Il_Basileus_93
00lunedì 12 luglio 2010 19:22
Capitolo 3: Lo sbocco sul mare
Fu nell'Anno del Signore 1167 che il Re d'Ungheria, Sua Maestà re Geza II poté realizzare una delle principali aspirazioni del suo regno: ottenere una posizione che permettesse commerci marittimi.
Le possibilità per il Re erano due: espandere il regno ad est, con la certezza di una guerra contro i Greci e la probabilità di entrare in conflitto con i nomadi Cumani, o dirigersi a sud, dove a sbarrargli la strada resisteva unicamente la Repubblica di Ragusa. Quest'ultima direttiva d'espansione fu quella che scelse il Re...
La città, Ragusa, era una fiorente repubblica e con i suoi traffici commerciali rappresentava l'obiettivo perfetto per dare uno slancio alla debole economia del regno d'Ungheria. Dalle spie nella zona però, giunse notizia che un contingente Veneziano stava già assediando la città. Il Re incaricò dunque il fratello di dirigersi verso la città e dichiarare ai Veneziani di voler portare supporto agli alleati, lui l'avrebbe raggiunto più tardi. Formalmente, il compito dell'erede al trono e fratello del Re, il principe Ladislao II, era, come detto poc'anzi, di portare soccorso agli alleati Veneziani, ma in realtà gli era stato fatto intendere di non partecipare a una battaglia, se mai ve ne fosse stata una, a meno che Venezia non fosse stata chiaramente sul punto di vincerla.
Tuttavia, ciò non accadde. Il contingente veneziano che assediava la città fu respinto dalle forze ragusine senza che il principe si intromettesse. Ciò ovviamente provocò lo sdegno degli alleati, ma recò altresì vantaggio al Regno.
Il principe infatti, pochi giorni dopo la dipartita Veneziana, pose personalmente l'assedio alla cittadina, accompagnato solo dai pochi uomini della sua scorta, mentre il fratello si trovava ancora presso Soli.
I due però non fecero in tempo a ricongiungersi prima dello scontro. I cittadini di Ragusa, infatti, stanchi del continuo stato di guerra decisero di eliminare in fretta questo nuovo, apparentemente debole nemico. Uscirono in massa, e nel vederli abbandonare le mura il Principe Ladislao provò a contarli. Erano talmente tanti, che ognuno dei suoi uomini avrebbe dovuto ucciderne almeno dieci perché potessero vincere. Incredibile a dirsi, le cose andarono proprio così. Il resoconto della battaglia, conservato negli annali della cittadina, è andato perduto in un incendio a Ragusa qualche tempo fa, ma ho avuto occasione di leggerlo. Secondo quanto lì scritto, il principe caricò tre volte: la prima carica fu la più devastante, e spazzò via le linee di fanteria nemica, con la seconda e la terzo eliminò ogni resistenza e infine si gettò sui nemici in fuga, massacrandoli tra le strade della città fino alla piazza, dove informò la popolazione che la loro città era ora proprietà del Regno d'Ungheria.
Pochi giorni dopo, il principe fu raggiunto dal nuovo governatore, il nobile Geza Arpad, e poté quindi far ritorno a Pecs, mentre in città si cominciavano i lavori per l'ampliamento del porto cittadino, fondamentale per i futuri commerci del regno.
Per quanto potrebbe sembrare strano, comunque, la città non si oppose al nuovo governo. Credo che abbiano preferito il Re d'Ungheria al Doge dell'odiata Venezia... Venezia con cui, tra l'altro, il Regno cominciava ad essere in rapporti sempre meno stabili...
Capitolo 4: Problemi diplomatici
Non si può dire, certo, che gli anni che seguirono l'assoggettamento della repubblica di Ragusa furono anni tranquilli. I rapporti con Venezia, come già accennavo, peggiorarono moltissimo, poiché la città lagunare aveva grande interesse ad esautorare dai commerci marittimi la sua unica rivale nell'Adriatico, mentre essa, sotto il Re d'Ungheria, si avviava addirittura ad acquisire maggiore importanza!
Il Re, come ebbi modo di scoprire, temeva un attacco da parte di Venezia, sebbene la repubblica fosse ancora formalmente un'alleata. Decise, pertanto, di operare in direzione tale da porre la città lagunare in posizione di svantaggio, qualora essa avesse inviato il suo esercito nelle terre di Santo Stefano. Furono inviati ambasciatori a Milano e a Napoli, e si stabilirono alleanze con il Comune di Milano e il Regno normanno di Sicilia, che di certo non vedevano di buon occhio Venezia.
La scelta del Re si rivelò presto quanto mai azzeccata: non passarono pochi anni, che tra Milano e Venezia cominciarono le ostilità. Quando si trattò di scegliere l'alleato da supportare e quello da tradire, Sua Maestà il Re non ebbe dubbi: avrebbe abbandonato Venezia, pur non dichiarandosi ancora apertamente ostile da essa: che dir se ne fosse voluto, i commerci con la Laguna portavano a Pest grandi somme di denaro!
Ma quelli con Venezia non furono i soli problemi tra vicini... di ben peggiori ve ne furono con il confinante Sacro Romano Impero. Da sempre, per quel che ne sappia, l'Imperatore aveva infatti provato a portare sotto la sua orbita le terre del Regno d'Ungheria, e nonostante il periodo di pace, non aveva certo abbandonato questa sua aspirazione: senza il minimo preavviso, un'armata imperiale al comando di un capitano, tale Maximilian, pose l'assedio a Zagreb. Correva l'Anno del Signore 1172...
La guarnigione, in tal graziosa cittadina, era comandata dal nobile Guido Frangipan che disponeva, se ben ricordo, di circa mille uomini, perlopiù cittadini armati per l'occasione e agricoltori provenienti dal vicino contado.
Poiché, per volontà del Signore, non ebbi modo di assistere all'assedio, nè ne esistono altri resoconti dettagliati, riporterò in seguito il rapporto della battaglia che il vice del capitano Imperiale fece allo stesso imperatore:
"Quella mattina, decidemmo, dopo sei mesi d'assedio a Zagreb, di portare l'attacco alla città. Avevamo uomini in abbondanza, millecinquecento, e la costruzione delle macchine d'assedio era finita: disponevamo, infatti, di due arieti, una torre d'assedio e quattro scale.
Il capitano divise così i suoi uomini: tre unità di lancieri avrebbero portato la torre d'assedio, l'ariete e le scale. Il resto della fanteria avrebbe atteso lo sfondamento delle porte, insieme alla cavalleria, per poi entrare nella città e superare le difese dei nemici. Nessuno di noi temeva gli Ungari, non erano soldati, quelli a difendere la città, erano pezzenti armati di lancia, scudo e arco: agricoltori, allevatori, artigiani e via di questo passo.
Quando avanzammo, il giorno seguente, lo facemmo con superbia, e per questo il signore ci punì. Sotto la pioggia delle frecce Ungare, accostammo le nostre macchine d'assedio e iniziamo a scalare le mura e sfondare le porte. Quando quest'ultime cedettero, le cose cominciarono ad andare male: i soldati incaricati di scalare le mura, decimati, si diedero alla fuga. Discesero dalle scale, e abbandonarono il campo senza prestare ascolto al capitano che ordinava loro di ritornare nei ranghi; infine, decise di lasciarli andare, quei codardi.
Ma poi, andò sempre peggio... il primo assalto della nostra fanteria oltre le porte fu respinto con parecchie vittime e gli Ungari non ne attesero un secondo, ma si lanciarono fuori dalle mura come un fiume in piena e con tal violenza colpirono i nostri all'esterno, perlopiù impreparati. Molti ne caddero, i restanti arretrarono sempre più finché, decimati, non abbandonarono anch'essi il campo.
Il capitano Maximilian, per suo conto, fu tra i primi a perdere la vita: morì nel primo assalto oltre i cancelli quando, senza timore alcuno e rispetto di Dio, volle combattere in prima linea. Hanno raccontato che fosse stato trapassato da parte a parte da tre lance in una volta... Non so se sia la verità, ma non mi interessa. Quel che sò, è che nessuno di noi l'ha mai più rivisto."
Il resoconto, in seguito, prosegue fornendo i dettagli del piano del capitano, le perdite tra le varie divisioni et cetera, pertanto tralascerò quanto segue.