Santi e spade di Sicilia

Bertavianus
00venerdì 26 giugno 2009 23:20
Guglielmo I d'Altavilla aveva più a cuore il benessere materiale e spirituale del suo regno che non la gloria delle armi; fu per questo che, appena salito al trono, smobilitò buona parte delle truppe e si fece patrono delle imprese commerciali in centro Italia, e delle vocazioni ecclesiastiche nei territori nordafricani.

Il taglio alle spese militari gli consentì di inaugurare una politica di sgravi fiscali che avrebbe portato alle stelle la popolarità della corona. Il regno prosperava, e la sua sicurezza era garantita da una rete di rapporti diplomatici tessuta con tutti i monarchi confinanti: in primo luogo il Santo Padre, potente ed autorevole alleato.

In questi anni l'unica mira espansiva riguardava il territorio di Bari, che si preferì lasciare in pace sino a che non fosse stata avviata la produzione di baliste a Reggio, città destinata a divenire sua unica fornitrice di artiglierie.

Proprio a Bari, purtroppo, finì per infrangersi una delle alleanze della prima ora. Sul finire del 1162 i veneziani sbarcarono in forza nelle puglie, ed iniziarono l'assedio del capoluogo indipendente. Essi non disponevano di armi d'assedio, e fu per questo che l'armata al comando di Guglielmo Giaconi, pur essendo giunta in ritardo, riuscì a soffiargli la preda sotto il naso. Uno dei primi morti della battaglia fu Sabotino, Consigliere della Serenissima, che andò ad impalarsi sulle lance della guarnigione nel vano tentativo di rivendicare per i suoi la palma della vittoria.

Ciò non portò alla rottura dell'alleanza, ma fu presto chiaro che i Veneziani meditavano qualche tiro mancino; non altrimenti potea spiegarsi la costante presenza di due loro eserciti nel Tavoliere.

Il Re decise che questa minaccia andava stroncata, senza troppo badare a sottigliezze diplomatiche. Una crociata per Urfa, presto vittoriosa, aveva consentito di radunare in zona un'armata pronta all'imabarco; sciolti da ogni voto, nell'inverno del 1166 quei guerrieri ingaggiarono battaglia coi veneti e, combattendo due separate battaglie ad armi pari, spazzarono via senza troppo pena quegli invasori che, se uniti, nessuno avrebbe potuto contrastare.

Quattro anni dopo, purtroppo, i Veneziani tornarono in forze, e per i difensori di Bari non vi fu scampo; ma il nemico gioì poco della vil vittoria, che gli costò la perdita di Ragusa per mano bizantina.

Nell'anno del Signore 1173 fu armata guidata da Guglielmo in persona a riprendere possesso delle Puglie; da qui, tre anni dopo, sarebbe partita la spedizione destinata a chiudere i conti col nemico.

Il primo colpo fu sferrato a Zara, ove il re lasciò un minimo presidio per far subito vela sul castello di Pola. Un veto pontificio tentò di arrestare la sua vendetta, ma ei proseguì incurante della certa scomunica cui andava incontro. La totale assenza di mercenari in Istria rese il cimento più arduo del previsto, sicchè il buon monarca - ed un nobile minore del suo seguito - persero la vita scontrandosi con la potente cavalleria della rocca; ma con loro perì anche l'ultimo Doge, e ciò pose fine ai giorni di Venezia.

L'eroica morte di Guglielmo fu colpo duro, ma per certi versi benefico; lo stesso messo pontificio che avea notificato la scomunica assicurò che questa era stata superata dagli eventi.

Già nell'inverno del 1177 il giovane Principe Manfredi, nuovo Marchese d'Istria, si insediava nella città lagunare, dopo averla strappata alle scarse milizie sediziose che ne avean preso possesso. Il sacco ottenuto con l'impresa bastò a finanziare le opere di ampliamento del castello di Siracusa, e ad altre bisogne minori.
Pochi anni dopo, proprio nella città lagunare, il prence avebbe celebrato le sue nozze con la portoghese Mafalda.

Nell'estate del 1183 iniziò il pontificato di Ubaldo, primo papa del regno di Sicilia, umile sacerdote che si era guadagnato la porpora predicando il Verbo presso gli infedeli.

L'illuminato pontefice non esitò a rinnovare l'alleanza con i suoi conterranei, e ad accogliere la loro richiesta di indire una crociata per la conquista del Cairo.

Il Regno di Trinacria era perfettamente pronto al cimento; gli bastò completare gli arruolamenti per avviare all'imbarco un'armata già pronta ed equipaggiata di tutto punto; una forza comprendente, fra l'altro, due nobili, un cavaliere di recente investitura e due compagnie di artiglieri.

Sul finire dell'estate 1186 questo esercito fu sbarcato sulla costa nordafricana, da cui procedette rapidamente verso l'entroterra; nel giro di pochi mesi travolse le difese egiziane nell'oasi di Siwa - ove rimase Tiziano Odescalchi, attempato Conte di Sicilia - per proseguire subito alla volta della fortezza di Asyut; anche questa venne colta alla sprovvista, ma la forte cavalleria di guarnigione impose un duro pedaggio alla sua controparte. In ogni caso, Goffredo Plantageneto vi si insediò come primo signore cristiano.

Da quell'ottima posizione fu subito chiaro che una puntata verso il Cairo sarebbe stata superflua poichè, malgrado i successi iniziali degli egiziani, i difensori sarebbero stati presto travolti da forze soverchianti. Assodato ciò, Guglielmo II abbandonò la santa impresa e, mentre i Magiari la portavano a compimento, ottenne la capitolazione della bella città di Aswan.

Triste a dirsi, il prestigio della corona vacillò al punto da dover costruire una sede per l'assemblea popolare. Questo non fu un problema, se non per lo sperpero di denaro meglio utilizzabile.

L'anno del Signore 1189 iniziava con i siciliani saldamente attestati nei territori occidentali dell'agonizzante regno fatimide, ove già fervevano i preparativi per impadronirsi del castello di Qehat.

La situazione in Italia appariva più che mai confusa, con convulsi movimenti di truppe lungo tutto il corso del Po; i Milanesi avevano più volte dovuto rinunciare all'assedio di Genova, per contrastare gli sconfinamenti spagnoli, francesi ed imperiali. Cosa che, in apparenza, aveva sedato eventuali mire su Venezia, Pola e Zara.


Tancredi d'Altavilla
00sabato 27 giugno 2009 12:19
Un Normanno come me non può non apprezzare la tua cronaca [SM=x1140531]

Falli tutti neri, continua così [SM=x1140522] [SM=x1140429]
Bertavianus
00lunedì 29 giugno 2009 19:35
Grazie per l'incoraggiamento, nobile Normanno.
_____________

Gli anni successivi ai fatti anzi descritti furono dedicati, quasi esclusivamente, alla costruzione del regno normanno d'egitto.

Un'armata nemica tentò di contrastare i piani siciliani ma, vedendosi isolata dopo la repentina caduta di Qehat prima e Qaser poi, tornò sui suoi passi per rifugiarsi nelle regioni del delta.

A partire dal 1193 i nuovi sigori dell'alta valle de Nilo e della costa occidentale del mar rosso lasciarono le armi a riposo, avviando imprese di mercatura e favorendo alcune vocazioni missionarie che, nel giro di pochi anni, avrebbero dato alla cristianità ottimi cardinali.

La conquista del Basso Egitto dovette attendere sino al 1197, quando fu favorita da due imprevisti quasi simultanei: una insurrezione islamica cacciò i magiari dal Cairo e Giulio, secondo pontefice siciliano, indisse una crociata contro Urfa.

Un esercito già in procinto di marciare contro altri cristiani prese istantaneamente la croce, e varcò a passo di carica le porte incustodite della città egiziana; ne segui un bagno di sangue cui pochi islamici, in armi o meno, sopravvissero.
Di lì a poco un pugno di cavalieri del deserto uscì ad ingaggiare un forte esercito in avvicinamento; il nemico accettò fiduciosamente lo scontro, e fu annientato dall'intervento di un'armata portoghese che stazionava inoperosa nei paraggi sin dalla precedente crociata.

Due anni dopo fu la volta di Damietta, estrema rocca dei fatimidi; nella disperata difesa scomparve il sultano con tutta la sua famiglia, e ciò cancellò ogni memoria di quella schiatta.
Nell'estate del 1200 fu presa, infine, la città ribelle di Alessandria, col che tutte le terre un tempo egizie furono normanne.

Le cose, però, andavano assai meno bene su altri fronti; i Mori, che già avevano catturato Mahdia, continuarono a spingersi verso oriente, catturando pure Tarabulus; Zara aveva finito per ribellarsi, e gli alleati bizantini erano stati molto lesti a punire i rivoltosi.

Queste perdite sarebbero state trascurabili, se solo non avessero determinato un inaudito crollo del prestigio della corona, ora sul capo di Manfredi. Il re fu costretto a impiegare somme ingenti per quietare il volgo con l'inaugurazione di un parlamento, e dovette anche fare i conti con il disprezzo di alcuni membri della nobiltà.
Le sfarzose nozze del principe Umfredo con l'inglese Beatrice non valsero a mutare gli umori di quei personaggi.

L'emergenza finanziaria impedì di pensare seriamente alla riconquista delle terre africane perdute, contro le quali vennero lanciate solo rapide incursioni in cerca di bottino.

Solo nel 1206 fu possibile assestare un sonoro ceffone ai Mori, sottraendogli la fortezza di Tunisi. Una ennesima crociata contro Urfa consentì anche una mobilitazione straodinaria che frustrò il loro primo tentativo di riconquista. Sventata questa minaccia i crociati vennero imbarcati, ma i legni non presero la rotta che i militi si attedevano; fecero vela per la Sardegna, che fu tutta strappata ai mussulmani nel giro di poche settimane. Per quanto riguardava i normanni quella crociata poteva dirsi terminata.

Nell'anno del signore 1209, veniva ereditato il regno di Portogallo, faccenda di cui fra poco si dirà; un anno dopo moriva Manfredi, nel corso di una scaramuccia contro veneti datisi al brigantaggio. La carica solitaria del buon re ebbe tutta l'aria di un gesto suicida.

Dai Portoghesi i Normanni avevano ereditato Lisboa, Bataljus, Kurtuba, Siviglia e Granada, luoghi prossimi alla guerra civile.
In un primo momento, questo pericolo fu scongiurato stipandoli con le truppe locali disperse in ogni dove, rinunciando solo a mantenere il possesso della vecchia capitale.
Ciò non bastò, tuttavia, a scongiurare la ribellione filocastigliana del 1212, che fece perdere la città di Kurtuba; una perdita solo momentanea, perchè Vasco De Barros y Tamarros la strinse subito d'assedio, e massacrò tutti rivoltosi quando questi, fidando nella propria larghissima superiorità numerica, tentarono una sortita.

A quel punto si determinò una situazione di stallo. I Mori minacciavano Siviglia, i Castigliani Kurtuba, ma non si decidevano ad assediarle. I Normanni di Portogallo erano ben attestati in difesa, ma l'assenza di fanteria pesante e cavalleria pregiudicava le loro possibilità di attacco; disponevano di una inoperosa moltitudine in armi, che prosciugò rapidamente le casse del tesoro.

Fu tal contesto a generare un'idea disperata; evacuare tutto o quasi, e sfruttare la pura forza del numero per impadronirsi della fortezza di Tolosa, che si sarebbe potuta tenere con minor problemi.

A Siviglia, Kurtuba e Granada furono lasciati piccoli presidi, onde tenerle finchè possibile; quello di Siviglia fu immediatamente spazzato via dai mori. Il castello di Bataljus fu ceduto in cambio dell'alleanza con l'impero; questa serviva per la sicurezza di Venezia, visto che ora era padrone di Verona, e si sperava che la sua presenza desse noia agli altri nemici.

Nel 1216 la prima colonna, guidata da Vasco, si attestò sul guado ad ovest di Toledo, con tre compagnie di rinforzo nascoste nei boschi immediatamente a nordovest.
I castigliani, presenti in gran forze sulla riva meridionale, non vollero cimentarsi nella sanguinosa impresa di sloggiarli da lì; si pensa che avessero in mente un pricoloso attacco su due fronti, ma se è così vi rinunciarono quando una loro sparuta avanguardia venne sopraffatta dai pochi miliziani appostati fra gli alberi.
A quel punto commisero l'errore di disunire le armate per bloccare le possibilità di avanzata su entrambe le rive; ma l'esercito attestato sulla sponda settentrionale si ritrasse quando venne ingaggiato, e ciò consentì a Vasco di raggiungere Toledo e iniziare le opere d'assedio, mentre le truppe di Christovan il Cavalleresco prendevano a loro volta posizione sul guado tagliando fuori l'esercito più forte.
Ovviamente Toledo si riempì immediatamente di mercenari, e l'esercito che non aveva saputo fermare l'avanzata di Vasco si schierò in suo supporto; ma quella massa di felloni arretrò ulteriormente quando Chritovan tentò di ingaggiarla, lasciando i suoi commilitoni senza soccorso.

L'assalto alla fortezza, condotto con arieti, torri e scale, vide il confronto fra circa quattromila siculo-portoghesi e milletrecento castigliani; la sproporzione dei numeri era, comunque, più che bilanciata da quella in fatto di esperienza ed equipaggiamento, tutta in favore dei difensori.
Le torri mobili svolsero unicamente un ruolo diversivo, attirando quattro compagnie di difensori lontano dal portone; fra gli uomini che le utilizzarono pochi sopravvissero alla giornata.
Tutto si risolse con due furibonde mischie dietro le grate infrante dal primo ariete, mentre un secondo e le scale venivano abbandonati sui prati per il caso qualcosa andasse storto; una terza mischia si sviluppò, infine, nella piazza d'armi, e qui persino arcieri e balestrieri furono chiamati al corpo a corpo, perchè nè i miliziani nè i generali riuscivano ad avere la meglio sul nemico. Il successo arrivò in extremis, quando le prime ombre della sera già portavano presagio di sconfitta.

Le perdite fra gli attacanti erano state prossime al cinquanta per cento, orrida notizia che poco dispiacque al tesoriere.
Jean de Avallon
00lunedì 20 luglio 2009 17:04
Sempre con uno stile da scrittore...............Sir Bertavianus

[SM=x1140522]
Paolo D'Altavilla
00venerdì 18 settembre 2009 13:41
ottimo lavoro.....
Bertavianus
00domenica 20 settembre 2009 12:14
Vi ringrazio, nobili amici.
Le vostre parole mi stimolano a proseguire nell'impresa, accantonata in quanto il catastrofico dissesto finanziario del regno mi ha portato a cercar conforto fra higlanders e cumani.
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