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AAR: Cronache di una hotseat 3

Ultimo Aggiornamento: 08/05/2013 21:03
16/02/2013 10:41
 
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Con quest'ultima Spicciolati l'obiettivo principale sarà quello di rendere l'economia più simile a quella che doveva essere quella italiana dell'epoca: i protagonisti indiscussi erano i mercanti ed i traffici commerciali (più in ombra invece un'agricoltura che solo negli ultimi anni si stava riprendendo da una forte crisi).

Tramite regolamento sono stati introdotti i banchi e gli investimenti nelle compagnie di commercio, elementi essenziali per ricreare, anche solo in parte, i giochi di potere che sorgevano intorno il danaro.

Al di là dell'economia, l'enorme importanza (e gli enormi privilegi) che avrà l'elezione Pontificia (o quella dell'Antipapa), spero possano ulteriormente coinvolgere i giocatori in una partita che vada oltre il mero massacro di eserciti.

Per chi fosse interessato, per meglio comprendere le dinamiche della campagna in corso:

Il regolamento della campagna:
hotseatspicciolati.forumfree.it/?t=60256243


La lista delle novità:
hotseatspicciolati.forumfree.it/?t=60259626


Le fazioni che si contenderanno la vittoria:
1 - Stato della Chiesa - Simone Sassano - (Sciaca)
2 - Repubblica di Siena - Daniele Keller - dak28
3 - Marchesato di Ferrara Andrea Gemmi - ndrgemm
4 - Regno di Sardegna - Andrea Pinna - Andrea_del_Drago
5 - Regno di Sicilia - Arcangelo Caputo
6 - Ducato di Milano - Gianluca Copersino
7 - Regno di Napoli - Antonio Picascia - Pazen
8 - Repubblica di Venezia - Danilo Forte - dankfonicus


16/02/2013 21:48
 
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Wow teneteci aggiornati!
Buona campagna a tutti
05/03/2013 16:48
 
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Ritornato a Roma a seguito dell'apparente pacificazione dei conflitti sorti con la famiglia dei Colonna, dopo un esilio durato quasi dieci anni, Papa Eugenio IV è ben consapevole della instabilità politica della città e sceglie per la nomina di due nuovi cardinali, entrambi romani ed entrambi molto vicini al Pontefice, Falcone Accorsi e Villano Alli.

Se però Papa Eugenio sceglie di cedere a certi giochi di potere è solo per perseguire lo scopo di ridare al proprio ruolo la centralità e l'importanza che giustamente aveva sempre avuto prima dell'infausto scisma d'occidente.

Con ritrovata autorevolezza e relativa indipendenza dal potere conciliare ottiene quindi una maggiore libertà d'azione che gli permetterà, nel 1442, d'assumere una ferma posizione contro lo schiavismo esercitato dagli spagnoli sulla popolazione nera e contro l'invasione delle terre angioine del sud Italia.
Tradito da Calabria e Puglia e assediato dagli eserciti aragonesi, Renato I d'Angiò troverà in Eugenio IV l'unico vero alleato. Ciò, prima ancora di portare ad un qualche vincolo diplomatico tra i due, sarà motivo di una profonda devozione del Re di Napoli per il Pontefice.





Lo Stato della Chiesa del 1440 è innanzitutto un territorio necessitante di riforme serie ed incisive.

La fortissima crisi che da decenni coinvolge il settore agricolo potrà essere superata solo con una modernizzazione delle culture.

La ristrutturazione e l'ammodernamento dei campi è uno dei provvedimenti più dispendiosi di questo frangente e da cui risultati concreti potranno essere ottenuti solo nel lungo periodo. In particolare, parte l'allargamento e in alcuni casi la costruzione ex novo di coltivazioni di cereali nelle fertilissime pianure della Marca Picena, nella Signoria de Perugia e quella Faentina.

Con le casse ormai semivuote Papa Eugenio IV, figlio di una ricca famiglia di mercanti e quindi conoscitore dell'importanza di una forte classe mercantile, da seguito ad una serie di riforme volte a rendere lo Stato della Chiesa economicamente competitivo al pari delle grandi potenze italiane.
Sono concesse in monopolio a società mercantili romane il commercio di legname e pelli del territorio e, con apposite leggi, sono tutelati i loro affari da influenze e possibili acquisizioni straniere.

Interessatissimo ai nuovi scenari e alle nuove prospettive che potrebbero aprirsi con l'appena nato Monte dei Paschi, il Pontefice conclude in fine un'alleanza economica con la città di Siena di cui egli stesso in gioventù, per breve tempo, fu nominato vescovo.





Dopo un'iniziale e apparentemente inarrestabile ascesa del loro potere, la famiglia dei Medici, una volta entrata prepotentemente nella vita politica della Signoria Fiorentina e dei territori da essa controllati, attraverso un'amministrazione mediocre dell'affare pubblico, piombano e fanno piombare l'intera Toscana in una profonda crisi sociale ed economica.

Il malcontento fino ad allora celato, nel 1441 diventa palese. In città come Volterra si tenta a più riprese un distacco anche violento dallo stato fiorentino.

L'alleanza economica con Siena induce lo Stato della Chiesa ad appoggiare apertamente la caduta della famiglia Medicea. Ciò porterà negli anni successivi ad una occupazione più o meno pacifica degli ex territori della signoria da parte della Repubblica di Siena e gli Estensi di Ferrara, questi ultimi già da anni in conflitto con Firenze a causa di condotte illecite di alcuni mercanti che Ferrara riteneva direttamente imputabili ai Medici.

Già nel 1442 solo la Comunità di Pisa, la Signoria di Arezzo e quella di Firenze fanno ancora parte dell'ormai ex stato fiorentino.





Nel 1442 i saraceni mettono a ferro e a fuoco le Marche. Stanziatisi nelle campagne presso Fermo, il Marchese Astorre II Manfredi riunisce un drappello di cavalieri e carica sui razziatori.



Per anni il Marchese ha combattuto come capitano di ventura e nulla gli è più congeniale di un destriero ed un campo di battaglia. La marmaglia disordinata di saraceni, per quanto numerosa, niente potè contro la carica della cavalleria.



A battaglia finita, l'artiglieria nemica è catturata e i frutti dei barbari saccheggi vengono portati presso la Cattedrale di Santa Maria Assunta.

Lo stesso Pontefice riconoscerà poi il valore dei cavalieri e dello stesso Marchese al quale verrà concesso il titolo di Don ed un cospicuo aiuto finanziario per l'ampliamento dello scalo mercantile di Porto San Giorgio.





Il Doge della Serenissima Repubblica di Venezia, Francesco Foscari, ha sempre dimostrato una grandissima ambizione, ma circa vent'anni dopo la sua nomina alla Suprema Magistratura della Repubblica, dà attuazione ad una serie di scelte assai ardite.

Conquista Mantova, sede di un marchesato guidato da Gianfrancesco Gonzaga di cui lo stesso Doge fu tutore negli anni della sua giovinezza.
Un atto di affronto per l'Imperatore Sigismondo che nel 1433, sceso in Italia, aveva personalmente consegnato le insegne marchionali al Gonzaga e, nell'occasione, proclamato il fidanzamento di sua nipote Barbara di Brandeburgo con il primogenito di Gianfrancesco.

Segue poi un ben più pesante atto di sfida quando truppe venete occupano militarmente l'imperiale Principato di Trento ed assediano alcuni importanti possedimenti austriaci.

Il Doge Foscari inizia un audacissimo processo di "liberazione" dei territori italiani dal giogo imperiale, ma il resto dell'Italia rimane impietrita e nessuno sceglierà di porsi al fianco del Doge e di condividerne la sorte, temendo tutti la sicuramente impietosa reazione tedesca.

L'Imperatore non si fa attendere e cala in Italia alla testa di trentamila uomini che in pochi mesi arrivano ad assediare la città di Feltre.

Il nord Italia trema e lo stesso Marchese di Ferrara, Niccolò III, timoroso che Sigismondo non si fermi alla Repubblica Veneta, interpella il Sommo Pontefice.

Papa Eugenio IV è alleato della Serenissima e allo stesso tempo è stato lui ad incoronare l'Imperatore ed insignirlo della Rosa d'Oro nel 1435 perchè non fosse dimenticato il suo importante contributo alla risoluzione dello sventurato conflitto con i Padri Conciliari di Basilea.
La decisione è quindi quella di non intervenire direttamente nel conflitto, ma di auspicare la pace tra le parti. Impone però che la Signoria de Ravenna sia ceduta da Venezia al Marchesato di Ferrara il quale si impegna davanti il Papa di destinarla a dimora e pegno per l'esiliata famiglia dei Gonzaga.





L'azione veneziana non si limita al nord Italia e l'Austria, ma giunge fino in Dalmazia, fino a quella che era considerata la porta all'oriente, la Repubblica di Ragusa.
Venezia rivendica quelle terre che fino alla pace di Zara considerava a pieno diritto come proprio dominio. Lo fa soprattutto guardando con timore all'avanzata ottomana nei Balcani.

La caduta di Ragusa però destabilizza fortemente anche un'altra repubblica, quella di Ancona che dal 1200 viveva una strettissima alleanza con la città dalmata.

Iniziando a serpeggiare malcontento e preoccupazione tra la popolazione, parte della nobiltà anconetana si rivolge direttamente al Sommo Pontefice raccontando di un Governo dei Sei Anziani senza più alcun controllo effettivo della repubblica.

Papa Eugenio appurato lo stato rovinoso in cui ormai versa la città, decide di cogliere la supplica degli anconetani liberando l'urbe da un'oligarchia allo sbando.

Nel 1443, in una sera di febbraio, lo Stato Pontificio schiera le proprie armante avanti le mura di Ancona.
Gran parte della battaglia si svolge all'esterno, dove i cavalieri ancora fedeli agi Anziani tentano una sortita. Le lance papaline sul campo si raggruppano in formazioni a schiltron, chiudendosi a riccio in ranghi serrati ed evitando così tentativi di aggiramento della cavalleria.



Creatasi poi una breccia nelle mura della città, i milites domini a cavallo ne approfittano per caricarvi all'interno fino a raggiungere il centro cittadino.



A seguito della vittoria, al Duca d'Urbino Guidantonio da Montefeltro è assegnato il compito di governare la regione per cinque anni. Con tale espediente lo Stato della Chiesa vincola a se una città chiave nell'economia dei commerci marittimi. Nei mesi e negli anni successivi, infatti, renderà la sua presenza nella repubblica sempre meno "temporanea", portando di fatto ad una totale perdita dell'indipendenza di quest'ultima, tale da considerarla a pieno titolo parte dei domini pontifici.





Nella guerra con la Corona d'Aragona il tradimento di Calabria e Puglia rischia di essere uno scacco matto per Renato I d'Angiò, Re di Napoli. L'abilità diplomatica e politica del figlio del Re dei quattro regni però dà vita a forse una delle conseguenze più significative della guerra. Renato, militarmente in svantaggio, finanzia e promuove i moti rivoluzionari delle isole italiane soggette all'autorità aragonese.

In Sardegna il viceregno spagnolo viene sovvertito e ripristinato il governo dei Judikes. I vecchi Giudicati di Calari, Torres e Gallura vengono unificati in un unico stato con capitale Cagliari. L'unità dell'isola non sarà però totale perchè il giudicato di Arborea prende le distanze dalla nuova entità e sceglie l'indipendenza vedendo nel regno appena nato solo una pedina in mano agli Angioini.

In Sicilia invece, per una sadica ironia del destino, i d'Angiò alimentano un movimento rivoluzionario che tra origine dagli antichi Vespri che secoli prima avevano scacciato i suoi predecessori dall'isola. "Antudo" è ancora una volta la parola d'ordine che riecheggia tra i rivoltosi!

Il Re di Napoli garantisce piena sovranità ai regnanti dei nuovi due stati, ma li lega a sè con un trattato d'alleanza che darà vita alla cosiddetta Confederazione Mediterranea.

Ribaltata la situazione, la guerra inizia a volgere lentamente a favore del Regno di Napoli che conquista Capua prima e Salerno poi, aiutato più a sud dai Siciliani che sbarcati in Calabria liberano Reggio.

Di non marginale rilievo sarà poi l'appoggio di Papa Eugenio IV che nel marzo del 1444 legittima entrambi i nuovi regni e benedice la Confederazione. Riconosce al nuovo giudicato sardo il titolo di Regnum Sardiniae et Corsicae, così come nel 1297 fece Papa Bonifacio VIII e incorona il Generale ribelle siciliano Antonio Spadafora, Rex Siciliae.

Inizia così una nuova fase per il sud Italia e l'intera Europa mediterranea.
06/03/2013 01:07
 
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Grandissima narrazione.....grande Sciaca!!!!!
19/03/2013 21:48
 
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Durante il 1444 peggiora irrimediabilmente il già precario stato di salute di Filippo Maria Visconti, Duca di Milano e del Piemonte. Da sempre paranoico e maniacalmente sospettoso, scaccia dal suo capezzale persino la moglie Maria di Savoia preoccupato di poter essere vittima di qualche congiura.

Negli ultimi anni della sua vita accetterà unicamente la presenza e il conforto dell'Arcivescovo di Milano, Enrico Rampini, ed è su di lui che in questo frangente ricade di fatto l'onere della guida del ducato.

L'Arcivescovo, per il bene e la tranquillità dello stato, convince il Duca a pensare alla successione per la quale s'era già scatenata la contesa tra i francesi, l'Imperatore, gli aragonesi ed il Duca di Savoia.
Filippo Maria mette finalmente a tacere ogni pretesa designando sua figlia Bianca Maria, sposa del condottiero Francesco Sforza, quale futura erede del ducato.

Attraverso l'intercessione dell'Arcivescovo Rampini, gli ultimi anni di vita del nobile Visconti segneranno un importante espansione del ducato a nord, dove sì conquisterà Chiavenna, essenziale passo alpino necessario per controllare e contenere il potente vicino austriaco. In Piemonte, invece, il potere visconteo riottiene la potestà su Asti, dopo che nel 1387 Giangaleazzo Visconti la cedette ai duchi d'Orleans, quale dote per sua figlia Valentina Visconti.

Sul finire del 1445, in un freddo dicembre, muore Filippo Maria Visconti. Un uomo che negli anni ha fatto assai discutere per molti aspetti della sua vita, spesso dai molti tacciato come folle, ma a cui comunque non potranno mai essere negate le grandi abilità politiche e la capacità di scegliere e condurre ottimi condottieri, tra cui lo stesso Francesco Sforza. E' infatti solo grazie alla sua presenza carismatica che per il Ducato di Milano, dal 1412 in poi, fu possibile riconquistare tutto il prestigio di cui godeva in passato.

Termina così la lunga parentesi viscontea del ducato e si apre invece, non senza scontri ed agitazioni, quella sforzesca.





Dopo la crociata indetta da Papa Eugenio nel 1443 contro l'Impero Ottomano, in difesa degli interessi Bizantini e del Regno d'Ungheria, segue la liberazione della Bulgaria. Il contrattacco cristiano fu talmente imponente che costrinse il sultano Murad alla firma del trattato di pace di Adrianopoli.

Il risultato della crociata, seppur trionfale, non soddisfò però il Pontefice che auspicava invece una completa liberazione dei Balcani dal controllo ottomano. Invalidato il trattato, il Re d'Ungheria fu convinto a riprendere la guerra, ma ciò portò ad una delle più cocenti sconfitte della storia cristiana, la battaglia di Varna.
Tra i caduti cristiani si contarono il re di Ungheria e Polonia Ladislao III e il legato papale Giuliano Cesarini.

Dal 1444 in poi la Repubblica di Venezia rimane per gli ottomani l'unico ostacolo concreto al completo dominio dei Balcani. In particolare gli scontri si concentrano nella zona dalmata intorno Ragusa e Castelnuovo.

Negli stessi anni, l'attività corsara nel mediterraneo si intensifica e drappelli di pirati saraceni scorrazzano nel centro Italia fino ad arrivare, nel 1445, all'assedio del feudo fortificato di Tivoli. Il blocco della città viene però facilmente rotto da alcune compagnie di picchieri provenienti da Roma.



Al fine di limitare l'attività pirata divenuta una piaga per le isole e non solo, il nuovo Regno di Sicilia dà inizio ad una dura guerra in nord Africa contro la dinastia hafside che da anni non solo ammetteva, ma era anche direttamente coinvolta nella cosiddetta "guerra di corsa" per far fronte alle crescenti difficoltà economiche a cui il suo regno era soggetto.
Gli eserciti rivoluzionari siciliani, seppur armati alla bell'e meglio, riescono a conquistare Tunisi. Vittoria che risulta importantissima per una Sicilia che, liberata dal dominio aragonese, necessita ora non solo di stabilità ma anche di guadagnarsi il proprio posto tra i regni europei.

Sul finire del 1445, per onorare il loro impegno missionario in terre musulmane il Papa ordina tre nuovi Cardinali: Gabriel Loredan, Vescovo di Ragusa per la Serenissima Repubblica di Venezia; Salvatore Pappalardo dell'Arcidiocesi di Tunisi liberata dal nuovo devotissimo Regno di Sicilia; Giovanni Gaggini Cenci, Prefetto Emerito del dicastero romano competente per l'attività missionaria in nord Africa.





Praticamente annientato il pericolo aragonese, Re Renato d'Angiò esce dalla contesa per le terre del sud Italia assai arricchito, non solo per la vittoria, ma anche e soprattutto per l'enorme massa di investimenti in numerose compagnie commerciali operanti tra Napoli e Palermo. Operazioni finanziarie che col senno di poi molti storici del tempo riterranno lungimiranti.

Con il solo territorio pugliese non ancora ritornato sotto il completo controllo angioino, il Re di Napoli volge le sue attenzioni ai possedimenti in Provenza dai quali, fatto confluire il grosso degli eserciti, parte alla conquista di tutta la zona costiera, dalla savoiarda Nizza a gran parte della Liguria, fino ad arrivare a Savona.
Giustificandosi asserendo di agire in nome della Confederazione da lui stesso voluta, il regnante angioino riempe le sue già ricche casse con i frutti delle vittorie e dei saccheggi.

Asserragliato nella sua città, Raffaele Adorno, Principe Serenissimo e Doge di Genova, invia disperate missive al Pontefice nelle quali rimette nelle sue mani la sorte sua e della sua famiglia.

Papa Eugenio IV, pur avendo di fatto legittimato il Regno di Sardegna alla riappropriazione della Corsica con l'incoronazione del 1444 e il successivo attacco di La Spezia da parte degli Estensi, mai avrebbe potuto auspicarsi una fine tanto ingloriosa per le nobili famiglie genovesi, nè avrebbe immaginato una simile ingerenza angioina.

Il Sommo Pontefice dichiara quindi sotto la sua diretta protezione il comune di Genova e i territori ad esso sottoposti ed intima lo sgombero delle armate angioine dalla Liguria, regione sulla quale Re Renato non avrebbe potuto vantare alcun diritto di conquista.

Accettata formalmente la bolla pontificia, il Re si impegna di liberare le terre entro e non oltre i due anni.



19/03/2013 23:24
 
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Grande Sciaca! Ti ho ceduto Tunisi proprio perchè voglio più attenzione nelle tue cronistorie verso la mia fazione.
07/05/2013 16:45
 
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cavolo, non ho visto in tempo altrimenti mi sarei fiondato sulla repubblica di Genova... la vedo poco usata in spicciolati nelle varie hotseat peccato è una gran bella fazione ;)

____________________________________________________
"Fa in modo che il tuo discorso sia migliore del silenzio."Dionigi I di siracusa
08/05/2013 21:03
 
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La diplomazia, il carisma personale del Pontefice e la devozione fortissima di alcuni regnanti italiani portano negli ultimi anni ad una sensibile espansione dei confini dello Stato della Chiesa. Nel nord, il governo di Salluzzo e Mondovì è consegnato nelle mani di Papa Eugenio dal Re di Napoli Renato d'Angiò con un importantissimo atto di fedeltà a conclusione del conflitto con il Regno di Spagna.
In nord Africa, invece, un altro membro della Confederazione Merditerranea, il Re di Sicilia, nel grande progetto di cristianizzazione della regione, conferisce direttamente allo Stato Pontificio la potestà su Tunisi e Kelibia.

Nello stesso tempo però più esponenti del Collegio Cardinalizio si domandano se tali "conquiste" pontificie rappresentino un segno del potere della Chiesa o piuttosto di debolezza e dipendenza da regni sempre più temuti.

Papa Eugenio IV è ben cosciente del pericolo insito nel legarsi troppo a personaggi come Re Renato, ma, pur comprendendo la preoccupazione di alcuni dei cardinali, rivendica con gran forza la propria indipendenza.

Nonostante le ingenti donazioni angioine e la nomina di molti cardinali vicini agli interessi della Confederazione, nel 1447 il Pontefice dà dimostrazione di piena autonomia dal potere dei regni mediterranei. La Coronasa de Logu di Sardegna rivendica per il proprio Jiudike il titolo di Rex Tyrrenum scatenando l'ira delle molte città costiere che si sarebbero viste condizionare la sopravvivenza delle proprie tratte commerciali dall'umore del sovrano sardo. In testa alla vera e propria rivolta c'è il Marchese di Ferrara, più che agguerrito nel voler tutelare gli interessi della città di La Spezia e Livorno.

Il Papa, ragionevolmente, rigetta ogni richiesta di legittimazione del titolo di Re del Tirreno asserendo che, proprio ammettendo la legittimità di una giurisdizione delle città costiere sulle acque adiacenti non sarebbe possibile affidare la sovranità di un intero mare ad un unico regno.

Non di meno si farà notare che lo Stato della Chiesa in tale occasione più che la propria indipendenza abbia tutelato le proprie casse, rivendicando i diritti delle numerose città pontificie lungo la costa, Roma in primis, e la questione si riaccenderà quando negli anni successivi nominerà un altro Cardinale siciliano.






Il Marchesato di Ferrara conquista nell'Italia del nord una posizione sempre più considerevole, nonostante la vicinanza con le ben più temute Venezia e Milano, con quest'ultima trovandosi più volte ai ferri corti durante l'espansione sul versante tirrenico della stessa Ferrara.

Unito da vincoli di vassallaggio con lo Stato Pontificio, Niccolò III d'Este ha approfittato negli anni della protezione di Papa Eugenio per sviluppare la sua influenza su città sempre più lontane da Ferrara, sino ad arrivare ad assicurarsi una stabile presenza persino in Liguria.

Pur restando devotamente fedele al Sommo Pontefice, Niccolò nel 1446 ritiene sia giunto il momento di rivendicare formalmente il riconoscimento dell'indipendenza del suo Marchesato dal resto dello Stato della Chiesa. Il Papa a sua volta accetta e concede che il Marchesato non sia più ricompreso nei confini pontifici, a patto che il pagamento delle decime annuali resti invariato.

E' con questa vittoria e la consapevolezza di aver creato uno stato forte e stabile che nel 1450 Niccolò III d'Este, Marchese di Ferrara, Modena e Reggio, Signore d'Emilia e Protettore delle Repubbliche toscane e romagnole, muore sereno nel suo letto.
Gli succede il Figlio Leonello d'Este, secondo dei tre figli illegittimi che Nicolò ebbe da Stella de' Tolomei.
Sposatosi nel 1435 con Margherita Gonzaga, figlia dell'ormai esiliato Signore di Mantova, fu riconosciuto come figlio legittimo di Nicolò dal papa Eugenio IV e ne divenne ufficialmente il successore, nonostante la nascita dei fratellastri Ercole e Sigismondo.

Nello stesso anno, per celebrare la sua investitura a Marchese della città, con il sostegno del vescovo Giovanni da Tossignano, Leonello fa erigere l'ospedale di Sant'Anna, il primo ospedale della città, lasciando così sperare in un continuo della guida illuminata di suo padre.






"Papa Eugenio IV è con il cuore colmo di gioia che accoglie nella città di Roma il Doge di Venezia, Francesco Foscari, per insignirlo del titolo di Defensor Fidei a seguito delle valorosissime vittorie contro le orde ottomane, finalmente scacciate dai territori dalmati!"

E' con queste parole che i banditori nelle strade riportavano la notizia del trionfo cristiano, quando a pochi chilometri dalla città Eterna orde saracene devastavano ancora le campagne laziali.

A distanza di un anno, lo stesso Doge ieri difensore della fede, oggi, nell'arco di pochi mesi, annette con saccheggi e massacri alla propria repubblica l'intero Viceregno di Croazia dichiarando con sconcertante prepotenza di dover punire i governanti croati per non aver versato abbastanza sangue nella lotta contro il nemico ottomano.

A tali notizie Papa Eugenio IV ebbe amaramente a dichiarare: <<Forse il corpo di Ladislao III lacerato dalle lame dei giannizzeri turchi non era "abbastanza" per il Doge.>>

Francesco Foscari e il Collegio dei Savi della Repubblica di Venezia vengono scomunicati con una bolla pontificia e contestualmente la cristianità di mezzo stivale chiede a gran voce un intervento militare, benedetto e guidato dallo stesso Stato Pontificio. Una Crociata.

Il Duca di Milano a questo punto, e con una certa sorpresa, dichiara non solo di non riconoscere la legittimità di una guerra ai danni del vicino veneziano, ma esclude anche che le sue terre possano essere percorse da qualsivoglia esercito crociato asserendo che il giudizio del Papa sia accecato dal danaro Angioino, grande burattinaio che progetta un sovvertimento degli equilibri nel nord Italia.

A porre fine però alle speculazioni su una "liberazione" dei Balcani sarà il Sacro Romano Imperatore che, a seguito della donazione di una grande fetta degli ex territori ungheresi, pone il suo veto sulla questione.

L'Italia però non è affatto quietata e gli anni che seguiranno saranno forse tra i più tribolanti della storia dello stivale.



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