Noi, Imperatori di tutti i Romani e Re di Germania, Rettori dell'Orbe e Difensori della Fede,
Avendo letto con sommo rammarico e profonda costernazione gli editti ed i proclami del Re di Polonia e del Re degli Ungari, ora innanzi ai nostri occhi, nel pieno della Nostra Maestà e della Nostra Potenza, constatiamo come la malafede lombarda abbia intaccato il giudizio di alcune corti europee.
Sebbene Noi non si debba render conto a nessuno, se non a Cristo, unico giudice delle Nostre Azioni, è doveroso far alcune precisazioni, perché nessuno possa offendere la Verità, che tra tutte le virtù è la sommamente amata da Nostro Signore.
Il Nostro non è stato un attacco a tradimento. La Maestà dell'Imperatore aveva esortato pacificamente la Città di Pisa ad accordarsi col Piissimo e Nobilissimo Re d'Aragona in quanto titolare di diritto delle terre governate da Pisa medesima, la cui libertà, ricordiamo è per Nostra Graziosa Concessione, ricevendone solo recriminazioni, insulti e minacce. La Nostra è una risposta legittima e doverosa, volta a ristabilire la pace in Italia.
Pertanto invitiamo il Re degli Ungari a ricredersi riguardo alla guerra con Noi, siamo disposti a perdonare il suo tradimento, perché di questo si tratta, senza alcuna conseguenza, perché la Pace è preferibile alla Guerra laddove è possibile. Nel caso egli persistesse nella sua avventata decisione, interverremo come è prescritto dalle Sacre Scritture, dal Diritto e dalla Nostra Volontà.
Auspichiamo che i messi magiari, vengano a conferire con Noi, la Nostra mano è tesa in segno di Pace.
Per quanto riguarda il Regno di Polonia, l'Imperatore si riserva il tempo concessogli per riflettere sulla proposta inoltratagli.
Così è stabilito e deciso e comunicato.
Ad accrescere le mie sventure, il giorno dell'Assunzione della santa madre di Dio e vergine Maria, giunsero, con male augurio per me, gli ambasciatori di Giovanni XIII signore apostolico e Papa universale con lettere con cui pregavano Niceforo Imperatore dei Greci di far parentela e salda amicizia con suo diletto figlio spirituale Ottone, Imperatore augusto dei Romani.
"Ma il Papa, sciocco ed insulso, ignora forse che Costantino il grande trasferì qui lo scettro imperiale, tutto il Senato, tutto l'esercito romano e che a Roma lasciò soltanto vili schiavi, cioè pescatori, mercanti di ghiottonerie, uccellatori, bastardi, plebei e servi?"
"Ma il Papa, dissi, famoso per la sua lealtà, pensò di scrivere questo a lode e non ad offesa dell'Imperatore. Sappiamo certamente che Costantino Imperatore romano venne qui con l'esercito romano e fondò questa città col suo nome; ma poiché Voi avete mutato lingua, costumi e vesti, il Santo Padre ha pensato che vi dispiacesse il nome di romani, come pure non vi piace la loro veste"