore della città nonché Signore della Romagna.
L'assalto di Ancona, nonostante le previsioni favorevoli ai papali, si rivela al contrario di quello di Bologna più difficile del previsto: la battaglia viene combattuta nel 18 Aprile 1441. Everso degli Anguillara ha disposto ordinatamente le truppe papali di fronte alla città con l'idea di far avanzare verso le fortificazioni nemiche simultaneamente cavalleria e fanteria da mischia coperte dai numerosi balestrieri eugubini, diverse unità di pistolettieri e artiglierie: i Milanesi capitanati dal condottiero Bosio Sforza si barricano nella città come possono. L'assalto comincia di mattina con un tempo nuvoloso e ventosa e viene guidato bene da parte dei romani : tuttavia le milizie milanesi resistono le bloccano quelle pontificie sulle fortificazioni, mentre la cavalleria papale, trovata una via aperta, sale disordinatamente in città verso il Colle Guasco senza difficoltà ma separandosi dal grosso dell'armata. Vedendo la fanteria romana in difficoltà, Everso invia balestrieri e schioppettieri vicinissimi alle fortificazioni per colpire più duramente i milanesi, dopodichè si lancia anch'egli in città raggiungendo la cavalleria: le artiglierie continuano a far fischiare proiettili ovunque sulle fortificazioni milanesi, mentre lo scontro si intensifica nella sua violenza. In certi punti i Milanesi sono costretti a combattere i Pontifici dando le spalle ai balestrieri nemici e venendo feriti a decine, senza contare l’artiglieria papale che ogni tanto centra qualche soldato mandandolo in mille pezzi tra il fumo, le urla e i fischi. Bosio Sforza decide di intervenire e scende con la sua cavalleria nei pressi delle fortificazioni, ma i cavalli vengono impressionati dai proiettili dei pistolettieri dei cavalieri pontifici che sparano disordinatamente in ogni direzione spaventati dall’inaspettato arrivo della cavalleria. Bosio si rende solo ora conto che il grosso della cavalleria romana è già entrata in città, e decide di tornare sul colle Guasco: mai scelta fu più sbagliata. Bosio aveva infatti l'opportunità con la cavalleria pesante di travolgere le milizie leggere nemiche, i balestrieri e gli schioppettieri, mentre le artiglierie romane avevano quasi esaurito i colpi, ed invece si ritira. Durante tutta la giornata si combatte per tutta la città e le truppe romane riescono a distruggere quelle milanesi, nonostante le gravi perdite: alla sera la città è presa e tra il fumo ed i lamenti dei feriti Everso degli Anguillara entra nel Duomo di San Ciriaco, seguito dalla sua scorta cavalieri: con le mani insanguinate, la polvere sull'armatura, il fisico provato, il cuore gonfio di orgoglio e di gloria, egli ringrazia Dio per la vittoria e chiede perdono per le azioni di violenza compiute nella giornata. Il Conero è del Papa: Roma è riuscita a strappare a Milano due città di notevole importanza con azioni ben condotte e con il vantaggio della sorpresa: il misero esercito pontificio, concentrato nei giusti punti, ha inferto a Milano un duro colpo. Alla notizia delle due vittorie il popolino romano va in estasi, osanna il Papa e si dedica con spensieratezza a quello che da secoli riesce a fare meglio, cioè festeggiare mangiando e bevendo, ma questa volta con un senso rinato di orgoglio: Piazza Navona e Piazza del Popolo rimangono animate per giorni e giorni ed Eugenio IV esulta per l'insperata e magnifica vittoria. Nel frattempo a Milano costernazione ed incredulità pervadono la cittadinanza: il vecchio Duca Filippo Maria Visconti ( it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Maria_Visconti ), accoglie con sgomento e rabbia la notizia delle perdite del Ducato, il quale già versa in condizioni difficili politicamente ed economicamente e che si trova adesso in un momento molto difficile della sua storia. Per anni Filippo Maria ha dovuto creare equilibri e compromessi, sia in politica interna che esterna: alcuni anni prima egli aveva già ceduto Imola e Forlì all'odiato Eugenio IV e questo ora, con audita sfrontatezza, lo scomunica annettendo i domini ducali nel centro Italia. L'affronto è grande, ma la minaccia di una guerra lo è ancora di più. Il Ducato di Milano è costretto a chiedere perdono al Papa per evitare una nuova guerra: Eugenio IVrevoca la scomunica e si intavolano accordi commerciali tra Roma e Milano. La pace tra Milano e Venezia nello stesso anno porta alla cessione di Peschiera, Legnago e Ravenna a Venezia. Eugenio IV non ha in mente di annichilire Milano: Milano si può tenere a bada ma non annientare, perchè ancora troppo potente: adesso è ora per il Papa di compiere politiche interne efficienti...ma Dio vuole che gli equilibri italiani vengano turbati nuovamente, questa volta ad opera di un popolo straniero, fiero e con grandi mire espansionistiche in Italia e nel Mediterraneo, gli Spagnoli.
Alfonso V Re d'Aragona era già giunto in Italia nel 1435 per conquistare i domini angioini nel regno di Napoli, occupando Capua e mettendo sotto assedio Gaeta. Nella battaglia navale di Ponza Alfonso e suoi fratelli furono catturati dai genovesi al soldo dei Visconti e furono imprigionati. Filippo Maria Visconti decise infine di rilasciare gli illustri prigionieri senza riscatto e anzi accettando il titolo formale di Alfonso di nuovo Re di Napoli, preferendo ritirarsi dalla lega anti-spagnola e contrastando così i Francesi: subito dopo Alfonso tornò in Campania, rioccupò Capua e marciò definitivamente su Gaeta. Il 10 novembre 1441 Alfonso mette sotto assedio Napoli.
Eugenio IV, che ha sempre avversato gli Aragonesi, decide di sfruttare la situazione attuale a suo favore: la Campania è devastata dalla guerra e la situazione sembra buona per una possibile espansione territoriale da parte dello Stato Pontificio. Eugenio invia nel 1442 una missiva per chiedere ad Alfonso la cessione di Gaeta al Patrimonio di San Pietro e questi accetta, in cambio di 60.000 fiorini, molto utili per stipendiare i mercenari e le milizie alle proprie dipendenze. Gaeta è una città importantissima per il dominio del Tirreno, nonchè una minaccia per la stessa Roma se lasciata in mano aragonese. L'insediamento delle truppe pontificie è rapido e senza disordini. Il re di Napoli Renato d'Angiò rimane sorpreso dal gesto del Papa ma è sicuro dell'alleanza con il Papa ed attende aiuti fiducioso. Tuttavia il Sommo Pontefice tergiversa: egli non ha ancora milizie sufficienti per affrontare l'esercito aragonese, o meglio, ne potrebbe avere ma non ha intenzione di immischiarsi nella guerra prima del tempo. Dopo molte insistenze angioine il Papa offre 50.000 fiorini agli Angioini in cambio della cessione dell'antica e importante fortezza di Castel di Sangro. Grazie al contributo papale Renato d'Angiò riesce a reclutare una possente armata e a scacciare nel 1443 le truppe aragonesi impegnate nell’assedio a Napoli, la città è momentaneamente salva. Queste annessioni territoriali da parte del Papa contro pagamento sono mirate a far acquisire gradualmente nuove terre allo Stato Pontificio, indebolendo nella penisola i poteri forti come quello aragonese ed angioino senza l’uso delle armi. Alfonso V non si da per vinto e riorganizza i suoi eserciti a Capua in vista di un nuovo assedio di Napoli.

Tra il 1442 e il 1448, lo Stato Pontificio avvia dei profondi cambiamenti amministrativi ed attua piani di ricostruzione nei suoi territori. Il Papa comincia ad inviare nelle varie città dello Stato suoi fidi collaboratori, tra cardinali e condottieri. Il loro insediamento si propone di mantenere il controllo diretto sui vassalli o di causarne la distruzione in caso di rivolta. In questi anni si devono sedare con la forza molte rivolte contro il potere di Roma. Il pungo di ferro di Eugenio IV non ammette alcun tipo di pietà nei confronti dei ribelli, nemmeno quella cristiana. La repressione continua brutale e viene accompagnata da atti inauditi di violenza da parte dei soldati papali, ai quali viene promessa una grande parte del bottino in caso di vittoria: per risparmiare si utilizzano milizie locali e/o contadini invece che mercenari. In questo periodo numerose città quali Tivoli, Sutri, Anagni, Frascati, Montefiascone, Pesaro, Senigallia, Macerata e San Benedetto ( del Tronto ), vengono messe a ferro e fuoco. I risultati di questa repressione hanno effetti positivi per il potere romano: in soli 6 anni tutti i vassalli dello Stato Pontificio ( tranne l'ostico borgo di Rieti ), sono tornati all'ordine. Le famiglie nobili romane, pur continuando a calcolare nuovi modi “illeciti” che le possano far primeggiare sulle altre, vengono tenute tranquille con elargizioni di terre e possedimenti nei territori appena riportati all’ordine, tuttavia il Papa tiene sempre pronte spie e assassini per intervenire contro i capi più pericolosi. Eugenio IV fa inoltre occupare il possedimento dei Colonna a Palestrina da parte delle truppe del prefetto e cardinale Giovanni Maria Vitelleschi ( it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Maria_Vitelleschi ), e bandisce i Colonna dallo Stato Pontificio, confiscandone numerosi beni: in seguito molti Colonna ottengono perdono dal Papa e vengono riammessi a Roma. Contemporaneamente a tutto ciò si avvia anche il piano di ricostruzione: in tutto lo Stato Pontificio vengono costruite strade di pietra ( sostitue a quelle di fango ), rendendo più facili gli spostamenti degli eserciti e dei mercanti. Le opere richiedono costi e manodopera ingenti ( per fare fronte a queste spese il Papa congeda anche le due piccole flotte del Tirreno e dell’Adriatico ), ma la maggior parte delle strade viene rimessa in sesto e tutta l'economia del centro Italia comincia a giovarne. Sotto il Pontificato di Eugenio IV Roma cresce demograficamente e viene costruita una nuova parte di mura per proteggere i nuovi rioni: lo stesso viene fatto ad Ascoli e a Faenza, che ottengono delle mura di pietra tutte nuove. Oltre a questo viene avviato un piano di rinascita economica fornendo capitale ad alcuni mercanti i quali hanno l'obbligo di riversare allo Stato Pontificio metà dei profitti derivanti dagli investimenti: questi personaggi vengono inviati in tutta Italia e riescono ad ottenere ottimi successi economici soprattutto con il commercio di stoffe pregiate tra Lucca e Firenze, ma anche in Veneto e in Lombardia. Allo stesso tempo Roma stipula trattati commerciali con molti potentati italiani, quali Firenze, Ferrara, i Savoia, il Monferrato, Genova e il Ducato di Calabria. A seguito di ciò, soprattutto in Romagna e nelle Marche si insediano numerose gilde dei mercanti. La religione non ha un ruolo secondario in questo piano di ricostruzione: in tutto lo Stato Pontificio vengono edificate nuove chiese, abbazie ( come quella di Rimini ), vengono istituite nuove sedi di diversi ordini ( soprattutto di Carmelitani ), e nuovi sacerdoti vengono oridinati. In alcune zone del Lazio ( soprattutto intorno a Velletri ), si propagano dei movimenti eretici che vengono stroncati sul nascere dall'Inquisizione. Nel 1443 termina il Concilio di Firenze che sancisce la formale unificazione della Chiesa Romana e quella di Bisanzio, a causa dell'avanzata ottomana che minaccia Costantinopoli. Nel 1445 il Filarete costruisce a Roma la porta centrale della Basilica di San Pietro. Eugenio IV è un uomo colto e raffinato, viaggia più volte a Firenze ed ospita a Roma anche Beato Angelico e il pittore francese Jean Fouquet. Lo Stato Pontificio è ancora povero, ma in pochi anni è stato fatto molto per ridare ordine e gettare le basi per un futuro più prospero, grazie a piani ponderati ed intelligenti.

Eugenio IV nel 1448



Nel 1448 la guerra tra Angioini ed Aragonesi è ancora nella sua fase più intensa: la Campania è un unico grande campo di battaglia, tra Capua e Napoli si combatte ininterrottamente senza però che una delle due parti riesca a raggiungere la vittoria decisiva. Tuttavia la guerra sta distruggendo l'economia napoletana che non riesce più ad avere un porto libero sul Tirreno, mentre gli Aragonesi possono fare affidamento su nuove truppe e rifornimenti provenienti dalla Sicilia. Eugenio IV e la Curia Romana si consultano: sembra sia arrivato il momento di prendere le armi contro gli Aragonesi. Già dall'anno prima lo Stato Pontificio ha inviato Giovanni Maria Vitelleschi a Gaeta con l'ordine di costituire delle armate in grado di combattere contro gli eserciti aragonesi, marciare su Capua, eliminare l'influenza spagnola in Italia, ottenere nuovi territori campani e ricollegare l'Arcidiocesi di Benevento direttamente ai territori papali. Il Vitelleschi recluta due armate da Gaeta e Pontecorvo: per la maggior parte esse sono costituite da cavalieri gravi locali, cavalieri mercenari napoletani, poche unità di militi appiedati ed un buon gruppo di balestrieri professionisti. Nella primavera del 1448 le due armate pontificie, di circa 2000 uomini ciascuna e ben rifornite di salmerie, guidate rispettivamente da Giovanni Maria Vitelleschi e da Alessandro Massimi ( un giovane e crudele pupillo del Papa, già noto per i massacri di Tivoli e Fara in Sabina ), scendono in Campania. Le due armate seguono per un tratto il percorso della via Appia, dopodichè il Vitelleschi passa a nord di Roccamonfina, verso Capua, mentre il Massimo passa da sud, verso Castel Volturno. Il 20 Aprile il Vitelleschi pone il campo presso Vitulazio, a poche miglia da Capua, sfidando gli Aragonesi e cercando di raccogliere informazioni sulla posizione dell'esercito angioino stanziato a nord di Napoli. Le spie avvistano il 24 Aprile un'armata aragonese provenire da Capua, con l'intento di dare battaglia: il comandante al servizio aragonese Jacopo Caracciolo è stato inviato da Alfonso V d'Aragona per sconfiggere l'armata pontificia del Vitelleschi. L'esercito papale viene immediatamente mobilitato e viene schierato sulle alture a nord di Vitulazio. La giornata è nuvolosa: nel primo pomeriggio si avvistano le truppe aragonesi avanzare verso i colli: l'esercito spagnolo è costituito da poco più di 2000 uomini, prevalentemente da milizie leggere, picchieri del Tercio, qualche unità di cavalleria mercenaria e due bombarde. Le artiglierie aragonesi accompagnano l'avanzata, causando alcuni morti tra i ranghi romani: un noto cavaliere di Pontecorvo viene decapitato da un colpo di bombarda. Mentre la fanteria spagnola avanza il Vitelleschi si lancia insieme alla numerosa cavalleria romana contro il fianco destro aragonese nei pressi di Bellona per annientare la cavalleria nemica: lo scontro è estremamente violento. La fanteria spagnola si dirige verso Bellona per contrastare i cavalieri papali e questa è occasione per i balestrieri pontifici per cominciare a bersagliare i fanti del Tercio sui fianchi. Poco dopo la fanteria mercenaria napoletana al soldo del Vitelleschi si lancia all'assalto della fanteria del Tercio. Anche Jacopo Caracciolo si lancia nel folto della mischia con l'intento di fare breccia tra le truppe romane. Ormai i campi tra Vitulazio e Bellona sono un unico grande campo di battaglia. Le frecce papali continuano a saettare sulla fanteria spagnola e i cavalieri romani riescono, pur con notevoli perdite, ad annientare la cavalleria aragonese. Nella mischia Jacopo Caracciolo viene colpito da un colpo di balestra nel petto e viene condotto fuori dalla mischia dove, disteso dagli armati su una paglia, esala l'ultimo respiro. I soldati aragonesi non hanno più speranza di vincere e, fuggendo per i campi, vengono massacrati dalla cavalleria romana. Solo pochi Aragonesi riescono a guadagnare il Volturno alla fine della giornata. Giovanni Maria Vitelleschi ha nuovamente dimostrato le sue mirabili capacità di condottiero annientando un'armata aragonese. Renato d’Angiò esulta di gioia a Napoli con la suca corte. Alfonso V è a Capua ed apprende la notizia della disfatta e della morte di Caracciolo con preoccupazione. Aflonso ha già molte armate nella penisola, ha difficoltà troppe difficoltà per reclutarne altre in Campania e allo stesso tempo deve tenere a bada gli Angioini ed il Papa: così egli decide di recarsi a Castel Volturno per imbarcarsi per la Sicilia e cercare di organizzare nuovi contingenti con calma sull’isola. Il 29 Aprile la scorta del Re d'Aragona viene sopresa dalle forze di Alessandro Massimo che ha guadato il Volturno il giorno prima: le truppe reali sono prese dal panico e cercano rifugio insieme ad Alfonso verso Mondragone in una rocambolesca corsa attraverso il fiume e per i prati, ma la cavalleria papale più leggera ben presto le raggiunge e Alfonso è costretto ad arrendersi dopo un combattimento disperato dove i cavalieri della sua guardia dimostrano tutto il loro valore. Il Papa ha nelle sue mani il Re d'Aragona! Il re spagnolo viene portato a Gaeta dove giunge l'ordine del Papa Eugenio di rilasciarlo sotto riscatto. Generosamente il Papa impone solo il pagamento di 13000 fiorini e ordina che Alfonso faccia ritorno a Capua ( mentre gli accessi al mare fino a Napoli sono bloccati dalle truppe pontificie e angioine ). Alfonso è profondamente ferito nell'orgoglio e si sente svilito dagli eventi: tornato a Capua, ordina alle truppe di prepararsi ad un assedio lungo ed estenuante, ma la situazione è critica e gli spagnoli lo avvertono.
Il Vitelleschi, dopo aver medicato i feriti della battaglia di Vitulazio ed aver attinto grano, vino e donne dalle campagne napoletane, marcia verso Capua passando il Volturno poco più a nord; decide poi di dare battaglia ad un'armata aragonese che si trova accampata a poche milgia dalle mura della città. La mossa è molto azzardata, ma i pontifici possono agevolmente ritirarsi avendo presidiato il guado sul Volturno. Tra i soldati il morale è alto ma la decisione di Giovanni Maria appare avventata anche ai soldati più coraggiosi. La mattina del 2 maggio 1448 le truppe romane vanno all'assalto del campo aragonese ed ingaggiano un combattimento intenso. Le truppe spagnole subiscono numerose perdite, ma da Capua cominciano a giungere molti soldati in rinforzo, e dopo poche ore dall'inizio dalla battaglia, anche il Re Alfonso arriva sul campo con la sua scorta di cavalieri. Le linee papali sono salde ma perdono uomini di minuto in minuto e, per quanto i balestrieri romani colpiscano molti soldati spagnoli, la battaglia comincia a volgere male per i pontifici. Si pondera l'idea di ritirarsi fino al Volturno ma improvvisamente la cavalleria aragonese si lancia contro la fanteria e i tiratori papali, riuscendo anche a bloccare tutte le vie di fuga nemiche. I balestrieri romani vengono massacrati dai cavalieri spagnoli, rivoli di sangue tracciano il terreno, i soldati papali cercano invano di mettersi in salvo tra gli alberi. Giovanni Maria comprende la gravità della situazione: è colpa sua se così tanti giovani uomini stanno rendendo la loro anima a Dio, solo con il riscatto della sua vità potrà forse ottenere il perdono dall'Onnipotente. Il Vitelleschi abbassa la visiera, da l'ordine ai suoi compagni di caricare nel punto più fitto della mischia, fa suonare i corni e si lancia alla carica con un grido di battaglia contro le linee spagnole. La sera stessa il Re Alfonso d'Aragona ed i suoi uomini ritornano mestamente a Capua con la vittoria, una vittoria molto sudata e ha fatto perdere agli Aragonesi gran parte delle loro truppe. In un campo campano sotto il cielo stellato, rimangono centinaia di corpi esanimi di uomini valorosi, tra i quali quello del cardinale Giovanni Maria, caduto eroicamente dopo aver fatto strage di nemici.
Dopo alcuni mesi di scaramucce nel napoletano Alessandro Massimi pone sotto assedio Capua, che si appresta a resistere per lunghissimo tempo, avendo fatto incetta di beni e mandrie in tutte le campagne dominate dagli spagnoli, causando la morte per stenti di molti contadini. La costa tirrenica è presidiata da avamposti papali e francesi e Alfonso V si rende contro di trovarsi in una trappola che potrebbe risultargli fatale. Nel 1449 viene ucciso in campo presso Benevento dalle truppe dell'arcivescovo pontificio Abbate de Papa il crudele comandante Ferdinando Trastamara Cossines, acerrimo nemico degli Angioini, chiamato come molti membri della sua spietata famiglia il "sin caridad", un altro duro colpo per gli Spagnoli. L'assedio di Capua continua e in questo periodo gli Angioini cercano di ristabilire la loro economia, essendo il pericolo aragonese meno opprimente. Intorno a Capua le campagne sono un immenso cimitero desolato a causa della guerra.

Assedio di Capua da parte di Alessandro Massimi



Scaramuccia contro truppe filo-aragonesi in Campania



Nel 1449 avvengono dei disordini a Bologna organizzati a quanto pare da un losco figuro di origini veneziane che riesce a fuggire dalla città prima che le milizie di Astorre II Manfredi riescano ad acciuffarlo. L’evento potrebbe presagire cambiamenti di politica da parte di Ferrara e Venezia, ma si riesce a sapere poco del perché di questo gesto. Venezia sta crescendo molto rapidamente in potenza, prosperità e capacità militare, presto ci si aspetta che scoppi una nuova guerra condotta dalla Serenissima verso uno dei suoi vicini, forse contro gli Asburgo.

Il 10 dicembre 1449, all'età di 66 anni, muore a Roma Eugenio IV a causa dell’aggravamento di una malattia alle vie respiratorie. Si attende con ansia il prossimo conclave: Gabriele Condulmer ha saputo mantenere saldamente l’ordine e le redini dello Stato Pontificio, donando a questo nuovo vigore e vittorie politico-militari, il prossimo successore potrebbe non essere all’altezza di tale compito. In mancanza di un potere forte l’anarchia e la decadenza potrebbero nuovamente tornare a ripristinarsi sull'ordine e sulla crescita nei territori papali.
The Housekeeper
00sabato 23 giugno 2012 17:15
ottimo, aspettiamo il seguito delle gesta papali [SM=g27987]
Jean de Avallon
00domenica 24 giugno 2012 16:35
Complimenti ...
Legio XIII gemina
00mercoledì 25 luglio 2012 21:33
Grazie :)! Adesso ho un po' di tempo libero finalmente e posterò tutto il resto
Legio XIII gemina
00giovedì 26 luglio 2012 15:38
Pontificatus Adriani VII (1449-1456)

Appena sepolto Eugenio IV, il conclave elegge in pochissimi giorni come nuovo Papa il cardinale Benedetto Orsini, con il nome di Adriano VII. Benedetto ha 59 anni, è un uomo di fede, saldo nelle sue convinzioni e tuttavia poco avvezzo alle vicende politiche: la Curia ha deciso che fosse proprio lui a salire al Soglio Pontificio perchè amico del defunto Eugenio e perchè considerato facilmente "direzionabile" dalle fazioni romane egemoni ( lui stesso del resto è un Orsini ). L'autorità del nuovo Papa è molto debole, ma i nobili romani provvedono subito a consigliare il Pontefice in maniera oculata nelle scelte di governo e a mostrargli i metodi utilizzati dal suo predecessore per sbarazzarsi di eventuali oppositori: in poco tempo il mite e pacifico Benedetto comincerà ad imporre un ferreo controllo sui propri territori, tanto da prendere il soprannome di "lo spietato".

Il 1450 vede nuovle minacciose addensarsi sul panorama italiano. Mentre continua l'assedio di Capua ad opera di Alessandro Massimi, il quale in trappola il re Alfonso V d'Aragona insieme al nobile Renat Jourquera e le truppe spagnole, Roma decide che la politica da tenere nei confronti degli Angioini si debba ridimensionare: in seguito alla non lontana sconfitta degli Aragonesi in Campania, Roma non vuole cedere i nuovi territori conquistati ai francesi. Certo è una politica disdicevole, ma la posta in palio è troppo alta per comportarsi diversamente: dopo secoli di dominazione gli Angiò sono diventati un potere debole e un'occasione migliore per frammentare il Regno di Sicilia citeriore ed ottenerne una parte potrebbe non capitare mai più. Nel febbraio del 1450 Adriano VII fa tornare in seno alla Chiesa il Principe di Taranto, revocandogli la scomunica ricevuta a seguito dei continui assalti ai feudi angioini negli anni precedenti. Renato d'Angiò rimane molto indispettito dall'evento intuendo e temendo le intenzioni del Papa nei suoi confronti, ma può fare poco contro la Chiesa in questi moment ed anzi, nel frattempo, sempre a corto di soldi, egli stesso è costretto a cedere al Papa la città di Teramo ( decadente ), in cambio di 50.000 fiorini. Adriano VII invia il Marchese di Ascoli Guidantonio da Montefeltro ( it.wikipedia.org/wiki/Guidantonio_da_Montefeltro ), a pacificare i nuovi territori appena annessi, il nobile signore deve combattere contro alcuni vassalli ribelli e costruire nuove torri di guardia in prossimità del confine angioino con i territori di Pescara, in caso che eventi imprevisti possano dar luogo ad una crisi contro gli Angiò: Teramo è stata annessa dal Papa proprio nell'ottica di diventare un territorio cuscinetto in caso di guerra con i francesi, lasciando libere e prospere le Marche, teatro in questi anni di una lenta ma costante rinascita economica. In primavera a Roma giunge la notizia dell'avanzata ottomana in Bosnia, il pericolo turco si avvicina sempre di più all'Italia ed il Papa pensa di stipulare alleanze con i popoli balcanici in funzione anti-turca.

In estate la guerra tra Firenze e Siena continua con degli sviluppi preoccupanti: infatti i Senesi riescono ad espugnare la roccaforte fiorentina di Volterra, fortezza chiave per il dominio di tutta la Toscana. Volterra è sempre stata avversa a Firenze, ed ancora non ha dimenticato la fine di Giusto Landini di trent'anni fa. Firenze viene inoltre sconfitta in campo aperto presso Chianni dalle armate senesi ed il comandante fiorentino Neri Capponi ( www.treccani.it/enciclopedia/neri-di-gino-capponi/ ), e costretto a ritirarsi verso la costa, lontano da rifornimenti di truppe e di mezzi. Firenze, che ha il grosso delle sue truppe impegnato nell'assedio della città di Massa contro i potenti Malaspina, si trova con numerosi eserciti senesi a poche miglia dall'Arno. Gli equilibri toscani sono molto importanti per i domini del papato: la supremazia di un'unica signoria su tutta la Toscana potrebbe essere una grave minaccia politica e militare per Roma stessa. Per ora si può fare poco, ma la Curia decide che nel caso che la città di Firenze venisse minacciata, si dovranno mandare delle truppe ad invadere papali contro i territori senesi. Tra gli altri eventi italiani i messaggeri pontifici riportano che Venezia ha ceduto la città di Bergamo al Marchesato di Mantova in cambio di molti favori e privilegi, essendo la Serenissima in difficoltà a tenere quel territorio ed essendo al momento più occupata nelle questioni adriatiche che in quelle lombarde. In autunno Astorre II Manfredi, Governatore della Romagna, comincia a costruire una nuova cattedrale nel centro della città di Bologna.
Tra gli eventi europei c'è la battaglia di Formigny, in Normandia, dove le truppe del Re di Francia e i bretoni conducono una brillante vittoria contro gli inglesi. La battaglia causerà la fine dei domini inglesi in Normandia fatto che avverrà in agosto con la resa di Cherbourg. Nel frattempo nella stessa Inghilterra di Enrico VI, il Kent è in rivolta sotto la guida dell' irlandese John Cade. A Magonza la Bibbia di Gutenberg "Bibbia a quarantadue linee" è il primo libro stampato in Europa con l'aiuto dei caratteri mobili.

Il 1451 inizia con l'arrivo nell'Urbe di una notizia allarmante dall'Oriente: l'Impero Ottomano ha indetto una jihad contro Roma. Tutti i potentati islamici del Mediterraneo potrebbero partecipare ad un grande sbarco nel Lazio e conquistare la capitale della cristianità. A Roma si diffionde un senso di angoscia e di preoccupazione. La Repubblica di Ragusa è stata già attaccata dai Turchi. Adriano VII non ha esperienza delle cose militari, tuttavia ordina di rafforzarre la guarnigione romana in modo tale da poter resistere ad un futuro assalto turco. Dopo aver terminato le opere avviate dal suo predecessore Eugenio, il Papa fa inoltre interrompere tutte le costruzioni edilizie in città e ordina al Prefetto dell'Urbe Pietro Malatesta di cominciare i lavori di potenziamento delle mura dell'Urbe. Pietro, lungo tutto il perimetro delle mura romane, fa rinforzare i bastioni, ricostruire le parti più deboli delle fortificazioni e insieme a molti ingegneri partecipa ai lavori per installare sulle torri delle baliste giganti in grado di bersagliare degli eventuali assedianti. Il popolino assiste agli imponenti lavori e ritrova un po' di senso di sicurezza dopo l'allarmante notizia. Oltre a ciò il Papa istituisce un reparto di Guardie Svizzere ( www.sopi.it/Roma/curiositaromane/guardiasvizzera.htm ), e recluta numerose milizie: quello che un tempo era un mite uomo di Chiesa esce in questi giorni da Roma con parte delle sue nuove milizie per il gusto di "provarle" e si reca di persona a massacrare un gruppo di briganti che diffondono il terrore nelle campagne a est di Roma. Nello scontro il Papa stesso carica contro la fanteria nemica che, aggredita da una parte dalla cavalleria papale e dall'altra dalle Guardie Svizzere, viene massacrata brutalmente: i pochi superstiti vengono catturati e squartati vivi a Roma in presenza del popolo. Molti cardinali a Roma sono comunque scettici sulla possibilità di uno sbarco a Roma da parte di truppe islamiche, come anche la maggior parte dei principi cristiani: i Turchi sono ancora fortemente impegnati nei Balcani e la situazione in Nord Africa è molto critica per i poteri locali per far si che qualche principe musulmano possa partire alla volta dell'Italia.
A giugno Siena viene scomunicata per aver infranto l'ordine da parte del Papa di cessare le ositilità con Firenze. Un diplomatico aragonese viene assassinato da un sicario romano a Chiusi. Vicino a Faenza l'Inquisizione colpisce mandando al rogo un eretico che aveva cominciato a predicare nella zona: diverse altre inchieste e processi vengono tenute per snidare i seguaci dell'eresia. Subito dal Lazio vengono inviati altri inquisitori nei domini papali. Ferrara, dopo aver notevolmente potenziato le sue armate, invia un esercito attraverso gli Appennini, attacca Lucca e la espugna con successo. A Roma ci si rende conto che Ferrara potrebbe presto diventare una potenza del Nord al pari di Milano, e ci si decide a rinforzare il contingente papale in Romagna.
Ad agosto avviene un brusco spostamento dell'asse delle alleanze: dopo migliaia di morti gli Angioini firmano una pace con gli Aragonesi e successivamente decidono di allearsi con Ferrara. Tutto questo appare agli occhi di Adriano VII come una mossa a tenaglia che potrebbe mettere in grave pericolo i territori della Chiesa, e decide di scomunicare Renato di Angiò, con il pretesto ufficiale di aver firmato la pace con l'Aragona, nemica della Chiesa di Roma. Il Regno di Napoli è diventato un nuovo potenziale nemico.
A Conscio ( vicino a Treviso ), a Settembre, una povera donna guardiana di porci sostiene di aver avuto una visione della Madonna, La quale secondo lei l'ha curata e le ha fatto dono dello spirito profetico: la donna ora sostiene che tra due anni Costantinopoli cadrà sotto i Turchi...e così sarà.
Il 25 novembre del 1451, la guarnigione spagnola di Capua sotto la morsa pontificia è allo stremo: le risorse cittadine non bastano più per continuare l'assedio. Dopo la pace con gli Spagnoli, gli Angiò hanno lasciato libere le coste napoletane e dalla Sicilia è già giunto in Campania un contingente spagnolo per sconfiggere congiuntamente con Alfonso l'armata papale di Alessandro Massimi: tuttavia in città non se ne hanno notizie né si sa bene dove sia, e la situazione è ormai troppo disperata per attendere oltre. Le ultime risorse alimentari di Capua sono finite. Nella città potrebbe scoppiare un'epidemia da un momento a l'altro e nel volgo, che si nutre già da tempo di topi e insetti, si comincia già a guardare ai propri simili come prossima fonte di nutrimento. Alfonso si decide: l'atto è eroico e non smentirà di certo l'eroismo del reame aragonese ed il valore spagnolo. La mattina del 26 novembre, in un'alba brumosa e cupa, le porte occidentali di Capua si aprono e l'esercito aragonese, dopo aver vuotato le ultime botti di vino, aver mangiato gli ultimi tozzi di pane presenti in città ed essersi comunicato, si schiera prontamente di fronte alle mura. Alessandro Massimi ha già predisposto le proprie truppe in ordine di battaglia su diverse linee, fanteria, tiratori e cavalleria. Siamo alla resa dei conti. Gli Spagnoli perderanno la battaglia e lo sanno, ma è proprio con questo pensiero che sono ancora più determinati a combattere fino all'ultimo: nei loro occhi si può leggere la rassegnazione e il dolore, ma anche l'immancabile senso dell'orgoglio iberico e la fiducia in Dio. Dopo che i religiosi capuani sono passati tra le linee per benedire per l'ultima volta i soldati, Alfosno V da l'ordine a tutto l'esercito di avanzare contro le linee pontificie: Renat Jourquera, famoso e coraggioso nobile spagnolo, carica per primo la fanteria romana con i suoi soldati causando numerose vittime, finendo infilzato da più lancieri che lo tirano giù da cavallo completando l'"opera" di massacrarlo. I Grifuni napoletani cercano di causare vittime con le loro balestre nell'esercito nemico, ma un Ribault mercenario assoldato dai Romani posto strategicamente sopra una collina dominante il campo di battaglia comincia a vomitargli addosso proiettili in continuazione, mandandone in pezzi molti e facendoli fuggire. L'esiguo contingente di fanteria spagnolo viene in breve decimato dai colpi di balestra papali e Alessandro Massimi da l'ordine alla cavalleria di caricare il Re di Aragona. Alfonso osserva con i suoi penetranti occhi bruni i soldati pontifici che marciano verso di lui, e gli si lancia incontro nell'ultima e gloriosa carica della sua vita, spinto alle spalle dal grido si battaglia dei suoi uomini. Nel fitto della mischia, il Re d'Aragona viene trafitto a turno da diversi uomini d'arme romani che non osservano pietà verso un così illustre nemico. Alfonso, già grondante sangue da numerose ferite, viene colpito brutalmente da un colpo di spada dentro la nuca e cade da cavallo tra le grida di gioia dei cavalieri romani esultanti. In breve tempo la cavalleria papale travolge le ultime linee spagnole ed entra in città abbandonandosi ad un disumano saccheggio dove muoiono oltre 7.000 civili. Sul campo rimangono 324 papali e 437 aragonesi. Il corpo di Alfonso V verrà riconsegnato dai Romani ad un'armata spagnola pochi giorni più tardi, e dopo alcuni mesi sepolto nella Cattedrale di Barcellona. L'affronto all'intera e cristianissima Spagna da parte del Papa è enorme, tuttavia Roma ha ottenuto una grande vittoria per se ma anche per l'Italia: infatti l'Aragona è scacciata definitivamente dalla Campanai peninsulare ed alcuni castelli calabresi rappresentano l'ultimo baluardo spagnolo sulla penisola.

Alfonso V d'Aragona che esce da Capua, l'esercito pontificio e la morte di Alfonso.







Nel 1452 Alessandro Massimi, che dopo la morte di Eugenio IV ha trovato solo avversione da parte del nuovo pontefice e la Curia, trama una congiura: egli ha infatti in mente di ribellarsi a Roma e di marciare nel Lazio con la sua possente armata di Capua. La Curia pontificia, avendo ricevuto le confessioni di alcuni delatori avversi a Massimi e alla sua famiglia, decidono di fargli tendere un tranello da parte di alcuni nobili corrotti vicini a lui e al comando del suo esercito. Massimi poco dopo aver preso Capua decide di marciare contro l'esercito aragonese sbarcato in Campania in difesa di Capua il quale ormai si sta ritirando, al comando del Principe d'Aragona Don Indico. Massimi riesce a obbligare gli Spagnoli a combattere in una piana poco a ovest di Castel Volturno. I nobili corrotti dal Papa hanno intenzione di far caricare il Massimi contro le linee nemiche e di lasciarlo solo all'improvviso condannandolo a morte praticamente certa circondato dagli Aragonesi, ma la provvidenza li anticipa imprevedibilmente: Massimi va all'attacco dell'armata spagnola e durante la carica un picchiere nemico riesce a infilzare il suo cavallo scaraventando il nobile romano a diversi metri di distanza: gli Spagnoli accorrono e lo massacrano a colpi di spada, mentre l'esercito papale si ritira a Capua sopreso della morte del comandante e degli ordini improvvisi di ritirata da parte dei nobili al comando. Gli Spagnoli comprendono cosa è successo e considerano la morte di Massimi come un riscatto parziale per la vita del loro defunto re: Don Indico e le sue truppe rientreranno a Messina pochi giorni dopo.
Il 9 marzo 1452 Adriano VII incorona imperaore a Roma Federico III d'Asburgo: questa sarà l'ultima volta che un Papa incoronerà di persona l'Imperatore del Sacro Romano Impero.

Nel 1453 le torri con le baliste a Roma vengono completate: non c'è ancora alcuna notizia che un'armata musulmana sia partita per Roma da qualche porto del Mediterraneo, ed è altamente probabile che questo non accadrà mai. Tuttavia i nuovi armamenti saranno un valido baluardo contro chiunque vorra un giorno prendere l'Urbe. Pietro Malatesta avvia dopo pochi mesi un nuovo piano di potenziamento delle difese dell'Urbe che prevede anche l'utilizzo di cannoni sulle torri romane. Nel resto dei territori pontifici viene dato inizio a dei piani di ampliamento di alcune città con la costruzione di nuove cinte murarie: Gaeta, Velletri, Pontecorvo e Civitavecchia ottengono delle nuove mura. Nel frattempo si incentivano le coltivazioni e si continuano a costruire nuove strade in tutto lo Stato Pontificio.
Nello stesso anno Costantinopoli cade in mano ai Turchi: nella Cristianità grande è il timore al pensiero delle conseguenze che potrà portare questo evento epocale. Francia e Inghilterra pongono fine alla guerra che dal secolo precedente hanno combattuto: la Francia ha vinto. Venezia dichiara guerra alla Croazia per questioni territoriali, mentre gli Angioini si alleano con il Ducato di Calabria e il Principato di Taranto con l'Aragona. Calabresi e Tarantini si massacreranno quindi sorretti rispettivamente dalla Francia e dalla Spagna. Mentre i vessilli ottomani svettano su Costantinopoli, i principi cristiani pensano solamente a massacrarsi tra loro.

Nel 1454 delle truppe mercenarie reduci della battaglia di Vitulazio conquistano Rieti e la consegnano al Papa in cambio di terre e privilegi: questa città era l'ultima roccaforte ribelle rimasta nello Stato Pontificio.
( la Pace di Lodi in questa AAR non avviene :P ).



Nel 1455 due eserciti della Confederazione Elvetica scendono fino a Losanna ( attualmente in mano ai Savoia ), e ne causano la ribellione dai suoi padroni . Gli Svizzeri potrebbero mettere a serio rischio gli equilibri del Nord Italia. In Inghilterra scoppia la Guerra delle Due Rose. Gli Aragonesi dichiarano guerra al Duca di Calabria, stringendo il Ducato in una morsa insieme ai Tarantini: questo potrebbe significare un ritorno prepotente della presenza spagnola in Italia da sud. Gli Asburgo firmano una pace con la Croazia. Firenze riesce a conquistare Massa, dopo anni di durissima guerra. Un emissario pontificio, Falcone Di Fabro, assiste all'assedio di Matera da parte delle truppe calabresi a danno di quelle tarantine: i Calabresi perderanno. Adriano VII decide di scomunicare nuovamente il Principato di Taranto a causa della nuova alleanza firmata con la Spagna: nel frattempo egli stesso giunge nei pressi di Velletri per reprimere una rivolta di contadini. Il Papa riesce a massacrare i rivoltosi.

Lo scontro nei pressi di Velletri contro i ribelli



Nel 1456 gli Ottomani revocano ufficialmente la jihad indetta 5 anni prima, Roma trae un sospiro di sollievo: tuttavia la minaccia turca nei Balcani e nel Mediterraneo si fa sempre più concreta. Nello stesso anno scoppiano dei focolai di eresia presso Perugia e Teramo: si fa di tutto per estirparla, ma sembra molto radicata, essendo supportata da uomini dotti e da comunità coese. L'eretico di Perugia viene inseguito dai cavalieri pontifici ma riesce a far perdere le sue tracce: a Teramo invece l'eresia si diffonde e l'uccisione per mano di un sicario dell'eretico "padre", sembra il mezzo più plateale e rapido per porre fine l'eresia congiuntamente con l'inflessibile lavoro della Santa Inquisizione. Il 4 Agosto muore Guidantonio da Montefeltro, proprio a Teramo, e si temono rivolte per la mancanza di un capo e in presenza dell'eresia dilagante. Il 16 ottobre muore invece a Roma Adriano VII, all'età di 66 anni. Durante il suo pontificato lo Stato Pontificio ha continuato ad evolversi, anche meglio del previsto: sono stati battuti gli Aragonesi a Capua, si sono spente le rivolte, si è costruito molto e si nota un generale aumento del benessere relativo soprattutto alla rinascita delle attività commerciali nelle Marche; nelle città-fortezza si sono installate molte gilde di spadai, i mercanti pontifici sono alcuni tra i più ricchi nel Nord Italia. Lo Stato Pontificio rimane comunque relativamente poco potente e povero, soprattutto considerando il "blocco" costituito da molte potenti fazioni che lo circondano. Il prossimo Papa dovrà riuscire a compiere una nuova e decisa mossa politica in Italia e a dare lustro alla città di Roma ridonando ad essa la fama di conquistatrice.

La situazione politica italiana alla morte di Adriano VII

Legio XIII gemina
00martedì 31 luglio 2012 13:36
Mini post per mini pontificato

Pontificatus Alberti I (1456-1457)

Il nuovo conclave elegge in maniera sbrigativa come nuovo Papa l'ascetico cardinale settantenne Amedeo del Monferrato, il cui pontificato dura pochissimi mesi, dall'ottobre 1456 al gennaio del 1457. Dopo la morte di Adriano VII molte famiglie romane ambiscono a far raggiungere a qualcuno dei loro parenti cardinali in titolo di Pontefice e i cardinali vogliono prendersi del tempo per riuscire a trovare un adeguato successore. La salute del Papa appena eletto è precaria e tutti sono sicuri che non passerà l'inveno, pertanto nel frattempo si riuscirà a trovare un accordo che accontenti tutte le fazioni. Il vecchio Alberto ha vissuto tutta la sua vita segnato dal fervore religioso, ha avuto a suo dire molte visioni ed ha spesso trascurato ogni forma di piacere per il suo corpo, accumulando negli anni a causa di trascuratezze e disagi numerose malattie: si spegnerà il 29 gennaio nel Palazzo Vaticano nell'indifferenza generale da parte dei cardinali, i quali nel frattempo sono riusciti a trovare un accordo per il successore.
In questi pochi mesi di pontificato Taranto, Napoli e Siena ritornano in seno alla Chiesa. Nel 1456 si ha il passaggio nei cieli di un globo di fuoco ( la Cometa di Halley ), in tutta la Cristianità si celebrano riti propriziatori con la speranza che l'evento astronomico possa essere il segnale divino dell'inizio di un nuovo periodo di prosperità, anche se nello stesso tempo la Campania viene sconvolta da un terremoto di violentissima intensità. A 7 anni dalla sua morte, Giovanna d'Arco viene assolta dall'accusa di eresia.
Legio XIII gemina
00lunedì 6 agosto 2012 13:28
Pontificatus Marci II (1457-1467)

Nel febbraio del 1457, il collegio cardinalizio elegge finalmente papa il Cardinale Beato Savelli, con il nome di Marco II: nei 10 e intensi anni del suo pontificato, lo Stato Pontificio cambierà per sempre la storia dell'Italia.
Marco II è un papa relativamente giovane ( 42 anni ), è pieno di volontà e vigore, tuttavia fatica nell'inizio del suo pontificato ad imporsi autoritariamente sullo stato. Gli uomini più potenti di Roma sono al momento i generali Marco Condulmer e Domenico Orsini, i quali sono comunque fedeli al pontefice insieme alle loro armate.
All'inizio del 1457 scoppia a nord la guerra tra Firenze e Ferrara. Leonello d'Este ( http://it.wikipedia.org/wiki/Leonello_d'Este ), devasta i territori fiorentini vicino Pisa. La Curia Romana decide che Roma debba intervenire immediatamente: Ferrara e Siena potrebbero infatti sconfiggere congiuntamente Firenze, spartirsi in tal mod il dominio della Toscana e creare una forte alleanza anti-papale, bloccando i commerci romani con il nord. Il momento è propizio per gli eserciti papali anche considerato che il Moderatore di Siena è appena morto ed il suo successore non ha molta autorità. Marco Condulmer, parente di Papa Eugenio IV, viene mandato con un forte contingente nel cuore della Toscana, per attaccare la stessa Siena. Nel frattempo Domenico Orsini, Duca di Spoleto, raggruppa diverse milizie e si appronta a marciare in direzione di Montalcino, una delle fortezze più importanti in mano a Siena. Lo stesso Papa Marco II decide di partecipare alla guerra e si insedia a Tarquinia, attendendo i rinforzi da Civitavecchia ed Orvieto, con l'obiettivo di marciare su Grosseto, anch'essa al momento parte del dominio senese.
L'attacco pontificio vuole puntare sulla rapidità e la sorpresa. Partire con vantaggio sarà molto utile dato che la guerra si preannuncia molto difficile.

In autunno Condulmer giunge in vista delle mura di Siena, la quale è quasi completamente sguarnita a causa dei grandi sforzi sostenuti nella guerra contro Firenze ma già chiusa dall'interno e pronta alla difesa essendovi da pochi giorni giunta notizia dell'arrivo di una grande armata papale: al comando della città vi sono solo 500 lancieri della milizia. Condulmer schiera il suo esercito sotto le mura di Siena in formazione d'assalto per l'attacco nella mattina del 14 novembre. Nella fredda e pungente aria autunnale le bombarde romane cominciano a tuonare contro le mura meridionali di Siena: i pochi balestrieri senesi, dopo essersi comunicati, tentano un'eroica resistenza salendo sulle mura e bersagliando le linee romane, ma i numerosissimi tiratori pontifici rispondono al tiro facendo piovere su di loro una fittissima pioggia di frecce. Vi sono delle perdite da ambo le parti. In breve tempo viene aperta una breccia nelle mura nei pressi di Porta Romana e Condulmer, insieme a tutta l'armata, irrompe dentro la città risalendo dalle colline: i fanti toscani si lanciano sugli aggressori con immenso coraggio e riescono ad ucciderne un buon numero, venendo poi tuttavia sopraffatti e uccisi in breve. Condulmer giunge il Piazza del Campo in pochi minuti, perdendo solo 94 armati. Le ultime milizie senesi vengono passate a fil di spada in breve tempo sotto la Torre del Mangia, la città è perduta. La valente Siena è in mano a Roma, la popolazione subisce pesanti violenze e molte ricchezze vengono depredate. La notizia della nuova guerra e della caduta di Siena fa il giro dell'Europa e tutti temono una rottura definitiva degli equilibri interni italiani, ormai irrimediabilmente compromessi dalla guerra del papa contro l'Aragona. I Senesi sono sbigottiti, la loro guerra contro Firenze non può più continuare, si può solo tentare di contrastare le truppe pontificie, ma la situazione appare disperata. Marco Condulmer deve ora marciare contro Volterra ma l'inverno è duro ed egli non se la sente di far marciare immediatamente i suoi uomini contro una città nemica in mezzo alle nevi dopo le lunghe marce dal Lazio e l'assedio: egli passerà l'inverno a Siena riorganizzando l'esercito e dedicandosi ai suoi premi, le pulzelle e al vino, entrambi abbondanti a Siena. L'odio dei Senesi nei confronti degli invasori è grande.

Immagini della battaglia di Siena





Nel 1458 la guerra prosegue e Domenico Orsini, dopo essere partito con la sua armata da Viterbo ed aver passato la Tuscia ed il Monte Amiata, pone sotto assedio la fortezza di Montalcino: al suo interno vi è il Moderatore Paolo Pandolfo Petrucci insieme a quello che rimane del suo governo e la sua guarnigione, il quale osserva con i suoi fidati le truppe romane giungere nei pressi delle mura e prepararsi all'assedio costruendo delle macchine, mentre il borgo adiacente viene saccheggiato dalla soldataglia. Il sanguigno e coraggioso Moderatore ha in mente di aspettare i rinforzi per poi tentare l'assalto alle linee romane. Dopo pochi mesi di riposo Condulmer esce da Siena e cinge d'assedio Volterra, mentre il Papa Marco II fa lo stesso con Grosseto. Per la campagna il Pontefice ha assoldato anche degli archibugieri mercenari con grandi idee di conquista ed è in preda ad un bizzarro fervore: egli vuole condurre campagne vittoriose contro i nemici di Roma cercando di assomigliare nelle parole e nelle gesta ai grandi condottieri romani dell'antichità. Nella campagna Marco trascura i consiglieri che riferiscono delle notizie dello Stato, e compie in continuazione esercitazioni sotto la neve e la pioggia, aggravando di molto la sua stessa salute. Nel frattempo nello Stato Pontificio si sgominano alcune armate ribelli e movimenti ereticali, i quali si fanno forti dell'assenza della temporanea presenza del Papa e dei più grandi generali da Roma. I nemici della Chiesa vengono bruciati senza pietà su roghi davanti alle popolazioni locali, in modo che il ricordo di quelle fiamme, come la paura di quelle infernali, si imprina nelle menti di queste.
Nel 1458 a Firenze è istituito il Consiglio dei Cento. Sempre nello stesso anno, Mattia I Corvino diventa Re di Ungheria, mentre Alfonso V di Portogallo conquista in Marocco al Sultano merinide con un esercito di 25.000 uomini e 200 navi.

Nel 1459, durante l'assedio di Volterra, Marco Condulmer riceve nella sua tenda la notizia che un'armata di 1.800 Senesi, comandata dal nobile Colombo di Lugana, sta marciando da ovest verso l'esercito pontificio. Se Colombo arrivasse con il suo possente esercito ed assaltasse i Romani impegnati nell'assedio è probabile che accadrebbe un disastro, pertanto Condulmer decide di attendere l'arrivo dei rinforzi senesi presso le alture tra Volterra e il villaggio di Montaperti ( non quella famosa vicino a Siena ). Le truppe pontificie quindi si attestano e attendono sui colli per due settimane, ed il 23 maggio, sotto una pioggia scrosciante, le truppe Senesi compaiono nelle vallate presso Volterra. Condulmer fa schierare le truppe lungo le colline: in quella posizione la vittoria sarà più facile da raggiungere. Le truppe di Volterra escono dalla fortezza ed attaccano le linee romane da dietro, riuscendo anche a caricare la formazione pontificia sul fianco sinistro: Condulmer mantiene il sangue freddo e grazie alla cavalleria riesce a mettere il primo contingente senese in fuga. Nel frattempo nella pioggia si nota il grosso delle milizie senesi marciare frontalmente verso lo schieramento romano: Condulmer da ordine di bersagliare i nemici con tutte le armi ed i Senesi si ritrovano ad assaltare sotto il pesante tiro delle balestre e degli archiburgi e con l'impaccio di un terreno fangoso e scivoloso. Nonostante questo la carica senese è fortissima e le prime linee di fanteria romane sembrano in un primo momento cedere sotto l'urto avversario. La battaglia infuria con grande violenza mentre frecce e proiettili fischiano sopra gli elmi dei combattenti, grande è lo spargimento di sangue. La violenza degli scontri è enorme: la cavalleria senese cerca di sfondare la formazione nemica sotto la pioggia di proiettili. Le Guardie Svizzere al servizio di Condulmer riescono a tenere il campo ma subiscono gravissime perdite. Finalmente i Senesi cominciano a cedere e molti di loro si danno alla fuga lungo le colline. I cavalieri romani si lanciano all'inseguimento delle milizie nemiche, ma nelle boscaglie sottostanti diversi balestrieri a cavallo senesi resistono causando ulteriori perdite. I combattimenti proseguono per tutta la giornata fino a che Colombo di Lugana viene ucciso da un colpo di balestra in piento petto e tutta l'armata senese è dispersa. Condulmer ottiene la vittoria, perdendo circa un terzo della sua armata ( 600 soldati ), mentre i Senesi perdono oltre 2000 armati: le truppe romane entrano a Volterra sguarnita in serata e saccheggiano la fortezza, nonostante la fatica delle armi. Dopo pochi giorni le milizie romane raggiuggono anche Saline, che devastano. Gli assedi di Montalcino e Grosseto procedono senza partiolari problemi, se non a causa delle difficili condizioni atmosferiche di quest'anno.
Nel settembre dello stesso anno Richard Neville sconfigge un potente esercito dei Lancaster nello Staffordshire nel corso della guerra delle due rose.

Battaglia di Volterra







Il 1460 è un anno di svolta nelle vicende di tutta l'Italia. Venezia ha acquisito un enorme potere dal periodo della pace contro Milano, e sta diventando sempre più prospera economicamente e militarmente. Molte fazioni non vedono di buon occhio l'amicizia che lega Venezia e il Papa, e pertanto i maggiori principi italiani ( molti dei quali rimangono ancora in guerra tra loro ), fomentanti anche dalle potenze straniere, decidono di formare una lega contro la Serenissima, con lo scopo di saccheggiare la città stessa di Venezia e di annientarne l'egemonia commerciale nel Mediterraneo. A questa lega partecipano Aragona, Francia, gli Asburgo, Milano, Genova, Ferrara, i Savoia e persino i più piccoli potentati di Monferrato, Calabria e Croazia. La Grande Lega ( praticamente nel gioco c'è stata una crociata contro Venezia che mi pareva molto poco verosimile e così mi sono inventato questa cosa :) ), comincia a preparare eserciti e flotte per poter arrivare a Venezia e distruggerla. La notizia giunge funesta nella Serenissima, ma essa è oltremodo allarmante anche per il Papa: quest'alleanza potrebbe infatti annientare il più grande stato italiano del papa e spostare le mire dei suoi vincitori contro il vasto Stato Pontificio che sta diventando pian piano sempre più ricco e potente. La Curia Romana minaccia di scomunica tutti gli stati partecipanti alla Grande Lega, e decide di stipulare un'alleanza con Venezia. In questo frangente Ferrara viene scomunicata immediatamente per aver continuato la guerra contro Firenze ed aver messo sotto assedio Pisa, mentre Taranto viene scomunicata nuovamente per aver fornito aiuti alla Lega essendo alleata con gli Spagnoli. Nei mesi successivi armate di nobili calabresi e napoletani transitano nei territori pontifici per raggiungere Venezia: Roma non ha al momento armate per bloccare la loro marcia, essendo impegnata nella guerra contro Siena e così deve lasciare libero il passaggio per non rischiare altre guerre. Nel frattempo gli assedi romani in Toscana proseguono estenuanti per assedianti ed assediati. Nello stesso anno cade il Despotato della Morea, ultimo baluardo bizantino in Europa.

Nel 1461 un esercito della Grande Lega guidato da un generale del Monferrato, dopo aver percorso verso oriente la riva sinistra del Po, giunge a Venezia riuscendo a sbarcare a Murano: qui dopo poco tempo un'armata veneziana, coadiuvata dalla potente flotta, annienta totalmente i soldati piemontesi, dimostrando a tutta l'Europa la forza ed il valore della Serenissima. Nel frattempo migliaia di soldati veneziani affluiscono verso la Laguna.
A maggio le forze di Domenico Orsini in assedio a Montalcino vengono assalite dalle truppe del comandante senese Lorenzo de Felice insieme a quelle del Moderatore Paolo Pandolfo Petrucci. I Romani si attestano su un colle distante dall'insediamento anche in quest'altro assedio, ed anche questa volta la battaglia è durissima nonostante la superiorità numerica pontificia. Le truppe senesi sono appena 900, mentre quelle romane 2200, in più i Toscani devono combattere in salita: ma questo non spegne il loro impeto e si lanciano contro gli avversari. Le due formazioni si incontrano quindi ed la battaglia infuria violentissima, i Romani vedono parte del loro fianco destro sfondato dalla cavalleria senese: grazie all'appoggio di truppe leggere degli schioppettieri, Domenico Orsini riesce tuttavia a dominare il campo e a ricacciare i Senesi verso le porte della fortezza di Montalcino. Mentre i soldati pontifici battono le milizie senesi in fuga, Paolo Pandolfo Petrucci rimane l'ultimo soldato nemico su vivo sul campo: giunto alle porte di Montalcino viene raggiunto dai cavalieri romani che lo circondano e finiscono a colpi di arma da fuoco. Anche la fortezza di Montalcino cade in mano al papa.
Il papa Marco II a Grosseto respinge la sortita disperata dell'esercito senese comandata dal Signore di Grosseto Giacomo V. Marco II si getta egli stesso nella mischia nonostante delle febbri che lo colpiscono da tempo e con l'appoggio degli archibugieri tiene il campo. I Romani vincono la battaglia con poche perdite ( poco più di 200 ), saccheggiando poi la piccola città. Per le corti dell'intera Europa ci si interroga sui comportamenti di quello che invece di un Pontefice appare come uno scapestrato e crudele conquistatore.
Sempre nello stesso anno cade l'Impero di Trebisonda, ultimo territorio bizantino. Amari momenti per la Cristianità.

Battaglia di Montalcino





Battaglia di Grosseto



Nel gennaio del 1462 giunge a Roma la notizia che Chambery è stata conquistata ai Savoia dalla Confederazione Elvetica a seguito di una sanguinosissima battaglia nella quale le truppe del Duca sono state distrutte: nel futuro questro potrebbe creare notevoli problemi, la Casa Savoia infatti protegge geopoliticamente Francia e Svizzeri dall'Italia, il suo cedimento è un rischio enorme per gli equilibri della penisola, soprattutto in momenti così difficili per questa. Dalla battaglia di Castione e la pace con gli Sforza la Confederazione sembra essere rinata militarmente con inaudito vigore. Nel marzo dello stesso anno Domenico Orsini, dopo aver trascorso l'inverno nel castello di Montalcino, si dirige verso la costa ed affronta l'ultimo esercito senese rimasto in Toscana, presso Bibbona. L'esercito senese e quello pontificio si incontrano il 30 marzo vicino alla costa: i Senesi sono appena 1300, mentre i Romani 1850. Tra le schiere della Chiesa si notano reparti di arcieri mercenari professionisti inglesi della White Company, mentre i Senesi hanno al loro fianco un nutrito gruppo di nobili cavalieri tedeschi mercenari: da notare anche i reparti di archibugieri schierati da ambo i lati. Le truppe dell'Orsini sono molto stanche a causa del tempo trascorso nella campagna in Toscana, mentre quelle nemiche sono motivate e bene armate. Domenico sceglie di schierarsi frontalmente alle linee senesi per uno scontro frontale, senza astuzie, vuole un combattimento onorevole. La battaglia inizia con delle schermaglie tra gli archibugieri: le linee di fanteria avanzano sotto il fuoco. I Senesi, giunti a pochi metri dalle linee romane, danno l'ordine ai cavalieri tedeschi di sfondare il fianco sinistro della formazione nemica. Le perdite pontificie sono notevoli e l'Orsini si getta insieme alla cavalleria nella mischia per dare supporto alle truppe. Le Guardie Svizzere accorrono nella parte più intensa del combattimento mentre gli archibugieri si schierano sul fianco destro bersagliando i tiratori nemici rimasti oltre gli scontri. Per tutta la campagna si combatte aspramente: il sangue bagna la terra, le milizie si massacrano, i tiratori fanno saettare freccie e pallottole ovunque, senza riguardo per gli amici stessi tanto la bolgia è caotica. Domenico Orsini rimane ferito ad un braccio ed è costretto ad abbandonare la mischia. Il comandante senese viene ucciso da alcuni cavalieri mercenari ed il morale dei Toscani si abbatte notevolmente. A sera i Romani riescono definitivamente ad uccidere gli ultimi nemici rimasti sul campo, dopo un aspro giorno di sangue. Più di 900 saranno i morti pontifici, 1200 quelli senesi. L'armata dell'Orsini è stanchissima, ma ha posto finalmente termine alla guerra contro Siena.
Nel 1462 muore nella lontana Russia dopo anni di inabilità il Grande Principe della Moscovia Vasily II, e gli succede il figlio, Ivan III ( Ivan il Grande ). Contemporaneamente il voivoda Vlad III di Valacchia mette in fuga dalle sue terre il sultano dell'Impero Ottomano Maometto II.

Battaglia presso Bibbona, balestre vs archibugi



Dopo pochi mesi si ha notizia della caduta di Pisa in mano agli Este. Tra il 1462 e il 1463 nasce l'Accademia platonica a Firenze. Nel 1462 a Milano viene invece cominciata la costruzione del canale della Martesana che collega la città con l'Adda e di conseguenza con l'Adriatico.

Nell'autunno del 1463 luglio il Papa Marco, nonostante le continue febbri che lo tormentano, decide di assaltare la Signoria di Piombino, che ha appoggiato i Senesi nella recente guerra, inglobando l'ultima entità politica indipendente della Toscana meridionale. Il Papa pone quindi sotto assedio Piombino e decide, contro il parere dei nobili, di lanciare subito un assalto contro le mura presidiate dal Signore di Piombino Jacopo II: ma la fortezza resiste e le truppe papali decidono di non forzare oltre, esse si ritirano poco più lontano per organizzare un assedio migliore in primavera. Tuttavia nella primavera del 1464 Jacopo II attacca l'esercito del papa, dando luogo ad un'aspra battaglia campale con l'obiettivo di decapitare la Chiesa di questo suo capo malefico. Le truppe piombinesi sono ben addestrate e ben comandate, Jacopo schiera 2200 soldati, mentre il papa Marco II può disporne 1800, la sorte sembra essere avversa ai pontifici. Jacopo II attacca il 27 Aprile le truppe papali, un giorno di pioggia molto intensa la quale rende il campo di battaglia un enorme acquitrinio. Jacopo manda un'avanguardia di 500 soldati ad aggirare il nemico: i Romani intercettano la piccola armata e la distruggono grazie a un pesante fuoco di archibugi accompagnato da una carica di cavalleria; i morti romani sono comunque circa un centinaio. Jacopo II, fallito il piano dell'aggiramento, decide di attaccare con tutte le forze la linea pontificia. Marco II schiera la cavalleria ai lati della formazione a fianco dei tiratori ( che compongono la maggior parte dell'armata ), e si pone dietro ad essi per intervenire in caso di collasso delle linee di fanteria. Le condizioni fisiche di Marco sono pessime, ma come al solito, con grande stupore da parte dei suoi armati, monta a cavallo, un grande cavallo bianco con il simbolo della Croce. I Piombinesi caricano con coraggio il grosso delle forze romane con la cavalleria: l'urto è spaventevole e molti tiratori romani muoiono nell'impatto squassati nelle ossa. La situazione è sempre più disperata, ma Marco da ordine di contenere i cavalieri piombinesi con l'esigua ma valente cavalleria e, rendendosi conto che questo non è sufficiente, si lancia egli stesso in combattimento, seguito e protetto dalla sua guardia che lo isola dai colpi nemici fitti e potenti, conscia delle condizioni del pontefice. Le ali della cavalleria romana aggirano i fianchi piombinesi, mentre gli archibugieri romani si portano fuori dalla mischia e viene dato loro ordine di colpire ripetutamente con un fuoco di fila le truppe nemiche. Nel giro di una mezz'ora la situazione sul campo è pressocchè immutata. La mischia è intensissima ma i tiratori papali riescono a colpire precisamente e regolarmente i ranghi nemici: i Piombinesi stanno lentamente perdendo più uomini di quanti riescano a farne perdere al nemico. Jacopo II è nel mezzo della mischia ed abbatte decine di soldati papali con violenti fendenti, quando una pallottola vagante gli trapassa la gamba, nonostante l'armatura: il nobile toscano esce fuori dalla mischia con la sua guardia e rimane solo dietro i ranghi della sua armata per scoprire la ferita e farsi assistere da un medico. Appena visto ciò attraverso il fumo degli archibusi e la selva di lame bagnate dall'acqua e dal sangue, Marco II da ordine ai suoi ufficiali di spostare il tiro delle balestre sul comandante nemico e di farlo raggiungere contemporaneamente dalle truppe mercenarie della condotta. Jacopo II viene ben presto bersagliato dalle frecce romane, il suo cavallo viene colpito, lui viene disarcionato e cade nel fango: ferito, si trascina verso i suoi uomini che gli fanno da schermo, ma la cavalleria papale sopraggiunge a sorpresa alle spalle della formazione e fa strage dei cavalieri nemici. Jacopo viene calpestato dai cavalieri della condotta ed annega nelle pozze di fango. I Piombinesi, presi dal panico, cominciano a fuggire disordinatamente mentre Marco, come avendo ritrovato le forze che da tempo gli mancano, incita gli archibugieri ed i balestrieri ad aumentare la frequenza del tiro: i soldati piombinesi, appesantiti dalle armature e bloccati dal fango vengono falciati dalle pallottole e masscrati dai cavalieri romani. Alla fine della giornata ritorna finlamente la luce del sole a rischiarare gli acquitrini e Marco comprende di aver ottenuto una delle vittorie più splendide dei suoi tempi: ad eccezione di pochissimi soldati, l'armata piombinese è stata totalmente massacrata, i Romani hanno perso solo 530 soldati. Sotto un celeste arcobaleno vi è una palude piena di sangue. Il 2 maggio Marco marcia su Piombino sguarnita e la fa mettere a ferro e fuoco: la sua esaltazione è al massimo, e la sua crudeltà si manifesta in quell'episodio in tutti i suoi lati più oscuri. Dopo diversi anni di pontificato, Marco II diventa finalmente un capo autorevole, soprattutto perchè temuto come generale: le rivolte nello Stato Pontificio cessano e i movimenti ereticali vengono arginati con più facilità. L'Europa è intimorita da una Chiesa così palesemente crudele e spietata.

Battaglia di Piombino



A seguito della vittoria di Piombino, le truppe di Domenico Orsini vengono inviate all'Isola d'Elba con una flottiglia toscana mercenaria, e a settembre esse cingono l'assedio del borgo di Rio nell'Elba, ultima roccaforte piombinese. Le truppe di Domenico Orsini sono più fresche e contano nuove truppe mercenarie, tuttavia le inside non sono finite per quest'armata di veterani: infatti a Campo dell'Elba pare che un'ultima e agguerrita armata piombinese si stia preparando per respingere le truppe romane. L'isola nel frattempo è devastata dalle soldataglie romane.

Nel 1465 si nota un grave crollo dell'economia dello Stato Pontificio a causa delle prolungate campagne in Toscana. Il papa stipula definitivamente l'alleanza con Venezia e praticamente tutti i partecipanti alla Grande Lega cercano di far tornare in patria gli eserciti inviati, la Lega si scoglie, non tutti se la sentono di opporsi così sfacciatamente alla Chiesa di Roma. Da quel che si sa le truppe ferraresi rimaste in Veneto vengono massacrate e Rovigo viene presa dai Veneziani. Broni calabresi e napoletani tornano con i loro uomini mestamente in patria, dopo una lunga, estenuante e inutile campagna: ancora una volta i territori papali vengono percorsi dalle armate. Marco II ha ottenuto una vittoria politica non indifferente, senza entrare in guerra, per ora, con nessuno. Il Doge è molto riconoscente a Roma e vi è un grande scambio culturale tra i due stati. Nel frattempo tutte le nazioni della ex Grande Lega cominciano a fare circolare voci in Europa che dipingono Marco II come l'Anticristo in persona, portando a testimonianza i saccheggi e le violenze commesse dai suoi soldati in Toscana e le stranezze relative alla mistreriosa forza che fa passare il Pontefice da una debolezza gravissima a una forza enorme, come più volte dimostrato in campo. Molti vedono in questi eventi la fine dei tempi e l'approssimarsi del grande Giudizio.
Lo Stato Pontificio, nonostante le grandi spese per la campagna contro Siena e Piombino, si è comunque molto evoluto negli ultimi anni: molte città sono in piena espansione, i commerci fioriscono e le arti anche, soprattutto a Roma e a Bologna: la corrente crisi economica è solo una nuvola sullo stato di Pietro, ma non può essere sottovalutata.
Nello stesso anno l'ex re Enrico VI d'Inghilterra viene catturato dalle forze degli York e imprigionato nella Torre di Londra. La Regina consorte Margherita d'Angiò e il Principe di Galles Edoardo sono già fuggiti oltre Manica.

Nel 1466 i Fiorentini assediano arditamente l'odiatissima Pisa, ma vengono respinti dalle armate ferraresi. Marco II e la Curia Romana, dopo molte riflessioni, decidono che Ferrara vada fermata nella sua spinta espansionistica. Roma ha ancora molti soldati di ottima qualità al suo servizio, la situazione economica non è quella sperata ed i territori ferraresi sono molto ricchi. Gli Este sono stati già esclusi dalla Chiesa, ed un assalto in grande stile potrebbe risolvere molti dei problemi dello Stato Pontificio, soprattutto quelli economici. Marco II, residente al momento a Civitavecchia, decide di inviare il prode Marco Condulmer con le sue truppe veterane ad invadere la Romagna, sferrando così un deciso quanto coraggioso attacco ai domini estensi. Dopo poco lo stesso Marco II si mette in viaggio per la Romagna passando per Orvieto, dove fa edificare un nuovo oratorio e rimanendo per l'inverno nell'incantevole Perugia, sempre preso dalle sue esaltazioni bellico-mistiche. Nel frattempo in Toscana il Papa da l'assenso per la creazione di un nuovo convento francescano a Montalcino ed uno carmelitano a Volterra.
In settembre all'Elba le truppe piombinesi si sono finalmente decise a dare battaglia. Con quest'ultima battaglia Domenico Orsini potrà finalmente essere ricoperto di gloria per aver posto fine alla guerra in Toscana, durata ormai da più 5 anni, anni di privazioni, morte, sofferenze, fame. L'armata piombinese è composta da 1600 uomini, in buona parte cavalieri, tutti i nobili fuggiti dalla penisola a seguito dell'occupazione pontificia pronti a vincere o a morire. L'esercito dell'Orsini è composto da 2000 uomini, molti dei quali logori e stanchi a causa di una guerra così lunga e dolorosa, che gli ha già causato la perdita di molti amati amici e parenti. Domenico non può permettersi di perdere la battaglia: in caso di sconfitta infatti i Romani potrebbero difficilmente uscire vivi dall'Elba. La mattina del 9 settembre 1466, i papali e i piombinesi si incontrano sulle alture vicine a Rio. Dopo che i preti hanno benedetto i soldati in entrambi gli schieramenti, la battaglia comincia. Come al solito le truppe romane cominciano col tirare un frecce tra i ranghi nemici, ma la cavalleria piombinese li carica immediatamente. La mischia comincia più cruenta del solito anche se l'impeto iniziale i ranghi toscani sembrano già deboli, tuttavia la cavalleria piombinese è molto aggressiva e continua ad attaccare ripetutamente quella romana con una tattica mordi e fuggi. I papali hanno dei fedeli cavalieri veterani con schioppetti reduci della battaglia di Ancona contro gli Sforza e della corrente guerra, che agiscono in maniera eccellente per contrastare la cavalleria nemica spostandosi con grande agilità: per tutto il campo si sparge l'odore della polvere da sparo che in alcuni punti crea una nebbia grigia. Domenico ingaggia dei combattimenti molto duri e rimane più volte ferito. In un momento l'Orsini rischia enormemente la vita perchè, rimasto solo, è inseguito dalla cavalleria leggera maremmana: sono gli schioppettieri a trarlo in salvo sparando un piombo che va a colpire la testa dell'ufficiale della cavalleria di butteri che lo stava inseguendo. La vittoria romana giunge anche questa volta, ma questa volta per sempre, la guerra è finita! Sul campo tutti i Piombinesi sono morti o dispersi anche se oltre 1200 sono i morti papali: molti giovani romani non torneranno più a casa. L'Elba viene conquistata interamente dall'Orsini che torna finalmente a Volterra tra mille onori per godersi un meritato riposo; qui riceve l'ordine di preparare un esercito tutto nuovo con i fondi messi a disposizione dal Papa. Domenico non è stanco per se, ma solo per i suoi uomini e ubbidisce prontamente all'ordine: l'anno successivo dovrà partire per Pisa con uomini freschi, Roma infatti vuole attaccare Ferrara.
Nel giugno del 1466 avviene secondo assedio di Kruje. Maometto II conduce un esercito di 150.000 soldati nel tentativo di annullare la resistenza albanese conquistando Kruje. Gli albanesi lo respignono ed il Sultano si ritira, conducendo il suo esercito al di fuori dell'Albania. Nel 1467 gli Albanesi resisteranno allo stesso modo ottenendo un'altra vittoria contro i Turchi.

Battaglia di Rio nell'Elba



Nel 1467 le truppe pontificie sono pronte per l'attacco a Ferrara: ben 4 armate dovranno attaccare i domini estensi. Probabilmente i Ferraresi sanno che Roma sta addensando truppe al confine romagnolo, ma molte delle loro armate sono già dispiegate contro Venezia e Firenze. Marco II, guidato da uno dei suoi impeti bellici, decide di partire per primo verso l'Emilia: Marco Condulmer guiderà i suoi veterani verso Ferrara stessa mentre Domenico Orsini attaccherà Pisa ed il Governatore di Forlì Leon Battista Alberti Accorsi coprirà le spalle a Condulmer con un altro contingente. La campagna comincia in tardo autunno, per cercare di cogliere il più possibile i Ferraresi di sorpresa, anche se le condizioni del terreno e del cielo sono pessime. Il 24 novembre Marco II attacca intrepidamente Modena. La città è quasi completamente sguarnita, solo Borso d'Este ( http://it.wikipedia.org/wiki/Borso_d'Este ) e pochi fanti sono presenti al suo interno. Dopo i cannoneggiamenti delle mura modenesi le truppe pontificie sciamano dentro la città e massacrano la guarnigione, compreso il povero Borso che viene ucciso da rudi mercenari emiliani assoldati per la strada dai pontifici: a quanto pare la condotta bellica romana della guerra non concepisce la misericordia. L'esaltazione di Marco II supera ogni limite, si proclama Imperatore di tutti i regni cristiani, paragona le sue abilità guerresche ad Alessandro ed a Cesare e giura di brandire la spada per tutta la vita al fine di riportare con il sacrificio di empio sangue la pace nella Cristianità; passa intere notti semi-nudo a pregare nelle fredde chiese modenesi e gli stessi ufficiali romani cominciano a preoccuparsi per lo stato mentale del pontefice. Alla corte di Ferrara si scatena il terrore per l'invasione pontificia. Dopo pochi giorni dalla vittoria, nonostante il gelo intenso, Marco II da ordine di marciare contro la fortezza di Reggio in Emilia: questa fortezza si è espansa notevolmente secondo i piani della dinastia estense diventando un baluardo apparentemente imprendibile, al momento è presidiata da Niccolò V d'Este, famoso generale ferrarese, abile spadaccino e valente cavaliere. Marco II vuole assaltare la fortezza senza approntare un assedio: i comandanti romani sono obbligati ad assecondarlo dubbiosi sull'esito dello scontro ma forti dei buoni vettovagliamenti e delle truppe fresche e preparate. Il 15 dicembre l'esercito pontificio si dispone sotte le mura di Reggio, lo scopo sarà aprire una breccia nelle mura orientali ed entrare nella cittadella più interna per fare strage di nemici. L'artiglieria romana comincia così a colpire le mura ferraresi, ma queste sono così resistenti che le palle di ferro sparate, dopo aver impattato violentemente la pietra, rimbalzano all'indietro. Molti proiettili ricadono vicino alle stesse linee pontificie con fragore, nell'agitazione dei soldati. Una palla ritorna indietro centrando in pieno e mandando in pezzi 9 artiglieri e spaccando una bombarda: alcuni sfrontati nobili romani sui loro cavalli ridono e scommettono su quale punto dello schieramento arriverà la prossima palla. Dopo numerosi rischi viene finalmente in tarda mattinata aperta una breccia nelle mura di Reggio. Diversi archibugieri e tiratori vengono inviati sotto le mura per coprire con il fuoco l'avanzata della fanteria e della cavalleria romana, la quale si mette ad inseguire alcuni balestrieri e membri della Guardia Estense che all'avanzare del nemico fuggono verso la cittadella più interna. Ci sono alcune perdite. Le truppe pontificie entrano nella prima cinta muraria con grande facilità e si apprestano a trovare un passaggio per salire sulle mura della cittadella più interna, presidiata dai soldati ferraresi. I loro sforzi sono inutili giacchè lo stesso Niccolò V ordina ai suoi armati di caricare i Romani ed il ponterfice fuori dalla fortificazione. Lo scontro comincia nelle strade di Reggio con grande violenza: la cavalleria romana, spintasi troppo avanti rispetto al grosso delle truppe, rimane intrappolata dalle truppe nemiche: all'arrivo della fanteria romana solo pochi cavalieri sono sopravvissuti. Sotto le mura del cancello della fortezza più interna si ingaggia una lotta furibonda nella quale Marco II si getta senza aspettare: con i suoi rabbiosi fendenti riesce ad uccidere molti nemici ma la sua guardia subisce numerose perdite ed è costretto a ritirarsi temporaneamente dalla mischia. Le urla del Papa sono sconnesse, parlano di Dio, di santi, di imperatori e di sangue, ed i soldati romani non capiscono ormai nemmeno più quale sia la causa di questo comportamento, forse Marco ha perso definitivamente la testa nella frenesia e nella confusione della battaglia. Il cancello della fortezza interna viene forzato, si spezzano le catene e le fanterie papali riescono ad inflitrarsi nella piazza principale di Reggio. Niccolò V carica i pontifici e si getta nel folto della mischia. Il biondo comandante estense dal fisico prestante e dal grande coraggio combatte come un leone per la sua casata: sotto i suoi colpi cadono molti tra i migliori cavalieri romani ma il suo coraggio non serve però a salvare la sua vita, un cavaliere bolognese al soldo del Papa sopraggiunge alle sue spalle e, con un colpo netto lo decapita. La testa mozzata rotola a terra, con gli occhi ancora vivaci. I Ferraresi, inorriditi, continuano a combattere violentemente fino all'ultimo. Marco II vede la vittoria, crede di essere Alessandro sulle mura di Tiro o Rolando in mezzo ai saraceni: è talmente infervorato che carica nella porta della fortezza senza fare caso ai numerosi picchieri romani che la stanno attraversando con le loro armi pericolosamente puntate verso il cielo; giunto all'interno della piazza principale uno spadaccino estense da con coraggio un forte colpo di spada addosso al cavallo del papa: la bestia straziata dal dolore e confusa dal clangore delle armi e dalle urla degli uomini si imbizzarrisce. Marco cerca di reggersi alle briglie ma cade all'indietro e si infilza il torace sopra una picca di uno dei suoi stessi uomini. Il Pontefice comincia ad urlare pietosamente mentre i suoi uomini rimangono incredubli. Mentre gli ultimi Ferraresi vengono snidati dalla fortezza centrale e massacrati senza pietà, Marco II è trasporato su suo preciso ordine nella cattedrale di Santa Maria Assunta: sta morendo, tra grandi sofferenze. Il papa è pallido, ancora vestito della sua armatura sporca di sangue, trema, la ferita gli procura un dolore enorme, ma egli cerca con ritrovata umiltà e fervore mistico di contenersi, nel momento estremo vuole esprimere i suoi ultimi pensieri, vuole i nobili romani attorno a lui. Dopo essersi accomiatato da ognuno di loro a turno, pronuncia le sue ultime parole: - Esiste, miei figli, una sola cosa per la quale valga la pena morire: l'amore per Dio e la nostra Chiesa. Onorate il Signore, servite la vostra Madre, strappate l'Italia dal dominio degli empi e dei barbari...fate di essa la patria dei giusti e dei misericordiosi... -; ma ecco che già il respiro si blocca, gli occhi si fissano e le mani smettono di tremare. I nobili romani vedono spegnersi per sempre riconciliato con Dio e con se stesso il Papa Marco II, Beato Savelli, morto il giorno della conquista di Reggio da parte delle armate romane il 15 dicembre dell'anno del Signore 1467.

Particolari della battaglia di Reggio







(Sciaca)
00martedì 7 agosto 2012 17:25
Credo che questa fu la prima AAR che lessi, sempre bella!
PS
Ce ne saranno mai di nuove?
Legio XIII gemina
00giovedì 9 agosto 2012 17:42
Grazie :)!

Non lo so a dire la verità. Adesso ho un po' di tempo per postare ma non per giocare. In ogni caso, con quale fazione ti piacerebbe che io giocassi? Ho anche Vecchio Mondo.
(Sciaca)
00sabato 11 agosto 2012 12:34
Re:
Legio XIII gemina, 09/08/2012 17.42:

Grazie :)!

Non lo so a dire la verità. Adesso ho un po' di tempo per postare ma non per giocare. In ogni caso, con quale fazione ti piacerebbe che io giocassi? Ho anche Vecchio Mondo.




Mmm, magari qualche fazione che dia filo da torcere nel giocarla, come i Croati!
boboav
00sabato 11 agosto 2012 12:59
bellissima cronaca [SM=g28002]
Legio XIII gemina
00lunedì 13 agosto 2012 11:07
Re:
(Sciaca), 11/08/2012 12.34:




Mmm, magari qualche fazione che dia filo da torcere nel giocarla, come i Croati!



Mi sembra una buona idea, se ci saranno altre proposte metteremo le eventuali fazioni al voto.


boboav, 11/08/2012 12.59:

bellissima cronaca [SM=g28002]




Grazie [SM=g27985]
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