Medieval 2 Total War
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Campagna coi numidi

Ultimo Aggiornamento: 18/09/2014 14:59
02/09/2014 12:30
 
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Città: PRATA DI PORDENONE
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Il sole baciava le lunghe lance dell'esercito in marcia quando uscirono dalla gola che spaccava la collina in due aprendo uno squarcio sullo spazio aperto. Una grande distesa di verde assediata dalle sabbie cocenti e divorata dai branchi affamati di antilopi e gazzelle. Ed in mezzo ad essa, incastonata come una gemma su un vestito di seta smeralda, l'oasi dalle acque fresche e salvifiche, creatori del miracolo faunistico tutt' intorno.
Sorgeva in parte all'oasi una dritta e aguzza palizzata di tronchi appuntiti, a sbarrare il passo e la vista ai viandanti. La c'era l'uomo. La c'era il motivo del loro viaggio: Tocromura.
Quando videro l'esercito in marcia alla loro volta, gli abitanti al di fuori della palizzata corsero dentro, e subito le porte sbarrarono il passo.
L'esercito avanzava lentamente trascinando il tronco che sarebbe funzionato come ariete, tagliato chilometri prima con la ragione che difficilmente avrebbero trovato buon legno e in abbondanza nel oasi per i loro scopi bellici.
Il tempo ci fu, da parte del villaggio, di inviare quindi un araldo per parlare in vece di tutti loro e sincerarsi delle intenzioni di Amajegh Gala e del suo nobile fratello Oezalces.
Sul terreno piatto puoi vedere grandi distanze, quindi il tempo c'era per fermarsi sotto una macchia di acacie per ristorasi all'ombra e preparare un piccolo rinfresco per l'ospite, non senza provocare i soffi irati di qualche ghepardo, scacciato dal suo riposo.
L'araldo si avvicinava al trotto, e guidava il cavallo senza briglie ne sella ma con un bastone. Ciò era incoraggiante, se guidava il cavallo come i numidi allora era un numida.
I tappeti erano sistemati e nei calici c'era già succo fresco quando il cavaliere arrivò. Scese a terra con un balzo e consegnò il cavallo all'attendente corso li per servirlo e si avvicinò ai due fratelli. Era un uomo nel mezzo della vita con le mani dure dal lavoro e uno sguardo segnato del sole e dalla fatica di chi non trova mai il riposo se non nella morte.
Gala e Oezalces lo aspettarono in piedi, nelle loro vesti regali e l'uomo, una volta accorto che erano i due principi quelli che stavano di fronte, si prostrò a terra e bacio loro i piedi.
“Quale grande onore mi riserva il fato nel farmi incontrare i miei principi, e quale grande dolore nel vedere che sono verso casa mia con mille armati”
“Alzati, buon uomo, e ti prego, accetta il nostro invito nel sederti al nostro desco e a rinfrescarsi del nostro nettare” disse Gala, indicando con un gesto un tappeto di fronte a loro e una coppa ricolma di dissetante sostanza.
“Qual'è il tuo nome, e cosa ci fai così lontano dal tuo gregge, buon uomo?” chiese Oezalces.
“Nobili signori, io mi chiamo Bodasthart ed è stato il fato a portarmi qui. Ero un ragazzo apprendista fabbro, quasi un uomo ormai, quando i beduini del deserto mi presero in schiavitù razziando il nostro villaggio. Vagai insieme a loro per decenni, tenuto in grande considerazione fra tutti gli schiavi per la conoscenza della mia arte.
Un giorno uno dei loro capi, in contrasto col la loro natura mobile, decise di fondare un piccolo centro per meglio vendere i frutti delle loro scorrerie e commerci, e gettarono le fondamenta di questo villaggio. Io fui stabilito qui per servire i miei padroni, sempre schiavo di loro.
Non passò troppo tempo che il villaggio cresceva e finì nella brame di Cartagine. Si presentarono a noi volendo far diventare i miei padroni loro servi.
Successe così un assedio e una notte i cancelli furono aperti da un traditore. Il capo dei beduini, che non mi aveva in simpatia e non perdeva occasione per farmi torti e angherie, quando lo seppe incolpò me e mi venne a cercare con l'intento di uccidermi. Ma fui io a uccidere lui. I cartaginesi ebbero vita facile a fare strage dei guerrieri, una volta entrati, senza nessuno che coordinasse le difese. Quando fui indicato come colui che uccise il capo beduino fui sollevato dalla mia condizione di schiavitù e mi feci una famiglia sotto la dominazione cartaginese. Vissi la mia vita con tranquillità fino a quando i beduini che ancora sono la maggioranza in questo villaggio non spedirono a casa loro i funzionari di Cartagine con le mani mozzate e il piombo fuso in gola. Da allora questi selvaggi aspettano che vengano a vendicarsi, ma oggi hanno visto una armata numida avvicinarsi alle loro porte e hanno mandato me a chiedere perché.”
Dopo questo suo monologo lui guardò i suoi interlocutori, avendo già posto la domanda per cui era stato mandato.
“E' una gioia sapere per noi che la libertà alla fine ti è stata donata. Noi condividiamo lo stesso odio verso i cartaginesi e siamo venuti ad offrire a Tocromura la nostra bandiera da mettere sull'asta più alta, ed entrare nel nostro regno, con tutti i benefici che ne derivano” rispose Gala “uniti Cartagine non può farci paura. Chiediamo solo che venga riconosciuta l'autorità di mio padre su queste terre e ai suoi eredi per i secoli a venire. Se ciò accade, questi armati da domani potrebbero essere vostri, pronti a versare sangue fenicio con voi”
“Mio nobile signore, se io potessi decidere con gioia accetterei, ma questi selvaggi non vogliono l'autorità di nessuno. Sebbene sarebbero contenti di avere lance in più, vi odierebbero se sarebbero vostri sudditi e per loro sarete solo degli oppressori. Potrebbero anche accettare, ma solo finché le vostre nobili persone sarebbero in vista! Poi un destino ben peggiore di quello dato ai cartaginesi toccherebbe a chi di voi resterà qui. Mi dispiace ma con questi termini la trattativa non avrà buon esito” disse l'emissario quasi piangendo.
“Riferisci allora che i miei armati non saranno loro alleati ma condurranno la trattativa in mia vece con la forza, domani, con tutte le violenze del caso. Sappiamo che non potete vincere, siete pochi in grado di combattere contro i nostri esperti guerrieri”
“Lo farò. Nel caso i miei capi decideranno di evitare il sangue, stanotte tre fiaccole verranno agitate verso di voi. Che le stelle possano vegliare su di vuoi stanotte” disse Bodasthart.
“Che la ragione possa illuminare le vostri menti, amico mio” salutò Gala “e se le cose andranno per il peggio, disegna cavallo numide sulla tua porta. Non ti verrà fatto alcun male”.
Detto questo l'emissario se ne andò e la sera cadde. Ben presto divenne notte e poi giorno, ma nessun lume fu visto dal villaggio.

Il mattino seguente l'esercito si mise in marcia verso la cittadina, chiusa nella sua ostilità. Dalle torri di legno alte grida emisero le vedette per dare l'allarme e subito fu trambusto, gente che correva, sbarravano le porte delle case, bambini che si nascondevano in posti improvvisati e donne che si facevano colpire sul volto dai loro uomini per apparire meno desiderabili. La follia del sangue spesso portava ad azioni senza umanità.
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L'ariete, trasportato da dei mercenari libici, puntò inesorabile verso un punto preciso della palizzata, scelto dopo una attenta osservazione delle difese, perché appariva come il più lontano dalle torri e più debole e sconnesso.
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Mentre osservavano la macchina avanzare pesantemente sulla sabbia, Gala chiamò a se suo fratello.
“Prendi la cavalleria e poniti alla porta sud. Quando saremo entrati e i loro militi saranno impegnati, manderò un contingente di soldati alla porta sud per aprirla. Da li occuperete la piazza e chiuderemo il nemico fra le strette vie”.
“Si, fratello” rispose Oezalces, e al galoppo si diresse verso i cavalieri numidi, la migliore cavalleria del mediterraneo.
Con uno schianto secco la palizzata cedette e i mercenari, già pregustando il bottino, sciamarono dentro come locuste. Ma davanti a loro, fieri e orgogliosi, si ergevano i cittadini, cuore impavidi e lance aguzze erano le loro armi, le loro case la loro determinazione. Ma i mercenari non si scomposero, misero mano ai giavellotti e fecero piovere su di loro una pioggia letale. E già altri soldati si gettarono dietro di loro dentro la breccia.
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Il capitano nemico, vedendo i nemici sciamare dentro la cinta, giocò il tutto per tutto e mandò i suoi cavalieri contro i giavellottisti mercenari.
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Essi ressero titubanti l'urto, armati di un solo coltello, aspettandosi l'ordine della ritirata. Che non venne. I mercenari! Uomini violenti e con la realtà verso il solo soldo, che un giorno ti sorridono e il giorno dopo ti accoltellano, bocche da sfamare e denaro speso e violenza in più se vittoriosi quel giorno. Gala li lasciò lì, a morire per permettere alla sua leva, ai suoi compaesani, di schierarsi dietro di loro e di andare ad aprire le porte e ad attendere la fine del mattatoio per affondare le loro lance nelle carni degli equini e dei loro fantini. Non ressero. Si dettero alla fuga, i mercenari, perdendo paga e bottino e stupri. Erano morti quasi tutti. Solo allora le lance numide intervennero.
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I cavalieri si lanciarono all'attacco, cercando di aprire varchi fra le fila per permettere alla loro fanteria di insinuarsi. Ma era troppo tardi. Le porte sud erano aperte.
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La cavalleria numide si lanciò contro le porte ad un comando di Oezalces, ma lui non andò. Forse il suo cuore era grande per uccidere una fiera, ma le grida di morte che venivano dalla breccia lo turbavano nel profondo. Uccidere uomini non era la stessa cosa.
Il primo cavaliere numide che si era buttato alla ricerca della gloria, all'improvviso voltò la sella scagliando giavellotto lanciando un grido “Escono dalle fottute pareti!” perché assistette ad un prodigio.
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La città non voleva arrendersi! Anche i mattoni diventavano soldati! Ma per quanto avessero valore, con la cavalleria alle spalle e piano piano la fanteria che avanzava dalla breccia sui corpi di chi li aveva contrastati, nulla si poteva fare contro la potenza numide e morirono sulla piazza nell'ultimo mattatoio della giornata.
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