L'impero del Mediterraneo

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RatMat
00giovedì 13 agosto 2015 19:47
Campagna storica: Mori
Difficile/difficile
Limitazione unità pesanti e di cavalleria in base al numero di castelli, limitazione truppe medio-leggere in base al numero di insediamenti.
Obiettivi: impero sulle coste del mediterraneo occidentale: penisola iberica, italica, nord-africa, isole, sud francia e poi si vedrà
RatMat
00giovedì 13 agosto 2015 20:42
Un nuovo seme
1155: Marrakesh.
L'amir Abd Al-Mu'Min si sentiva vecchio e stanco, il corpo, a sessant'anni suonati, stava bruciando le ultime energie. Seduto nel patio degli aranci della moschea pensava alla dura fatica, durata dieci anni, per riunire l'immenso esercito. Le tribù nord africane erano pronte a prendere tunisi, una piccola forza di andalusi avrebbe attaccato a breve la taifa di Belisa. Piccoli preparativi, diversivi quasi, rispetto alle migliaia di guerrieri delle milizie cittadine dell'halqa e della shira concentrati a Kurtuba per dare supporto alle elite dei musharif e dei mustarib nella conquista dei regni infedeli. Castiglia e Aragona sarebbero cadute nel giro di pochi anni, mentre il Portogallo in pochi mesi. Si distolse da questi pensieri al rumore di spade estratte dal fodero e di sfregamenti di cotte di maglia.
I mustarib della sua guardia personale bloccavano un visitatore. Pochi secondi dopo misero via le spade e vide entrare, a capo chino un suo figlio, il suo erede: Abu Ya-qub Yussuf.
"Mi hai mandato a chiamare padre?"
"Siedi e ascolta".
Il giovane si sedette sulla pietra, la schiena appoggiata ad un albero, in attesa.
"Sono dieci anni che prepariamo questa guerra, gli infedeli verranno spazzati via e distrutti. Tuttavia io sono troppo vecchio per farlo. Il mio corpo è ormai logorato e non potrei dare la giusta ispirazione agli uomini. Ti nomino reggente del regno, comanderai in mia vece fino alla mia morte."
Il giovane stette due secondi pietrificato alla notizia, poi si prostrò dinanzi al padre, le costose vesti di seta a spazzare la polvere.
"Ne sono orgoglioso. Accetto! Vi ringrazio immensamente per la vostra scelta."
Abd Al-Mu'Min fece rialzare il giovane e parlò:
"Conosci tutta la strategia, guida gli uomini in battaglia e vinci, nel nome di Allah. Voglio vedere le loro chiese bruciare, il loro falso Dio trascinato dalla polvere, voglio l'assoluta aderenza delle leggi del Corano in tutta la Spagna."
Abu Ya-qub Yussuf esitò, come imbarazzato, indeciso se parlare o tacere. Alla fine vinse la ritrosia.
"Convoca il consiglio delle tribù a Siviglia, padre, lì prenderò il potere e l'esercito".
Detto ciò si inchinò davanti all'anziano genitore e lasciò il patio.
L'emiro lo guardò uscire, chiedendosi se avesse fatto la scelta giusta, ricordando le parole dei maestri del giovane. Cullato dal dolce gorgoglio dell'acqua del patio si addormentò
RatMat
00giovedì 13 agosto 2015 21:47
Litigare fa male al cuore
1156: Siviglia.
L'emiro entrò zoppicando nella superba tenda scortato da quattro mustarib, gli unici uomini armati presenti, e si sedette pesantemente sul trono. Si prese tempo ad osservare le sete, gli arazzi e le pelli di fiere del deserto che adornavano le pareti della tenda, sorseggiando un sorbetto all'arancia. Alla sua destra sedeva suo figlio e poi tutti i rappresentanti delle tribù più potenti del regno: Hargha, Hintati e Hazraja a formare un cerchio. Alle loro spalle le tribù minori: Lamtuna, Banu, Zenata... Persino dei rappresentanti di beduini e tuareg. C'erano voluti sei mesi per riunirli tutti, sei mesi che avevano impoverito notevolmente le casse del regno per mantenere l'enorme esercito.
Finalmente prese parola:
"Io Abd Al-Mu'Min, amir del regno almohade nomino mio reggente Abu Ya-qub Yussuf. La sua parola sarà la mia, la sua volontà sarà la mia."
Fece una piccola pausa per dare modo agli uomini lì riuniti di assimilare la novità. Notò poca sorpresa negli sguardi dei rappresentanti delle tribù, indifferenza, persino, negli occhi degli uomini del deserto.
"Esigo da tutti voi la massimà fedeltà nei confronti di mio figlio ed esigo ora un giuramento di eterna obbedienza, nel nome di Allah".
Il reggente si fece avanti, lo scettro di suo padre, simbolo del potere del regno, stretto nel pugno. Uno dopo l'altro tutti gli uomini nella tenda si fecero avanti per inginocchiarsi e toccare con la fronte lo scettro teso. Terminata la cerimonia l'amir fece segno al figlio che poteva parlare. Questi si fece avanti consapevole che quello che avrebbe detto avrebbe potuto cambiare la Storia, farle prendere deviazioni impreviste. Sentiva su di sè gli sguardi di tutti quei nobili, di quei guerrieri, e solo la vista dei quattro mustarib attorno al padre gli diede il coraggio di pronunciare le sue prime parole da reggente:
"Ringrazio l'amir per l'enorme fiducia in me riposta e tutti voi per i giuramenti. Il mio primo atto come reggente sarà spostare la capitale da Marrakesh a Ishbiliya, più vicino ai nostri obiettivi."
Un mormorio sorpreso si levò dalle fila delle tribù minori...
"Come secondo atto convoco una riunione diplomatica coi rappresentanti dei regni cattolici di Aragona, Castiglia e Portogallo per discutere una tregua al conflitto che ci oppone."
I mormorii iniziarono a crescere fino a diventare urla. In quel pandemonio la parola tradimento fece a gara con pazzia e stupidità. Il trambusto cessò di colpo al suono dello scettro regale sbattuto con forza sul tavolo al centro, dov'era posizionata la mappa della Spagna:
Yussuf approfittò del silenzio per parlare:
"Verrà proposta ai regnanti la pace, verrà proposto un accordo: unificazione dei regni di Portogallo, Aragona e Castilla sotto un'unica bandiera, la nostra."
Il vecchio amir, visibilmente perplesso, interpellò il figlio:
"E perchè dovrebbero, questi infedeli, rinunciare alla loro sovranità, alle loro leggi e al loro falso Dio per accettare Allah ed il Corano?"
Yussuf titubò un secondo, strinse forte lo scettro e parlò:
"Perchè offrirò loro la piena libertà religiosa, ogni uomo, sia esso cristiano, musulmano o ebreo sarà libero di pregare chi crede. Niente più guerra santa, massacri e saccheggi, solo chi alzerà le armi contro di noi verrà colpito E soprattutto niente differenza tra le nostre fedi, così simili da poter essere considerate una sola"
L'intera tenda parve esplodere quando tutti gli uomini presenti in sala saltarono in piedi urlando al sacrilegio e invocando shari'a contro l'infedele. Il tumulto non si placò nemmeno con i colpi di scettro sul tavolo. Più di un uomo tentò di raggiungere il reggente. La tenda si fece di colpo silenziosa al sinistro sibilo delle spade dei mustarib, improvvisamente schierati a difesa del reggente e dell'amir.
Yussuf gridò: "Abolitò la shari'a!!! E vi ricordo i giuramenti di fedeltà e assoluta obbedienza che avete appena fatto!!! E..." Fu bruscamente interrotto da un urlo strozzato: "TU!".
Il vecchio amir si alzò di scatto, i tratti distorti da un'espressione di rabbia, di assoluto furore: "tu stai rinnegando tuo padre, tutti gli insegnamenti tu... tu... tu..." Improvvisamente cadde a terra senza fiato, senza più la forza di fare niente, con lancinanti dolori al petto e la sensazione che ogni respiro potesse essere l'ultimo...
RatMat
00giovedì 13 agosto 2015 22:04
Ogni azione genera una reazione
1156: Siviglia.
Yussuf si buttò stremato sul letto, gli esiti della riunione appena terminata che ancora bruciavano come staffilate.
L'esercito riunito da suo padre congedato dal consiglio tribale, le casse del regno semi-vuote, gli uomini di potere tornati nelle loro città. In più suo padre da quattro giorni in bilico tra la vita e la morte. L'unico lato positivo uscito dalla riunione è stato l'appoggio delle tribù minori alla conquista di Tunis. Dopo infinite trattative era riuscito ad ottenere dai governanti l'uso delle guardie cittadine dei junud e dei fellah. Assieme ai mustarib della sua guardia personale e a qualche guerriero del deserto era tutto ciò che gli rimaneva.
Convocò il suo consiglio personale, nella sua camera: "ognuno di voi farà ciò che ordino, al massimo delle sue capacità e al massimo della velocità. Cominciate a costruire porti e mercati in tutte le città, voglio potenziare al massimo il commercio. Ri-arruolate gli andalusi, Belisa deve cadere nelle nostre mani. Hannaba e Tunis sono affare dei lamtuna. E soprattutto organizzate il funerale di mio padre". Senza permettere loro di aprire bocca li congedò, si sdraiò sul letto e iniziò a piangere.
Seth Heristal
00venerdì 14 agosto 2015 02:37
Hah! Abbastanza inaspettato! Bello!

Sto facendo anche io per combinazione una campagna coi mori, ma in hotseat con amici, e non voglio certamente rubarti il palcoscenico [SM=g27990]

P.S. robetta da guerra civile malvagia con morti ammazzati malissimo questo principe
.Dedo.
00venerdì 14 agosto 2015 10:22
molto interessante il secondo capitolo! c'è un fine dietro a quelle parole direi
Scorpionz467
00domenica 16 agosto 2015 00:25
Complimenti, forse potresti concederti più licenze, ma tutto sommato vai alla(h) grande
RatMat
00lunedì 17 agosto 2015 19:36
Domani il prossimo capitolo. Purtroppo ho il boia inattivo finchè qualcuno non invecchia e produce qualche maschietto...
Però non è giusto non poter reclutare mustarib negli altri paesi europei, perchè dei cavalieri francesi dovrebbero rifiutare?
Seth Heristal
00martedì 18 agosto 2015 01:58
A tolosa hai i cavalieri tolosani... si lo so fanno un po' cagare [SM=x1140525]
RatMat
00mercoledì 19 agosto 2015 19:28
Ricostruire sulle macerie
1163: Siviglia
Yussuf si aggirava pensoso nei giardini della nuova fortezza, ancora in costruzione, l'alcazar. Tutte quelle piante esotiche, i voli dei pappagalli e i giochi d'acqua non riuscivano a distrarlo. In più non riusciva a togliersi dalla mente suo padre: dopo lo svenimento della tenda era scomparso, al suo posto c'era ora un vecchio debole, incapace di scendere dal letto senza ansimare, incapace di seguire o esprimere il più semplice ragionamento. Una crisalide, il guscio vuoto di colui che aveva conquistato il nord-africa e l'andalusia. Nelle ultime settimane era poi ulteriormente peggiorato. Finalmente giunse nel nuovo padiglione costruito al centro dei giardini. Lì lo attendevano i suoi tre più fidati consiglieri: Salomon Maimon, ricco mercante ebreo messo a capo delle finanze reali e Khaled, misterioso derviscio a capo delle spie.
Per ultimo arrivò un mustarib, con cotta di maglia rinforzata e spada lunga al fianco, Pedro De Guzman, capo della scorta reale. "ho sistemato gli uomini", disse sfilandosi l'elmo, "nessuno ci disturberà."
Yussuf, con un gesto della mano, lo invitò a proseguire e ad esporre il suo resoconto.
"Tunis è caduta, assieme ad Hannaba. Merito delle truppe dei lamtuna e degli zenata, guidate da Abu Yahya Al-Hintati. Ora sta fortificando la posizione, anche se non è chiaro se per noi o per sè stesso. In Spagna le cose vanno bene: abbiamo annientato la taifa di Belisa e preso l'ultima roccaforte almoravide: Medina Mayurca. Merito del generale Ibn Sanadib: oltre alle milizie di Granada e alla compagnia di mustarib, ha reclutato lancieri andalusi e preso, senza troppe perdite, queste due città. Ora è rientrato a Granada... In più stiamo addestrando un nuovo esercito a Kurtuba, ma, nonostante i proclami e gli avvisi di reclutamento, nessun musharif si unirà alle nostre forze".
Yussuf lo fissò in silenzio, poi si rivolse a Salomon:"fammi un rapido resoconto delle nostre finanze".
L'ebreo si mosse a disagio nella sua ampia vesta nera, riccamente intrecciata di fili d'oro e d'argento, si tirò la corta barba nera, estrasse da sotto la tunica una tavoletta e cominciò: "male. Le entrate bastano a mala pena a coprire le spese di costruzioni. Lo sforzo per ammodernare il regno non sta lasciando segni, i guadagni non aumentano. Ogni fiorino guadagnato si volatizza in nuovi mercati, mulini e mattatoi. Fortunatamente le campagne commerciali estere stanno dando i frutti sperati: abbiamo il controllo del traffico d'oro e di schiavi del sahara, dell'argento toledano, delle imbarcazioni dei cantieri di Barcellona e dello zolfo siciliano. Ora che siamo riusciti a fondare una gilda dei mercanti conto di riuscire a prendere il controllo anche dei cantieri e delle vetrerie veneziane. Quanto alle costruzioni, se noi..."
"NO!!!" lo interruppe Yussuf, "so che vuoi dire. Non taglieremo i fondi alle tribù del nord-africa, anche se ora hanno ritirato l'appoggio militare. Pagano ancora i tributi. Khaled, com'è la situazione?"
Il derviscio appariva povero e umile, una tonaca di semplice lino, senza decorazioni e un fez in testa, logoro e sudicio, tuttavia lo sguardo era freddo e intelligente, dotato di una feroce determinazione. Si inchinò al sovrano: "Abbiamo accordi commerciali con i tre regni cristiani, con il commune di Zena e coi pisani. I normanni ci sopportano e per ora commerciano, tuttavia temo abbiano preso la conquista di Tunisi come un affronto. Dovremo stare attenti."
Yussuf sbuffò e lo guardò storto: "mi interessa di più la situazione interna..." il derviscio fissò il sovrano negli occhi, una implicita sfida nello sguardo, e poi parlò: "abbiamo terminato il reclutamento di un boia a Fez. Padre e figlio, Omar e Umar Al-Hintati stanno parlando di aperta ribellione, di invocare una jihad contro di te. Solo la posizione per ora neutra di Abu Jafar della tribù Hazraja li trattiene dal riunire l'esercito e marciare in Spagna. Però credo che per ora il loro odio sia rivolto all'altro figlio di Omar, Abu Yahya che ha obbedito ai tuoi ordini e preso Tunis. Anche se bisogna capire perchè lo ha fatto..."
Yussuf lanciò una lunga imprecazione. Poi, calmatosi, prese a dare ordini: "Pedro, costituisci una nuova guardia del corpo: mawali. Saranno costituiti dai migliori cavalieri che si riusciranno a reclutare, siano essi cristiani, musulmani, ebrei o mercenari di qualsiasi regione. I mustarib faranno parte dell'esercito reale come elite, non più come guardie del corpo. Salomon dai ordine di costruire in ogni città empori e quartieri per accogliere mercanti stranieri. Aumenta le compagnie commerciali e dai il via alla costruzione di una flotta commerciale, che navighi a nord verso l'Inghilterra e a est verso l'Italia. E Khaled...".
Un uomo si precipitò nel padiglione interrompendo l'amir e, prima che questi potesse dare sfogo alla sua rabbia per essere stato interrotto, disse: "Abd Al-Mu'Min è morto".
RatMat
00mercoledì 19 agosto 2015 19:50
Il funerale
1163 Cordoba
Il principe uscì dalla mezquita, l'animo turbato e i pensieri tempestosi in forte contrasto con le ordinate file di pilastri e le incisioni geometriche della moschea.
Era passata la settimana più lunga della sua vita: morto suo padre, incontrato e mercanteggiato con uomini grandi, vili e meschini, onesti e ladri.
Suo padre giaceva finalmente nella pace della sua sepoltura e la sua anima in un paradiso fatto di guerre sante ed enormi piaceri. Dopo la sofferenza degli ultimi anni era una liberazione anche per lui.
L'incontro con padre e figlio era andato male, un crescendo di urla e accuse, terminate con minacce di morte e maledizioni. Per fortuna Abu Jafar si era estraniato dalla contesa, aveva promesso neutralità a tutti, non voleva essere coinvolto. Abu Yahar invece aveva infine scoperto le sue carte: sostegno al regnante, fiducia limitata ma promessa di tributi. Il sostegno militare era invece legato alle azioni future. Conditio sine qua non: togliere di mezzo fratello e padre e diventare lui il nuovo capo della tribù Hintati.
La situazione era ingarbugliata e oltremodo spinosa. Si erano presentati alla sua corte anche i tre rei cristiani, per rendere omaggio a suo padre, acerrimo nemico. In realtà volevano tastare il polso a lui, capire se era figlio di suo padre o una stupida nullità. Altre preoccupazioni e complicazioni alla già difficle situazione.
Rei Alfonso I Henriques lo aveva riempito di false promesse di aiuto e di fratellanza. Yussuf sospettava che gli schieramenti andalusi e dei mustarib avessero avuto un certo peso in queste decisioni. Come anche la morte di Hugo Navarro, suo sicario personale, trovato morto nel suo letto avvelenato da un raro serpente velenoso del deserto. Il vigliacco temeva per la sua vita, ma Yussuf era certo che lo avrebbe tradito al primo segno di debolezza, così come sarebbe saltato sul suo carro se avesse vinto.
Di ben altra pasta era Rei Alfonso VII di Borgogna, a capo della Castilla e del Leon. Non si era fatto per niente impressionare nè dall'esercito, nè dall'efficiente servizio di spie di Khaled. Anzi aveva restituito i cadaveri di due dei suoi uomini...
Lui si presentava come un vero e duro paladino della fede, voglioso di sangue infedele, poco importa se guerriero, mercante, donna, bambino o vecchio incapace di reggere un coltello. Le sue truppe compivano sanguinose scorrerie nei villaggi di confine, travestiti da banditi. Grazie a suo fratello Abu Has Umar Al-Hargai, qaid di Bataljuz, molte forche coi corpi dei "banditi" ornavano le frontiere tra i due regni.
Ora avrebbe dovuto spiegare ai nobili del regno come mai Medina Mayurca, costata sangue e migliaia di fiorini batteva ora bandiera catalana. Era dovuto scendere a patti col viscido Rei Don Ramon Berenguer, un'alleanza che non soddisfaceva nessuno, ma almeno permetteva al regno almohade di chiudere la frontiera a est per qualche anno.
Yussuf stava per andare in Nord Africa con l'esercito dei musarib al completo a regolare i fratelli Hintati, ma i suoi pensieri erano tutti in Europa: che fare? Attaccare la Castiglia e poi il Portogallo? O viceversa? O attendere l'attacco esterno per reagire di conseguenza?
RatMat
00mercoledì 19 agosto 2015 19:51
Ora piccolo sondaggio: le vostre risposte al quesito di yussuf detteranno la linea della mia campagna. Se non arriviamo a 5 entro sabato/domenica (termine ultimo per rispondere), deciderò io.
.Dedo.
00mercoledì 19 agosto 2015 23:35
lo so che è tutto il contrario della tua politica ma... espanditi fino a kerak, con tutto il nord africa poi potrai investire chiunque [SM=x1140432]

però se segui la tua linea direi prendi tutto fino ai pirenei
Seth Heristal
00giovedì 20 agosto 2015 01:35
Considera che toledo è una fortezza op, e varrebbe la pena di prenderla il più presto possibile per tenere la penisola sotto il tuo tallone. D'altro canto, è una posizione meramente difensiva: dopo toledo le città castigliane si aprono a ventaglio e ciò non è bene per un'offensiva.
Invece attaccando il portogallo si ha una linea più aggressiva, perché poi si possono conquistare successivamente le città castigliane in fila, percorrendo il perimetro della penisola in senso orario.
Combina queste due e hai la strategia migliore in assoluto. È quella che progetto di usare nella mia hotseat da moro contro la castiglia quale giocatore umano ^_^
RatMat
00giovedì 20 agosto 2015 20:18
@ dedo. Hai ragione, però non voglio farmi coinvolgere in guerra coi siciliani. E poi voglio giocare con calma, senza patemi ma con un minimo di sfida...
@ seth: come tattica mi piace molto, contando che tra poco arriva l'eroe. Però mi toglie il piacere di giocare col vigliacco re portoghese e col sanguinario spagnolo in un colpo solo, non so...
Dimenticavo, gioco col real casualties settato a 25
Scorpionz467
00venerdì 21 agosto 2015 13:34
Vai e radi al suolo il Portogallo, Castilla ti sarà grata
RatMat
00sabato 22 agosto 2015 12:57
La resa dei qaid (conti)...
1165 Tenes
Omar al-Hintati congedò l'ultimo rappresentante dei beni hassan con un sorriso e una forte stretta di mano. Appena fu uscito l'altro si buttò sul sofà e prese il boccaglio del nargihlè, prese una lunga boccata e soffiò fuori il fumo aromatico e speziato. Sapeva che non avrebbe dovuto fumare hashish, ma dopo una giornata di trattative aveva bisogno di rilassarsi. Era stata una giornata frustrante, zenata, lamtuna, tuareg e kutama avevano fatto molte promesse ma lasciato zero supporto materiale. Solo l'ultimo rappresentante dei beni hassan aveva portato truppe. Ora vicino alla città si erano accampati i junud delle guardie cittadine di Tlemcen, Tenes e Bajaia e le truppe del deserto: cavalleggeri armati di giavellotto, halqa e adath. In più a Rusad la guarnigione della fortezza era pronta a unirsi alla rivolta: shira, halqa e musharif. Il governatore di quest'ultima si era deciso ad unire le sue truppe alla rivolta.
Il suo pensiero vagò, reso leggero dall'hashish ai suoi figli. Il maggiore, Umar teneva la città di Tlemcen, mentre il minore Abu Yahar aveva preso Annaba e Tunis nel nome di Yussuf ma poi aveva ignorato ogni ordine sia del sovrano che suo. Sapeva che era molto amato dagli uomini delle sabbie, era il classico ago della bilancia. Il qaid si assopì nei fumi della droga...
Si risveglio di scatto, la bocca impastata, un forte mal di testa un forte senso di angoscia che percorreva tutto il corpo, un grumo ghiacciato alla base del plesso solare. La porta si aprì di scatto, entrò un messaggero del figlio con espressione raggiante: "Yussuf si è alleato con gli aragonesi! E per farlo ha ceduto loro Mayurca!!!"
Omar non credette alle sue orecchie, ora aveva un forte leva per aizzare gli altri capi tribù contro l'amir. Sfregandosi le mani decise che avrebbe forzato i tempi, voleva mettere tutti davanti al fatto compiuto: la rivolta sarebbe iniziata subito. Prese una pergamena e vergò vari ordini. Poi si rivolse al messaggero: "qui c'è l'ordine per i junud accampati qui fuori, devono partire, unirsi alle forze di Abu al-Ala a Rusad e bloccare lo stretto di Gibilterra". Il messaggero si inchinò e corse fuori per portare gli ordini del capotribù degli Hintati.

1166 Tenes
Omar era estefatto, paralizzato dallo stupore e dalla rabbia. Era si era appena svegliato, quando due mustarib avevano sfondato la porta dei suoi appartamenti privati e lo avevano disarmato. Si massaggiò la testa, sforzandosi di capire cosa fosse successo, gli ultimi ricordi legati alla trance data dalla droga. Alle loro spalle c'erano tre delle sue guardie riverse per terra in un lago di sangue. Prima che potesse aprir bocca per protestare vide entrare Yussuf al-Hargai in assetto da battaglia. Estrasse la lunga scimitarra appartenuta al padre e lo colpì con l'elsa al cranio. Una cometa multicolore esplose nel cranio di Omar seguita dalle tenebre.
Si risvegliò sulla piazza cittadina, circondato da cavalleggeri Kutama e mustarib. Al centro della piazza, in ginocchio e con le mani legate dietro la schiena, stava suo figlio maggiore, Umar. In quel momento salì sul palco Yussuf, scortato dai suoi mawali e da Abu al-Ala. Omar digrignò i denti e gridò insulti al qaid di Rusad, un brutale colpo all'addome inferto con una lancia gli tagliò il fiato, riducendo le grida a un rantolo strozzato.
Yussuf prese parola: "io, Yussuf al-Hargai, amir di tutti gli almohadi, condanno Umar al-Hintati a morte. È stata provata da testimoni la sua colpevolezza: ha incitato alla rivolta, complottato contro l'unità del regno e riunito l'esercito senza in consenso dell'amir. La sentenza verrà eseguita per decapitazione." Umar si mise a urlare frasi sconnesse, parlò di tradimente, di eresia e di follia, cercando di divincolarsi dalla stretta di due soldati. I due lo costrinsero a posare il capo sul ceppo, al loro fianco Yussuf alzò la scimitarra e la calò. Omar vide la spada farsi lampo, vide alzarsi al sole lo schizzo di sangue quando la lama, con un rivoltante suono umido, colpì il collo del figlio. La testa cadde a terra, mentre le carotidi recise pompavano schizzi di sangue sempre più deboli. Le gambe ebbero un ultimo debole spasmo, ricordo di vita di nervi ormai morti...
Yussuf scese dal podio, la spada ancora grondante del sangue di Umar e si fermo davanti al capo tribù: "Appena Abu al-Ala mi ha avvertito sono sceso in Africa da Ishblya, ho annientato i tuoi Junud vicino Fez. Ho dovuto cavalcare giorno e notte ma sono riuscito a sorprendervi entrambi."
Omar cercò di sputare verso l'amir, come ricompensa un pugno corazzato gli ruppe le labbra e parecchi denti.
Yussuf riprese a parlare: "Ti do una scelta, più di quanto avresti offerto a me a ruoli invertiti. Puoi salire con me sul palco e mettere il collo sul ceppo dove è morto tuo figlio oppure prendere la guida del mio esercito e andare a annientare quel che resta dei tuoi uomini accampati a Bejaia."
Omar sputò un grumo purpureo, saliva, sangue e frammenti di denti, e rispose "quelli sono i miei uomini, mai potrei combattere contro di loro, hanno la mia parola e io il loro giuramento".
Yussuf sorrise: "immaginavo avresti scelto questa via. Ma a me non va bene. Se non massacrerai i tuoi uomini porterò qui Abu Yahar e la dinastia degli Hintati si estinguerà. Hai un giorno per decidere. Dimenticavo, quella contro i ribelli dovrà essere la tua ultima battaglia." Detto ciò Yussuf si girò, fece cenno ai suoi soldati di portare via il ribelle e ignorando insulti e accuse lasciò la piazza.
Scorpionz467
00martedì 25 agosto 2015 10:40
Porca miseria l'ISIS a Yussuf fa un baffo
RatMat
00martedì 25 agosto 2015 11:26
L'ultima carica
1165 Bejaia
Omar si guardò intorno, i duecento soldati della sua nuova guardia personale pronti al combattimento. Poco più indietro stavano i mustarib a cavallo, circa duecento cavalieri pesanti, e i Kutama, altri mille cavalieri.
Yussuf aveva raschiato il fondo della feccia: assassini, stupratori, ladri, tutti armati come mawali e convinti che se fossero sopravvissuti alla battaglia avrebbero avuto il condono della pena.
Omar aveva pochi dubbi che qualcuno sarebbe sopravvissuto, soprattutto guardando i cavalli che erano stati forniti loro: ronzini e bestie zoppe.
Avrebbe guidato più volentieri i mustarib contro la sua guardia che contro i ribelli. Solo il pensiero del figlio superstite lo spinse ad alzare scimitarra riccamente decorata e a ordinare l'avanzata.
I ribelli erano disposti su una minuscola collinetta poco più avanti: alla sua destra settecento adath, al centro trecentocinquanta junud e sull'ala destra altri trecentocinquanta halqa. Alle spalle il generale dei Beni Hassan con circa duecento giavellottisti a cavallo.
Giunto a trecento metri dalla linea dei junud Omar ordinò di disporsi in due file a partire al trotto. Solo negli ultimi cinquanta metri diede l'ordine di lanciare i cavalli al galoppo.
L'effetto della carica fu devastante. Le pesanti lance rinforzate travolsero e scagliarono in aria numerosi junud, quelli sopravvissuti alle lance furono calpestati a morte dai cavalli. L'intera compagnia si trovò oltre la prima linea nemica a guardare l'esterefatta compagine dei Beni Hassan. Omar ordinò di abbandonare le lance, ormai inutili, e caricò i cavalleggeri. Intanto alle sue spalle gli adath chiusero il varco creato dalla cavalleria mentre gli halqa si mossero in supporto al generale.
Omar si mantenne al centro del suo schieramento, deciso a non uccidere personalmente neanche un ribelle e a portare alla morte tutta la sua guardia. I cavalleggeri ressero pochi secondi l'impatto con la cavalleria corazzata e cominciarono la ritirata, ritirata che si trasformò in rotta quando un colpo di spada spezzò la vita del loro generale.
Omar fermò i suoi cavalieri, ormai ridotti a poco meno di trecento e li girò per affrontare gli halqa.
Qui i cavalieri si trovarono in difficoltà: le lunghe lance li tenevano a distanza e ferivano i cavalli, facendoli cadere a terra dove, impacciati dalla pesante armatura, venivano uccisi prima che si potessero rialzare. Tuttavia Omar diede l'ordine di caricare e i cavalieri penetrarono in profondità nello schieramento degli halqa, seppur al prezzo di alte perdite, e incominciarono a ucciderne a decine.
Rimanevano ormai poco più di venti trenta cavalieri Omar sentì un corno suonare in lontananza: i Kutama caricavano frontalmente gli adath mentre i mustarib colpivano alle spalle ciò che restava degli halqa e iniziavano a massacrare indistintamente ribelli e mawali. In quell'unico momento di distrazione una lancia colpì il cavallo alla gola, questi si impennò, diasrcionò il cavaliere e intrappolò Omar sotto il suo peso. Il lanciere si avvicinò ghignante al quaid per dare il colpo di grazia, quando una Omar vide un spada lampeggiare al sole seguita dalla testa del lanciere.
Yussuf pulì la spada sul cadavere del morto e, aiutato da due mustarib, spostò il cavallo. Si fece portare le redini di un ronzino e le porse a Omar. "Prendi, vai a Tunis da tuo figlio. Ma se io sento il tuo nome anche solo al tuo funerale finirò ciò che ho iniziato. Tu sei morto qui." Omar lo fissò per lungo attimo, chinò il capo e sussurrò "Grazie", prese il cavallo e si allontanò verso est.
RatMat
00martedì 25 agosto 2015 21:52
La riunione
1164 Toledo
La pioggia flagellava le montagne ormai da due giorni. Alvaro da Luna attendeva l'ultimo ospite sulla strada che conduceva alla fortezza, ben visibile sullo sfondo. Dopo ore di attesa una vedetta annunciò l'arrivo di una piccola colonna di cavalieri, rei Alfonso Henriques era arrivato.
Sagramor attendeva alle spalle del suo signore, rei Alfonso I di Castiglia, che entrassero gli altri due rei catolicos per iniziare la riunione. Era un imponente guerriero nubiano, alto e muscoloso, vestito con una pesante cotta di maglia, rinforzata da piastre metalliche e portava al fianco un martello da guerra in grado di sfondare qualsiasi armatura. La sua cotta era coperta dalla lunga sopravveste delle guardie personali del rei castigliano. Pensava al primo giorno che si era presentato al suo nuovo signore, ormai un anno prima.
Era una delle guardie più strette di Abd Al-Mu'Min, il vecchio amir, presente sia alla nomina ufficiosa di Yussuf a reggente, sia nella tenda, dove Yussuf aveva sconvolto il mondo.
Sconvolto dalla lunga malattia e dalla morte dell'amir, aveva incolpato Yussuf di entrambe, si era presentato al rei castigliano nella sua residenza a Kurtuba, qualche giorno prima del funerale di Abd Al-Mu'Min. Il rei l'aveva ricevuto ma non si era fidato di lui, la sua voglia di vedere Yussuf morto aveva convinto Alfonso. Lo credeva una spia mandata da Yussuf per controllare le sue mosse o un assassino.  Neanche quando aveva riferito al rei tutti i piani di conquista del vecchio amir e quel poco che sapeva sulle intenzioni di Yussuf lo aveva persuaso.
Si era convinto solo quando Sagramor aveva portato i cadaveri di due spie almohadi e ne aveva fatte fuggire altre quattro, permettendo al rei di bonificare completamente l'edificio dove si era stabilito per il funerale e di incontrare in gran segreto glia altri due rei. Al termine della rapida riunione aveva chiesto a Sagramor giuramento solenne e lo aveva accolto nel suo seguito.
Ora lì a Toledo i tre rei erano nuovamente riuniti per perfezionare i dettagli della line a d'azione da tenere contro la minaccia almohade. E ancora una volta Sagramor era presente all'incontro, sempre spalleggiato da due compagni d'arme. I due non lo lasciavamo mai solo, per assicurarsi che non provasse a far filtrare all'esterno alcuna informazione, Alfonso non si fidava di nessuno, era molto prudente.
Il rei castigliano prese la parola:"Bene! Tutto sembra andare come dovuto, giusto? Yussuf ci crede separati, non sa che l'accordo con i catalani è stato deciso da noi. Crederà di avere il fianco orientale coperto, mentre in realtà i vostri soldati sono pronti, giusto?". Il grasso Don Ramon Berenguer esitò. "Non proprio. L'accordo prevede la cessione di Maiorca a me ma almeno dieci anni di tregua forzata. Dovrei sostenere grosse spese per una guerra e i forzieri sono vuoti. Maledetti pisani, volevo aggiungere il Rossellò ai miei domini ma mi hanno anticipato.". Alfonso aspettò che l'altro finisse di parlare per investirlo con un torrente di improperi. Calmatosi riprese la parola:"Dovevi proprio fare quell'accordo? Maiorca sarebbe stata comunque tua, assieme alla costa est fino a Gibilterra. L'avresti presa con le armi! Razza di un avido idiota!". Si inserì nella conversazione Alfonso I Henriques:" È assurdo! Mentre io devo perdere forzatamente il mio miglior assassino questo grasso maiale ci guadagna Maiorca senza neanche combattere!!!". Don Ramon si sentì offeso:"Zitto, vigliacco leccaculo, non sei neanche degno di essere chiamato rei!!! Hai un lingua di terra e vuoi dettare condizioni alla ricca Catalogna? Ho visto tutte le manfrine e i complementini che hai fatto a Yussuf. So benissimo che in caso di guerra ti terresti fuori da ogni scontro, fino a quando non sarà chiaro da che parte pende la bilancia!". Ora i due rei erano vicinissimi, quasi muso a muso, a distanza di uccisione. C'era voglia di uccidre negli occhi dei due.
Il rei castigliano fece un brusco gesto e Sagramor e le altre guardie scattarono in avanti a separarli. Alfonso esplose in un urlo belluino:"BASTA! Due idioti fuoriusciti dall'ano di una vacca marcia, ecco cosa siete! Volete litigare? Prendete le armi e combattete!" I due pietrificati non si mossero. Allora Alfonso prese il martello di Sagramor e la spada di un'altra guardia e li mise nelle mani dei due rei. "Avete già designato un erede, giusto? E allora scannatevi, il vecchio rimbecillito contro il grasso maiale, e allora vedremo se gli eredi saranno più degni dei padri". I due deposero le armi, si scusarono con l'ospite e tornarono a sedersi fissandosi in cagnesco.
Alfonso primo prese tre grandi pergamene vergate dai suoi scribi. Ne firmò due e impresse il sigillo reale e le consegnò a Don Ramon e ad Alfonso I. "Sono i contratti di alleanza tra Castiglia-Leon e il Portogallo e tra Castiglia-Leon e l'Aragona". I due rei firmarono le pergamene e apposero il proprio sigillo. "Questa invece è l'alleanza tra l'Aragona e il Portogallo, firmatela." I due rei si guardarono con odio, gli sguardi che promettevano morte. Presero ognuno un lembo della pergamena e tirarono con tutte le forze, strappandola. "L'Aragona ha già un accordo con gli almohadi, è amica dei castigliani ma non sarà mai alleata coi vili Portoghesi." Alfonso gettò il suo lembo nel fuoco del camino "il Portogallo non teme i musulmani, l'allenza con Castiglia è salda e i nostri eserciti sono sufficentemente forti, mai stringeremo patti con gli avidi aragonesi." Il rei castigliano sbiancò a sentire le frasi d'odio dei due regnanti: "Vi rendete conto che così state spezzando l'unità? La riunione di Cordoba non è servita a nulla, i nostri accordi non servono a nulla senza una alleanza triplice, dobbiamo legare la Spagna cattolica in un unico destino."
I due rei si congedarono col rei castigliano senza dare altre spiegazioni e si ritirarono nei propri alloggi.
.Dedo.
00martedì 25 agosto 2015 23:54
Ti prego non ti fermare nel racconto [SM=x1140522]
RatMat
00mercoledì 26 agosto 2015 09:03
Purtroppo sto facendo le cose in fretta per stare dietro alla campagna, sono già parecchi turni avanti. Se avessi più tempo e meno fretta di giocare amplierei dialoghi e descrizioni...
Comunque immagino si capisca chi cadrà sotto le lame degli almohadi...
RatMat
00mercoledì 26 agosto 2015 09:03
Qualcosa si muove
1169 Batajoz
Yussuf strinse forte il fratello, il quale rispose con un abbraccio da spezzare le ossa. Abu Has Umar Al-Hargai non era un uomo imponente, era alto e secco, eppure aveva la fama di miglior guerriero e generale del regno. Compensava la minor forza con una velocità elevatissima, era impossibile penetrare la sua guardia e appena l'avversario commetteva un errore la sua spada trovava subito il modo di punirlo. Tuttavia il vero punto di forza era la mente acuta, in grado di leggere il terreno dello scontro e l'esercito nemico in pochi secondi. Yussuf l'aveva nominato amir al jujush: comandante in capo delle forze del regno.
Terminato l'abbraccio aveva guardato il fratello: "Come va? Sempre in forma spero?". L'altro aveva risposto: "Sì sì, mi tengo in forma con i guerrieri castigliani. Non imparano mai che non devono oltrepassare la frontiera. Per fortuna. Perchè mi hai chiamato qui?"
Yussuf chiamò dentro i suoi tre consiglieri e rispose: "Iniziamo ad unire la penisola sotto la nostra bandiera." Si sedettero tutti attorno al tavolo. Khaled prese la parola per primo: "Il momento è propizio, dobbiamo solo scegliere chi colpire per primo: Aragona è nostra alleata, quindi va esclusa. Castiglia è il regno più forte, si sono impadroniti anche della Navarra, contano sulla fortezza di Toledo e su un esercito complessivo di circa venticinque trentamila soldati. Il Portogallo è più debole. L'esercito si attesta sulle quindicimila unità, attestate attorno a Al-Hisbunah. Questi numero sono però fuorvianti: la maggior parte di questi uomini sono soldati miliziani poco addestrati, armati di falci e lance o balestre e archi da caccia, pochi possiedono corazze di cuoio o scudi. Il Portogallo può contare però su alcune compagnie di lancieri e balestrieri andalusi, non hanno gradito il cambio di regime qui e sono corsi in Portogallo."
Yussuf prese la parola: "La logica vorrebbe che si attaccasse subito la fortezza di Toledo per poi colpire le città castigliane, rafforzando la frontiera portoghese. Ma c'è un ma, giusto Khaled?".
"Sì, Aragona e Castiglia si sono alleate. Attaccare la Castiglia farebbe cadere l'alleanza con gli aragonesi e aprirebbe un secondo fronte. C'è anche un'alleanza tra Castiglia e Portogallo ma non tra Portogallo e Aragona".
"Quindi, se attacchiamo il Portogallo, Castiglia non può attaccarci, rischierebbe di perdere l'alleanza coi catalani. Se ci fosse ancora al comando il vecchio rei Alfonso ci attaccherebbero comunque. Ma è salito al trono l'erede, rei Don Sancho III. Sta ancora cercando di avere fedeltà assoluta dai suoi vassalli, in questo momento non può muovere. Solomon, abbiamo la copertura per mantenere un esercito?"
Salomon si guardò attorno, prese una serie di documenti, si tirò la barba e: "No. Nonostante il successo delle campagne mercantili nel nord Italia, lo sforzo per potenziare le tratte commerciali marittime e terrestri ci sta svenando. Non potra permetterti più di sette ottomila soldati. Troppo pochi per avere successo ancho solo sul piccolo Portogallo."
Yussuf e Pedro De Guzman scoppiarono in una forte risata. Salomon offeso li squadrò e pronunciò in tono freddo: "Non vedo che c'è da ridere! Non sono un soldato ma non ci vuole un genio per capire che settemila contro quindicimila non sia uno scontro sostenibile. In più i settemila sono in attacco, sceglieranno loro il terreno."
Yussuf e Pedro risero ancora più forte, poi l'amir disse: "Scusami amico mio, tu hai fatto e fai sempre un ottimo lavoro. Ma lascia le questione di strategia e chi se ne intende. Pedro, aggiorna i presenti sugli eserciti che invaderanno il Portogallo."
Pedro estrasse da sotto il mantello una piccola tavoletta cerata e si mise a elencare: "Difese supplementari di Kurtuba: trecento musharif (cavalleria corazzata) e cinquecento muwalladun (lancieri). Guarnigione di Batajoz: settecentocinquanta ashir (fanti pesanti) e altrettanti halqa (lancieri), duecento mudejar (balestrieri), duecento mawali (cavalleria corazzata) della guardia dell'amir. Esercito di invasione: duecento mawali dell'amir al jujush, trecento fursan mustarib (cavalleria corazzata), quattrocento fursan mudejar (balestrieri montati), milleduecento ashir, milleottocento halqa, cinquecento mudejar. In più abbiamo reclutato una compagnia di trecento mercenari saethwir: arcieri gallesi. Vedi Salomon, non sono più di ottomila soldati."
Abu Has Umar al-Harghai prese la tavoletta dalle mani di Pedro de Guzman: "quindi avrei circa cinquemila soldati per affrontarne quindicimila?". Khaled intervenne: "Non proprio. Hanno molti miliziani. In più l'esercito è diviso in tre tronconi, da circa cinquemila uomini ciascuno. Il primo è sotto il comando di Salvador Henriques, dalle parti di Avis, gli altri due, sotto il controllo dell'erede al trono Enrico Henriques stazionano nei pressi del guado del castelo de Almourol e presso il ponte di Santarem, dove il Tago curva verso sud e fa un'ampia ansa."
Abu fissò perplesso la mappa: "Ma perchè Enrico non è il rei? Suo padre si è ritirato, giusto?". Khaled sorrise: "Giusto, però ora regge il governo Fernando Bermudez de Trava. Sembra che Enrico sia impazzito, probabilmente dopo aver ingerito della belladonna. Tutto merito della setta degli ashashim, che ci ha "noleggiato", seppur a caro prezzo, il loro uomo migliore: Abdu'llah ibn Quzman. Ora sta muovendosi per eliminare anche Salvador e decapitare l'esercito portoghese."
Abu Has Umar prese la parola: "Dobbiamo sbrigare alla svelta questa faccenda, giusto? Allora direi di muovere la mia armata ad annientare l'armata portoghese ad Avis e occupare il ponte di Santarem. Mi attesterò lì qualche tempo, sperando che siano così idioti da attacrmi sul ponte. Se non attaccano passerò io il Tago e sbaraglierò le due armate riunite. Yussuf, una volta libero il ponte potresti muovere verso Al Hisbunah con la guarnigione di Bataljoz, annientate queste truppe sarà poco difesa, mentre io mi potrei spingere a nord verso Porto. Che ne dici? Accorceremo la campagna di almeno un anno..."
Yussuf fissò per lunghi minuti la mappa e alla fine prese la parola: "Allora è deciso! Ci rivedremo quando il Portogallo sarà caduto!"
RatMat
00mercoledì 26 agosto 2015 13:12
Ho moltiplicato per 5 i reali numeri delle armate
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La prima armata di Abu Has Umar ha combattuto ad Avis e Santarem (due volte, una notturna) e poi ha preso Porto, mentre la guarnigione di Bataljoz ha conquistato, guidata dall'amir Yussuf Lisbona
Scorpionz467
00mercoledì 26 agosto 2015 13:13
Mi è sembrato di vedere due bambini litigare...
RatMat
00mercoledì 26 agosto 2015 13:36
Lo so, dovevo però spiegare come mai Portogallo e Aragona non sono alleate. In più fai conto che sono re, sono abituati a farsi obbedire, adulati e mai contrariati. Sono dei bambini troppo cresciuti che reggono (reggevano) il mondo...
Scorpionz467
00giovedì 27 agosto 2015 00:23
L'ho apprezzato, tranquillo
RatMat
00sabato 29 agosto 2015 13:15
Incursione notturna
1171 Santarem, riva del Tago
I due Jinete portoghesi passeggiavano lungo la riva del Tago, erano la pattuglia più lontana dal ponte di Santarem. L'esercito, guidato da Salvador Henriques era accampato a qulche chilometro di distanza, su una piccola collinetta. Aveva dislocato due compagnie di jinete, quattrocento soldati in tutto, vicino al ponte e lungo la riva per scongiurare attacchi notturni e per aver il tempo di richiamare l'altra metà dell'esercito, schierata a difendere il guado di Almourol. Avevano appena iniziato il turno, sostituendo due commilitoni. Alla luce delle torce l'acqua placida del Tago sembrava quasi inchiostro, nerissima, e immota. Un rumore vicino alla riva li fece voltare. Sistemarono il giavellotto in posizione di tiro e uno dei due avanzò per controllare, lasciando l'altro poco più indietro, pronto a correre al fuoco di segnalazione. Il primo jinete mosse l'erba della riva, controllò i cespugli, ma nulla indicava la presenza di una forza ostile. Si girò di scatto quando sentì un suono umido alle sue spalle, il compagno tossì due volte, rivoli di sangue che scorrevano ai lati della bocca, prima di crollare sulla polvere della stradina. Senza capire cosa fosse successo, corse verso il compagno, lo girò e trovò un pugnale da lancio conficcato nella gola del commilitone. Ancora troppo scioccato per gridare sentì un lieve fruscio alle sue spalle, si girò giusto il tempo per vedere la lama di un sottilissimo pugnale correre verso la sua gola. L'impatto lo fece barcollare, mentre il sangue che sgorgava copioso dalle carotidi recise gorgogliò in gola soffocandone l'urlo. L'ultima immagine che ebbe prima di spirare fu quella di un sorridente hashasin, stivali in cuoio, comode braghe larghe, camicia di seta, tutto in nero, che lo fissava mentre moriva: "la tua morte si chiama Abdu'llah".
L'assassino ripose lo stiletto nella cintura, estrasse l'altro pugnale dalla gola del primo jinete ucciso e, prima di spegnere le due torce, ne fece ondeggiare cinque volte una, poi si acquattò nell'oscurità ad aspettare. L'attesa durò poco, con uno sciacquio dieci mudejar uscirono dall'acqua, nudi, armati solo di coltello. L'ultimo reggeva una lunga fune che utilizzò per tirare un rudimentale canotto che conteneva armature e balestre. L'assassino disse al capo dei mudejar: "hanno appena cambiato la guardia, abbiamo alcune ore per liberare la riva, andiamo". Si mossero in perfetto silenzio, seguendo la guida dell'assassino. Giunsero così a una piccola tenda, dove erano accampati una decina di jinete: quattro fuori a fare la guardia e gli altri dentro a dormire. Altri due Jinete controllavano i cavalli impastoiati e un grosso mucchio di legna secca, il fuoco di segnalazione. Abdu'llah fece disporre i mudejar, con le balestre cariche davanti alla tenda, eppena fuori dal cerchio di luce del piccolo fuoco da campo, poi si incamminò verso le due sentinelle più esterne.
Il capitano dei mudejar, Adem, dovette aspettare meno di cinque minuti, poi, ai margini del cerchio di luce, vide apparire un figura in nero, avvolta da un manto di oscurità che sembrava gocciolare dalla sua silouette, come restia ad abbandonare l'assassino e cedere alla luce. Si riscosse dalla contemplazione solo quando questi fece un gesto con la mano, allora sussurrò un ordine e dieci balestre scattarono di schianto falciando gli uomini seduti attorno al fuoco. Poi buttò a terra l'arma scarica, estrasse la spada e si lanciò nella tenda. Qui i soldati portoghesi si erano appena svegliati quando le lame moresche li falcidiarono tutti.
Adem diede rapidamente l'ordine di spogliare e nascondere i cadaveri, mentre quattro dei suoi mudejar prendevano posto davnti alla tenda vestiti da jinete, cercò con lo sguardo l'assassino, ma questi era sparito. Prese con sè gli altri soldati e si appostò nel sottobosco. Dopo un quarto d'ora apparve una pattuglia formata da una decina di jinete, venuta a fare il giro di tutti i posti di guardia. "Venite sergente, prendete un goccio di vino, ne abbiamo in quantità, generoso dono del capitano per scaldarci durante la notte" disse il soldato più vicino offrendo un otre.  I mudejar erano tutti mercenari spagnoli, inoltre gli elmetti nascondevano parte del viso, quindi l'ufficiale dei jinete non sospettò nulla e smontò di sella assieme ai suoi uomini: "Va bene, un goccio, purchè non vi ubriacate, non potete sapere quanto è lontano il nemico..." Appena terminata la frase guardò meglio il soldato, notando le macchie di sangue sull'armatura. "Ma che diav...". Non riuscì a terminare la frase: lo scatto di quattro balestre da cavalleria troncò la frase a metà. Il sergente fece per estrarre la spada ma si trovò la lama di un lungo pugnale appoggiata alla gola, retta da uno sconosciuto vestito di nero fuoriuscito dalla tenda. Subito dopo udì altri sei schiocchi, poi un gruppo di soldati si abbattè sui jinete e li uccise tutti. Lo sconosciuto gettò a terra un pesante sacchettino e parlò in perfetto portoghese, con liave accento arabo: "Scegli: oro o acciaio. Sei pronto a tradire i tuoi compagni?"
                                                                     ----------------------------------------------------------------------------------
Il capitano Jardim guardava inquieto in direzione del ponte, facendo scorrere lo sguardo lungo le due rive del Tago. Aveva acquartierato una compagnia di jinete in quella fattoria, dotata di mura e di una alta torre sopra la struttura principale, mentre l'altra compagnia era dislocata in numerosi picchetti lungo le due rive. Sentiva una strana inquietudine corrergli lungo il corpo, senza riuscire a capire cosa potesse essere. Appena sveglio qualcosa aveva colpito il suo sguardo ma era subito sfuggito alla sua memoria, da mezz'ora stava cercando di capire cose fosse. Poi venne l'improvvisa folgorazione: i fuochi da campo dei picchetti arretrati erano accesi, ma le torce dei picchetti avanzati erano scomparse! Fa che non sia troppo tardi, pensò sconvolto. Poi corse verso la torre di segnalazione, ma, la presenza dell'ufficiale addetto all'accensione del falò, riverso sulle scale con la gola tagliata gli fece capire che erano le troppo tardi e un quarto. Con la coda dell'occhio vide sbucare dall'oscurità un nutrito drappello di cavalleria pesante, gli zoccoli dei cavalli fasciati, mentre attorno alle mura si levò un grido di guerra e decine di fanti nemici si lanciarono all'assalto. Jardim capì all'istante che il ponte era perduto e che l'esercito nemico aveva attraversato il fiume, volò alle stalle, urlando a tutti i soldati che incontrava di seguirlo, sellarono in fretta i cavalli e si fiondarono verso il tratto di muratura rivolto a est. Fece rimuovere i puntelli che trattenevano il tratto di muratura indebolito e questi crollò nella polvere. I trenta jinete che erano riusciti a sellare i cavalli uscirono al galoppo da quel buco e si trovarono contro solo un gruppo di halqa. Questi erano troppo lontano per tappare il buco, perciò formarono un muro di scudi verso i cavalieri e li guardarono sfilare nell'oscurità.
Jardim era certo di essere riuscito a scappare, nessun cavaliere pesante avrebbe mai raggiunto gli agili jinete, quando un raffica di dardi di balestra si abbattè sulle loro fila. Tra grida di dolore e i nitriti spaventati dei cavalli urlò ai suoi soldati di scappare, ma un pesante dardo lo colpì al braccio e un altro alla gamba, inchiodandola alla sella. Il cavallo crollò a terra colpito a morte da parecchi verrettoni e l'ufficiale, prima di svenire vide tutti i suoi soldati a terra, morti o morenti e un nutrito gruppo di mudejar avanzare al trotto verso di lui. 
RatMat
00sabato 29 agosto 2015 14:57
Il prigioniero
Il capitano Jardim si risvegliò su un rozzo tavolaccio di legno, in un'ambiente chiuso, la volta del soffitto a botte. Riconobbe le cantine della fattoria dove aveva aquartierato i jinete. Si alzò sui gomiti e subito cadde disteso, il braccio sinistro dal gomito in giù, dove era stato colpito dalla quadrella, era insensibile. Controllo la coscia e vide che era stata già medicata. Un gruppo di medici arabi stava sistemando le ferite di alcuni soldati, curavano indistintamente jinete e truppe dei mori. La cosa lo stupì, nell'esercito portoghese i prigionieri nemici venivano uccisi senza troppe storie. Vide i medici portare dietro una pesante tenda di cuoio un soldato in condizioni gravissime: un'ampia ferita attraversava tutto l'addome. I lamenti del ferito cessarono all'istante. I medici ne uscirono poco dopo e vennero verso di lui: "Senti niente? Muovi la mano sinistra. Niente? Le dita almeno?" dissero mentre maneggiavano il suo arto. Poi presero un piccolo pugnale e l'affondarono nella mano, ma Jardim non avvertì nulla. "Bisogna amputare, il nervo è morto. Bevi questo." Troppo stordito per reagire Jardim bevve, vomitò succhi gastrici misto a residui della cena della sera prima e crollò nelle tenebre.
                                                                                   -----------------------------------------------------------
Si svegliò che era già mattino, in un piccolo recinto all'esterno della fattoria, guardato a vista da un gruppo di azzagajah, giavellottisti leggeri. Si voltò verso i suoi jinete, prigionieri come lui, ne erano sopravissuti circa la metà. Vide le espressioni attonite, tutti cercavano di evitare il suo sguardo, all'inizio pensò per la vergogna della sconfitta, poi capì. Erano sguardi di pena: il braccio sinistro al di sotto del gomito era scomparso. Tutti cercavano di capire cosa fosse successo, cosa ne sarebbe stato di loro. Parlando coi compagni aveva capito che fine avevano fatto i picchetti dell'altgra compagnia: tutti morti. Un gruppo di incursori mori avevano ucciso la pattuglia di controllo e ne avevano preso il posto, così erano riusciti ad avvicinare e ad uccidere tutti i picchetti senza farsi scoprire. All'improvviso tutta la fattoria si era animata di urla di giubilo e tutti avevano voltato le teste verso est. Dalla vallata era emersa l'armata moresca, in tutto il suo splendore: in testa il generale, seguito dai guerrieri cristiani, i mustarib, poi halqa e shira, per ultimi gli arcieri gallesi e i mudejar appiedati. Infine apparve un numeroso gruppo di feriti e i prigionieri, guardati a vista da due compagnie di mudejar a cavallo. Tutte le unità mostravano i segni del combattimento sulle corazze.
I feriti vennero convogliati verso la fattoria, per ricevere cure, i prigionieri stipati nei recinti all'esterno e l'esercito si accampò lì intorno. Nel recinto dei jinete vennero buttati dentro un grosso gruppo di soldati, comites, a seguito di un nobile, un figlio cadetto della casata Alameida. Questi raccontò come si era svolta la battaglia: le sentinelle avevano avvistato l'esercito nemico, avevano svegliato tutti. Lui era corso nella tenda del comandante, Salvador Henriques, ma l'aveva trovato morto. Qualcuno si era introdotto nell'accampamento e avava infilato un lungo e sottile pugnale nella nuca del comandante. Lui era stato il primo a riprendersi dalla sorpresa e aveva schierato l'esercito sulla collina: davanti i tiratori, venatores, palvesari, saggittarii e mudejar. Dietro la fanteria, con i gli homines domini sull'ala sinistra i lancieri, apellodos e miliziani, al centro alla destra, e infine la cavalleria: due compagnie di caballeros, la guardie dei comites domini, sull'ala destra una compagnia di jinete.
Solo che i mori avevano caricato in salita con la cavalleria pesante e avevano letteralmente sbriciolato la sua ala sinistra: tiratori e homines domini erano caduti come mosche. Per prevenire altre cariche aveva portato avanti i suoi cavalieri e aveva caricato la fanteria nemica, mentre il resto del''esercito sarebbe avanzato alle sue spalle. La cavalleria si era però trovata presa tra i lancieri e i cavalieri dei mori ed era andata in rotta. Poi la fanteria moresca aveva caricato quella portoghese e l'aveva messa rapidamente in rotta.
In quel momento i prigionieri videro vanzare un gruppo di cavalieri pesanti, con armature e armi diverse, a tradire la composizione eterogenea delle guardie del generale. Un uomo riccamente vestito, con un'armatura lamellare di ottima fattura e un lunga scimitarra al fianco si avvicinò ai prigionieri. Jardem vide l'armatura danneggiata e schizzata di sangue e l'espressione stanca sul viso, in più aveva un'aria dispiaciuta, come se deprecasse il massacro che aveva appena compiuto. "Sono Abu Has Umar Al-Hargai amir al-jujush degli almohadi. Vorrei parlare col capitano dei jinetes che sorvegliavano il fiume." Jardim stupito si fece avanti: "Sono io, capitano Jardim." Il generale fece cenno ai suoi soldati di farlo uscire. "Complimenti, hai organizzato splendidamente i picchetti. E complimenti anche per lo stratagemma del muro indebolito, ti sei creato una via di fuga che nessuno di noi aveva presvisto." Jardim lo fissò incredulo. Non solo non era stato ucciso, era stato curato e gli venivano fatti i complimenti. Visto che il capitano non parlava, Abu Has Umar continuò: "Una mente brillante non va mai sprecata. E noi accogliamo tutti nelle nostre fila, purchè rispetti la disciplina e faccia il proprio mestiere. Sarai libero di adorare il Dio che preferisci, o nessuno, ti chiediamo solo lealtà." Jardim parlò lentamente: "Mi fate un grande onore, ma..." "Niente ma. Non conta se non puoi più combattere perchè hai perso un braccio, i nostri ufficiali devo avere la mente pronta, più del braccio. Dimanticavo, questi sono tuoi, per compensare la perdita" Jardim era ancora più stupefatto, il generale gli aveva porto un sacchetto pieno d'oro, la paga di un anno! "Non sono ancora pronto per questa decisione. Permettemi di accompgnarvi per sei mesi e poi darò la mia risposta."
"Brutto traditore figlio di una cagna schifosa! Non potete accettare, vigliacco. Se avessi una spada ti caverei le budella dall'ano!" Il nobile Almeida era infuriato per la situazione e continuò a sgolarsi in urla e insulti. Il generale estrasse la spada e fece cenno a una delle sue gurdie di tirare fuori il nobile. "Visto che Jardim non può combattere, mi offro come suo campione. Considerate il duello accettato."
Il mawali diede la spada al nobile, il quale la soppessò e si lanciò con un urlo verso il generale. Questi schivò agilmente il colpo e mosse la sua sottile scimitarra aprendo uno squarcio sulla tunica del'avversario, la lama fermata solo dalla spessa cotta di maglia. Il nobile Almeida si girò e iniziò a tirare ampi e brutali fendenti, tutti parati o evitati dall'amir al-jujush. Costui pareva combattere senza sforzo, evitando la pericolosa spada col minimo scarto, senza sprecare una stilla di energia più del necessario. Poi la spada si mosse più rapida di un serpente, con un rapido diagonale dall'alto colpì la coscia sinistra e sul ritorno l'acciaio morse crudelmente i muscoli del braccio armato, appena sotto l'asciella. Subito il braccio perse le forze, la spada crollò nella polvere e la smorfia del nobile, tra stupore e dolore, cambiò in urlo di agonia quando la scimitarra si aprì la strada tra gli anelli della cotta di maglia e sfondò l'addome per poi uscire dalla schiena, tra le scapole. Abu Has Umar impresse un quarto di giro alla spada e estrasse con un solo fluido movimento l'arma. Il nobile si inginocchiò, mentre il sangue usciva a fiotti sempre più deboli dallo squarcio dell'addome, e cadde nella polvere morto.
Scorpionz467
00mercoledì 2 settembre 2015 01:08
Complimenti davvero.
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