Gli artigli imperiali.
Un anno dopo le rapide conquiste in Moravia, Slesia e Fiandre, le ultime armate dell'esercito imperiale raggiunsero gli obiettivi di Praga, Lione e Verona.
A Praga risiedeva l'ultimo esercito a disposizione del Regno di Boemia, pronto a difendere la propria indipendenza fino all'ultimo uomo. D'altro per l'impero la guerra in Boemia era vista come nient'altro che la riconquista di uno dei suoi territori più antichi e importanti.
I mesi passati tra le prime conquiste e la battaglia di Praga non furono costellati solo da lunghe marce. Il consiglio di guerra ebbe modo di analizzare a fondo la tattica del tamarro di Lambrate dell'Imperatore, e pur riconoscendoli il merito di quei fulminei successi, occorreva ammettere che si trattava di una tattica rischiosa, il cui minimo errore avrebbe portato alla disfatta.
Andava migliorata e perfezionata, fu così che al giovane Luigi di Turingi venne chiesto di testare su quel campo cruciale la versione modificata.
Così come l'aquila ghermisce la preda trapassandola in più punti coi suoi artigli, così l'esercito imperiale avrebbe colpito come un'enorme zampa d'aquila. La fanteria si sarebbe subito lanciata sull'esercito nemico, bloccandola alle porte, impedendo di schierarsi per far valere la propria superiorità numerica. Pressati dalla fanteria e tormentati dalle frecce incendiarie, il terzo artiglio, quello letale, sarebbe stato il colpo di maglio della cavalleria ai lati dello schieramento nemico.
Gli effetti furono più lieti di ogni più ottimistica previsione. Alla carica della cavalleria imperiale diversi reparti boemi batterono in ritirata, così che i prodi cavalieri penetrarono fino al cuore dello schieramento come un coltello nel burro.
Di fronte al disastro, di reparto in reparto i boemi si arresero in massa, e alle porte della città, senza andare oltre, il generale implorò la resa.
Il trionfo di Praga fu la chiara dimostrazione alla Cristianità di cosa erano in grado di fare le milizie imperiali, e l'evento venne accolto dalle altre potenze tra un misto di ammirazione, invidia e timore.
Pochi giorni dopo furono le armate del Delfinato a dare battaglia alle truppe del Principe Corrado.
A Lione, stavolta con l'ausilio di un secondo gruppo di cavalieri della guardia imperiale, compensati però dalla presenza tra le truppe nemiche di diversi cavalieri, venne ripetuto il colpo dell'artiglio di aquila.
La cavalleria nemica riuscì solo a posticipare l'inevitabile momento del crollo.
Questo diede il tempo ai primi reparti nemici fuggiti, di ricompattare le fila, rifocillarsi e tornare a combattere, così che la battaglia continuò in un'ultima, quanto vana resistenza, tra le vie della città.
Anche a Lione sventolava il vessilo imperiale. Il Delfinato era stato riconquistato, e solo un caso fortuito per cui la dinastia provenzale aveva unito i propri destini alla corona di Aragona, che si era al fine presa la regione, impediva alle milizie imperiali, per il momento, di marciare fino al mare.
Venne infine il turno dell'Imperatore Federico, pronto a combattere contro le forze del Marchersato di Verona.
I veronesi agirono d'astuzia, e per impedire il colpo dell'artiglio, uscirono dalla fortezza ben prima che le milizie imperiali potessero raggiungere le porte di Verona.
L'Imperatore si trovò quindi costretto a riprendere la vecchia tattica del tamarro di periferia e dopo un duro combattimento che costò la vita anche al suo secondo.
Riuscì ad avere ragione dei veronesi e a prendere la fortezza.
L'ultimo giro di successi portò l'impero a riprendersi interamente la Boemia, il Veneto, rimettendo quindi un piede stabile in Italia, e nel delfinato, così da ricordare alle corone di Francia, Inghilterra ed Aragona, nonché ai vari potentati locali, come le terre ad Occidente erano sempre considerate dominio imperiale dai tempi di Carlo Magno.
Questa rapida espansione aveva però martoriato le finanze già fragili a causa di un'economia ancora arretrata, e la Dieta decise che si doveva fermare l'avanzata per integrare i nuovi domini nell'Impero e rilanciare l'economia. Si sarebbero fatte eccezioni solo per obiettivi sensibili che era consigliato prendere prima dei propri rivali, in particolare la Romagna e la Prussia. Purtroppo nel secondo caso, il tempo necessario alle forze imperiali di stanza in Pomerania per riposare e attendere rinforzi, consentì ai polacchi di mandare il proprio esercito a Danzica e battere sul tempo gli odiati vicini occidentali.
La cosa fu accolta con un certo dispiacere ma senza drammi. Per quanto fosse allettante la prospettiva di tagliare alla Polonia ogni sbocco sul mare, aver ripreso la Boemia e la Pomerania in tempo utile e senza trascurare gli obiettivi occidentali e italiani, era già un grandissimo successo.
[Modificato da Lan. 15/01/2011 14:51]