la storia del periodo del nostro mod raccontata da Niccolò Machciavelli
Per chi, come me, si è appassionato a questo mod, è quasi necessario leggere il racconto più bello e più asciutto di questo periodo: quello di Nicolò Machiavelli.
Di seguito vi posto dei pezzi tratti dall'opera.
L'opera:
Le Istorie fiorentine sono state pubblicate postume. Dopo la caduta della Repubblica Fiorentina e il ritorno al potere dei Medici nel 1513, Machiavelli fu arrestato, torturato e in ultimo confinato in una sua villa di campagna. Nel 1520 Giulio de' Medici, poi papa Clemente VII, gli fece offrire l'incarico di stendere un'opera sulla storia di Firenze: per Machiavelli significò mettersi alla prova nello scrivere la storia di Firenze fino a periodi recenti tacendo i suoi sentimenti antimedicei.
Antefatto al nostro periodo: Libro V, capitolo 2 - la pace del 1433 e l'assalto dei mercenari ai possessi papali
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Era la Italia da quelli che la comandavano in tale termine condotta, che, quando per la concordia de’ principi nasceva una pace, poco di poi da quelli che tenevano le armi in mano era perturbata: e così per la guerra non acquistavano gloria né per la pace quiete. Fatta per tanto la pace intra il duca di Milano e la lega, l’anno 1433, i soldati, volendo stare in su la guerra si volsono contro alla Chiesa. Erano allora due sette di armi in Italia, Braccesca e Sforzesca: di questa era capo il conte Francesco figliuolo di Sforza, dell’altra era principe Niccolò Piccino e Niccolò Fortebraccio: a queste sette quasi tutte le altre armi italiane si accostavano. Di queste la Sforzesca era in maggiore pregio, sì per la virtù del Conte, sì per la promessa gli aveva il duca di Milano fatta di madonna Bianca sua naturale figliuola; la speranza del quale parentado reputazione grandissima gli arrecava.
Assaltorono adunque queste sette di armati, dopo la pace di Lombardia per diverse cagioni, papa Eugenio: Niccolò Fortebraccio era mosso dall’antica nimicizia che Braccio avea sempre tenuta con la Chiesa; il Conte per ambizione si moveva; tanto che Niccolò assalì Roma e il Conte si insignorì della Marca. Donde i Romani, per non volere la guerra, cacciorono [il papa] Eugenio di Roma. Il quale, con pericolo e difficultà fuggendo, se ne venne a Firenze, dove considerato il pericolo nel quale era, e vedendosi da’ principi abbandonato, i quali per cagione sua non volevono ripigliare quelle armi ch’eglino avieno con massimo desiderio posate, si accordò con il Conte [Francesco Sforza], e gli concesse la signoria della Marca, ancor che il Conte alla ingiuria dello averla occupata vi avesse aggiunto il dispregio, perché, nel segnare in luogo dove scriveva a’ suoi agenti le lettere, con parole latine, secondo il costume italiano, diceva: Ex Girfalco nostro Firmiamo, invito Petro et Paulo.
Né fu contento alla concessione delle terre ché volle essere creato gonfaloniere della Chiesa, e tutto gli fu acconsentito: tanto più temé Eugenio una pericolosa guerra che una vituperosa pace. Diventato per tanto il Conte amico del Papa perseguitò Niccolò Fortebraccio, e intra loro seguirono, nelle terre della Chiesa per molti mesi, varii accidenti, i quali tutti più a danno del Papa e de’ suoi sudditi, che di chi maneggiava la guerra seguivono; tanto che fra loro, mediante il duca di Milano, si concluse, per via di triegua, uno accordo, dove l’uno e l’altro di essi nelle terre della Chiesa principi rimasono.
Capitolo 3 - Guerra nello stato pontificio e consolidamento del potere sforzesco nelle marche
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Questa guerra, spenta a Roma, fu da Batista da Canneto in Romagna raccesa. Ammazzò costui in Bologna, alcuni della famiglia de’ Grifoni, e il governatore per il Papa con altri suoi nimici cacciò della città; e per tenere con violenza quello stato, ricorse per aiuti a Filippo [Maria Visconti, duca di Milano]; e il Papa, per vendicarsi della ingiuria, gli domandò a’ Viniziani e a’ Fiorentini. Furono l’uno e l’altro di costoro suvvenuti, tanto che subito si trovorono in Romagna duoi grossi eserciti. Di Filippo era capitano Niccolò Piccino; le genti viniziane e fiorentine da Gattamelata e da Niccolò da Tolentino erano governate; e propinque a Imola vennono a giornata; nella quale i Viniziani e Fiorentini furono rotti, e Niccolò da Tolentino mandato prigione al Duca; il quale, o per fraude di quello, o per dolore del ricevuto danno, in pochi giorni morì.
Il Duca, dopo questa vittoria, o per essere debole per le passate guerre, o per credere che la lega, avuta questa rotta, posasse, non seguì altrimenti la fortuna, e dette tempo al Papa e i collegati di nuovo ad unirsi. I quali elessono per loro capitano il conte Francesco, e feciono impresa di cacciare Niccolò Fortebraccio delle terre della Chiesa, per vedere se potevono ultimare quella guerra che in favore del Pontefice avevono cominciata. I Romani, come e’ viddono il Papa gagliardo in su e campi, cercorono di aver seco accordo; e trovoronlo, e riceverono un suo commissario.
Possedeva Niccolò Fortebraccio, intra le altre terre, Tiboli, Montefiasconi, Città di Castello e Ascesi. In questa terra, non potendo Niccolò stare in campagna, s’era rifuggito, dove il Conte lo assediò, e andando la obsidione in lunga, perché Niccolò virilmente si difendeva, parve al Duca necessario o impedire alla lega quella vittoria, o ordinarsi, dopo quella, a difendere le cose sua. Volendo per tanto divertire il Conte dallo assedio, comandò a Niccolò Piccino che per la via di Romagna passasse in Toscana; in modo che la lega, giudicando essere più necessario difendere la Toscana che occupare Ascesi, ordinò al Conte proibissi a Niccolò il passo; il quale era di già, con lo esercito suo, a Furlì.
[prima spedizione di Niccolò Piccinino in Toscana]
Il Conte dall’altra parte mosse con le sue genti e ne venne a Cesena, avendo lasciato a Lione suo fratello la guerra della Marca e la cura degli stati suoi. E mentre che Piccinino cercava di passare, e il Conte di impedirlo, Niccolò Fortebraccio assaltò Lione, e con grande sua gloria prese quello, e le sue genti saccheggiò; e seguitando la vittoria, occupò, con il medesimo impeto, molte terre della Marca. Questo fatto contristò assai il Conte, pensando essere perduti tutti gli stati suoi, e lasciato parte dello esercito allo incontro di Piccinino, con il restante ne andò alla volta del Fortebraccio, e quello combatté e vinse; nella qual rotta Fortebraccio rimase prigione e ferito; della quale ferita morì.
Questa vittoria restituì al Pontefice tutte le terre che da Niccolò Fortebraccio gli erano state tolte, e ridusse il duca di Milano a domandare pace, la quale per il mezzo di Niccolò da Esti marchese di Ferrara si concluse. Nella quale le terre occupate in Romagna dal Duca si restituirono alla Chiesa, e le genti del Duca si ritornorono in Lombardia, e Battista da Canneto, come interviene a tutti quelli che per forze e virtù d’altri si mantengono in uno stato, partite che furono le genti del Duca di Romagna, non potendo le forze e virtù sue tenerlo in Bologna, se ne fuggì; dove messer Antonio Bentivoglio, capo della parte avversa, ritornò.
RIASSUNTO del Quinto libro:
Testo completo integrale
In questo periodo si delineano gli schieramenti: da una parte Milano cerca di riconquistare i territori lombardi sottrattigli dai veneziani; dall'altra parte fiorentini e veneziani sono in lega insieme al papa. Alfonso di Aragona, inizialmente avversato dal duca di Milano, viene catturato da una flotta genovese (Genova era sotto il controllo visconteo); condotto prigioniero da Filippo Maria Visconti lo persuade invece ad aiutarlo, rovesciando le alleanze e provocando l'indignazione e la ribellione dei genovesi.
Francesco Sforza è promesso a Bianca Maria Visconti, unica erede del trono ducale milanese, ma il matrimonio effettivo viene costantemente rimandato. La dote, consistente in Cremona e alcuni borghi, non viene consegnata, ufficialmente, per le necessità della guerra.
Per questo, dopo vari tentennamenti, Francesco Sforza si schiera contro il futuro cognato campeggiando al soldo di fiorentini e veneziani.
I veneziani lo vogliono in Lombardia per rompere l'assedio di Verona; Sforza però non vuole campeggiare direttamente contro i milanesi per timore di veder sfumare il matrimonio; i fiorentini lo vogliono usare per conquistare Lucca, obiettivo secolare dei fiorentini. Dopo tentennamenti e tensioni tra veneziani e fiorentini, Sforza passa il Po e conduce ottimamente la guerra, riconquistando Verona e arrivando a liberare in parte il bresciano nel 1440, anno che ci interessa per il mod.
Durante l'inverno, dopo alcuni rovesci, Sforza decide di campeggiare e risparmiare le forze, ma i veneziani premono perché assalti i milanesi che assediano ormai da troppo tempo Brescia, che temono di perdere. Temono anche che Francesco Sforza possa tradirli e che i fiorentini complottino contro di loro. Nel 1440 Filippo Maria Visconti decide di inviare di nuovo Piccinino con un esercito in Toscana perché così i fiorentini possano richiamare Sforza dalla Lombardia e ottenere delle due l'una: o Sforza va in toscana, quindi alleggerendo la situazione della guerra in lombardia, oppure rimane lì e consente il saccheggio della toscana, causando in entrambi i casi maggiori frizioni tra fiorentini e veneziani.
Ovvero:
Il Duca, veduta la guerra per il tempo ferma, e troncagli la speranza che gli aveva avuta di occupare Verona e Brescia, e come di tutto ne erano cagione i danari e i consigli de’ Fiorentini, e come quelli né per ingiuria che da’ Viniziani avessero ricevuta si erano potuti dalla loro amicizia alienare, né per promesse ch’egli avesse loro fatte, se gli era potuti guadagnare, deliberò, acciò che quelli sentissero più da presso i frutti de’ semi loro, di assaltare la Toscana.
A che fu da’ fuori usciti fiorentini e da Niccolò confortato: questo lo moveva il desiderio aveva di acquistare gli stati di Braccio e cacciare il Conte della Marca, quelli erano dalla volontà di tornare nella loro patria spinti.