Quanto a immagini ho ancora molto da imparare, e in questo nuovo capitolo ne farò a meno.
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Henrique de Trava era un lusitano palestinese a tutti gli effetti; suo nonno era stato l’artefice della liberazione della regione, suo padre vi era giunto fanciullo ma era nato in patria.
Da giovane scudiero aveva avuto la responsabilità della difesa di Acri durante un assedio Siriano, e si era impadronito del tesoro del generale nemico: nessuno ci aveva riprovato.
Poco prima di esser nominato erede aveva represso la tentazione di aciuffare al volo una dama in pellegrinaggio, come avea fatto suo padre, e in ciò si dimostrò molto saggio…
Divenuto principe aveva manifestato preoccupanti tendenze sediziose ma, non essendo pirla, accantonò ogni mattana dopo il matrimonio e la successiva incoronazione.
Essendo cresciuto nel culto della figura del suo illustre avo, voleva completarne il sogno: riportare la provincia crociata al suo antico splendore.
Unica città ancora irredenta era Antiochia, sfortunatamente in mano ai Bizantini. Non parendogli onorevole il piombargli addosso alla traditora, trovò modo di rompere l’alleanza attaccando i Siriani, che erano divenuti loro vassalli; all’epoca, persino i Mongoli si erano rassegnati a tanto.
La faccenda venne sbrigata da Enrico di Lemos che, dopo aver distrutto un esercito in avvicinamento usando i suoi consueti metodi, si degnò di impiegare bombarde e fanti per occupare Damasco.
Col senno di poi si può dire che questo approccio non sarebbe stato necessario; l‘insurrezione lealista di Maiorca, scoppiata in quegli stessi giorni, portò inevitabilmente alla dichiarazione di guerra. Non osando affrontare le torri della cittadella, la locale guarnigione bizantina si sarebbe dileguata.
Per la prima volta il conflitto coi bizantini, in passato limitato ad azioni navali, portò a cruenti scontri terrestri: cruenti solo per loro, che le presero sode dal Conte del Rossellò anche quando gli tesero imboscate presso Tripoli e Damasco, impiegando forze soverchianti. Se anche avevano la vittoria in tasca, non riuscirono a tirarla fuori dalla suddetta tasca.
Nell’anno del Signore 1303 Stephan da Costa, generale di fresca nomina che il re aveva fatto Visconte di Acri, investì Antiochia con forze persino sovrabbondanti alla bisogna: e ciò perché era già previsto l’assalto alla cittadella di Adana, tramite assalto via mare, con truppe ed artiglierie imabarcate nel porto cittadino. L’azione ebbe luogo circa un anno dopo e, visto che il nemico aveva commesso l’errore di sguarnire la piazza per marciare su Antiochia, non presentò alcuna difficoltà.
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Con la presa di Adana il regno festeggiò la realizzazione dei suoi obiettivi storici. Visto che i territori europei erano perfettamente sicuri, era il caso di concentrarsi sul congiungimento fra Terrasanta e Nordafrica. In verità Pisani e Scozzesi non avevano perso l’abitudine di venire a morire sotto Ais e Letmoges ma, visto che la cosa non faceva più notizia, si parlò assai di più della fuga d’amore di un De Fife con una principessa cumana. Unico altro evento degno di menzione eran state le nozze fra il Principe Antonio Ribadouro e Giannetta; avevano fruttato una alleanza dinastica coi lombardi, che durò lo spazio di un mattino perché anche loro erano tributari dei bizantini.
Per ragioni tutte Sue, il Santo Padre decise di indire una crociata contro Damietta. Joba il Cavalleresco, conte di Urgell e Gran Maestro del Tau, partì dalla madrepatria e liquidò al volo la faccenda.
Era sembrata una coincidenza fortunata, e invece fu una disdetta. Subito dopo i mussulmani si mobilitarono per una nuova Jihad contro Gerusalemme. Augelli amari per il prossimo futuro.
L’unica notizia positiva in quell’anno 1306 fu che, per arginare la marea islamica, era disponibile una peculiar specie di diga: due milioni di bisanti.
Ovviamente si poteva contare anche sul Conte di Rossellò, ormai conosciuto come L’Eroe, ma ormai stava facendosi anziano, e questo suscitava qualche comprensibile preoccupazione.
Per stare sul sicuro venne allestita la più imponente flotta di galeazze mai vista al mondo, onde portar velocemente in Terrasanta la più splendida armata mai messa in campo dal regno. Al suo comando venne posto Joda il Cavalleresco, Conte di Urgell e Gran Maestro dell’Ordine del Tau , il miglior condottiero disponibile nella penisola iberica.
Quando la flotta raggiunse il canale di Sicilia, i legni pisani presero a sciamarle addosso come mosche sul miele, o su cose di men gradevole odore; i primi furono affondati senza troppa pena, ma più ne colavano a picco e più ne arrivavano. Fu la più gran tragedia della storia portoghese.
Fortunatamente l’Eroe lusitano non aveva perso il suo smalto, e collezionava vittoria su vittoria, In genere subiva perdite modeste, agevolmente colmate dai rincalzi. L’unica volta che le sue truppe ne uscirono veramente malconce fu quando, a distanza di pochi giorni, distrussero due armate condotte dai rispettivi capofazione. In una occasione gli capitò di udire il rombo di qualche colpo di bombarda, che valsero solo a confermare una delle sue più ferme convinzioni: quella roba veniva comoda per sfondare portoni, ma in campo aperto valeva meno dello sterco di un cavallo.
Il Signore lo chiamò ad unirsi ai cori degli angeli nell’anno 1313, nella serenità del monastero di San Saba. L’anno precedente una modesta spedizione partita da Damietta aveva espugnato Alessandria, senza quasi trovare opposizione. La Jihad non era terminata, ma da qualche tempo pareva dormiente.
Fu suo figlio Nuno, Muhafez di Homs, ad intuire il motivo e a trovare la soluzione. La strage di nobili islamici era stata immensa, l’erede siriano avvistato alle porte di Aleppo poteva essere l’ultimo. Non aveva trovato alloggio all’interno perché la città era gremita di truppe. L’occasione ideale per attirare la guarnigione in campo aperto, se solo avesse avuto un esercito adeguato. Purtroppo non lo aveva, ma non per questo si rassgnò all’inazione. Inviò un contingente misto di Jinetes e Turcomanni a crivellare il poveretto, con l’ordine di ritirarsi non appena fosse crollato. Questa missione di assassinio compiuta da truppe regolari, e ufficialmente classificata come sconfitta, pose termine alla guerra santa.
Poco dopo, Nuno si distinse ditruggendo due armate bizantine nei paraggi di Damasco. La prima volta seguì pedissequamente l’esempio paterno, la seconda volle distinguersi assumendo il comando di un esercito più conforme alla tradizione nazionale. Gli andò bene ugualmente, ed ebbe anche l’onore di abbatttere personalmente il generale nemico, ma richiò di lasciarci le penne.
I fratelli minori si posero in luce per altre ragioni. Juan, Conte di Tripoli, recuperò una scheggia della Croce; non si capì mai come si fosse staccata dalla Vera Croce, apparentemente sana, già da tempo custodita nella cattedrale di Santiago. Jorge, Visconte di Gerusalemme, recuperò due antichi testi sapienziali; uno di questi lo consegnò al Re, con l’auspicio che potesse essergli d’ausilio nel mettere al mondo altri due principini di sangue bizantino. Forse fu piaggeria, o forse volle prendere per il culo una regina in età di menopausa; in fondo, lo chiamavano il Bastardo.